Un'altra triste pagina di storia.
Grazie per averla condivisa con noi.
Complimenti per il tuo "lavoretto" [264
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Un'altra triste pagina di storia.
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Un lavoro stupendo, complimenti! Aspetta che lo veda Alpino X!!!
Una triste storia. Interessante, proprio un bel lavoro.
Complimenti per il tema trattato e sopratutto per il lavoro di ricerca [264
[00016009 Gianfranco
molto interessante, grazie
Capitolo terzo
La rieducazione politica
1.L`organizzazione dell`attività* politica
L`attività* di propaganda era per l`Urss un elemento centrale del trattamento dei prigionieri nemici e aveva avuto origine nel periodo immediatamente successivo la Rivoluzione d`ottobre, quando venne fatta opera di propaganda tra i prigionieri tedeschi e austroungarici.
Il lavoro politico era gestito dal Comitato esecutivo del Komintern (Ikki), affiancato dal Purrka, la Direzione politica dell`Armata Rossa; a sostegno di quest`ultima, l`Ikki creò una speciale commissione per il lavoro politico tra i prigionieri, composta da Walter Ulbricht, Vincenzo Bianco, Zoltan Szanto e Johann Koplenig1.
La propaganda politica fra i prigionieri era affidata ai fuoriusciti politici appartenenti alle varie nazionalità*, sempre accompagnati da un commissario sovietico padrone della lingua.
I comunisti italiani che parteciparono a questa attività* furono alcune decine dei quali soltanto di alcuni si conoscono le generalità* complete2; di questi i più importanti furono Palmiro Togliatti (all`epoca segretario del Komintern), Vincenzo Bianco (responsabile dell`attività* di propaganda tra i prigionieri italiani), Edoardo D`Onofrio e Paolo Robotti.
Consci della tragedia che stavano vivendo i loro connazionali fatti prigionieri, i fuoriusciti italiani reagirono in modo differente come dimostra il rapporto epistolare svoltosi tra Bianco e Togliatti; così il primo scrisse al secondo:
Ti pongo una questione molto delicata di carattere politico molto grande. Penso che bisogna trovare una via, un mezzo per cercare, con le dovute forme, con il dovuto tatto politico, di porre il problema, affinché non abbia a registrarsi il caso che i prigionieri di guerra muoiano in massa come è già* avvenuto. Non mi dilungo, tu mi comprendi, perciò lascio a te di trovare la forma per farlo (...).3
Bianco chiedeva dunque un cambiamento nel trattamento dei prigionieri, appellandosi al segretario del Komintern; ma la risposta di questi, frutto della totale adesione di Togliatti al comunismo internazionale e della mancanza di reale influenza sul potere staliniano, fu la seguente:
L`altra questione sulla quale sono in disaccordo con te è quella del trattamento dei prigionieri. Non sono per niente feroce, come tu sai. Sono umanitario quanto te. O quanto può esserlo una dama della Croce Rossa. La nostra posizione di principio rispetto agli eserciti che hanno invaso l`Unione Sovietica, è stata definita da Stalin, e non vi è più niente da dire. Nella pratica, però, se un buon numero di prigionieri morirà* in conseguenza delle dure condizioni di fatto, non ci trovo assolutamente niente da dire. Anzi. E ti spiego il perché. Non c`è dubbio che il popolo italiano è stato avvelenato dalla ideologia imperialista e brigantesca del fascismo. Non nella stessa misura che il popolo tedesco, ma in misura considerevole. Il veleno è penetrato tra i contadini, tra gli operai, non parliamo della piccola borghesia e degli intellettuali, è penetrato nel popolo insomma. Il fatto che per migliaia e migliaia di famiglie la guerra di Mussolini, e soprattutto la spedizione contro la Russia, si concludano con una tragedia, con un lutto personale, è il migliore, è il più efficace degli antidoti (...). I massacri di Dogali e di Adua furono uno dei freni più potenti allo sviluppo dell`imperialismo italiano, e uno dei più potenti stimoli allo sviluppo del movimento socialista. Dobbiamo ottenere che la distruzione dell`armata italiana in Russia abbia la stessa funzione oggi (...).
T`ho già* detto: io non sostengo affatto che i prigionieri si debbano sopprimere, tanto più che possiamo servircene per ottenere certi risultati in un altro modo; ma nelle durezze oggettive che possono provocare la fine di molti di loro, non riesco a vedere altro che la concreta espressione di quella giustizia che il vecchio Hegel diceva essere immanente in tutta la storia.4
Togliatti si rifiutò quindi di prendere qualsiasi iniziativa a favore dei prigionieri italiani, considerando la morte di migliaia di essi "il più efficace degli antidoti" contro la politica fascista; si preoccupò, invece, affinché il lavoro politico fosse ben organizzato, così da poter guadagnare i prigionieri superstiti alla causa comunista.
Così Nikolaj Terescenko, maggiore dell`esercito sovietico e istruttore nelle scuole antifasciste, ricorda l`interessamento di Togliatti per il lavoro politico:
Il partito comunista italiano ritiene suo sacro dovere e suo compito nazionale andare in aiuto dei prigionieri. Vi posso dire che appena abbiamo saputo dell`arrivo dei prigionieri italiani nei campi, la direzione del partito ed io abbiamo subito preso misure per inviare ai campi dei comunisti capaci di svolgere il lavoro necessario tra i prigionieri. Diversi compagni da lungo tempo lavorano lì, ma tuttora continuiamo a radunare questi uomini.5
Coadiuvati dai commissari politici sovietici, i propagandisti italiani, indottrinati nelle scuole di partito sovietiche, si presentavano ai prigionieri italiani con descrizioni apologetiche del sistema sovietico, argomentazioni che troppo stridevano con la realtà* della prigionia e che ebbero ben poca presa tra i prigionieri. Così li ricorda un reduce:
In generale non si manifestò mai una decisa ostilità* contro i commissari politici: la loro casacca suscitava sempre una certa diffidenza, ma la presenza di un italiano tra i carcerieri destava sempre una certa speranza di appoggio presso le autorità* del campo. Tuttavia, fin dal primo momento, i fuoriusciti raramente risultarono all`altezza del loro compito, anche di fronte ai soldati, e si dimostrarono spesso incapaci a comprendere la psicologia dei prigionieri. La lunga lontananza dalla terra natale rendeva le loro semplicistiche argomentazioni terribilmente monotone e ridicole così che spesso essi destavano un senso di commiserazione misto a disprezzo.6
1M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.112
2L. Vaglica., "I prigionieri...", p.85
3La lettera di Bianco a Togliatti fu pubblicata da "Panorama" il 9.2.1992
4La lettera, pubblicata per la prima volta su "La stampa" il 15.2.1992, è riportata in M.T. Giusti, "I prigionieri...",p.55
5Nicolaj Terescenko, "L`uomo che torturò i prigionieri italiani",Milano, Vangelista, 1994, p.109
6Valdo Zilli, "Fascisti ed antifascisti in Russia", in "Il Ponte", anno 6 , n.11, Novembre 1950, pp.1369-1370
2.Strategie e obiettivi della propaganda
La propaganda si sviluppò con strategie e fini in relazione a obiettivi a breve e a lungo termine; nel periodo antecedente l`armistizio dell`8 settembre 1943, l`instabilità* e le difficoltà* della situazione bellica indirizzarono la propaganda nel coinvolgimento dei prigionieri alla diserzione delle truppe al fronte e alla rottura dell`alleanza italo-tedesca.
Così è scritto nel Programma delle iniziative della squadra dei compagni Terescenko e Edo7:
Il compito del movimento (...) è quello di creare una piattaforma politica che orienti la massa fondamentale dei prigionieri contro la partecipazione dell`Italia alla guerra e a favore della coalizione democratica. A tale scopo gli slogan politici principali della propaganda saranno:
1. uscita dell`Italia dalla guerra contro la coalizione anglo-sovietico-americana.
2. rottura dell`alleanza tra l`Italia e la Germania, che costringe l`Italia a proseguire la guerra contro l`Inghilterra, gli Stati Uniti e l`Unione Sovietica.
Il rovesciamento del governo di Mussolini deve essere il terzo obiettivo e deve fondarsi sulla considerazione che, per colpa di Mussolini, è iniziata la guerra che non sembra volgere al termine e che qualunque governo italiano, veramente nazionale e non di tipo fascista, che si dovesse formare ora in Italia, porrebbe fine alla guerra contro i paesi democratici e si sgancerebbe immediatamente dall`alleanza con la Germania, un`alleanza mortale per il popolo italiano.8
I prigionieri coinvolti in queste operazioni propagandistiche, venivano direttamente inviati al fronte e, muniti di megafoni e ricetrasmittenti, invitavano alla resa i propri connazionali; in questa direzione era la diffusione di volantini, firmati da soldati caduti prigionieri, sulla linea del fronte.
I volantini potevano avere temi diversi, quali la solidarietà* tra lavoratori, la falsità* della propaganda fascista o la mancanza di affinità* tra il popolo italiano e quello tedesco come dimostrano i seguenti esempi:
Stiamo partendo per andare a lavorare e faticheremo in mezzo a coloro che sono lavoratori e contadini come noi. Ci hanno detto che i russi torturano e fucilano: è una menzogna. E attraverso simili menzogne ci hanno ingannato e ci hanno condotto come si fa con il bestiame (...)9.
Perché vi scriviamo questa lettera? Perché noi non possiamo permettere che voi nostri compatrioti continuate a combattere contro i russi invincibili (cosa già* nota a tutti) per gli interessi e i vantaggi dei banditi di Hitler che a noi sono completamente estranei10.
Come obiettivo a lungo termine, gli istruttori politici si proponevano di indottrinare i prigionieri così da poter avere elementi influenti sulla vita politica italiana, completamente cambiata dopo la caduta del fascismo e l`armistizio con gli Alleati.
La partecipazione dei prigionieri nel nuovo scenario politico italiano iniziava sin dai campi, ove venivano registrati messaggi radiofonici ( che potevano essere sottoscritti o meno dai prigionieri) inerenti le vicissitudini della patria lontana e trasmessi in Italia tramite Radio Mosca; l`importanza della comunicazione radiofonica fu subita colta dai sovietici, i quali crearono stazioni radio in tutto il territorio europeo.
Talvolta, la sottoscrizione dei messaggi veniva sfruttata dai prigionieri come mezzo per far sapere alla famiglia di essere ancora vivi, più che per convinzioni politiche11, data, come si è visto, l`impossibilità* di scrivere a casa.
Vi furono poi proposte di rientro anticipato in Italia, se disposti ad operare come una quinta colonna; così un reduce ricorda la proposta fattagli da un tenente dell`NKVD:
La nostra proposta è questa: tu sei radiotecnico e radiotelegrafista, ti diamo in dotazione una ricetrasmittente, i codici e contatti con cui dovrai operare; ci invierai notizie sulle forze americane, tedesche e fasciste, sarai protetto e pagato bene. Sbarcherai subito a Bari.12
7Squadra formata quindi da Nicolaj Terescenko e da Edoardo D`Onofrio.
8M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.113
9Volantino firmato F. Severino e P. Marlini, Ivi,p.114
10Ivi
11L. Vaglica, "I prigionieri...", p.80
12L. Venturini, "La fame dei vinti", p.128
3.Il lavoro politico "di massa"
La rieducazione politica nei campi si sviluppò lungo due direttive: la prima era rivolta alla massa dei prigionieri delle diverse nazionalità*; la seconda, non accessibile a tutti, consisteva nella frequentazione delle scuole antifasciste, ove poter approfondire le tematiche proposte dai propagandisti.
Il lavoro politico di massa, oltre che diffondere su larga scala i principi dell`antifascismo, doveva servire all`individuazione dei soggetti maggiormente inclini alla propaganda e quindi meritevoli di frequentare le scuole antifasciste13.
Esso si serviva di diversi strumenti: gli interrogatori, le assemblee di prigionieri suddivisi per nazionalità*, la creazione di gruppi antifascisti all`interno del campo, la creazione di giornali murali,la collaborazione al giornale "L`Alba".14
L`interrogatorio aveva la funzione di accertare le tendenze politiche del prigioniero e toccava gli aspetti più diversi: dai dati anagrafici del prigioniero alle notizie riguardanti la famiglia e il lavoro, dalle domande di carattere militare a quelle sulla fede politica; spesso l`interrogatorio metteva in luce le grandi differenze di vita e di cultura tra Italia e Urss. Questo il ricordo dell`interrogatorio da parte di due reduci:
-Dove abiti?
-A Roma.
-In famiglia?
-Si, con i genitori ed un fratello.
-Chi altri abita con voi?
-Come chi altri?
-Le altre famiglie.
-Ma noi abitiamo soli!
-Avete un appartamento tutto per voi?
-Si,tutto per noi, tre stanze, cucina e bagno.
-Allora tuo padre è un capitalista.
-Macchè capitalista! à? un impiegato delle poste e la casa l`abbiamo in affitto.
-Allora è un gerarca fascista.15
Ci chiedevano come fosse possibile che noi semplici cittadini possedessimo una casa o anche dei terreni. A tutte queste domande, cercavo di rispondere con immensa pazienza dicendo che in Italia ciò era assolutamente normale poiché era pienamente riconosciuto ai singoli individui il diritto di proprietà* e di libero scambio di beni, servizi e così via. Nonostante però la fatica dispiegata, si cozzava contro un muro e non mancavano al riguardo di catalogarci come fascisti e capitalisti.16
Agli interrogatori individuali seguivano le conferenze, le quali, organizzate per nazionalità*, avevano per tema l`andamento della guerra, l`antifascismo e l`esaltazione del sistema sovietico.
Alla conferenza seguiva il dibattito, al quale i prigionieri erano invitati a partecipare, allo scopo di individuare quelli più vicini alle idee antifasciste così come quelli più ostinati e avversi ad esse.
Contro questi ultimi gli istruttori si accanivano in particolar modo, in quanto se fossero riusciti a convincerli, sarebbe stata un`azione di indubbio effetto propagandistico, mentre se i prigionieri fossero rimasti nelle loro posizioni, dovevano essere allontanati, in quanto di ostacolo all`indottrinamento degli altri prigionieri17.
All`interno dei campi i commissari politici e i fuoriusciti organizzarono, tra i prigionieri della stessa nazionalità*, i gruppi antifascisti, costituiti da antifascisti di ogni tendenza politica e, quindi, non necessariamente comunisti.
Questi gruppi erano divisi in un "attivo allargato" e in un "attivo ristretto"; il primo era composto dai prigionieri che partecipavano alle assemblee e alle altre attività* antifasciste mentre l`"attivo ristretto" era composto da elementi scelti, licenziati dalle scuole antifasciste, con il compito di intervenire nei comizi e nelle conferenze, di redigere relazioni sull`andamento della propaganda e di riferire agli istruttori politici il comportamento dei prigionieri18.
Questi gruppi furono naturalmente aiutati dall`evolversi della situazione politica italiana: la caduta del fascismo, l`armistizio e la dichiarazione di guerra alla Germania resero i prigionieri più disponibili a collaborare con i propagandisti.
A titolo d`esempio si prenda l`ordine del giorno proposto dal gruppo antifascista del campo di Oranki il 3 agosto `43, sottoscritto da 217 ufficiali su 270; prima del 25 luglio solo una quarantina di ufficiali si erano pronunciati contro la guerra e a favore della lotta contro il fascismo19.
Ad integrare il lavoro dei propagandisti concorrevano la redazione di giornali murali e la lettura di libri, disponibili in molti campi; così il reduce Carlo Vicentini ricorda la biblioteca del campo di Suzdal:
Il campo fu sommerso da decine di esemplari di libri di Marx, di Lenin, di Stalin, in edizione italiana, rilegati; non mancavano per i più evoluti, stralci dell`opera di Hegel. Facevano parte della collezione, la storia del partito comunista bolscevico, la collettivizzazione, lo stacanovismo, le realizzazioni ottenute dai piani quinquennali. Non era una lettura entusiasmante, ma a quel tempo, era l`unica possibilità* che avevamo, di mettere gli occhi su della carta stampata.20
In alcuni campi i libri erano acquistabili, elencati, con i relativi prezzi, nelle pagine de "L`alba"; ecco quelli presenti nel n°36:
Mario Correnti21, "Discorsi agli italiani", 8 rubli; Massimo Gorki, "La madre", 13 rubli; Carlo Marx, "Scritti scelti", 10 rubli; Alessandro Serafimovic, "Il torrente di ferro", 5 rubli; M.Ercoli, "L`Italia in guerra contro la Germania hitleriana";Eugenio Varga, "Il fallimento della mobilitazione totale in Germania", 40k.22
13M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.119
14L. Vaglica, "I prigionieri...",p.107
15C. Vicentini, "Noi soli vivi", p.222
16V. Di Michele, "Io, prigioniero in Russia",p.120
17L. Vaglica, "I prigionieri...", pp.110-112
18Ivi,p.116
19M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.124
20C. Vicentini, "Noi soli vivi", p.218
21Mario Correnti era lo pseudonimo di Palmiro Togliatti.
22"L`Alba", n.36, 14 dicembre 1943, in L. Vaglica, "I prigionieri...", p.114
4.Le scuole antifasciste
La frequentazione delle scuole antifasciste era prevista solo per i prigionieri più meritevoli, dimostratisi affidabili e attivi nella propaganda; erano comunque presenti dei criteri di scelta per la tipologia di prigionieri a cui prestare più attenzione:
ï?· transfughi e prigionieri di guerra che si sono consegnati spontaneamente;
ï?· ex membri del partito comunista o delle organizzazioni giovanili comuniste, oppure ex funzionari delle organizzazioni rivoluzionarie di massa, affidabili;
ï?· parte di ex partigiani socialdemocratici, di appartenenti ad organizzazioni cattoliche;
ï?· prigionieri di guerra che nei punti di accoglienza e nei campi di smistamento si sono dichiarati attivi oppositori al regime fascista;
ï?· prigionieri di guerra capaci, che prima lavoravano in grosse aziende, che possono fornire notizie preziose di carattere politico (...) sui fatti che possono essere usati nel nostro lavoro di propaganda nei paesi che combattono contro di noi;
ï?· contadini capaci; rappresentanti dell`intelligencija;
ï?· nella stessa direzione va condotto il lavoro tra gli ufficiali, una certa parte dei quali può essere vicina a noi.23
Le scuole antifasciste atte a ricevere i potenziali candidati furono due: quella di Juza e quella di Krasnogorsk; la prima iniziò le proprie attività nell`agosto 1943 mentre la seconda, situata a una decina di chilometri da Mosca, entrò in funzione nell`autunno dello stesso anno.24
La differenza tra le due scuole la indica il maggiore Terescenko, insegnante nella scuola di Krasnogorsk, nelle sue memorie:
Se la scuola di Juza continuava a funzionare come, per così dire, scuola elementare, che forniva ai prigionieri conoscenze semplici ed essenziali sulla storia del paese dei soviet, nonché sulla storia d`Italia e del fascismo; alla scuola di Krasnogorsk furono assegnati compiti più ampi. Essa doveva non solo approfondire lo studio delle nozioni che gli studenti avevano già appreso alla scuola di Juza, ma , a differenza di essa, doveva fondamentalmente insegnare ad essi discipline complesse come l`economia politica marxista, il materialismo dialettico e il materialismo storico.25
In sostanza, la scuola di Krasnogorsk era una scuola di perfezionamento per gli studenti più meritevoli dell`altro istituto.
Le scuole erano suddivise in settori determinati dalla nazionalità dei prigionieri; a Krasnogorsk il settore italiano era diretto da Terescenko, quello di Juza da Scevljagin. Inoltre a Krasnogorsk, assieme ad altri quattro collaboratori, lavoravano Paolo Robotti (alias Robotti Pavel Petrovic) e Matteo Giovanni (alias Ivan Regent).26
Tutti percepivano una retribuzione che variava dai 1200-1400 rubli degli insegnanti ai 500-700 rubli dei collaboratori come segretari e traduttori.27
Gli allievi più meritevoli, una volta licenziati dalle scuole, andavano a far parte dell`"attivo ristretto" dei gruppi antifascisti, affiancando gli istruttori nell`opera di propaganda.
Ma non tutti i frequentatori delle scuole soddisfacevano gli insegnanti:
Tra i primi due contingenti di studenti-volontari erano non pochi quanti dagli orrori della guerra da essi sofferti non potevano o non volevano trarre nessuna lezione di vita. Erano uomini legati senza soluzione di continuità all`immagine abituale del loro capo fascista, il duce Mussolini, e ai suoi slogan: "credere,obbedire,combattere". Tra questa categoria di prigionieri c`erano anche coloro che, pur essendo coscienti dell`avventurismo del regime fascista, restavano non di meno suoi sostenitori, perché in questo regime essi e i loro congiunti avevano prosperato materialmente e avevano raggiunto un`elevata posizione sociale. Indossata la falsa maschera di "antifascisti", i prigionieri di questa categoria filofascista venivano a scuola coscientemente non solo per avere informazioni sulla sua attività e sul comportamento degli autentici antifascisti, ma anche per tentare di disorganizzare il lavoro della scuola, paralizzare la sua influenza culturale sugli studenti28.
Oltre a questi "provocatori", c`era chi frequentava le scuole solo per godere del trattamento migliore riservato ai corsisti; ma anche la frequentazione delle scuole dovette fare i conti con la disorganizzazione del sistema sovietico e con la cronica mancanza di cibo tanto da suscitare le proteste di Walter Ulbricht, leader comunista tedesco coordinatore del lavoro politico tra gli internati suoi connazionali, che evidenziò alla direzione della scuola come:
1. gli uditori ricevono come prima le vecchie norme. Se tali norme non verranno aumentate ciò potrebbe portare a pesanti conseguenze per la loro salute. Qualche giorno fa è morto uno di loro.
2. tutti gli uditori indossano cenci. Nei lager non vi sono indumenti migliori.29
Il numero di prigionieri italiani che frequentarono le scuole antifasciste è incerto; nelle sue memorie Terescenko ha scritto:
Se parliamo del numero complessivo dei soldati e degli ufficiali italiani che hanno seguito i corsi di studio alla scuola di Krasnogorsk, esso può sembrare molto modesto. In tutto, dal dicembre 1943 all`estate 1945, la Scuola licenziò circa 500-550 studenti, dei quali circa 100-120 nei miei gruppi. à? certamente molto poco. Tuttavia, se anche solo la metà di essi è divenuta un testimone sincero della verità sul paese dei Soviet e sulla guerra, un attivo contrappeso rispetto a quanti diffondevano le idee fasciste e la demoralizzazione nei campi di prigionia, allora questo è già un risultato importante.30
Nell`archivio statale militare russo, come riportato nel saggio della Giusti, è invece scritto che furono 395 i prigionieri che frequentarono la scuola di Krasnogorsk e 548 quella di Juza31; nell`archivio dell`ufficio storico dello stato maggiore dell`esercito (AUSSME) è invece presente il risultato di un`inchiesta svolta a rimpatrio avvenuto che, in base alle dichiarazioni degli ufficiali prigionieri, indica in 77 il numero di ufficiali che frequentarono la scuola di Krasnogorsk.32
23Progetto. Ai responsabili dei punti di accoglienza e dei campi di smistamento dei prigionieri di guerra, in M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.127
24Ivi,p.131
25N. Terescenko, "L`uomo che torturò...", p.133
26M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.132
27Ibidem
28N. Terescenko, "L`uomo che torturò...", p.138
29M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.84
30N. Terescenko, "L`uomo che torturò...", p.142
31M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.135
32Ivi,p.303
5. "L`Alba"
Il 10 febbraio 1943 uscì il primo numero de "L`Alba. Per un`Italia libera ed indipendente"; la diffusione dei giornali all`interno dei campi era uno dei mezzi propagandistici messi in atto dall`organizzazione sovietica per diffondere il credo comunista e, oltre al giornale italiano, uscì quello per i prigionieri tedeschi, "Freies Deutschland", e quello per i romeni, "El graiul liber".33
Così, nel primo numero de "L`Alba", viene spiegata la scelta del titolo:
L`alba della nuova Italia già* appare fra i lutti, i tormenti ed il sangue del popolo italiano; si diffonda e si ravvivi la luce di questa alba nei campi dei prigionieri di guerra dell`URSS.34
Allo stesso modo, veniva spiegato il sottotitolo "Per un`Italia libera ed indipendente":
Il popolo italiano cesserà* la guerra, scaccerà* i tedeschi e rifarà* l`Italia nuova, libera ed indipendente, sentendosi così riaccendersi nel suo petto i grandi ideali di Mazzini e Garibaldi.35
Per la cronica mancanza di carta, le dimensioni del giornale erano abbastanza ridotte: il formato era di 26x39 cm, quattro pagine su quattro colonne; dal numero 5 del 4 aprile 1943, il formato si ingrandì (34x51 cm), mantenendo le quattro pagine ma portando a cinque le colonne.36
La tiratura iniziale fu di circa 5000 copie, ma raggiunse anche quota 7000, un numero molto elevato in relazione ai potenziali lettori.37
Dopo i primi quattro numeri sotto la direzione di Rita Montagnana, moglie di Palmiro Togliatti, il giornale fu poi diretto fino all`agosto 1944 da Edoardo D`Onofrio,infine da Luigi Amadesi e Paolo Robotti; del comitato di redazione facevano parte Vincenzo Bianco e Nicolaj Terescenko.38
La struttura delle quattro pagine del giornale era la seguente: la prima pagina era solitamente dedicata alle notizie derivanti dal fronte e all`esaltazione delle vittorie dell`Armata Rossa; la seconda conteneva articoli di elogio della vita e del sistema sovietico; nella terza si incontravano le notizie provenienti dai campi dei prigionieri di guerra, scritte dagli stessi internati e riguardanti la loro vita nei campi; l`ultima pagina conteneva articoli che criticavano il fascismo e notizie riguardanti l`Italia.39
Inizialmente, il giornale conteneva solo gli articoli scritti dai commissari sovietici e dagli esuli italiani,e riscosse ben poco interesse da parte dei prigionieri; per questo motivo venne stimolata la collaborazione da parte di questi ultimi, così da rendere "L`Alba" il giornale "dei prigionieri" e non "per i prigionieri".
Ciò avvenne dal numero 7 dell`8 maggio `43, dove, in terza pagina, assieme all`articolo collaboriamo volentieri erano elencati i nominativi di coloro disposti a collaborare col giornale40; nel corso del `43 le firme dei prigionieri su "L`Alba" furono 595, nel 1944 2039 e nel `45, causa l`inizio del rimpatrio, 592.41
Di tutti firmatari, solo una parte però erano produttori di articoli; i più si limitavano a mettere il proprio nominativo negli elenchi di sottoscrittori gli appelli.
La collaborazione richiesta ai prigionieri riguardava l`invio di articoli inerenti i soliti temi, quali l`antifascismo e l`esaltazione del sistema sovietico, ma anche la descrizione della vita nei campi, così raccontata da alcuni prigionieri:
Molti soldati in Italia non stanno così bene come noi,in questo bellissimo bosco di pini con un trattamento davvero eccezionale per un prigioniero. (...) In quale caserma italiana, anche in periodo normale, viene distribuita una razione di burro, lardo e zucchero giornaliera, tre abbondanti ranci ed altri viveri di conforto?42
La voce della baracca che canta,ci mostra lo stato d`animo dei camerati che, passato il momento d`incertezza dei primi mesi di prigionia, gustano ora le comodità* create per noi dal governo del popolo russo. (...) Rispondiamo alle amorevoli cure delle autorità* astenendoci dal sollevare lamentele assurde (...) La figura immobile della sentinella pare essere là*, non per controllare i nostri movimenti, ma per proteggere e difendere dall`alto della garitta, il nostro sonno.43
Simili falsità* non potevano che urtare la sensibilità* dei prigionieri, le cui sofferenze quotidiane troppo stridevano con gli idilliaci racconti che apparivano su "L`Alba", aumentando la loro diffidenza nei confronti del giornale:
Non abbiamo la minima idea di quanto stia succedendo in Italia. Non crediamo a quanto racconta il giornale e non sappiamo cosa pensare.44
Noi non vedevamo l`ora di avere il giornale, per dividerlo in dieci parti uguali, ricavandone cartine per sigarette, o per commerciare con i fumatori in cambio di cibo, per noi l`ascolto o la lettura di certe notizie anche importanti non avevano penetrazione, la parte scritta sfuggiva alla memoria, perché pensavamo solo alle cose da mettere sotto i denti.45
"L`Alba" concluse le sue pubblicazioni il 15 maggio 1946, dopo 144 numeri.46
33A. Petacco, "L`armata scomparsa",p.104
34"L`Alba", n.1, 10 febbraio 1943
35Ibidem
36L. Vaglica, "I prigionieri...", p.176
37N. Terescenko, "L`uomo che torturò...", pp.100-101
38L. Vaglica, "I prigionieri...", p.178
39Ivi, pp.179-180
40"L`Alba",n.7, 8 maggio 1943
41L. Vaglica, "I prigionieri...", p.195
42"L`Alba",n.16,27 luglio 1943, artigliere Angelo Colombo
43Ibidem,n.19, 17 agosto 1943, sergente maggiore Caovilla
44testimonianza del soldato semplice Giuseppe Dutto, in N. Revelli, "La strada del Davai", p.107
45Settimo Malisardi, "Presente alle bandiere", Bologna, APE, 1976, p.171
46L. Vaglica, "I prigionieri...", p.177
6.I risultati del lavoro politico
La martellante propaganda messa in atto riscosse ben pochi risultati tra i prigionieri italiani; le difficoltà* quotidiane e l`estraneità* dalla vita politica fecero sì che la massa dei prigionieri rimanesse indifferente all`opera dei propagandisti.
Uno di questi, Goldmacher, dichiarò che "i prigionieri erano politicamente assolutamente vergini. Nessun`idea di cosa fosse l`Italia prima del fascismo"47; il terreno su cui gli istruttori politici dovettero lavorare e i risultati che colsero sono ben descritti dalle parole di questo reduce:
L`indifferenza dei prigionieri era tale da rifiutare i loro continui assalti verso un interessamento alla vita politica. Sulle predette posizioni di netto rifiuto, alla base c`era una sovrapposizione di diverse motivazioni. La prima di queste era certamente dettata dalla nostra situazione di prigionieri già* provati da malattie e sofferenze, cui si aggiungevano la pena e il pensiero per le nostre famiglie lontane. La seconda ragione per la quale mostravamo indifferenza alla politica era dovuta alla globalità* della condizione sociale e culturale dei prigionieri. Si riscontrava in noi soldati, la maggior parte dei quali peraltro di estrazione contadina, una scarsa istruzione nonché, in alcuni casi, un totale analfabetismo48.
Alcuni successi vennero comunque colti dagli istruttori politici, come scritto in una lettera di Robotti a Scevljagin (direttore del settore italiano della scuola di Juza):
In tutte le località* dove sono stato girando l`Italia ho trovato dei nostri ex allievi. Tutti sono al loro posto in prima fila. Molti sono in comitati direttivi di grandi cellule, di sezioni e anche di federazioni (come G.). S. ha diretto lo sciopero nazionale degli assicuratori ed è uno dei dirigenti dell`organizzazione nazionale di tale categoria. D., vostro allievo, è segretario di una sezione che ha 1200 iscritti. Prima di venire in Russia era sagrestano nel suo paese! Solo M. e P. hanno defezionato: non fanno nulla. Insomma il lavoro fatto è stato veramente utile e lo sarà* maggiormente in avvenire49.
Alle adesioni sincere alle causa comunista, si affiancò l`opportunismo di alcuni prigionieri, che, convinti dal miglior trattamento riservato ai collaboratori antifascisti, si misero agli ordini dei sovietici:
Questi antifascisti per opportunismo, erano i più pericolosi perché non avevano scrupoli ed erano pronti a prostituirsi in qualsiasi modo. Facevano la spia, i delatori, erano disposti a dichiarare per iscritto tutto quello che volevano i russi: che i pidocchi e il tifo petecchiale l`avevamo portato noi dall`Italia, che gli italiani avevano incendiato non so quale villaggio dell`Ucraina, che i nostri soldati al fronte mangiavano peggio di noi in prigionia. Queste dichiarazioni avevano l`onore di essere pubblicate su "L`Alba"(...)50
Questo clima di tensione era alimentato dai sovietici, che vedevano nelle fratture all`interno delle varie comunità* nazionali recluse nei campi un mezzo per evitare rivolte, impraticabili dal momento che mancava la coesione tra i prigionieri; allo stesso scopo venivano alimentati gli scontri tra le varie comunità* nazionali.
Così viene descritta la rappresentazione degli schieramenti all`interno del campo di Suzdal:
Ci sono i monarchici, in grande numero, poiché in grande numero sono tra noi gli ufficiali effettivi, di cui molti con grado da maggiore in su (...). Ci sono i repubblicani i quali non obliano il giuramento, ma spiegano come la sua forma sia superata (...). Ci sono i fascisti, che fanno una questione d`onore, di fedeltà* agli impegni presi. Padroni di casa fino a ieri, tengono celata in fondo al cuore l`ansia di rivincita, la riserva di vendetta per quando si tornerà* in Italia.
E ci sono i comunisti. Giunti ad un unico traguardo da vie tanto diverse: chi affascinato dalle novità* e stupito, per quanto la realtà* che vede in Russia non sia edificante, che essa sia tanto migliore di quel che ci aveva detto la stupida propaganda e, comunque , sia storicamente spiegabile e logica; chi incuriosito scientificamente dalle nuove teorie che
legge sui libri di Marx, Engels, Lenin, Stalin; chi mosso dalla speranza di un trattamento migliore da parte di questi terribili padroni; chi, infine spaventato da colpe politiche che i carcerieri potrebbero addebitargli e fargli pagare care, si copre con l`unico miracolo scudo che possa preservarlo dai colpi. E ci sono naturalmente gli indifferenti, gli agnostici.
Ma, come sempre avviene soprattutto tra passionali latini, a sentire gli uni e gli altri, non vi sono che due categorie: per gli antifascisti sono fascisti non solo coloro che rimpiangono il fascismo, ma chiunque voglia opporsi alla caduta della monarchia. Per gli altri sono comunisti tutti coloro che vogliono che in Italia qualcosa muti.51
47M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.127
48V. Di Michele, "Io, prigioniero in Russia",p.117
49lettera in italiano di Robotti a Scevljagin, 7 maggio 1947, in M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.154
50C. Vicentini, "Noi soli vivi", p.21651Gino Beraudi, "Vajna kaputt, Guerra e prigionia in Russia",p.121
Il capitolo sulla rieducazione politica rende bene l'idea sul perchè questo pezzo di storia sia finito nel dimenticatoio...Gli stessi fastidi politici questa storia li ha suscitati alla commissione d'esame [3 , suscitando sia disapprovazione che consenso.
Ciò che più mi ha colpito è stata comunque la totale ignoranza in materia da parte dei docenti...diversi dei quali insegnanti di storia contemporanea.
Un ringraziamento va però fatto al mio relatore, Prof. Michele Millozzi,che ha non posto barriere al mio lavoro.
Appeno potrò posterò l'ultimo capitolo.
Ho letto il resto dell'integrazione del tuo lavoro.
Grazie.
Molto interessante
Quoto.. Molto lungo devo ancora finire di leggerlo..Citazione:
Originariamente Scritto da cocis49
Ho ricevuto con piacere i tuoi file lorenzo85, appena ho tempo mi leggo tutto [264
Capitolo quarto
Il rimpatrio
1.Le trattative per il rimpatrio
Per tutta la durata del conflitto e fino al momento dell`annuncio del rimpatrio, il governo italiano rimase completamente all`oscuro sul numero dei prigionieri in Russia.
L`Unione Sovietica non figurava tra i firmatari della Convenzione di Ginevra, ma si impegnava a rispettarne le condizioni ( e quindi anche a comunicare al nemico informazioni inerenti i soldati avversari catturati) a patto che lo facessero anche i suoi avversari; il 21 agosto `41 il governo tedesco annunciò che, di fronte alle atrocità* perpetrate dai russi sui prigionieri tedeschi, non si sarebbe più sentito vincolato dalle disposizioni di Ginevra1.
L`Italia accettò di trattare i prigionieri sovietici secondo la Convenzione di Ginevra, anche se in realtà* fino alla costituzione dell`ARMIR non ebbe alcuna influenza sul loro trattamento, in quanto i prigionieri finiti nelle mani del CSIR venivano consegnati alle autorità* tedesche.
Con la costituzione dell`ARMIR, circa 5000 soldati russi catturati finirono a lavorare nei magazzini delle retrovie, ma già* dal 12 marzo `42 l`Italia aveva deciso di non comunicare più ai sovietici le liste dei prigionieri caduti nelle sue mani, come riferito alla Croce Rossa Internazionale:
(...) Questo Ufficio, conosciuta la dichiarazione del governo sovietico che, su vostro invito, si è dichiarato disposto, pur non avendo firmato la Convenzione di Ginevra del 27 luglio `29, a scambiare, sulla base di reciprocità*, gli elenchi dei militari catturati, illesi e feriti e dei caduti in territorio sovietico, vi ha trasmesso tutte le notizie che gli sono pervenute riguardo alla cattura, al decesso, ai trasferimenti di militari sovietici.(...) Tutti i nominativi sono stati trasmessi anche coi caratteri cirillici. Nonostante la cura e la prontezza con cui queste trasmissioni sono avvenute da parte nostra, abbiamo dovuto dolorosamente constatare che è mancata qualunque reciprocità* da parte del Governo sovietico, non essendo giunta a questo Ufficio nemmeno una segnalazione di prigioniero italiano in mano sovietica o di caduto italiano su territorio dell`URSS (...) In queste circostanze, questo Ufficio è costretto a sospendere in futuro la comunicazione delle notizie che gli possono giungere riguardo a militari sovietici catturati, trasferiti o deceduti.2
Italia ed Urss quindi, al momento della disfatta dell`ARMIR non erano vincolate da nessun accordo riguardo i prigionieri, al fondo delle loro inesistenti relazioni c`erano la differenza di mentalità* e l`indifferenza dell`Unione Sovietica nei confronti dei prigionieri di guerra, compresi i propri; differenze ben espresse dall`ambasciatore italiano a Mosca, Quaroni:
Questa gente è abituata a tutt`altra concezione dei rapporti umani. Qui non si sono mai preoccupati dei loro prigionieri, non hanno mai chiesto liste, non hanno mai cercato di assicurare loro corrispondenza, pacchi, etc.(...) Nell`esercito sovietico, salvo che per i generali, non si comunica alla famiglia che il proprio congiunto è morto, la gente si sbrighi da sé. Il combattente che cessa di scrivere, probabilmente è morto, se non è morto, riprenderà* a scrivere. Oppure lo rivedrete a guerra finita.(...) Con questa mentalità* come vuoi che capiscano le nostre aspirazioni mentali ad avere e dare notizie, a sapere in quali circostanze il tale è morto, ad avere atti di morte o altro? Anche se volessero darsi la pena, la confusione è tale che domanderebbe un immenso lavoro: e qui tutto quello che non serve allo sforzo bellico immediato, deve essere senz`altro eliminato.3
Pietro Quaroni, dopo il riconoscimento del governo Badoglio da parte dell`URSS avvenuto il 14 marzo 1944, venne inviato a Mosca in qualità* di ambasciatore e subito si attivò con le autorità* russe per chiedere notizie riguardanti i prigionieri italiani; analoghi tentativi vennero fatti dai governi Bonomi del 1944-45 e da autorità* dell`esercito, quali i generali Messe e Gazzera.4
Per tutta risposta, le autorità* sovietiche risposero che la questione delle liste riguardanti i prigionieri e il loro rimpatrio erano collegate a due fattori: la mancata consegna, da parte del governo italiano, delle liste dei prigionieri russi che si trovavano in Italia e le presunte atrocità* commesse da reparti italiani durante la guerra.5
Il governo italiano si adoperò per soddisfare le richieste russe e appurò la presenza in Italia di 29 cittadini sovietici, così come comunicò alle autorità* sovietiche il corretto comportamento delle truppe italiane in territorio sovietico6;ma non bastò e fino alla fine della guerra, il rifiuto sovietico di consegnare i nominativi dei prigionieri si reiterò, respingendo seccamente ogni richiesta italiana.
Incurante delle richieste che venivano fatte dalle autorità* italiane, la leadership sovietica si adoperava autonomamente per rimpatriare centinaia di migliaia di prigionieri (specialmente gli ammalati e gli inabili al lavoro) che costituivano un ingombrante presenza nel territorio sovietico.
Un primo gruppo di prigionieri, circa 225.000, fu rimpatriato in base al decreto dell`NKVD del 15 giugno `45, che stabiliva il ritorno in patria dei malati cronici e degli inabili al lavoro7; del gruppo faceva parte anche un centinaio di italiani.
In agosto venne poi decisa la liberazione di altre centinaia di migliaia di prigionieri, tra cui quella di tutti gli italiani e la comunicazione venne data, il 25 agosto `45, dal viceministro degli Esteri sovietico Lozovskij al segretario della Ggil Di Vittorio, in visita in Urss.8
1M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.47
2Comunicazione del Ministero degli Esteri alla Comitato internazionale della Croce Rossa, in L. Vaglica, "I prigionieri...", pp.255-256
3Rapporto dell`ambasciatore Pietro Quaroni al ministero degli Esteri, in M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.160
4Ivi, p.158
5Giovanni Messe "Inchiesta sui dispersi in Russia", all. a "Russia.1941-43",Milano, Rizzoli, 1964, p.34
6Giusti M.T., "I prigionieri...", p.159
7Ivi,p.162
8L. Vaglica, "I prigionieri...", p.266
2.Il rimpatrio
L`inaspettato annuncio del viceministro sovietico era tipico dell`atteggiamento sovietico, sempre contrario all`invio di liste nominative dei prigionieri, del cui rimpatrio si disponeva senza preavviso. Tale atteggiamento è stato così descritto da Quaroni:
non era stato per nulla differente nei riguardi dei prigionieri degli altri Stati ex nemici come pure degli internati o prigionieri alleati liberati dall`esercito rosso. Francesi, olandesi, belgi, e persino i britannici non ebbero mai la possibilità* di visitare i campi ove si potevano trovare i loro connazionali "liberati", di averne elenchi, ecc. Qualche volta, come gli olandesi, se li videro consegnare da un giorno all`altro, senza il minimo preavviso, dopo mesi e mesi che le loro autorità* diplomatiche stavano insistendo per averne almeno qualche notizia.9
L`11 settembre `45 l`ambasciata sovietica a Roma comunicava che venivano disposti la liberazione e il rimpatrio di 19.648 prigionieri di guerra italiani; un esiguo numero di presunti criminali di guerra veniva invece trattenuto in territorio sovietico10.
Il rimpatrio iniziò nel settembre `45 e alla data del 25 maggio `46 il viceministro degli interni Kruglov così esponeva la situazione dei prigionieri italiani in Urss:
In totale i prigionieri italiani nei campi del ministero degli Interni al 1° agosto 1945 erano 19.810. Inoltre dopo il 1° agosto 1945 da quella che era la rete del fronte e dai battaglioni di lavoro sono affluiti altri 1.400 prigionieri italiani.
In base al decreto del Gko, nel 1945 e all`inizio del 1946, su 21.210 italiani, sono stati consegnati agli organi addetti al rimpatrio per il loro rientro in Italia 20.145 uomini; 160 sono deceduti. Nei campi sono rimasti soltanto gli ufficiali e gli arruolati nelle SS italiane (...) Al 15 maggio 1946, nei campi del ministero degli Interni si trovano 905 italiani (...) dei 905 italiani presenti nei lager, 740 uomini, fra cui 600 ufficiali, sono pronti per essere consegnati agli organi addetti al rimpatrio, e si trovano in un campo speciale a Odessa. Gli altri italiani, per un totale di 165 uomini, tra cui i 3 generali, 34 ufficiali, 113 arruolati nelle SS, 15 ammalati, si trovano in diversi campi e, con l`esclusione degli ammalati, possono essere trasferiti nei punti di consegna agli organi addetti al rimpatrio a Odessa, nel corso del mese di giugno p.v.11
L`8 luglio `46 radio Mosca informò la Croce Rossa che tutti i prigionieri, nel numero di 21.065, erano stati rimpatriati; per l`Unione Sovietica la questione era chiusa, per l`opinione pubblica e per le famiglie dei dispersi non poteva esserlo: troppo grande era il divario tra il numero dei dispersi e quello dei rimpatriati. Scrisse Quaroni in una nota:
L`opinione pubblica italiana, anziché accogliere con entusiasmo questo "atto di benevolenza", come si attendevano i dirigenti sovietici, rimase profondamente turbata per lo scarso numero dei prigionieri denunciato da Mosca in confronto degli 80-100 mila uomini che il nostro Comando aveva dato a suo tempo come dispersi nella campagna di Russia. In vari ambienti italiani sorse l`angoscioso dubbio che, oltre al numero denunciato ufficialmente, vi fossero nell`Urss migliaia e migliaia di prigionieri che il governo sovietico non intendeva restituire.12
Al rientro in Italia,dagli interrogatori dei reduci si poté appurare che dei 21.065 rimpatriati, solo 10.032 avevano fatto parte dell`ARMIR; gli altri 11.033 appartenevano al numero imprecisato – e fino ad oggi ignoto – degli ex internati dei tedeschi trasferiti nei campi sovietici.13
Sollecitato dall`opinione pubblica, il governo continuò a chiedere chiarimenti fino al dispaccio del ministero degli Affari esteri sovietico che in una nota del 27 novembre `46 annunciava la conclusione del processo di rimpatrio:
Con riferimento alle note dell`ambasciata d`Italia nn.256 del 24 giugno, 286 dell`11 luglio e 364 del 3 settembre c.a., il ministero degli Affari esteri dell`Urss ha l`onore di attirare l`onore dell`ambasciata sul fatto che il governo sovietico, venendo incontro al desiderio del Governo italiano e per manifestare la sua buona volontà*, ha proceduto, di propria iniziativa, al rimpatrio dei prigionieri di guerra italiani nell`Urss che è stato ultimato nell`agosto u.s.
Secondo dati precisi, sono stati rimpatriati complessivamente dall`Urss 21.065 ex prigionieri di guerra italiani, per singoli gruppi, attraverso la Germania, l`Austria e la Romania14.
Il rientro dei prigionieri avvenne per via ferroviaria e, anche in questo caso,essi dovettero fare i conti con la disorganizzazione sovietica.
E il viaggio si palesa subito molto scomodo. Il treno è assai lento e non c`è cucina. Ci danno ogni giorno qualche fetta di pane secco, patate e piselli crudi. (...) Non mangiavo da giorni alcunché di caldo e sentivo le mie forze diminuire. Il viaggio cominciava a rassomigliare a quello, spaventoso, dei primi tempi della prigionia. Del resto i morti c`erano. Ogni mattina ne scaricavamo qualcuno15.
Viaggiamo per giorni al freddo, assaltando durante le soste negli scali treni carichi di patate e barbabietole (...) così rispunta la fame, la tremenda fame che non ha pazienza e, mentre noi ingoiamo tuberi mezzi crudi e acqua di dubbia potabilità*, improvvisa scoppia la dissenteria che trasforma i vagoni nei letamai del `43. Con la sporcizia rispuntano i pidocchi, gli ammalati si aggravano per la denutrizione e il freddo. Scarichiamo i cadaveri lungo gli interminabili binari16.
Completato il rientro della truppa, iniziò quello degli ufficiali, per la gran parte provenienti dal campo di Suzdal, fatta eccezione per gli ufficiali medici, distaccati in altri campi per svolgere assistenza sanitaria, e per coloro che erano stati utilizzati come propagandisti.
Trasferiti ad Odessa nell`aprile ‘46, lì rimasero fino ai primi di giugno, per poi essere trasferiti a Maramorsz Sighet, in Romania, dove gli ufficiali sostarono una settimana17; il 23 giugno, quando giunse l`ordine di partenza per l`Austria, all`appello nominativo dei rimpatriandi per l`inquadramento in gruppi nei vagoni, mancava il nome di 50 ufficiali, trattenuti dalle autorità* sovietiche.18
Su questo episodio il generale Zauli, responsabile del Comando militare di Udine, così si espresse:
Si ignorano le ragioni del provvedimento. Secondo alcuni reduci devono essere ricercate nella delazione dei prigionieri stessi i quali avrebbero accusato ai russi i loro camerati fascisti. Questa circostanza non ha potuto essere accertata. Sta di fatto che appena il convoglio è uscito dalla zona controllata dalla Russia alcuni reduci sono stati assaliti e percossi dai loro compagni i quali hanno inteso in tal modo punirli per il contegno ostile ai nostri e servilmente ligio ai russi da essi tenuto durante la prigionia.19
Contro i collaboratori dei sovietici, si sfogò la rabbia di coloro che per lungo tempo ebbero a subire angherie e punizioni per colpa delle loro delazioni.
Un`ansia compressa, trattenuta a lungo durante tutto il viaggio stava per esplodere: ribolliva in noi come l`acqua dei torrenti ingrossati dalla pioggia. Improvvise esplosero, deliberate e violente, le reazioni alla forzatamente contenuta sopportazione dei delatori, concretandosi in atti brutali, tremendamente umani. Un padre cappellano, ai primi sintomi della tempesta che stava per scatenarsi su di noi, rivolse a tutti noi parole di fratellanza e di perdono, ma poi si deve essere convinto che nei delatori c`era il demonio, perché pure lui entrò nella mischia.
Una reazione sintetizza tutte le altre. Due corpi avvinghiati rotolano giù per la scarpata della ferrovia dove il treno era in sosta (...) Il bastone si agitò più volte. Sembrava non dovesse fermarsi, gli occhi di tutti seguivano quel movimento forte e rabbioso. Ad ogni colpo qualcuno scandiva il nome, il nome di un amico che non era tornato: Tenente Joli, Capitano Magnani, Tenente medico Reginato, Tenente Don Brevi (...)20
Anche durante il rimpatrio della truppa si verificarono aggressioni ai danni dei membri dei gruppi antifascisti21; il rimpatrio degli ufficiali si concluse il 7 luglio, dopo quasi tre mesi di viaggio, con l`arrivo a Tarvisio. Tre giorni dopo rientravano anche i 50 ufficiali precedentemente trattenuti.
9Comunicato dell`ambasciata italiana a Mosca del 4.12.1946, in M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.166
10Dispaccio del ministero degli Esteri, 11.9.1945, Ivi, p.167
11Nota di Kruglov a Molotov sul numero dei prigionieri italiani presenti nei lager del ministero degli Interni dell`Urss e dei rimpatriati, Ivi, p.261
12Comunicato dell`ambasciata italiana a Mosca, Aussme, DS 2271/C, p.2, in Ivi, p.176
13Ivi,p.170
14Ministero degli affari esteri dell`Urss all`ambasciata d`Italia a Mosca, Aussme, DS 2271/C, in L. Vaglica, "I prigionieri...", p. 283
15G. Beraudi, "Vaina kaputt", p.178
16L. Venturini , "La fame dei vinti",p.141
17L. Vaglica, "I prigionieri...", p.276
18Ibidem
19Aussme Ds 2271/C,in M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.174
20Testimonianza di Manlio Francesconi, in L. Vaglica, "I prigionieri...", p.281
21L. Venturini, "La fame dei vinti",p.141
3.Lo scontro politico sulla questione degli ex prigionieri
Il dibattito politico accesosi già* prima del rimpatrio dei prigionieri, si acuì con l`arrivo di questi.
Il PCI, temendo che i racconti dei reduci potessero danneggiarlo, continuò il suo lavoro politico nei confronti degli ex prigionieri anche in Italia:
(...) In Italia la popolazione è divisa in correnti politiche. A Milano, gli attivisti comunisti ci portano in un locale poco distante dalla stazione e ordinano una cenetta discreta. Poi cominciano la propaganda. "Dite che siete stati bene!" – ci dicono – e allora comincia il caos. "Proprio a noi venite a dire queste cose?"22
Sono passati circa quindici giorni dal mio arrivo, quando un mattino irrompono in casa due giovani partigiani armati di mitra. (...) I due mi intimano di non raccontare storie inventate sulla Russia, concludendo con queste testuali parole: "Taci, altrimenti se non ti hanno eliminato i russi, lo facciamo noi con questi!"23
I racconti dei reduci vennero presi per alimentare il dibattito politico, e alla stampa anticomunista che evidenziava le cattive condizioni dei reduci, Togliatti rispose così:
I circoli reazionari cattolici cominciavano a lavorare sui prigionieri di guerra dal Brennero. Molti arrivavano in uniformi stracciate, perché per la strada vendono le uniformi ricevute in Urss. Molti hanno conservato orientamenti fascisti.24
Di tenore simile l`intervento dell`ambasciatore sovietico a Roma, Kostylev:
Si sono registrati casi di vagabondi, mendicanti e mezzi handicappati che si presentano dietro pagamento ai Distretti militari dichiarando di essere reduci tornati dall`Unione Sovietica.25
Oltre a negare la realtà* che i reduci andavano raccontando, il PCI, tramite le pagine de "L`Unità*", espose la sua visione dei lager nella rubrica I superstiti raccontano, ove trovarono voce gli ex istruttori politici e gli ex collaboratori de "L`Alba"26; inoltre, secondo l`UNIRR, il ritardo con cui avvenne il rimpatrio degli ufficiali fu causato dalla volontà* del PCI di non farli intervenire nel referendum istituzionale del 2 giugno27.
D`altronde, dopo i continui interrogatori a cui i prigionieri furono sottoposti nei lager, i fuoriusciti
ben conoscevano le opinioni politiche degli ufficiali, i quali, poco prima del rientro in Italia, redassero un documento che fu firmato da 525 ex prigionieri su 552 e che recitava:
Al Popolo Italiano
Noi Ufficiali, Sottufficiali, Soldati scampati dalla spaventosa prigionia di Russia, liberi finalmente da ogni morale e materiale coercizione, nel varcare i sacri confini della Patria:
Ricordiamo alla nazione le molte decine di migliaia di nostri compagni morti nella prigionia in Russia per fame, freddo, epidemie.
Facciamo appello al Governo italiano perché richieda ed ottenga il sollecito rientro dei nostri connazionali arbitrariamente trattenuti in prigionia con la complicità* di alcuni elementi che additiamo al disprezzo del Paese come indegni del nome di Italiani.
Salutiamo la repubblica e il Governo italiano coi quali ci dichiariamo solidali nell`opera di ricostruzione e di rinnovamento morale e materiale dell`Italia.
Salutiamo le nostre famiglie con le quali, per lungo tempo, ci fu negato il sacro diritto di corrispondere.
Testimoni consci di quello che vedemmo e soffrimmo, qualunque possa essere la nostra tendenza politica, ripetiamo ad ogni italiano:
il bolscevismo, spoglio della sua retorica demagogica, significa regime di polizia e terrore, significa dittatura peggiore di quella per l`abbattimento della quale gli Italiani uniti hanno combattuto; esso è sinonimo di asservimento nazionale all`esterno ed all`interno, di tirannia di un partito sulla nazione, sulla famiglia, sull`individuo.
Viva l`Italia democratica, libera e indipendente.28
La diffusione di tale messaggio venne concessa solo nel 1948; prima poteva essere motivo di frizione con l`Urss.
Con le importanti elezioni del `48 il messaggio venne sfoderato in funzione anticomunista, assieme a dei manifesti elettorali della Dc che chiamavano in causa la prigionia dei soldati in Russia; uno di questi, dove si intravedevano scheletriche ombre dietro il filo spinato, recitava: "Mandati in Russia dai fascisti, trattenuti dai comunisti".
22Testimonianza di Guido Castellino, in N. Revelli, "La strada del Davai", p.392
23L. Venturini, "La fame dei vinti",p.150
24Elena Aga Rossi – Zaslavsky Victor, "Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca", Bologna, 1997, p.170
25Ibidem
26L. Vaglica, "I prigionieri...", p.299
27UNIRR, "Rapporto...", p.162
28"Russia", num. Unico a cura dell`UNIRR, p.2
4.I prigionieri italiani trattenuti in Urss
Nonostante le autorità* russe avessero dichiarato concluse le operazioni di rimpatrio dei prigionieri italiani, le richieste da parte dell`ambasciata italiana a Mosca, sollecitate anche dai racconti dei reduci che assicuravano la presenza di italiani nei lager sovietici, continuarono nonostante spesso non ricevessero risposte.
A ciò si aggiunsero le frequenti dimostrazioni dinanzi l`ambasciata sovietica a Roma e gli articoli di certa stampa che, in funzione anticomunista, sollevava dubbi sull`effettivo rimpatrio di tutti i prigionieri.
L`Unione Sovietica decise di reagire alle insistenze italiane organizzando, il 4 agosto `47, un incontro tra il generale Golubev, vicedelegato del consiglio dei ministri dell`Urss per gli affari del rimpatrio, e una delegazione dell`Unione Donne Italiane, formata da esponenti del PCI29; dal colloquio emerse che "tutti i cittadini italiani e tutti gli ex prigionieri di guerra sono stati rimpatriati al cento per cento" salvo "28 prigionieri di guerra italiani indagati come responsabili di atrocità* commesse nel territorio sovietico a danno di cittadini dell`Urss"30.
Veniva inoltre evidenziato come "tutti coloro che abbiamo fatto prigionieri, li abbiamo restituiti all`Italia"31 e si notificava il rilascio di alcuni ufficiali, tra cui il capitano Ivo Emett, il centurione Dell`Aglio e il sottotenente Barbettani.
Dei ventotto prigionieri dichiarati, uno, il tenente Italo Stagno, morì (settembre `47); tra gli altri ventisette reclusi figuravano anche i generali Pascolini, Battisti e Ricagno, rispettivamente ex comandanti le divisioni "Vicenza", "Cuneense" e "Julia".
Tutti i prigionieri erano accusati di sabotaggio e crimini di guerra; in realtà* la loro prolungata reclusione era dovuta alla loro refrattarietà* alla propaganda e al loro tentativo di allontanare da questa quanta più gente possibile.
Nessuno ci aveva addossato particolari imputazioni, se non di aver contestato le menzogne dei fuoriusciti italiani che, come autentici sciacalli, venivano a propagandare il sistema sovietico, senza tuttavia spiegarci in nome di chi o di che cosa avessero fatto morire di fame oltre il 90 per cento dei prigionieri.32
Per altri la prolungata punizione fu il risultato di aperte provocazioni, come nel caso di don Brevi e del capitano Franco Magnani, i quali
Con qualche altro prigioniero trovarono in un libro della biblioteca una foto a tutta pagina di Mussolini. Magnani aveva un forte ascendente su di un gruppo consistente di ufficiali; lo stimavano per il suo comportamento dimostrato sul fronte della Kalitva. (...) Strappata la foto dal libro, lui ed il suo seguito ebbero subito la stramba idea di portarla per le vie del campo a mo` di immagine religiosa, dopo aver radunato altri simpatizzanti. Come se si trattasse di una processione, cantarono, sfilando, addirittura l`inno fascista. Ne nacque un casus belli. Il comando russo prese immediatamente drastici provvedimenti contro i capoccia, spedendoli in un lager dell`Asia centrale, dove rimasero fino al rimpatrio che avvenne 7 anni dopo il nostro.33
Alla data del 12 gennaio `49 soltanto quattro prigionieri (Pennisi, Musitelli, Jovino e Scagliotti) risultavano condannati, tutti a 25 anni di reclusione34; di questi soltanto la camicia nera Scagliotti si era riconosciuto colpevole, reo di aver rubato un torello ad un contadino35.
Nel 1950, a seguito degli accordi tra il nuovo ambasciatore italiano a Mosca, Manlio Brosio, e il viceministro degli esteri russo Zorin, le autorità* sovietiche disposero il rilascio di sedici prigionieri di guerra italiani, tra i quali i tre generali36.
Rimanevano dunque in Unione Sovietica undici italiani, di cui sette (don Brevi, Reginato, Magnani, Russo, Massa, Zigiotti e Joli) non ancora condannati; per essi si stavano preparando dei processi farsa, come ha ricordato uno degli imputati, il maggiore Massa:
I processi in Russia si svolgono al contrario che da noi. Prima si stabilisce la condanna, poi si definiscono i reati, poi si cercano i testimoni e finalmente si chiamano gli imputati.37
I processi si conclusero con condanne che variavano dai dieci ai venticinque anni di reclusione; don Giovanni Brevi venne condannato a dieci anni per aver promosso uno sciopero della fame38.
Il tenente medico Enrico Reginato presentò un ricorso che così recitava:
Io sono stato circa un mese in territorio sovietico durante la guerra, e otto anni in prigionia. Durante quel mese non ho commesso nessun reato e durante gli otto anni di prigionia ho quasi sempre lavorato in collaborazione con i medici sovietici dedicando tutte le mie energie e competenze nel curare i prigionieri di guerra e renderli idonei al lavoro e alla ricostruzione. (...) Mi attendo pertanto dal supremo collegio la decisione per la mia libertà* e il rimpatrio che da otto anni ansiosamente attendo (...)39
Reginato venne invece condannato a vent`anni di reclusione, riconosciuto colpevole di stupro, di aver assistito alla fucilazione di cittadini sovietici, di aver costretto alla prostituzione alcune donne e di aver procurato "mortalità* di massa" in un orfanotrofio40.
Le motivazioni delle condanne sono simili per tutti e rendono bene l`idea della falsità* dei processi, frutto di false testimonianze e delle delazioni dei commissari politici.
Per gli undici reclusi nelle carceri sovietiche l`anno di svolta fu il 1953, che vide, con la morte di Stalin, un cambiamento della politica estera sovietica, la decisione di rivedere le condanne nei confronti dei prigionieri di guerra e, quindi, la scarcerazione degli undici italiani41; tra il gennaio e il febbraio `54, dopo dodici anni di prigionia, gli undici furono rimpatriati.
29Francesco Bigazzi - Eugenij Zhirnov, "Gli ultimi 28", Milano, Mondatori, 2002, p.93
30Ivi,p.94
31Ivi,p.96
32I. Emett, "Nicevò...", p.134
33Testimonianza di don Bertoldi, in M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.184
34F. Bigazzi – E. Zhirnov, "Gli ultimi 28",p.124
35Ivi, p.145
36Ivi,p.139
37Testimonianza di Alberto Massa Gallucci, in L. Vaglica, "I prigionieri...", p.291
38Ivi, p.294
39F. Bigazzi – E. Zhirnov, "Gli ultimi 28",p.165
40Ivi,p.143
41M.T. Giusti, "I prigionieri...", pp.186-187
5.Il processo D`Onofrio
Nella primavera 1948 apparve un opuscolo, "Russia", curato dall`UNIRR, il quale conteneva pesanti accuse nei confronti del commissario politico D`Onofrio, reo, secondo gli accusatori, delle seguenti colpe:
D`Onofrio durante la sua permanenza nei campi di concentramento di Oranki e di Skit:
1. Assistito dal Fiamminghi e alla presenza di un ufficiale della NKVD ha sottoposto ad estenuanti interrogatori dei prigionieri italiani detenuti in quei campi;
2. non si trattava di semplici conversazioni politiche come ipocritamente il D`Onofrio vorrebbe far credere, ma di veri e propri interrogatori di carattere politico che spesso duravano delle ore e durante i quali veniva messo a verbale quanto il prigioniero rispondeva;
3. immediatamente dopo la visita di D`Onofrio in quel campo, alcuni dei prigionieri italiani che in quei giorni erano stati sottoposti ad interrogatorio, furono allontanati e rinchiusi in campi di punizione e ancora oggi alcuni sono trattenuti nei campi di concentramento di Kiev;
4. simili procedimenti avevano il duplice scopo di far crollare prima con lusinghe e poi con esplicite minacce (non ritornerete a casa; lei non conosce la Siberia? Allusioni alla famiglia, carcere e simili) la resistenza fisica e morale di questi uomini ridotti dalla fame, dalle malattie, dai maltrattamenti a cadaveri viventi e guadagnare l`adesione degli altri prigionieri intimoriti dall`esempio e della sorte toccata a questi.42
L`accusa era firmata da Ivo Emett, Luigi Avalli e Domenico Dal Toso; inoltre, nell`ultima pagina dell`opuscolo, in una sorta di appello finale, le accuse verso i fuoriusciti venivano così riproposte:
80.000 martiri dei campi di concentramento russi
8.000 scampati accusano e denunciano
D`Onofrio- Robotti- Gottardi (Rizzoli)- Ossola- Fiammenghi- Cocchi-Torre (una donna)-Roncato
Italiani!
Questi rinnegati, postisi al servizio della polizia sovietica e diretti da Togliatti, furono i commissari politici, gli aguzzini nostri nei campi di concentramento sovietici. Evitiamo che essi diventino i commissari politici, gli aguzzini nel grande campo di concentramento che diverrebbe l`Italia.43
Simili imputazioni, apparse nell`infuocato clima politico precedente le elezioni del 18 aprile `48,
convinsero D`Onofrio a sporgere denuncia per diffamazione nei confronti dei tre reduci firmatari l`articolo, il direttore della rivista Ugo Graioni e il redattore responsabile Giorgio Pittaluga44.
Arrivavano così in un tribunale italiano le contrapposizioni ideologiche, le diverse versioni dei reduci sulla prigionia e con quelle tensioni che avevano caratterizzato la reclusione e il rimpatrio.
Il processo iniziò il 16 maggio `4945 e dalle deposizioni dei testimoni (una cinquantina) emersero due versioni completamente differenti: la prima era quella dei testi portati dall`accusa (gran parte dei quali ex collaboratori de "L`Alba"), dalla quale emergeva il buon trattamento riservato loro dai russi e l`aiuto fornito dai propagandisti ai prigionieri; la seconda era quella dei testi della difesa, nella quale la fame, il freddo e la morte di migliaia di prigionieri erano elemento caratterizzante.
Dopo 33 udienze, nelle quali gli avvocati della difesa dichiararono che "le accuse al senatore comunista hanno offeso tutto il movimento della resistenza"46 e quelli della difesa che "questo è il processo dell`Italia contro gli antitaliani"47, il 22 luglio `49 si arrivò alla seguente sentenza:
Visti gli articoli 479 e 482 del C.P.P. e l`art.5 D.L.L. 14.9.1944, il tribunale ASSOLVE gli imputati Luigi Avalli, Domenico Dal Toso, Ivo Emett, Giorgio Pittaluga, Ugo Graioni dal reato di diffamazione loro ascritto in ordine ai fatti specificati nell`opuscolo "Russia" essendo provata la verità* dei fatti stessi (...). Condanna inoltre il querelante sen Edoardo D`Onofrio al pagamento delle spese processuali.48
I querelati chiesero di devolvere i tre milioni di lire cui ammontavano le spese al ministero della Difesa, affinché li utilizzasse a favore delle famiglie dei militari ancora trattenuti nei campi sovietici.49
42I. Emett, "Nicevò...", p.204
43Ivi, p.206
44Alessandro Frigerio, "Reduci alla sbarra",Milano, Mursia, 2006,p.55
45Ivi,p.73
46Ivi,p.125
47Ivi,p.135
48I. Emett, "Nicevò...", p.207
49A. Frigerio, "Reduci alla sbarra", p.148
6.I dispersi e i caduti dell`ARMIR
Le cifre riguardanti il numero dei soldati italiani che non sono tornati dalla Russia sono discordanti, in quanto varie cause ne hanno impedito l`esatto conteggio: l`impossibilità* di tenere una lista delle perdite durante la ritirata e la perdita e la distruzione di molti dati dopo l`8 settembre, nonchè il disinteresse delle autorità* politiche e militari nel dopoguerra50.
Il ministero della Difesa –Albo d`Oro- ha in archivio la documentazione relativa a circa 90.000 militari che non hanno fatto ritorno dal fronte russo; di questi circa 5.000 sono deceduti prima del 10 dicembre `42, ossia prima dell`offensiva russa.
Ai restanti 85.000 vanno aggiunti i circa 10.000 soldati che l`Unione Sovietica restituì nel dopoguerra, per indicare in circa 95.000 gli assenti dell`ARMIR alla fine della ritirata51.
Degli uomini mancanti, secondo l`UNIRR, 25.000 sarebbero morti durante i combattimenti e la ritirata mentre 70.000 sarebbero stati catturati; di questi ultimi 10.000 sono stati rimpatriati mentre gli altri 60.000 sarebbero morti nei lager sovietici o nei trasferimenti per arrivare ad essi52.
Dopo la temporanea apertura degli archivi sovietici nel 1992, l`UNIRR ha individuato 40.027 prigionieri deceduti nei campi53; in circa 20.000 unità* sono invece indicati coloro che perirono nelle marce e nei trasferimenti in treno54.
Di questi ultimi, come per gran parte dei militari morti durante la ritirata, è impossibile stabilire l`esatto numero e l`identificazione poiché nessuna registrazione venne effettuata dal momento della cattura sino all`arrivo nei campi; dei militari morti nei lager sono stati identificati 20.650 nominativi.55
Circa il numero dei soldati catturati, le fonti ufficiali sovietiche si espressero per voce di Togliatti, che così scriveva nel primo numero de "L`Alba":
L`Armata italiana operante in Russia non esiste più. L`offensiva dell`Esercito Rosso ha travolto anche l`8a Armata italiana. Dal 16 al 30 dicembre le divisioni "Ravenna", "Cosseria", "Pasubio", "Torino", "Sforzesca", "Celere", furono disfatte assieme ad alcuni battaglioni di CC.NN. sul Medio Don. Più di 50.000 soldati e ufficiali italiani vennero fatti prigionieri.
Nel gennaio le divisioni alpine "Julia", "Tridentina" e "Cuneense" e la 156a divisione di fanteria sono state a loro volta disfatte sul fronte del Voronez ed altri 33.000 soldati e ufficiali (fra cui tre generali di divisione) sono stati fatti prigionieri.56
Dunque, 83.000 prigionieri. In un`altra occasione, Togliatti, tramite i microfoni di radio Mosca, indicava in più di 40.000 i soldati italiani catturati57.
Come già* detto, le fonti italiane fissano intorno a 70.000 il numero dei soldati catturati.
Con questa cifra il delegato italiano riassunse, nel 1958, presso la commissione dell`ONU per i prigionieri di guerra, la situazione inerente i soldati italiani catturati durante la seconda guerra mondiale58.
Nazione detentrice Catturati Rimpatriati % rimpatriati
Inghilterra 420.322 414.710 98%
Stati Uniti 125.533 125.373 99,9%
Francia 68.267 67.194 98,4%
Germania 641.954 606.306 94,4%
Jugoslavia, Romania, Bulgaria, Grecia, Svizzera 142.072 128.833 90,7%
Unione Sovietica (soldati dell`ARMIR) 70.000 10.087 14%
Unione Sovietica (presi nei lager tedeschi) ? 11.059 ?
Le cifre riportate nella tabella dimostrano in tutta evidenza il divario dei rimpatriati dalla Russia con quelli delle altre nazioni detentrici di soldati italiani: la grande tragedia che colpì i militari dell`ARMIR è eloquentemente espressa proprio dalla tabella sopra riportata.
50M.T. Giusti, "I prigionieri...", pp.225-226
51UNIRR, "Rapporto...", p.20
52Ivi,p.37
53Ministero della Difesa-UNIRR, Elenco ufficiale dei prigionieri italiani deceduti nei lager russi, suppl. al "Notiziario" UNIRR, 1993, p.6
54UNIRR, "Rapporto...", p.37
55M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.228
56"L`Alba", n.1, 10 febbraio 1943
57M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.227
58Relazione del delegato italiano presso la commissione dell`ONU per i prigionieri di guerra riportato in UNIRR, "Rapporto...", p.40
Et voilà*...E con quest'ultimo capitolo si chiude il mio lavoro.
Buona lettura...A chi ne avrà* voglia! :mrgreen:
L'ho letto tutto con attenzione, quindi non posso che farti i complimenti per questa tesi, ben strutturata e raccontata, ricca di particolari con le citazioni delle fonti.
Bravo [264
Ciao,
Complimenti per questo excelente lavoro. [264
Interessantà*ssimo questo tema.
frase non conforme al regolamento del forum rimossa dal moderatore di sezione
Cordiali Saluti
Luis
Complimenti per il tuo lavoro [264
Grazie per aver condiviso il tuo prezioso lavoro. Complimenti.
.. complimenti per tutto il lavoro di ricerca, sopratutto per la documentazione, i riferimenti e le fonti!
Grazie per aver condiviso questo studio, molti non sanno nulla di questi avvenimenti ahimè... [11 [213 [11
Grazie davvero per aver condiviso questo lavoro, letto tutto d'un fiato.
Rimosso dal moderatore, in quanto questo è un forum di militaria e non di politica
L'avevo perso e sarebbe stato un peccato, complimenti. [264
Bello!
Stavo cercando il numero d'Iitaliani internati in Germania dopo l'8 settembre 1943. Su Wikipedia parlono da 800000, mi pare molto, come i Tedeschi hanno potuto trasportare per esempio 430000 Italiani dei Balkani cosi velocemente ?
http://it.wikipedia.org/wiki/Internati_ ... _e_perdite
Avete cifre piu precisi ?
ALEX
Così velocemente, dici?
Mio padre è stato fatto prigioniero a Gianina, in Grecia, il 9 settembre 1943.
Dopo una marcia a piedi di diversi giorni, e un interminabile viaggio in treno, è arrivato in Germania il giorno 11 ottobre!
Ho trovato il cifre di 600000, sembra piu realista. 50000 Italiani non sono tornati dei lager, ma non se i civile sono comtabilisati.
Per i Balkani cerco à capire se furono raggruppati dentro campi di transito.
C'è forse una soluzione vedendo se questi internati hanno ricevuto un eventuale pensione della Germania ?
Alessandro
triste storia quella degli IMI (=Internati MilitariItaliani) mio suocero mi racontava che durante la prigionia, a differenza dei prigionieri di guerra, NON erano tutelati dalla CRI in quanto NON considerati tali dalla Convenzione di Ginevra. Negli anni 80/90 una legge tedesca prevedeva un "rimbprso" per gli "schiavi di Hitler" .Tutti gli IMI superstiti fecero domanda e la magistratura tedesca rispose lanconicamente che per la loro ATTUALE legislazione gli IMI sono da considerarsi Prigionieri di Guerra, e quindi non Deportati per lavoro coatto (= schiavi), e il fatto che li facessero lavorare è prevvisto dalla Convenzione di Ginevra appunto per i militari prigionieri... e quindi: DOPPIA BEFFA allora niente pacchi CRI perchè IMI e ora niente indenizzo perchè prigionieri di guerra !!!!! [1535Citazione:
Originariamente Scritto da Alexderome
Ciao alex a Genova c'è un'associazione si chiama "16 Giugno" ed è la data in cui i nazisti preserò molti civili e li deportarono in Germania per farli lavorare e quindi erano internati, molti di loro per errore o altro furono addirittura uccisi, comunque troverai i numeri di telefono e un piccolo sito a cui potrai chiedere molte informazioni in merito
Nel libro di L. Frigerio "Noi nei Lager" (edizioni Paoline, 2008), si riportano le stime di C. Sommaruga (2005), secondo le quali nel luglio 1944 il numero degli IMI - Prigionieri di guerra italiani nel Terzo Reich era di 640.229; la tabella riassuntiva 1943-1945 (sempre di Sommaruga) indica per il dicembre 1943 716.000 IMI, ad agosto 1944 643.000, al rimpatrio circa 560.000; il numero degli IMI Caduti e dispersi, al momento della cattura, nel trasporto, per varie cause nei lager, per postumi a guerra finita, varia, a seconda delle fonti, fra 50.000 e 57.000.
Confermo che anche in Internet si trovano molte informazioni utili.
Buona giornata,
Novantaun
gli internamenti non erano solo in terra tedesca.....penso alla Polonia dove esisteva il "lager degli alti Ufficiali" di tutte le armi .
Giustissimo, Karl Fran: campi di concentramento tedeschi esistevano in Francia, Austria, Slovenia, Polonia, Russia, Estonia, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Ucraina, Finlandia, Norvegia, Danimarca, Lussemburgo, Belgio, Nederland, Italia, Jugoslavia, Romania. L'elenco è veramente impressionante!