Re: L'ARMIR nei campi di prigionia di Russia
6.I risultati del lavoro politico
La martellante propaganda messa in atto riscosse ben pochi risultati tra i prigionieri italiani; le difficoltà* quotidiane e l`estraneità* dalla vita politica fecero sì che la massa dei prigionieri rimanesse indifferente all`opera dei propagandisti.
Uno di questi, Goldmacher, dichiarò che "i prigionieri erano politicamente assolutamente vergini. Nessun`idea di cosa fosse l`Italia prima del fascismo"47; il terreno su cui gli istruttori politici dovettero lavorare e i risultati che colsero sono ben descritti dalle parole di questo reduce:
L`indifferenza dei prigionieri era tale da rifiutare i loro continui assalti verso un interessamento alla vita politica. Sulle predette posizioni di netto rifiuto, alla base c`era una sovrapposizione di diverse motivazioni. La prima di queste era certamente dettata dalla nostra situazione di prigionieri già* provati da malattie e sofferenze, cui si aggiungevano la pena e il pensiero per le nostre famiglie lontane. La seconda ragione per la quale mostravamo indifferenza alla politica era dovuta alla globalità* della condizione sociale e culturale dei prigionieri. Si riscontrava in noi soldati, la maggior parte dei quali peraltro di estrazione contadina, una scarsa istruzione nonché, in alcuni casi, un totale analfabetismo48.
Alcuni successi vennero comunque colti dagli istruttori politici, come scritto in una lettera di Robotti a Scevljagin (direttore del settore italiano della scuola di Juza):
In tutte le località* dove sono stato girando l`Italia ho trovato dei nostri ex allievi. Tutti sono al loro posto in prima fila. Molti sono in comitati direttivi di grandi cellule, di sezioni e anche di federazioni (come G.). S. ha diretto lo sciopero nazionale degli assicuratori ed è uno dei dirigenti dell`organizzazione nazionale di tale categoria. D., vostro allievo, è segretario di una sezione che ha 1200 iscritti. Prima di venire in Russia era sagrestano nel suo paese! Solo M. e P. hanno defezionato: non fanno nulla. Insomma il lavoro fatto è stato veramente utile e lo sarà* maggiormente in avvenire49.
Alle adesioni sincere alle causa comunista, si affiancò l`opportunismo di alcuni prigionieri, che, convinti dal miglior trattamento riservato ai collaboratori antifascisti, si misero agli ordini dei sovietici:
Questi antifascisti per opportunismo, erano i più pericolosi perché non avevano scrupoli ed erano pronti a prostituirsi in qualsiasi modo. Facevano la spia, i delatori, erano disposti a dichiarare per iscritto tutto quello che volevano i russi: che i pidocchi e il tifo petecchiale l`avevamo portato noi dall`Italia, che gli italiani avevano incendiato non so quale villaggio dell`Ucraina, che i nostri soldati al fronte mangiavano peggio di noi in prigionia. Queste dichiarazioni avevano l`onore di essere pubblicate su "L`Alba"(...)50
Questo clima di tensione era alimentato dai sovietici, che vedevano nelle fratture all`interno delle varie comunità* nazionali recluse nei campi un mezzo per evitare rivolte, impraticabili dal momento che mancava la coesione tra i prigionieri; allo stesso scopo venivano alimentati gli scontri tra le varie comunità* nazionali.
Così viene descritta la rappresentazione degli schieramenti all`interno del campo di Suzdal:
Ci sono i monarchici, in grande numero, poiché in grande numero sono tra noi gli ufficiali effettivi, di cui molti con grado da maggiore in su (...). Ci sono i repubblicani i quali non obliano il giuramento, ma spiegano come la sua forma sia superata (...). Ci sono i fascisti, che fanno una questione d`onore, di fedeltà* agli impegni presi. Padroni di casa fino a ieri, tengono celata in fondo al cuore l`ansia di rivincita, la riserva di vendetta per quando si tornerà* in Italia.
E ci sono i comunisti. Giunti ad un unico traguardo da vie tanto diverse: chi affascinato dalle novità* e stupito, per quanto la realtà* che vede in Russia non sia edificante, che essa sia tanto migliore di quel che ci aveva detto la stupida propaganda e, comunque , sia storicamente spiegabile e logica; chi incuriosito scientificamente dalle nuove teorie che
legge sui libri di Marx, Engels, Lenin, Stalin; chi mosso dalla speranza di un trattamento migliore da parte di questi terribili padroni; chi, infine spaventato da colpe politiche che i carcerieri potrebbero addebitargli e fargli pagare care, si copre con l`unico miracolo scudo che possa preservarlo dai colpi. E ci sono naturalmente gli indifferenti, gli agnostici.
Ma, come sempre avviene soprattutto tra passionali latini, a sentire gli uni e gli altri, non vi sono che due categorie: per gli antifascisti sono fascisti non solo coloro che rimpiangono il fascismo, ma chiunque voglia opporsi alla caduta della monarchia. Per gli altri sono comunisti tutti coloro che vogliono che in Italia qualcosa muti.51
47M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.127
48V. Di Michele, "Io, prigioniero in Russia",p.117
49lettera in italiano di Robotti a Scevljagin, 7 maggio 1947, in M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.154
50C. Vicentini, "Noi soli vivi", p.21651Gino Beraudi, "Vajna kaputt, Guerra e prigionia in Russia",p.121
Re: L'ARMIR nei campi di prigionia di Russia
Il capitolo sulla rieducazione politica rende bene l'idea sul perchè questo pezzo di storia sia finito nel dimenticatoio...Gli stessi fastidi politici questa storia li ha suscitati alla commissione d'esame [3 , suscitando sia disapprovazione che consenso.
Ciò che più mi ha colpito è stata comunque la totale ignoranza in materia da parte dei docenti...diversi dei quali insegnanti di storia contemporanea.
Un ringraziamento va però fatto al mio relatore, Prof. Michele Millozzi,che ha non posto barriere al mio lavoro.
Appeno potrò posterò l'ultimo capitolo.
Re: L'ARMIR nei campi di prigionia di Russia
Ho letto il resto dell'integrazione del tuo lavoro.
Grazie.
Molto interessante
Re: L'ARMIR nei campi di prigionia di Russia
Citazione:
Originariamente Scritto da cocis49
Ho letto il resto dell'integrazione del tuo lavoro.
Grazie. Molto interessante
Quoto.. Molto lungo devo ancora finire di leggerlo..
Re: L'ARMIR nei campi di prigionia di Russia
Ho ricevuto con piacere i tuoi file lorenzo85, appena ho tempo mi leggo tutto [264
Re: L'ARMIR nei campi di prigionia di Russia
Capitolo quarto
Il rimpatrio
1.Le trattative per il rimpatrio
Per tutta la durata del conflitto e fino al momento dell`annuncio del rimpatrio, il governo italiano rimase completamente all`oscuro sul numero dei prigionieri in Russia.
L`Unione Sovietica non figurava tra i firmatari della Convenzione di Ginevra, ma si impegnava a rispettarne le condizioni ( e quindi anche a comunicare al nemico informazioni inerenti i soldati avversari catturati) a patto che lo facessero anche i suoi avversari; il 21 agosto `41 il governo tedesco annunciò che, di fronte alle atrocità* perpetrate dai russi sui prigionieri tedeschi, non si sarebbe più sentito vincolato dalle disposizioni di Ginevra1.
L`Italia accettò di trattare i prigionieri sovietici secondo la Convenzione di Ginevra, anche se in realtà* fino alla costituzione dell`ARMIR non ebbe alcuna influenza sul loro trattamento, in quanto i prigionieri finiti nelle mani del CSIR venivano consegnati alle autorità* tedesche.
Con la costituzione dell`ARMIR, circa 5000 soldati russi catturati finirono a lavorare nei magazzini delle retrovie, ma già* dal 12 marzo `42 l`Italia aveva deciso di non comunicare più ai sovietici le liste dei prigionieri caduti nelle sue mani, come riferito alla Croce Rossa Internazionale:
(...) Questo Ufficio, conosciuta la dichiarazione del governo sovietico che, su vostro invito, si è dichiarato disposto, pur non avendo firmato la Convenzione di Ginevra del 27 luglio `29, a scambiare, sulla base di reciprocità*, gli elenchi dei militari catturati, illesi e feriti e dei caduti in territorio sovietico, vi ha trasmesso tutte le notizie che gli sono pervenute riguardo alla cattura, al decesso, ai trasferimenti di militari sovietici.(...) Tutti i nominativi sono stati trasmessi anche coi caratteri cirillici. Nonostante la cura e la prontezza con cui queste trasmissioni sono avvenute da parte nostra, abbiamo dovuto dolorosamente constatare che è mancata qualunque reciprocità* da parte del Governo sovietico, non essendo giunta a questo Ufficio nemmeno una segnalazione di prigioniero italiano in mano sovietica o di caduto italiano su territorio dell`URSS (...) In queste circostanze, questo Ufficio è costretto a sospendere in futuro la comunicazione delle notizie che gli possono giungere riguardo a militari sovietici catturati, trasferiti o deceduti.2
Italia ed Urss quindi, al momento della disfatta dell`ARMIR non erano vincolate da nessun accordo riguardo i prigionieri, al fondo delle loro inesistenti relazioni c`erano la differenza di mentalità* e l`indifferenza dell`Unione Sovietica nei confronti dei prigionieri di guerra, compresi i propri; differenze ben espresse dall`ambasciatore italiano a Mosca, Quaroni:
Questa gente è abituata a tutt`altra concezione dei rapporti umani. Qui non si sono mai preoccupati dei loro prigionieri, non hanno mai chiesto liste, non hanno mai cercato di assicurare loro corrispondenza, pacchi, etc.(...) Nell`esercito sovietico, salvo che per i generali, non si comunica alla famiglia che il proprio congiunto è morto, la gente si sbrighi da sé. Il combattente che cessa di scrivere, probabilmente è morto, se non è morto, riprenderà* a scrivere. Oppure lo rivedrete a guerra finita.(...) Con questa mentalità* come vuoi che capiscano le nostre aspirazioni mentali ad avere e dare notizie, a sapere in quali circostanze il tale è morto, ad avere atti di morte o altro? Anche se volessero darsi la pena, la confusione è tale che domanderebbe un immenso lavoro: e qui tutto quello che non serve allo sforzo bellico immediato, deve essere senz`altro eliminato.3
Pietro Quaroni, dopo il riconoscimento del governo Badoglio da parte dell`URSS avvenuto il 14 marzo 1944, venne inviato a Mosca in qualità* di ambasciatore e subito si attivò con le autorità* russe per chiedere notizie riguardanti i prigionieri italiani; analoghi tentativi vennero fatti dai governi Bonomi del 1944-45 e da autorità* dell`esercito, quali i generali Messe e Gazzera.4
Per tutta risposta, le autorità* sovietiche risposero che la questione delle liste riguardanti i prigionieri e il loro rimpatrio erano collegate a due fattori: la mancata consegna, da parte del governo italiano, delle liste dei prigionieri russi che si trovavano in Italia e le presunte atrocità* commesse da reparti italiani durante la guerra.5
Il governo italiano si adoperò per soddisfare le richieste russe e appurò la presenza in Italia di 29 cittadini sovietici, così come comunicò alle autorità* sovietiche il corretto comportamento delle truppe italiane in territorio sovietico6;ma non bastò e fino alla fine della guerra, il rifiuto sovietico di consegnare i nominativi dei prigionieri si reiterò, respingendo seccamente ogni richiesta italiana.
Incurante delle richieste che venivano fatte dalle autorità* italiane, la leadership sovietica si adoperava autonomamente per rimpatriare centinaia di migliaia di prigionieri (specialmente gli ammalati e gli inabili al lavoro) che costituivano un ingombrante presenza nel territorio sovietico.
Un primo gruppo di prigionieri, circa 225.000, fu rimpatriato in base al decreto dell`NKVD del 15 giugno `45, che stabiliva il ritorno in patria dei malati cronici e degli inabili al lavoro7; del gruppo faceva parte anche un centinaio di italiani.
In agosto venne poi decisa la liberazione di altre centinaia di migliaia di prigionieri, tra cui quella di tutti gli italiani e la comunicazione venne data, il 25 agosto `45, dal viceministro degli Esteri sovietico Lozovskij al segretario della Ggil Di Vittorio, in visita in Urss.8
1M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.47
2Comunicazione del Ministero degli Esteri alla Comitato internazionale della Croce Rossa, in L. Vaglica, "I prigionieri...", pp.255-256
3Rapporto dell`ambasciatore Pietro Quaroni al ministero degli Esteri, in M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.160
4Ivi, p.158
5Giovanni Messe "Inchiesta sui dispersi in Russia", all. a "Russia.1941-43",Milano, Rizzoli, 1964, p.34
6Giusti M.T., "I prigionieri...", p.159
7Ivi,p.162
8L. Vaglica, "I prigionieri...", p.266
Re: L'ARMIR nei campi di prigionia di Russia
2.Il rimpatrio
L`inaspettato annuncio del viceministro sovietico era tipico dell`atteggiamento sovietico, sempre contrario all`invio di liste nominative dei prigionieri, del cui rimpatrio si disponeva senza preavviso. Tale atteggiamento è stato così descritto da Quaroni:
non era stato per nulla differente nei riguardi dei prigionieri degli altri Stati ex nemici come pure degli internati o prigionieri alleati liberati dall`esercito rosso. Francesi, olandesi, belgi, e persino i britannici non ebbero mai la possibilità* di visitare i campi ove si potevano trovare i loro connazionali "liberati", di averne elenchi, ecc. Qualche volta, come gli olandesi, se li videro consegnare da un giorno all`altro, senza il minimo preavviso, dopo mesi e mesi che le loro autorità* diplomatiche stavano insistendo per averne almeno qualche notizia.9
L`11 settembre `45 l`ambasciata sovietica a Roma comunicava che venivano disposti la liberazione e il rimpatrio di 19.648 prigionieri di guerra italiani; un esiguo numero di presunti criminali di guerra veniva invece trattenuto in territorio sovietico10.
Il rimpatrio iniziò nel settembre `45 e alla data del 25 maggio `46 il viceministro degli interni Kruglov così esponeva la situazione dei prigionieri italiani in Urss:
In totale i prigionieri italiani nei campi del ministero degli Interni al 1° agosto 1945 erano 19.810. Inoltre dopo il 1° agosto 1945 da quella che era la rete del fronte e dai battaglioni di lavoro sono affluiti altri 1.400 prigionieri italiani.
In base al decreto del Gko, nel 1945 e all`inizio del 1946, su 21.210 italiani, sono stati consegnati agli organi addetti al rimpatrio per il loro rientro in Italia 20.145 uomini; 160 sono deceduti. Nei campi sono rimasti soltanto gli ufficiali e gli arruolati nelle SS italiane (...) Al 15 maggio 1946, nei campi del ministero degli Interni si trovano 905 italiani (...) dei 905 italiani presenti nei lager, 740 uomini, fra cui 600 ufficiali, sono pronti per essere consegnati agli organi addetti al rimpatrio, e si trovano in un campo speciale a Odessa. Gli altri italiani, per un totale di 165 uomini, tra cui i 3 generali, 34 ufficiali, 113 arruolati nelle SS, 15 ammalati, si trovano in diversi campi e, con l`esclusione degli ammalati, possono essere trasferiti nei punti di consegna agli organi addetti al rimpatrio a Odessa, nel corso del mese di giugno p.v.11
L`8 luglio `46 radio Mosca informò la Croce Rossa che tutti i prigionieri, nel numero di 21.065, erano stati rimpatriati; per l`Unione Sovietica la questione era chiusa, per l`opinione pubblica e per le famiglie dei dispersi non poteva esserlo: troppo grande era il divario tra il numero dei dispersi e quello dei rimpatriati. Scrisse Quaroni in una nota:
L`opinione pubblica italiana, anziché accogliere con entusiasmo questo "atto di benevolenza", come si attendevano i dirigenti sovietici, rimase profondamente turbata per lo scarso numero dei prigionieri denunciato da Mosca in confronto degli 80-100 mila uomini che il nostro Comando aveva dato a suo tempo come dispersi nella campagna di Russia. In vari ambienti italiani sorse l`angoscioso dubbio che, oltre al numero denunciato ufficialmente, vi fossero nell`Urss migliaia e migliaia di prigionieri che il governo sovietico non intendeva restituire.12
Al rientro in Italia,dagli interrogatori dei reduci si poté appurare che dei 21.065 rimpatriati, solo 10.032 avevano fatto parte dell`ARMIR; gli altri 11.033 appartenevano al numero imprecisato – e fino ad oggi ignoto – degli ex internati dei tedeschi trasferiti nei campi sovietici.13
Sollecitato dall`opinione pubblica, il governo continuò a chiedere chiarimenti fino al dispaccio del ministero degli Affari esteri sovietico che in una nota del 27 novembre `46 annunciava la conclusione del processo di rimpatrio:
Con riferimento alle note dell`ambasciata d`Italia nn.256 del 24 giugno, 286 dell`11 luglio e 364 del 3 settembre c.a., il ministero degli Affari esteri dell`Urss ha l`onore di attirare l`onore dell`ambasciata sul fatto che il governo sovietico, venendo incontro al desiderio del Governo italiano e per manifestare la sua buona volontà*, ha proceduto, di propria iniziativa, al rimpatrio dei prigionieri di guerra italiani nell`Urss che è stato ultimato nell`agosto u.s.
Secondo dati precisi, sono stati rimpatriati complessivamente dall`Urss 21.065 ex prigionieri di guerra italiani, per singoli gruppi, attraverso la Germania, l`Austria e la Romania14.
Il rientro dei prigionieri avvenne per via ferroviaria e, anche in questo caso,essi dovettero fare i conti con la disorganizzazione sovietica.
E il viaggio si palesa subito molto scomodo. Il treno è assai lento e non c`è cucina. Ci danno ogni giorno qualche fetta di pane secco, patate e piselli crudi. (...) Non mangiavo da giorni alcunché di caldo e sentivo le mie forze diminuire. Il viaggio cominciava a rassomigliare a quello, spaventoso, dei primi tempi della prigionia. Del resto i morti c`erano. Ogni mattina ne scaricavamo qualcuno15.
Viaggiamo per giorni al freddo, assaltando durante le soste negli scali treni carichi di patate e barbabietole (...) così rispunta la fame, la tremenda fame che non ha pazienza e, mentre noi ingoiamo tuberi mezzi crudi e acqua di dubbia potabilità*, improvvisa scoppia la dissenteria che trasforma i vagoni nei letamai del `43. Con la sporcizia rispuntano i pidocchi, gli ammalati si aggravano per la denutrizione e il freddo. Scarichiamo i cadaveri lungo gli interminabili binari16.
Completato il rientro della truppa, iniziò quello degli ufficiali, per la gran parte provenienti dal campo di Suzdal, fatta eccezione per gli ufficiali medici, distaccati in altri campi per svolgere assistenza sanitaria, e per coloro che erano stati utilizzati come propagandisti.
Trasferiti ad Odessa nell`aprile ‘46, lì rimasero fino ai primi di giugno, per poi essere trasferiti a Maramorsz Sighet, in Romania, dove gli ufficiali sostarono una settimana17; il 23 giugno, quando giunse l`ordine di partenza per l`Austria, all`appello nominativo dei rimpatriandi per l`inquadramento in gruppi nei vagoni, mancava il nome di 50 ufficiali, trattenuti dalle autorità* sovietiche.18
Su questo episodio il generale Zauli, responsabile del Comando militare di Udine, così si espresse:
Si ignorano le ragioni del provvedimento. Secondo alcuni reduci devono essere ricercate nella delazione dei prigionieri stessi i quali avrebbero accusato ai russi i loro camerati fascisti. Questa circostanza non ha potuto essere accertata. Sta di fatto che appena il convoglio è uscito dalla zona controllata dalla Russia alcuni reduci sono stati assaliti e percossi dai loro compagni i quali hanno inteso in tal modo punirli per il contegno ostile ai nostri e servilmente ligio ai russi da essi tenuto durante la prigionia.19
Contro i collaboratori dei sovietici, si sfogò la rabbia di coloro che per lungo tempo ebbero a subire angherie e punizioni per colpa delle loro delazioni.
Un`ansia compressa, trattenuta a lungo durante tutto il viaggio stava per esplodere: ribolliva in noi come l`acqua dei torrenti ingrossati dalla pioggia. Improvvise esplosero, deliberate e violente, le reazioni alla forzatamente contenuta sopportazione dei delatori, concretandosi in atti brutali, tremendamente umani. Un padre cappellano, ai primi sintomi della tempesta che stava per scatenarsi su di noi, rivolse a tutti noi parole di fratellanza e di perdono, ma poi si deve essere convinto che nei delatori c`era il demonio, perché pure lui entrò nella mischia.
Una reazione sintetizza tutte le altre. Due corpi avvinghiati rotolano giù per la scarpata della ferrovia dove il treno era in sosta (...) Il bastone si agitò più volte. Sembrava non dovesse fermarsi, gli occhi di tutti seguivano quel movimento forte e rabbioso. Ad ogni colpo qualcuno scandiva il nome, il nome di un amico che non era tornato: Tenente Joli, Capitano Magnani, Tenente medico Reginato, Tenente Don Brevi (...)20
Anche durante il rimpatrio della truppa si verificarono aggressioni ai danni dei membri dei gruppi antifascisti21; il rimpatrio degli ufficiali si concluse il 7 luglio, dopo quasi tre mesi di viaggio, con l`arrivo a Tarvisio. Tre giorni dopo rientravano anche i 50 ufficiali precedentemente trattenuti.
9Comunicato dell`ambasciata italiana a Mosca del 4.12.1946, in M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.166
10Dispaccio del ministero degli Esteri, 11.9.1945, Ivi, p.167
11Nota di Kruglov a Molotov sul numero dei prigionieri italiani presenti nei lager del ministero degli Interni dell`Urss e dei rimpatriati, Ivi, p.261
12Comunicato dell`ambasciata italiana a Mosca, Aussme, DS 2271/C, p.2, in Ivi, p.176
13Ivi,p.170
14Ministero degli affari esteri dell`Urss all`ambasciata d`Italia a Mosca, Aussme, DS 2271/C, in L. Vaglica, "I prigionieri...", p. 283
15G. Beraudi, "Vaina kaputt", p.178
16L. Venturini , "La fame dei vinti",p.141
17L. Vaglica, "I prigionieri...", p.276
18Ibidem
19Aussme Ds 2271/C,in M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.174
20Testimonianza di Manlio Francesconi, in L. Vaglica, "I prigionieri...", p.281
21L. Venturini, "La fame dei vinti",p.141
Re: L'ARMIR nei campi di prigionia di Russia
3.Lo scontro politico sulla questione degli ex prigionieri
Il dibattito politico accesosi già* prima del rimpatrio dei prigionieri, si acuì con l`arrivo di questi.
Il PCI, temendo che i racconti dei reduci potessero danneggiarlo, continuò il suo lavoro politico nei confronti degli ex prigionieri anche in Italia:
(...) In Italia la popolazione è divisa in correnti politiche. A Milano, gli attivisti comunisti ci portano in un locale poco distante dalla stazione e ordinano una cenetta discreta. Poi cominciano la propaganda. "Dite che siete stati bene!" – ci dicono – e allora comincia il caos. "Proprio a noi venite a dire queste cose?"22
Sono passati circa quindici giorni dal mio arrivo, quando un mattino irrompono in casa due giovani partigiani armati di mitra. (...) I due mi intimano di non raccontare storie inventate sulla Russia, concludendo con queste testuali parole: "Taci, altrimenti se non ti hanno eliminato i russi, lo facciamo noi con questi!"23
I racconti dei reduci vennero presi per alimentare il dibattito politico, e alla stampa anticomunista che evidenziava le cattive condizioni dei reduci, Togliatti rispose così:
I circoli reazionari cattolici cominciavano a lavorare sui prigionieri di guerra dal Brennero. Molti arrivavano in uniformi stracciate, perché per la strada vendono le uniformi ricevute in Urss. Molti hanno conservato orientamenti fascisti.24
Di tenore simile l`intervento dell`ambasciatore sovietico a Roma, Kostylev:
Si sono registrati casi di vagabondi, mendicanti e mezzi handicappati che si presentano dietro pagamento ai Distretti militari dichiarando di essere reduci tornati dall`Unione Sovietica.25
Oltre a negare la realtà* che i reduci andavano raccontando, il PCI, tramite le pagine de "L`Unità*", espose la sua visione dei lager nella rubrica I superstiti raccontano, ove trovarono voce gli ex istruttori politici e gli ex collaboratori de "L`Alba"26; inoltre, secondo l`UNIRR, il ritardo con cui avvenne il rimpatrio degli ufficiali fu causato dalla volontà* del PCI di non farli intervenire nel referendum istituzionale del 2 giugno27.
D`altronde, dopo i continui interrogatori a cui i prigionieri furono sottoposti nei lager, i fuoriusciti
ben conoscevano le opinioni politiche degli ufficiali, i quali, poco prima del rientro in Italia, redassero un documento che fu firmato da 525 ex prigionieri su 552 e che recitava:
Al Popolo Italiano
Noi Ufficiali, Sottufficiali, Soldati scampati dalla spaventosa prigionia di Russia, liberi finalmente da ogni morale e materiale coercizione, nel varcare i sacri confini della Patria:
Ricordiamo alla nazione le molte decine di migliaia di nostri compagni morti nella prigionia in Russia per fame, freddo, epidemie.
Facciamo appello al Governo italiano perché richieda ed ottenga il sollecito rientro dei nostri connazionali arbitrariamente trattenuti in prigionia con la complicità* di alcuni elementi che additiamo al disprezzo del Paese come indegni del nome di Italiani.
Salutiamo la repubblica e il Governo italiano coi quali ci dichiariamo solidali nell`opera di ricostruzione e di rinnovamento morale e materiale dell`Italia.
Salutiamo le nostre famiglie con le quali, per lungo tempo, ci fu negato il sacro diritto di corrispondere.
Testimoni consci di quello che vedemmo e soffrimmo, qualunque possa essere la nostra tendenza politica, ripetiamo ad ogni italiano:
il bolscevismo, spoglio della sua retorica demagogica, significa regime di polizia e terrore, significa dittatura peggiore di quella per l`abbattimento della quale gli Italiani uniti hanno combattuto; esso è sinonimo di asservimento nazionale all`esterno ed all`interno, di tirannia di un partito sulla nazione, sulla famiglia, sull`individuo.
Viva l`Italia democratica, libera e indipendente.28
La diffusione di tale messaggio venne concessa solo nel 1948; prima poteva essere motivo di frizione con l`Urss.
Con le importanti elezioni del `48 il messaggio venne sfoderato in funzione anticomunista, assieme a dei manifesti elettorali della Dc che chiamavano in causa la prigionia dei soldati in Russia; uno di questi, dove si intravedevano scheletriche ombre dietro il filo spinato, recitava: "Mandati in Russia dai fascisti, trattenuti dai comunisti".
22Testimonianza di Guido Castellino, in N. Revelli, "La strada del Davai", p.392
23L. Venturini, "La fame dei vinti",p.150
24Elena Aga Rossi – Zaslavsky Victor, "Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca", Bologna, 1997, p.170
25Ibidem
26L. Vaglica, "I prigionieri...", p.299
27UNIRR, "Rapporto...", p.162
28"Russia", num. Unico a cura dell`UNIRR, p.2
Re: L'ARMIR nei campi di prigionia di Russia
4.I prigionieri italiani trattenuti in Urss
Nonostante le autorità* russe avessero dichiarato concluse le operazioni di rimpatrio dei prigionieri italiani, le richieste da parte dell`ambasciata italiana a Mosca, sollecitate anche dai racconti dei reduci che assicuravano la presenza di italiani nei lager sovietici, continuarono nonostante spesso non ricevessero risposte.
A ciò si aggiunsero le frequenti dimostrazioni dinanzi l`ambasciata sovietica a Roma e gli articoli di certa stampa che, in funzione anticomunista, sollevava dubbi sull`effettivo rimpatrio di tutti i prigionieri.
L`Unione Sovietica decise di reagire alle insistenze italiane organizzando, il 4 agosto `47, un incontro tra il generale Golubev, vicedelegato del consiglio dei ministri dell`Urss per gli affari del rimpatrio, e una delegazione dell`Unione Donne Italiane, formata da esponenti del PCI29; dal colloquio emerse che "tutti i cittadini italiani e tutti gli ex prigionieri di guerra sono stati rimpatriati al cento per cento" salvo "28 prigionieri di guerra italiani indagati come responsabili di atrocità* commesse nel territorio sovietico a danno di cittadini dell`Urss"30.
Veniva inoltre evidenziato come "tutti coloro che abbiamo fatto prigionieri, li abbiamo restituiti all`Italia"31 e si notificava il rilascio di alcuni ufficiali, tra cui il capitano Ivo Emett, il centurione Dell`Aglio e il sottotenente Barbettani.
Dei ventotto prigionieri dichiarati, uno, il tenente Italo Stagno, morì (settembre `47); tra gli altri ventisette reclusi figuravano anche i generali Pascolini, Battisti e Ricagno, rispettivamente ex comandanti le divisioni "Vicenza", "Cuneense" e "Julia".
Tutti i prigionieri erano accusati di sabotaggio e crimini di guerra; in realtà* la loro prolungata reclusione era dovuta alla loro refrattarietà* alla propaganda e al loro tentativo di allontanare da questa quanta più gente possibile.
Nessuno ci aveva addossato particolari imputazioni, se non di aver contestato le menzogne dei fuoriusciti italiani che, come autentici sciacalli, venivano a propagandare il sistema sovietico, senza tuttavia spiegarci in nome di chi o di che cosa avessero fatto morire di fame oltre il 90 per cento dei prigionieri.32
Per altri la prolungata punizione fu il risultato di aperte provocazioni, come nel caso di don Brevi e del capitano Franco Magnani, i quali
Con qualche altro prigioniero trovarono in un libro della biblioteca una foto a tutta pagina di Mussolini. Magnani aveva un forte ascendente su di un gruppo consistente di ufficiali; lo stimavano per il suo comportamento dimostrato sul fronte della Kalitva. (...) Strappata la foto dal libro, lui ed il suo seguito ebbero subito la stramba idea di portarla per le vie del campo a mo` di immagine religiosa, dopo aver radunato altri simpatizzanti. Come se si trattasse di una processione, cantarono, sfilando, addirittura l`inno fascista. Ne nacque un casus belli. Il comando russo prese immediatamente drastici provvedimenti contro i capoccia, spedendoli in un lager dell`Asia centrale, dove rimasero fino al rimpatrio che avvenne 7 anni dopo il nostro.33
Alla data del 12 gennaio `49 soltanto quattro prigionieri (Pennisi, Musitelli, Jovino e Scagliotti) risultavano condannati, tutti a 25 anni di reclusione34; di questi soltanto la camicia nera Scagliotti si era riconosciuto colpevole, reo di aver rubato un torello ad un contadino35.
Nel 1950, a seguito degli accordi tra il nuovo ambasciatore italiano a Mosca, Manlio Brosio, e il viceministro degli esteri russo Zorin, le autorità* sovietiche disposero il rilascio di sedici prigionieri di guerra italiani, tra i quali i tre generali36.
Rimanevano dunque in Unione Sovietica undici italiani, di cui sette (don Brevi, Reginato, Magnani, Russo, Massa, Zigiotti e Joli) non ancora condannati; per essi si stavano preparando dei processi farsa, come ha ricordato uno degli imputati, il maggiore Massa:
I processi in Russia si svolgono al contrario che da noi. Prima si stabilisce la condanna, poi si definiscono i reati, poi si cercano i testimoni e finalmente si chiamano gli imputati.37
I processi si conclusero con condanne che variavano dai dieci ai venticinque anni di reclusione; don Giovanni Brevi venne condannato a dieci anni per aver promosso uno sciopero della fame38.
Il tenente medico Enrico Reginato presentò un ricorso che così recitava:
Io sono stato circa un mese in territorio sovietico durante la guerra, e otto anni in prigionia. Durante quel mese non ho commesso nessun reato e durante gli otto anni di prigionia ho quasi sempre lavorato in collaborazione con i medici sovietici dedicando tutte le mie energie e competenze nel curare i prigionieri di guerra e renderli idonei al lavoro e alla ricostruzione. (...) Mi attendo pertanto dal supremo collegio la decisione per la mia libertà* e il rimpatrio che da otto anni ansiosamente attendo (...)39
Reginato venne invece condannato a vent`anni di reclusione, riconosciuto colpevole di stupro, di aver assistito alla fucilazione di cittadini sovietici, di aver costretto alla prostituzione alcune donne e di aver procurato "mortalità* di massa" in un orfanotrofio40.
Le motivazioni delle condanne sono simili per tutti e rendono bene l`idea della falsità* dei processi, frutto di false testimonianze e delle delazioni dei commissari politici.
Per gli undici reclusi nelle carceri sovietiche l`anno di svolta fu il 1953, che vide, con la morte di Stalin, un cambiamento della politica estera sovietica, la decisione di rivedere le condanne nei confronti dei prigionieri di guerra e, quindi, la scarcerazione degli undici italiani41; tra il gennaio e il febbraio `54, dopo dodici anni di prigionia, gli undici furono rimpatriati.
29Francesco Bigazzi - Eugenij Zhirnov, "Gli ultimi 28", Milano, Mondatori, 2002, p.93
30Ivi,p.94
31Ivi,p.96
32I. Emett, "Nicevò...", p.134
33Testimonianza di don Bertoldi, in M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.184
34F. Bigazzi – E. Zhirnov, "Gli ultimi 28",p.124
35Ivi, p.145
36Ivi,p.139
37Testimonianza di Alberto Massa Gallucci, in L. Vaglica, "I prigionieri...", p.291
38Ivi, p.294
39F. Bigazzi – E. Zhirnov, "Gli ultimi 28",p.165
40Ivi,p.143
41M.T. Giusti, "I prigionieri...", pp.186-187
Re: L'ARMIR nei campi di prigionia di Russia
5.Il processo D`Onofrio
Nella primavera 1948 apparve un opuscolo, "Russia", curato dall`UNIRR, il quale conteneva pesanti accuse nei confronti del commissario politico D`Onofrio, reo, secondo gli accusatori, delle seguenti colpe:
D`Onofrio durante la sua permanenza nei campi di concentramento di Oranki e di Skit:
1. Assistito dal Fiamminghi e alla presenza di un ufficiale della NKVD ha sottoposto ad estenuanti interrogatori dei prigionieri italiani detenuti in quei campi;
2. non si trattava di semplici conversazioni politiche come ipocritamente il D`Onofrio vorrebbe far credere, ma di veri e propri interrogatori di carattere politico che spesso duravano delle ore e durante i quali veniva messo a verbale quanto il prigioniero rispondeva;
3. immediatamente dopo la visita di D`Onofrio in quel campo, alcuni dei prigionieri italiani che in quei giorni erano stati sottoposti ad interrogatorio, furono allontanati e rinchiusi in campi di punizione e ancora oggi alcuni sono trattenuti nei campi di concentramento di Kiev;
4. simili procedimenti avevano il duplice scopo di far crollare prima con lusinghe e poi con esplicite minacce (non ritornerete a casa; lei non conosce la Siberia? Allusioni alla famiglia, carcere e simili) la resistenza fisica e morale di questi uomini ridotti dalla fame, dalle malattie, dai maltrattamenti a cadaveri viventi e guadagnare l`adesione degli altri prigionieri intimoriti dall`esempio e della sorte toccata a questi.42
L`accusa era firmata da Ivo Emett, Luigi Avalli e Domenico Dal Toso; inoltre, nell`ultima pagina dell`opuscolo, in una sorta di appello finale, le accuse verso i fuoriusciti venivano così riproposte:
80.000 martiri dei campi di concentramento russi
8.000 scampati accusano e denunciano
D`Onofrio- Robotti- Gottardi (Rizzoli)- Ossola- Fiammenghi- Cocchi-Torre (una donna)-Roncato
Italiani!
Questi rinnegati, postisi al servizio della polizia sovietica e diretti da Togliatti, furono i commissari politici, gli aguzzini nostri nei campi di concentramento sovietici. Evitiamo che essi diventino i commissari politici, gli aguzzini nel grande campo di concentramento che diverrebbe l`Italia.43
Simili imputazioni, apparse nell`infuocato clima politico precedente le elezioni del 18 aprile `48,
convinsero D`Onofrio a sporgere denuncia per diffamazione nei confronti dei tre reduci firmatari l`articolo, il direttore della rivista Ugo Graioni e il redattore responsabile Giorgio Pittaluga44.
Arrivavano così in un tribunale italiano le contrapposizioni ideologiche, le diverse versioni dei reduci sulla prigionia e con quelle tensioni che avevano caratterizzato la reclusione e il rimpatrio.
Il processo iniziò il 16 maggio `4945 e dalle deposizioni dei testimoni (una cinquantina) emersero due versioni completamente differenti: la prima era quella dei testi portati dall`accusa (gran parte dei quali ex collaboratori de "L`Alba"), dalla quale emergeva il buon trattamento riservato loro dai russi e l`aiuto fornito dai propagandisti ai prigionieri; la seconda era quella dei testi della difesa, nella quale la fame, il freddo e la morte di migliaia di prigionieri erano elemento caratterizzante.
Dopo 33 udienze, nelle quali gli avvocati della difesa dichiararono che "le accuse al senatore comunista hanno offeso tutto il movimento della resistenza"46 e quelli della difesa che "questo è il processo dell`Italia contro gli antitaliani"47, il 22 luglio `49 si arrivò alla seguente sentenza:
Visti gli articoli 479 e 482 del C.P.P. e l`art.5 D.L.L. 14.9.1944, il tribunale ASSOLVE gli imputati Luigi Avalli, Domenico Dal Toso, Ivo Emett, Giorgio Pittaluga, Ugo Graioni dal reato di diffamazione loro ascritto in ordine ai fatti specificati nell`opuscolo "Russia" essendo provata la verità* dei fatti stessi (...). Condanna inoltre il querelante sen Edoardo D`Onofrio al pagamento delle spese processuali.48
I querelati chiesero di devolvere i tre milioni di lire cui ammontavano le spese al ministero della Difesa, affinché li utilizzasse a favore delle famiglie dei militari ancora trattenuti nei campi sovietici.49
42I. Emett, "Nicevò...", p.204
43Ivi, p.206
44Alessandro Frigerio, "Reduci alla sbarra",Milano, Mursia, 2006,p.55
45Ivi,p.73
46Ivi,p.125
47Ivi,p.135
48I. Emett, "Nicevò...", p.207
49A. Frigerio, "Reduci alla sbarra", p.148