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Carissimo Maresciallo Arthur Krueger
Benvenuto!
Ce l'ho fatta a portarti a scrivere in questo forum (marcuzzo sarebbe Marco Pajaro)!
Ti ringrazio dell' onore che ci fai venendo a scrivere qui.
Abbiamo bisogno delle tue parole.
Scrivi, scrivi e scrivi. Finchè ne senti necessità*. Noi giovani (più di te) abbiamo bisogno si leggere e di imparare.
Grazie 1000c e ci vediamo il 14 a passo Croce D'Aune
marco
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Un benvenuto anche da parte mia ad Arturo![ciao2]
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Stalingrado:
La fine del reggimento di fanteria di Danzica.
A cura di
Arthur Krüger
(8./120. IR(mot.)/60. ID(mot)
Introduzione
Caro lettore: mi chiamo Arthur Krüger e sono nato nella libera città di Danzica il 12 giugno 1920. La nostra unità fu fondata a Danzica nel giugno 1939 e ne condivisi i destini fino alla conclusione del dramma di Stalingrado.
A 86 anni ho deciso di affidare i miei peripezie e i miei ricordi ad uno scritto, dopo avere constatato che nessuno oggi conosce più la tedesca Danzica, né Königsberg, né la Prussia. à? mia ferma convinzione che trattare la storia di una divisione che ha combattuto a Stalingrado comporti di scrutare attentamente il passato e il quadro d`insieme di cui essa era parte.
Il nostro Kampfgruppe Eberhart, di stanza a Danzica - che in seguito avrebbe preso parte alla campagna di Polonia - fu trasferito al campo addestrativo di Groß-Born in Pomerania. I due reggimenti di polizia di Danzica divennero rispettivamente il 243° e il 244° reggimento di fanteria. Come terzo reggimento ci fu assegnato il 92° di Pomerania.
In quell`area ci addestrammo alla guerra contro i bunker e le fortificazioni.
Dal Francia alla Grecia
Nel 1940 fummo mobilitati nel Saar e destinati alla zona di Saarbrücken. C`impadronimmo ben presto delle prime opere difensive francesi e presso Vorbach sfondammo la linea Maginot continuando poi a combattere fino ad Epinal. Nel cimitero di Vorbach presso Saarbrücken riposano i nostri compagni caduti. Terminate le operazioni in Francia facemmo ritorno al campo addestrativo di Groß-Born nell`attesa del nuovo schieramento.
Quelli del 243° reggimento che provenivano da Danzica furono spostati al 244°. Il resto del 243° fu assegnato ad un`altra unità . Il 244° fu motorizzato divenendo il 120° mot. Anche il reggimento di Pomerania divenne a sua volta il 92° reggimento di fanteria motorizzata (92 mot).
Mentre le unità appiedate potevano contare su tre reggimenti, quelle celeri motorizzate erano soltanto due. Il nostro addestramento si svolgeva ora a stretto contatto con le unità corazzate. A questa fase di ristrutturazione e alle esercitazioni che la accompagnarono, fece seguito il trasferimento in Austria nella zona di Hollabrunn dove, sulle montagne del Semmering, ripetemmo le manovre muovendoci con i mezzi lungo le strade di montagna.
La nostra nuova unità prese parte all`avanzata in Ungheria, in Romania e in Bulgaria. In Bulgaria ci acquartierammo nei dintorni di Sofia, Plovdiv, Pasardschik. Seguirono nuove esercitazioni sui monti d`Arabakonak. Ben presto giunse l`atteso ordine di marcia: "Avanzata in Jugoslavia". Incontrammo solo una modesta resistenza. Mentre la divisione attaccava in direzione di Belgrado, il nostro 120° reggimento motorizzato fu scorporato da essa ed assegnato ad una divisione corazzata con obiettivo la Grecia.
Così, il 14 aprile 1941, iniziava la nostra avventura in Grecia. Speravamo di essere impiegati fin da subito a fianco dei nostri camerati delle truppe corazzate, ma, purtroppo per noi, essi fecero tutto da soli, spazzando ogni resistenza e sospingendo dinanzi a sé gli inglesi.
Gli inglesi - che in realtà erano australiani - cercavano di raggiungere in tutti i modi, le loro navi per fuggire via mare. Mentre si ritiravano facevano saltare i ponti e tutti i punti obbligati di passaggio, per questo ci capitava spesso di dover stare fermi per ore nell`attesa di un ripristino d`emergenza. I maggiori disagi toccavano, però agli autisti, che di notte dovevano guidare lungo strade d`alta montagna strette e sconnesse. Erano davvero prestazioni sovrumane che più tardi avrebbero meritato a tutti i conduttori d`automezzi e d`autocarri il distintivo d`autieri esperti.
Subimmo perdite e feriti solo una notte, quando un autocarro, intento ad affrontare una curva stretta, precipitò nel burrone sottostante.
Facemmo conoscenza di luoghi come Pflorina, Kozani, Kalabaka, Trikkala, Lamia, il passo del Termopili, il piccolo Olimpo, ma anche Atene e Corinto, dove liberammo 2000 prigionieri di guerra italiani.
Con la nostra colonna esplorante, di cui facevo parte, oltrepassammo il Canale di Corinto, in direzione Kalamata. Lungo la strada costiera facemmo prigionieri 25 inglesi, che di certo non avrebbero più raggiunto la loro nave e facemmo ritorno a Corinto per consegnarli. L`avanzata proseguì verso Sparta dove la guerra di Grecia per noi sarebbe terminata.
Fu schierato solo un Kampfgruppe che su barche da pescatori tragittò all`isola di Githera. Dovunque si girasse lo sguardo non c`, era più ombra d`inglesi.
A Sparta ci fu concesso un po` di riposo: ci stendemmo al sole e non mancammo di gustare il vino greco. La popolazione aveva sentimenti amichevoli nei nostri riguardi e ci chiese di rimanere. Non voleva, infatti, che tornassero gli italiani. Correvano voci che avrebbero raggiunto l`Austria, e quindi la Manica, per l`invasione dell`Inghilterra, ma appena giunti in Austria ci fu comunicata la notizia che l`invasione era sospesa in quanto i russi stavano ammassando truppe ai confini preparandosi ad un attacco contro la Germania. Era il mese di giugno del 1941.
Fummo inviati al fronte orientale.
La campagna di Russia.
Alla fine di giugno attaccammo in due ondate i russi sfondando d`impeto le loro posizioni. Era un tipo di guerra affatto nuovo per noi che si profilava. Per la prima volta apparvero carri russi che avevano dimensioni di una casa unifamiliare. Uno travolse il nostro cannone controcarro assieme al suo trattore schiacciandolo come fosse stato un giocattolo. Erano i carri Stalin. Solo più tardi, infatti, fecero la loro apparizione i carri T-34. Da allora tuttavia quel carro gigantesco scomparve.
I russi sparavano senza esitazione sia sui nostri soldati della sanità , che erano disarmati, sia sui loro automezzi che pure si riconoscevano da lontano. Era diventato quasi impossibile soccorrere i compagni morti o feriti. Un giorno una parte della nostra sezione esplorante cadde in un`imboscata tesa dai russi. I compagni feriti, che non ce l`avevano fatta a sfuggire, dopo un nostro vittorioso contrattacco, li trovavamo trafitti con la loro stessa baionetta.
L`ordine di Stalin era: "Uccidete i tedeschi, colpiteli a morte ovunque essi si trovino" ("Smert nemeski Okupanti").
Era un ordine di assassinio! Il contrordine di Hitler recitava a sua volta: "Annichilire i russi è più importante di farli prigionieri". Constatammo che quel po` di umanità che ancora era stata conservata nei combattimenti contro polacchi, francesi e inglesi, qui invece si era dissolta. Si combatteva e si avanzava. Con grandi perdite conquistammo Kiev, Poltawa, Tanganrog, Mariopol e Rostov.
Nella mia narrazione della battaglia intorno a Nepopetrowsk ho già affrontato l`argomento "Italiani e Tedeschi", vi tornerò ancora una volta in appendice.
Nel frattempo sopraggiunse con grande anticipo l`inverno russo.
I russi ci attaccarono in forze per riconquistare Rostov, la porta del Caucaso, minacciando di accerchiarci. Fummo costretti a ritiraci da Rostov verso il fiume Mius, che sarebbe diventata la posizione invernale del successivo periodo 1941-1942. Quanto successe allora non potremo più dimenticarlo per tutta la vita. Non sarà facile da descrivere.
In posizione sul Mius
(dicembre 1941)
Ci venne ordinato prendere posizione di notte e in mezzo al nevischio. Il terreno era ghiacciato, duro come il sasso. I pionieri dovettero lavorare con l`esplosivo due notti di fila per scavare una buca nel terreno dotata di una copertura in legno per il nostro gruppo di 18 uomini.
Nel frattempo piazzai in posizione le mie due mitragliatrici pesanti. La temperatura precipitava sotto i 40 sotto zero, accompagnata da una tempesta di neve così forte da non potersi vedere avanti un metro. Le ciglia degli occhi gelarono. Per poter udire meglio, poiché non si vedeva nulla, apprestammo un posto avanzato davanti alla nostra posizione con cambio della guardia ogni mezz`ora. Di più non si poteva umanamente resistere senza il rischio di restare congelati.
Ogni soldato delle truppe motorizzate aveva in dotazione un abito invernale che indossava sopra l`equipaggiamento quando saliva sul cassone degli autocarri. Era questo indumento che ci permetteva di far fronte a quattro ore di guardia alla mitragliatrice pesante (S.M.G.). Ricordo che appena riuscivamo a liberare dalla neve un lato dell`arma, quell`altro era già pieno di nuovo. Il nostro era un muoversi continuo, da una parte e dall`altra, che tuttavia ci impediva di congelare.
Il vettovagliamento non arrivava per giorni interi e altrettanto per i rifornimenti. Il liquido di raffreddamento e l`olio dei mezzi gelavano facendo blocco unico. Nessun motore si avviava più. Perfino la glisantina, che nelle locomotive si usava come additivo anticongelante, si era congelata. Mangiammo i nostri viveri di riserva. Dopo tre giorni arrivò finalmente il vettovagliamento rappresentato da una minestra al ghiaccio con fiocchi di mais e carne di cavallo, proveniente dai cavalli che soccombevano per la neve e per gli strapazzi. La razione per 18 uomini fu di cinque barattoli di salsicce in scatola con due gallette. Il tutto naturalmente ben duro e stecchito per il freddo. Per fortuna i rifornimenti migliorarono presto.
Ogni 10 giorni ci davano il cambio alternandoci con altri 10 giorni a riposo. Nelle case ucraine ci trattavano bene, spesso quasi come fossimo stati loro figli. Ci tenevano al caldo e curavano i nostri congelamenti. Ci pareva di trovarci a casa.
Trascorsi i 10 giorni si faceva ritorno alle nostre posizioni avanzate. Per giungervi facevamo un grande sforzo per vincere la tempesta di neve e la neve in cui si affondava, mentre il freddo feroce tagliava letteralmente il viso. Giungemmo così esausti nelle nostre trincee. Molti dei nostri compagni erano colpiti da congelamenti di secondo e terzo grado: per loro la guerra era finita.
A Natale ognuno di noi ricevette un mezzo pane e una razione di sanguinaccio e sigarette, queste ultime sempre scarsissime. Fu così per tutto l`inverno. Di notte arrivava il rancio caldo. Quando lo si ritirava si formava subito sopra uno strato di ghiaccio.
Nella nostra buca ci stringevamo tutti assieme per tenerci caldi a vicenda. Al momento del cambio di guardia la prima cosa da fare era scrollarsi da dosso la neve. La canna del fucile e tutto ciò che era in ferro non si poteva toccare senza guanti altrimenti la pelle gelava immediatamente. Anche i russi, nonostante i loro buoni indumenti da inverno, non se la passavano meglio. Ci lasciarono infatti relativamente in pace. Solo una volta, quando la visibilità migliorò, una compagnia venne all`assalto guidata da un commissario che impugnava una pistola. I russi correvano incontro al fuoco delle nostre mitragliatrici tenendo le mani in tasca e il fucile sul dorso. I sopravvissuti si ritirano nuovamente sulle loro posizioni. L`inverno feroce forzò amici e nemici all`immobilità .
Solo pochi di noi sopportarono senza danni quell`inverno spietato. La nostra dotazione di indumenti era quella del normale corredo invernale che ogni soldato indossava in patria, senza particolari indumenti per mimetizzarci nella neve. Lentamente i rifornimenti migliorarono e altrettanto lentamente sopravvenne il disgelo. Quanti però credevano che le cose sarebbero migliorate si ingannava. I mezzi si piantavano nel fango. Il cambio dalle nostre posizioni avveniva sempre di notte, mentre per raggiungere il posto arretrato dovevamo regolarmente percorrere una distanza fra i 5 e i 10 km. Le notti erano buie peste per cui l`orientamento risultava difficile.
Succedeva che i gruppi si muovessero in circolo ripresentandosi nella posizione (H.K.L) da cui erano partiti. La nostra sezione con le armi pesanti marciava sempre in coda ai gruppi e spesso in quelle notti scure accadeva che il sottufficiale Krüger si presentasse sul davanti dopo essere uscito da dietro. Nonostante la stanchezza i camerati canticchiavano allora in rima: "Il nostro comandante ha di nuovo perduto l`orientamento".
Era poi una mia caratteristica quella di riuscire a portare sempre fuori i soldati di 500 metri a sinistra dalla località che si voleva raggiungere.
C`era un detto: "tutti gli uomini hanno una rigatura destrorsa". Ne seguiva che quello che teneva la sinistra esercitava una compensazione e doveva quindi andare più diritto. Io tenevo la sinistra.
Il maggiore problema della primavera era il terreno molle. I nostri stivali si piantavano nel fango e, quando accadeva al buio, era poi molto difficile ritrovarli. Eravamo allo stremo delle nostre forze. Prossimi all`esaurimento si era giunti a bere l`acqua di fusione dalle pozzanghere delle strade.
Le perdite per congelamento e malattie divennero molto elevate. Ricevemmo finalmente il cambio e arretrammo dietro le linee per recuperare le forze. Per avere superato quell`inverno terribile ci venne conferito l`ordine di inverno, che battezzammo subito l`ordine della carne congelata.
Nel frattempo ritornarono presso di noi i compagni che erano completamente guariti e quelli che erano andati in licenza. Avevamo sfortuna, Noi giovani e non sposati eravamo i più sfortunati: per noi non c`erano le licenze, quanto meno non in vista, perché Danzica non aveva ancora subito attacchi aerei di bombardamento. Eravamo tuttavia già felicissimi di poterci lavare di nuovo, liberarci dai pidocchi e dormire finalmente la notte.
Con la popolazione ucraina avevamo un rapporto molto buono. Come dissi, stare con loro in quel periodo era come sentirsi a casa. Essi infatti potevano con noi esprimere nuovamente il loro pensiero in tutta libertà , potevano pregare ed esporre senza pericolo le loro icone. Ci consideravano i liberatori dallo spietato regime stalinista. Purtroppo accadde che venissero profondamente delusi dalle truppe di occupazione che ci seguirono e dalle SS, che non si comportarono certo da liberatori.
Harkov
In vista della nuova azione venne effettuato un rimpasto del personale militare e a me fu rinnovato il mandato di comandante del gruppo lancia bombe.
E la nuova azione giunse: l`accerchiamento di Harkov. Credo fosse maggio del 1942. à? molto difficile invero, dopo così tanti anni, riuscire ancora a ricordare esattamente i mesi e i giorni. Per combattenti come noi, perennemente impegnati in azione, la differenza fra giorni e mesi era svanita: ben altri, infatti, erano i pensieri che occupavano la nostra mente. Coloro che si permettevano di tenere il diario non stavano esattamente sulla nostra linea del fuoco.
Sul fronte di Harkov combatteva l`armata russa del generale Schimischenko. In una serie di battaglie che comportarono gravi perdite da entrambe le parti, ci riuscì di chiudere in una sacca l`armata russa. Accerchiati sempre più strettamente, i russi si arrendevano in numero crescente, venendo verso di noi a migliaia con le mani alzate. Era un finimondo: Stuka, carri armati e tutto quello che poteva sparare, sparava nella sacca. Quindi toccò a noi di fare irruzione per bonificare il terreno dalle isole di resistenza. Eravamo tutti vecchi camerati abituati alla morte e a morire, ma quando ci capitò di camminare su montagne di morti e di feriti che urlavano, lo spettacolo era tale che ne restammo profondamente scossi.
Avevamo appreso che Schimischenko era stato evacuato in aereo dalla sacca su ordine di Stalin. Si vociferava pure del figlio di Stalin che, catturato, sarebbe finito in prigionia. Le nostre perdite tuttavia erano così elevate e noi così esausti che ci inviarono a riposare nelle retrovie per recuperare le forze. Molti di noi avevano contratto la febbre della Volinia, una specie di malaria, e si erano ammalati. Una malattia terribile. Fummo tutti vaccinati e dovemmo assumere tavolette di chinino. Per un po` di tempo fummo la riserva della divisione.
Alla fine di giugno eravamo di nuovo pronti per tornare in linea e presso Kalatsch sul Don ci mettemmo a caccia di russi. Il nostro compito era sfondare con i carri armati tagliando fuori il nemico dalle linee di rifornimento.
Ci eravamo spinti troppo lontano. La fanteria non reggeva più il nostro ritmo, per cui giunse l`ordine: "Unirsi". Ci fermammo pertanto in attesa di essere raggiunti dai rifornimenti di benzina e dalle truppe appiedate. Ovunque si volgesse lo sguardo non si scorgeva né una casa, né un albero, né un cespuglio. Eravamo in compagnia solo di alcuni dromedari che, almeno essi, non si erano ritirati.
Presto il collegamento venne ristabilito e con esso giunsero di nuovo benzina e vettovagliamento. Riprendemmo la via di Stalingrado. Ciò che ci sorprendeva non poco era la scomparsa dei T34, sostituiti invece da autocarri e corazzati americani. Avevamo avuto sentore che gli americani stavano approvvigionando i russi di materiale bellico via Vladivostock. Ai miei soldati accadde di catturare un piccolo cingolato americano che venne subito adattato al trasporto delle parti più pesanti del nostro lanciagranate.
Mentre le nostre forze iniziavano l`accerchiamento di Stalingrado a nord la 16a divisione corazzata sfondò le linee e giunse al Volga. Lì ci attestammo su quella che sarebbe diventata la cosiddetta posizione chiave nord da cui respingevamo tutti gli attacchi.
Battaglia per Stalingrado
La battaglia per Kalatsch e Stalingrado fu estremamente sanguinosa. Le nostre compagnie erano quasi tutte ridotte ad un organico di non più di 30-50 uomini, mentre la nostra linea principale di resistenza si presentava ormai piuttosto discontinua. Stavamo in trepida attesa del cambio. Quando i russi avanzavano ci sforzavamo di stare loro sotto tutto il possibile, spesso fino a soli 100 metri, per non essere colpiti dagli organi di Stalin (le katiusce, N.d.T.). Erano ordigni che devastavano entro un raggio dell`ordine dei 250 metri. Pur di colpirci i russi non esitavano un attimo a colpire anche le proprie truppe. Avevano inoltre degli ottimi cecchini per cui muoversi di giorno era puro suicidio.
Di notte scavavamo come matti per consolidare le nostre posizioni. La terra rimossa veniva versata nel telo tenda e distribuita dietro la posizione. Allo stesso tempo venivano fatte procedere in avanti verso le nostre linee munizioni e vettovagliamento. Un giorno arrivò un cambio isolato, costituito quasi completamente da inesperti quasi privi di adeguato addestramento. Per i loro errori dovetti più di una volta intervenire col mio gruppo di lanciagranate di 10 uomini a chiudere con rapidità le brecce che la loro incapacità apriva nello schieramento. Davanti alle nostre linee c`era un campo minato e, naturalmente, i russi. Del mio gruppo erano rimasti ancora quattro graduati, tutti veterani coi quali avevo condiviso a lungo le traversie della guerra. Essi erano perfettamente addestrati al tiro coi lanciagranate, aspetto che unito al livello ottimale di osservazione che eravamo riusciti a sviluppare ci metteva in grado di colpire il nemico ovunque.
Alla nostra sinistra c`era la postazione della 5a compagnia alla quale i miei lanciatori erano subordinati, mentre la destra era occupata dalle postazioni di un gruppo di mitragliatrici pesanti della mia compagnia. Ad un certo momento la compagnia fucilieri cominciò a lamentare dei caduti colpiti al capo da un cecchino russo. Essa pure era dotata di fucili a cannocchiale, ma i nuovi arrivi non li sapevano maneggiare bene per mancanza di addestramento. Mi feci perciò consegnare una di quelle armi e con essa provvidi in breve ad eliminare il cecchino.
Assieme al vettovagliamento un giorno fecero ritorno alla nostra posizione anche alcuni compagni provenienti dall`ospedale o dalla licenza. Questi ultimi col pensiero erano chiaramente ancora a casa e non prestavano la dovuta attenzione ai nostri moniti, quando li mettevamo in guardia: "Attenti, ci sono i cecchini. Giù, giù la testa". Non ebbero più occasione di venire in azione. Diventammo superstiziosi, al punto che fra noi si diceva: "Chi va in licenza poi muore". Ciononostante cercavamo di non farne una preoccupazione eccessiva. In ogni caso le licenze vennero bloccate.
I russi tentavano ripetutamente di saggiare con piccoli attacchi quanto ancora reggeva della nostra difesa. Quando si presentavano venivano regolarmente falciati dal fuoco delle nostre armi. Subito dopo si udivano le grida di aiuto dei moribondi che si facevano sempre più deboli fino a cessare del tutto. Quando alla mia posizione giunsero tre disertori, chiesi loro direttamente: "Ma perché non aiutate i vostri feriti?". Essi risposero: "Da noi vengono evacuati solo coloro ancora in grado di continuare a combattere. Chi può tornare indietro coi suoi mezzi viene soccorso, gli altri rimangono lì".
Dietro le posizioni russe udivamo tutte le notti un lontano lo sferragliare di cingoli di carri armati. Intuivamo che qualcosa di grosso stava per bollire in pentola. In breve tutto divenne chiaro: i russi avevano sfondato dai Romeni con forze poderose, il fronte italiano anch`esso vacillava.
A Kalatsch i russi avevano raggiunto il Don chiudendoci in una sacca. Non ci demmo troppo pensiero, alla nostra divisione era capitato più di una volta di finire in una sacca e ne era sempre uscita. Man mano che il tempo passava i rifornimenti e le munizioni divenivano sempre più scarse, facendo crescere in noi la debolezza e il senso di vuoto. I grandi strapazzi, la vita inumana che da troppo tempo stavamo conducendo ci avevano precocemente invecchiato.
Giovani di vent`anni morivano per lo sfinimento. Tormentati dal tifo e dai pidocchi, l`uscita da quell`inferno era assicurata solo ai feriti. L`augurio che ciascuno si faceva era di una morte senza dolore. Alcuni giungevano a ferirsi pur di essere evacuati, altri erano assaliti dal panico e saltavano fuori dalla posizione dove i cecchini altro non attendevano. Solo chi teneva i nervi a posto aveva qualche possibilità di sopravvivere. Altri ancora disertavano e poi facevano ritorno. Forse credevano in quel modo di rompere l`accerchiamento. Venivano catturati, fucilati o inviati nelle compagnie di punizione.
Credo fosse ormai la fine di novembre. Era passata mezzanotte e si sentivano sferragliare i cingoli dei carri. Arrivarono. Contai dieci T 34. Li lasciammo passare oltre la nostra posizione e quindi facemmo fuoco coi nostri pezzi controcarro. I carri erano seguiti a distanza dalla forza di un battaglione di soldati appiedati che tentarono di sfondare su un nostro fianco. Li lasciammo avvicinare finché non furono a tiro. Poi si sviluppò l`inferno. L`attacco si infranse nel nostro fuoco incrociato. I nostri carri, appoggiati dalla fanteria, intervennero coronando il successo del nostro contrassalto.
In quell`azione rimasi ferito alla testa e alla spalla, per cui fui evacuato a Gumrack in attesa di essere imbarcato su un aereo che però poteva decollare solo il mattino successivo. Ciò che accadde in quel frangente è indescrivibile. I feriti urlavano come folli. Tutti volevano partire e si attaccavano alle ali dell`aereo impedendogli di fatto di muoversi. Furono imbarcati per primi i feriti gravi e anch`io venni considerato tale, quando ormai avevo perso ogni speranza. A causa della nebbia un Ju 52 era caduto al mattino nel cratere di una bomba. Il pilota attendeva su un trattore che lo tirassero fuori. Nell`attesa iniziammo a parlare. Era un maresciallo, un ex-fante. Mi riferì fra l`altro che doveva trasportare solo feriti gravi, quindi tornò all`aereo per fare nuovamente ritorno a chiedermi se ero in grado di sparare con una mitragliatrice. "Naturalmente" risposi, "vengo da una compagnia di mitraglieri".
"Allora verrai con me sull`aereo come mitragliere di bordo". A ciò dovetti la mia salvezza da Stalingrado. Lo Junker si levò in volo e uscimmo indisturbati dalla sacca.
Dei miei compagni, coi quali fino a quel giorno avevo condiviso la sorte, nessuno sopravvisse a Stalingrado.
Gli altri, che ancora in gennaio erano a nord sulla linea principale di resistenza, vennero macinati dai cingoli dei carri. Solo tre delle salmerie caddero prigionieri. Il maresciallo capo, l`infermiere e il sottufficiale ai rifornimenti.
Fine
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Nota:
Altri miei ricordi a completamento del presente sono disponibili negli scritti seguenti:
Italiani e tedeschi alleati nella guerra 1939-1943.
L`asse Roma-Berlino 1936-1943.
Battaglie intorno a Rostov e sul Mius - Inverno 1941-1942.
Riflessioni sul mio servizio militare dal 1938 al 1945.
La mia storia di Stalingrado.
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benvenuto Arturo,è davvero un onore averla qui!grazie!
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Le do il mio personale benvenuto Maresciallo Arthur Krueger.
Sono nipote di un Reduce del 5° Rgt Alpini, che ebbe vicende simili alle sue in quel di Russia.
Una domanda: per caso, lei si ricorda di certi autieri italiani che però rimasero nel kessel di Stalingrado?
Un saluto
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Benvenuto sul forum WW.
Un onore ed un privilegio,per me,poter sentire i Suoi racconti,nell'attesa di conoscerLa di persona.
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Cari amici,
mi rivolgo ai Moderatori.Il vostro Forum e diverso. Se
inserisco qualche articolo doppio vi prego di modivicare.
Per avere una chiara lettura delle mie Memorie sarebbe bene
di fare una pagina per il Veterano.E la risposte e domande
a un'altra parte.Ho scritto molto, potete risparmarvi il denaro per i libri.
Per tutti queli che venganno al 14.6. a Croce D'Aune faremo un piccolo Drink per il mio Compleano che ho al 12. Un giovane
Amico (Russo) da stalingrado, mi ha mandato per il mio
compleano una buttiglia originale Stalingraski Wodka. Lo
beremo alla nostra salute al incontro.
vi aspetto Arturo.
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Aspetto con ansia il drink!
grazie eancora e continua
x i mod.: si può fare un topic su cui traslare questi documenti?
ciao
marco
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Quando ho finalmente capito chi eri non ci potevo credere.
Sono felicissimo di trovarti qui, quando era stata lanciata la proposta da marcuzzo di chiedere una tua partecipazione diretta non potevo sperare che accettassi.
Posso solo dirti "benvenuto" e se va tutto bene ci vedremo il 14.
Ciao
Andrea
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Maresciallo Arthur Krueger lei è la STORIA in persona.. le ripeto un grande Onore averla con noi..