Re: X Mas & mascottes RSI
	
	
		Vi sono stati molti caduti nelle fila RSI e non solo, di 16 e 17 anni ma erano inquadrati come combattenti e spesso svolgevano funzione di portaordini.Le mascotte erano in genere bambini di 9, 10, 11 e 12 anni e anche piu' piccoli, come vediamo dalle foto, goffi nei loro equipaggiamenti ed uniformi accorciate sommariamente.Che vi sia stato qualche caduto anche tra questi, e' tutto da stabilire. [249 PaoloM
	 
	
	
	
		Re: X Mas & mascottes RSI
	
	
		Devo dire invece che molte di queste "mascotte" sono cadute in combattimento ... certo non quelle sotto i dieci anni ...ma nei 13/14 ... si!
Purtroppo non volendo essere da meno dei combattenti più grandi, spesso li seguivano ...condividendone a volte la fine cruenta in combattimento ...
e nella RSI la lista di questi piccoli caduti è molto, molto lunga ...anche FUCILATI senza riguardo allo loro giovanissima età!!!
Giò
	 
	
	
	
		Re: X Mas & mascottes RSI
	
	
		Grazie Italiastorica..
Cio' che dici fa molto pensare..., sia per chi li utilizzava, sia per chi li ha, come dici tu, fucilati senza tanti fronzoli...
ch
	 
	
	
	
		Re: X Mas & mascottes RSI
	
	
		Una storia toccante di un "piccolo Marò"
(tratta da "Il Nazionale’’ del 5 febbraio 1950)
Silvio Laboroi aveva quattordici anni, ma ne dimostrava tre di meno, anche se il suo viso cereo, dalla pelle tesa sopra un teschio che già mostrava i contorni della morte, sembrava quello d’un uomo che ha già vissuto gli orrori e il fascino della guerra. Capelli rossicci, viso di lentiggini, occhi intelligenti e intensi.
Così lo vidi una fredda mattina d’un lontano gennaio, in una corsia d’ospedale.
Era scappato di casa, mi disse, lasciando la mamma sola in un paesello della Val d’Aosta, per arruolarsi nella "Decima’’ dove altri ragazzi orfani, e coi genitori al di là della barriera, erano accolti a scopo d’assistenza e un ufficiale insegnante provvedeva alla loro educazione.
Ma egli, Silvio, non se la sentiva di fare il collegiale. Si era arruolato per fare la guerra come i grandi, lui. E imparò da solo a conoscere e maneggiare le armi automatiche.
Poi, un giorno, un’orda di slavi, le "teste di cane", sconfinarono per marciare su Gorizia e il battaglione "Fulmine" della Decima, venne inviato davanti a Tarnova per arginarli. (SLAPPE D'IDRIA) A Silvio, naturalmente, venne negato un posto fra i partenti. Tentò d’intrufolarsi nei ranghi dei marò che facevano rintronare l’aria coi loro canti di guerra, ma venne scoperto e rimandato in camerata a pedate. Il ragazzo, che si sentiva un vero marò, non si perdette d’animo. Il giorno dopo partì un’autocolonna coi viveri, e lui, con la complicità d’un "cambusiere", si nascose tra le casse di gallette.
Giunse così a Tarnova, (SILVIO, QUANDO IL FULMINE ANDO' A TARNOVA ERA ALL'OSPEDALE FERITO DA UN MESE) quando già i marò del "Fulmine" avevano preso posizione sui sacri confini. Ma le sue disavventure non erano finite: un’altra pioggia di scapaccioni lo sommerse allorché si piantò, rigido e fiero nel saluto, dinanzi al Comandante la 3.a Compagnia. Venne infine relegato nel fondo d’un bunker. (NON ERA A TARNOVA, NON ERA DELLA3' COMPAGNIA)
E Silvio, che nelle sue notti trepide d’adolescente aveva sognato i disperati assalti, purtroppo, dovette contentarsi solamente di ascoltare l’orchestra selvaggia delle granate, delle mitragliatrici e dei mitra.
Venne poi allontanato dalla linea del fuoco e costretto a sbucciare patate nella cucina di battaglione.
Ma una sera, Silvio diede una pedata a mestoli e marmitte e ritornò in compagnia. Si presentò al comandante una decisa espressione che dovette impressionare vivamente l’ufficiale, e non si ebbe altri scapaccioni.
Finalmente l’azione, il fuoco, il nemico... forse anche la morte! Che importava?
"A noi la morte non ci fa paura, ci si fidanza e poi si fa l’amor...".
"Samurai", mitra e bombe a mano. Silvio è pronto ad accogliere gli slavi.
Notte illune. Solo alcune stelle: sembrano le lacrime di mille mamme in trepida attesa.
Silvio pensa per un attimo alla mamma che a quell’ora soleva andare a rimboccargli le coperte. Ma ora! ... Oh, ora era un soldato vero, un vero soldato d’Italia, che faceva la guerra sul serio.
Notte da tregenda, quella, nella selva di Tarnova. Il nemico, in realtà, in gran numero, premeva da ogni dove. Ma i marinai della Decima si erano abbarbicati alle loro "buche" e avevano giurato di morire piuttosto che cedere.
E mantennero il sacro giuramento, gli eroi del "Fulmine". Cadevano ad uno ad uno, impegnati nell’impari lotta di uno contro venti.
Silvio, anche lui, senza ascoltare i consigli degli "anziani" che lo esortavano a tirarsi indietro, scaricava i caricatori del mitra sul branco che ristava, si sbandava, ritornava ferocemente all’attacco. E i trecento del "Fulmine", pur essendo oramai ridotti a poche decine, resistevano meravigliosamente, mentre i "titini" si consumavano nello scorno d’essere tenuti in iscacco da un gruppo di monelli di cui il più vecchio superava di poco i vent’anni.
Silvio, colpito alle gambe e al ventre, rimase al suo posto e si ribellò quando tentarono d’allontanarlo. (FERITO ALLA SPINA DORSALE DA UN PROIETTILE)
Ora il battaglione "Fulmine" della Divisione di Fanteria di Marina "Decima’’ era ridotto a pochi fantasmi che, mentre si preparavano a morire, ebbero la gioia di vedere voltare le terga agli eroi delle "foibe": un altro reparto era accorso in aiuto dei difensori delle sacre barriere.
Trovai il "marò" Laboroi Silvio una mattina di gennaio, in una corsia del Padiglione "Vicenza", dell’"Ospedale al Mare" di Venezia, mentre le bombe dei "liberatori" scoppiavano sulla Laguna e sul Lido. (A GENNAIO SILVIO ERA ALL'OSPEDALE DEL SEMINARIO MINORE DI GORIZIA)
Ma Gorizia italiana, che il mio babbo, come me volontario andò a conquistare nell’altra guerra, non è stata invasa... E io sono felice... Erano felici anche i miei camerati che sono morti. Morirò anch’io. Ma Gorizia è sempre italiana...
I suoi occhi brillavano e la sua bocca, di tratto in tratto contratta dagli spasimi, si spianava in un chiaro sorriso al ricordo dei titini in fuga.
Ma a Gorizia gli slavi non sono entrati...
Gli chiusi gli occhi la mattina dopo alle tre. (MORI DUE MESI DOPO GENNAIO)Si addormentò placidamente dopo aver ottenuto lo scudetto del reparto, che portavano solo gli "anziani". Sulla sua tomba feci inchiodare lo scudetto sopra una croce e vi feci scrivere: "Marò Laboroi Silvio, caduto per l’onore d’Italia".
Chissà se quella tomba e quello scudetto esistono ancora! Forse non più. Forse una sacrilega mano ha profanato la tomba del piccolo soldato, perché anch’egli ritenuto "criminale". Tutti quelli che difesero la Patria fino all’ultima speranza sono "criminali".
Ma un giorno verrò sulla tua tomba, piccolo marò del "Fulmine" e t’erigerò un monumento di fiori candidi come la tua anima d’adolescente, rossi come la passione patria che t’animò e ti sostenne, verdi come la speranza - per noi certezza - che l’Italia tutta, dalle nervose cime alla Quarta Sponda, ritroverà se stessa nei suoi figli migliori.
(LA TOMBA E' RIMASTA FINO AGLI ANNI 60 CIRCA, QUANDO LA MAMMA DI SILVIO LO ANDAVA A TROVARE CON UN CERTA REGOLARITA'. ERA SITUATA ALL'INTERNO DEL RECINTO DEI MILITARI, PRESSO IL CIMITERO AL LIDO. N. 70 FILA 3. SUCCESSIVAMENTE, NEL 1972 LE SALME DI QUEL "RECINTO MILITARI" FURONO ESUMATE E POSTE IN UN OSSARIO COMUNE)
AVANTI PLOTONE MASCOTTE!