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Prigionieri di guerra Italiani 2^GM
non ricordo in quale topic si parlava del campo di Coltano,questo documento è relativo al rilascio di un ex appartemente alla I BB.NN BENIT MUSS internato dopo la cattura 8 maggio 45 e rilasciato con questo documento se volete posto altri reperti di costui ciao leon
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http://www.milistory.net/Public/data...0321594_85.jpg
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Certo[:P] posta posta.
Ciao
Giovanni
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se ne era parlato in un mio topic dove mostrai una tuta da PoW, ma non lo trovo più[}:)]
cmq non c'è bisogno di chiederlo posta! posta!
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processo al tribibunale per i fascisti pericolosi
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http://www.milistory.net/Public/data...1121539_83.jpg
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dopo coltano tombolo ecco il filo spinato di tombolo
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http://www.milistory.net/Public/data...%20tombolo.JPG
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Italiani prigionieri di guerra
Come voi tutti sapete amici allo scoccare dell'8 settembre 1943 esistevano migliaia di soldati prigionieri degli Alleati sui vari fronti di guerra. Visto che ho solo qualche rara traccia di come vennero informati del fatto e della scelta di cobelligeranza, sarei molto grato a chiunque potesse darmi notizie o suggerire testi da leggere in merito (parlo di prigionieri sia degli anglo/americani che dei russi).
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Re: Italiani prigionieri di guerra
Vedo che il post viene abbastanza visto; non c'è proprio nessuno che si vuole "esporre" e dire qualcosa o suggerire testi in merito?
Non è prevista la fucilazione alla schiena ! [916
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Re: Italiani prigionieri di guerra
Ciao Sven allo scopo di evitare la fucilazione [icon_246 in questi giorni ho cercato tra il mio cartaceo e ho trovato due vecchie pubblicazioni dove si parla dei nostri prigionieri di guerra in Algeria e in America e all'interno di questi ho trovato dei titoli di libri su questo argomento.
Titoli: Fame in America di Armando Boscolo (libro molto vecchio), Prigionieri nel Texas di Gaetano Tumiati, I prigionieri di guerra italiani 1940-1945 di Flavio Giovanni Conti Ed. Il mulino, Bologna 1986, Vita di prigionia da Trieste a Danzica 1943-1945, anche questi ultimi sono di una ventina di anni fa.
Sicuramente nel frattempo saranno usciti altri libri con edizioni più recenti.
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Re: Italiani prigionieri di guerra
Ciao Sven
non ho documentazioni che parlano di questo, ma per quanto ne so i Russi non hanno dato possibilità* di scelta ai prigioneri e mi risulta che molti sono stati liberati negli anni 50(chi è sopravvisuto ai campi di prigionia in Siberia).
Sicuramente gli americani hanno arruolato prigionieri di guerra e penso anche gli inglesi.
Se trovi documenti posta....grazie
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Re: Italiani prigionieri di guerra
l'altra sera in t su rai ho visto un documentario su la strage di s.anna ed i tedeschi responsabili della strage furono catturati quasi tutti.
arrivo al dunque..
dopo la fine della guerra ci fu' un condono mondiale da parte degli americani russi ed inglesi per tutte le stragi ed efferati omicidi per tutti i prigionieri come soldati semplici e criminali di guerra e vennero liberati per far fronte ad un qualcosa a noi segreto ed arruolati nelle varie file occupanti.....se avete fastweb guardate il documentario che parla sia della strage che delle liberazioni di vario genere dopo la guerra.
a presto
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Re: Italiani prigionieri di guerra
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Re: Italiani prigionieri di guerra
Bene dopo gli aiuti di Cocis e Alpino. oltre alle chiacchiere personali fatte a Ferrara, possiamo dire di avere trovato documentazione sul trattamento sei prigionieri nei campi americani in Africa ed USA, in quelli inglesi in Nordafrica e Inghilterra e in Russia. Rimane una certa "nebbia" sugli altri campi inglesi nelle colonie (Sudafrica, India, etc).
Nessun altro amico del forum ha materiale o anche solo esperienze raccontate da qualche reduce in merito
?
Come sempre fin d'ora un grazie a tutti per la collaborazione.
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Re: Italiani prigionieri di guerra
Potrei parlarti della mia prigionia tra le mure domestiche, in compagnia di tre donne, una gatta e un gatto che non ce l'ha più.... [17
A parte tutto, ti avevo inviato qualcosa in MP, non so se poi sei riuscito a crearti altri collegamenti.
Saluti
Currà
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Re: Italiani prigionieri di guerra
ciao sven
ho trovato on line questo articolo della gazzetta del sud africa tratto dall'avvenire che parla dei campi di prigionia in sud africa.
Devo dire che a questo topic va più di un plauso perchè leggendo queste cose si capisce il dramma patito da molti e che non sempre il fatto di essere stato fatto prigioniero significava ritorno a casa e fine dei dolori.
per non parlare dei prigionieri finiti in germania dopo l'8 settembre.
La Gazzetta del Sud Africa
Sabato, 10 Novembre 2007
Dalle pagine dell`Avvenire: La storia «dimenticata» dei 100mila italiani rinchiusi in Sud Africa, di Claudio Monici
Riprendiamo dal quotidiano Avvenire di mercoledì 7 novembre 2007:
Nel febbraio 1941 era un campo di tende strapazzate dal vento, con guardie armate che non esitavano a sparare sui prigionieri quando si avvicinavano al filo spinato. Sorgeva in una località il cui nome significa «Senza acqua», una quarantina di chilometri a Est di Pretoria. Poi, con il passare del tempo e un nuovo comandante, vide sorgere al suo interno trenta chilometri di strade, una quindicina di scuole, un ospedale che trattava 11mila casi l`anno, venticinque campi di calcio, palestre e ring per la boxe. Laboratori e spacci, orchestra sinfonica e di ottoni, manifestazioni culturali, compresa la pubblicazione di qualche migliaio di libri didattici e di un settimanale, Tra i reticolati.
Ma anche un piccolo cimitero che dal febbraio 1947, quando questa «città reticolata» venne finalmente chiusa dopo la firma della pace e la riconsegna dei prigionieri di guerra, ogni 4 novembre, festa delle Forze armate, è meta di pellegrinaggio, preghiera e commozione della comunità italiana in Sudafrica. «Per ricordare gli italiani sepolti con onore in Sudafrica – dice Emilio Coccia, presidente dell`Associazione ex prigionieri di guerra Zonderwater –. Italiani che il destino ha voluto strappare alle famiglie lontane e mai più riabbracciate». «Pow», in inglese; «P.d.g», in italiano. Acronimi che stanno per «prigionieri di guerra». Nel Secondo conflitto mondiale, furono 522mila i nostri militari catturati dagli anglo-americani; circa 600mila quelli rinchiusi dai tedeschi; almeno 80mila (o forse molti di più) quelli finiti nei campi sovietici.
Zonderwater con i suoi 97mila prigionieri, è un ampio frammento di quella storia, essendo stato il più grande campo di concentramento per soldati italiani costruito dai britannici. In Sudafrica, era uno dei diciotto campi di prigionia, per una totale di 120mila «p.d.g». Sessantasei anni fa la deportazione dei primi militari italiani, che pur facendosi onore in battaglia furono fatti prigionieri sui fronti africani, da El Alamein alle trincee d`Etiopia. Feriti, ammalati, affamati, vennero rinchiusi nelle stive delle navi nemiche sbarcate al porto di Durban. Oggi, a memoria di quei nostri uomini, sventola il tricolore su tre cimiteri militari italiani dove riposano 437 caduti. A Zonderwater sono 252 le croci bianche a spiccare sul prato verde, accanto al museo con i cimeli e le storie di molti di quegli uomini che il tempo ormai si è portato via. Sono strani i percorsi del destino. Allora la guerra divideva le nazioni, mentre oggi il comandante dell`Aeronautica militare sudafricana è di origine italiana: il tenente generale Carlo Gagiano, di genitori elbani. Di sangue italiano è anche il maresciallo generale Mario Brazzoli, figlio di un ex prigioniero in Sudafrica.
Il generale Gagiano rispolvera la memoria di quei «Pow» di sessantasei anni fa, davanti a una manciata di sopravvissuti, e le delegazioni venute dall`Italia, guidate dal viceministro per gli Affari esteri Franco Danieli. Sono ancora capaci di stare sull`attenti i reduci, nonostante l`età . Come l`artigliere Giuseppe Rancati, 91 anni, catturato in Egitto; il carabiniere paracadutista Vittorio Pieri, 88 anni, fatto prigioniero a Tobruk; e il fante – «quelli che morivano di sete a El Alamein» – Angelo Polita, 87 anni, catturato nel 1942. Proprio qui, su questo splendido prato baciato da un caldo sole africano, ombreggiato dalle palme, hanno trascorso in prigionia cinque anni della loro gioventù.
«Quando aprirono Zonderwater i «Pow» vivevano in tende da otto, con servizi insufficienti, cucine all`aperto e scarsa assistenza medica – ricorda il generale Gagiano –. Le cose cambiarono nel 1943, con l`arrivo del nuovo comandante, il colonnello Hendrik Prinsloo. Combinando disciplina a mitezza, permettendo anche regolari visite dell`arcivescovo, Prinsloo riuscì a risollevare il morale e l`autostima dei prigionieri. Circa 9000 di loro, che entrarono nel campo da analfabeti, il giorno della liberazione sapevano leggere e scrivere. E tanti impararono anche un lavoro, lasciando testimonianze delle loro capacità in migliaia di opere che oggi sono parte integrante del patrimonio del Sudafrica». In segno di riconoscenza, il colonnello Prinsloo venne insignito dell`«Ordine della stella d`Italia».
«Zonderwater, come Robben island (l`isola prigione di Nelson Mandela), simboleggia il trionfo dello spirito umano pur costretto in circostanze estreme e difficili», sottolinea il generale Gagiano. Se ora si sa quasi tutto di quegli anni, si deve alla caparbietà del presidente dell`«Associazione ex prigionieri», l`imprenditore Emilio Coccia, in Sudafrica da 37 anni. Nove anni fa, con l`aiuto del governo locale, ha avviato una certosina ricerca negli archivi militari per tracciate il profilo e la storia di tutti i deportati. Schede mediche, tessere anagrafiche, microfilm e autopsie. «La ragione di questo impegno – dice – sta nel fatto che sono appassionato di storia, ma anche della verità . E verità vuol dire onorare chi è caduto per la patria, il senso del dovere dei nostri padri e dei nostri nonni. Ritengo un obbligo tenere viva la memoria di chi è morto e di chi ha sofferto nel periodo buio della prigionia». Ma c`è anche altro. Dagli Stati Uniti all`Australia, in molti chiedono notizie degli italiani di Zonderwater: «Sono le famiglie degli ex internati che desiderano ricostruire quel periodo buio dei loro congiunti – spiega Coccia –. Ma ci sono anche figli e figlie nati durante la prigionia a chiedere notizie. Erano giovani i nostri soldati ed erano in tanti coloro che, con il permesso di Prinsloo, potevano lavorare fuori del campo, nelle aziende agricole.
Furono però soltanto 800 ad avere l`autorizzazione, a guerra finita, di stabilirsi in Sudafrica. Tutti gli altri tornarono in Italia, lasciando qui qualche fidanzata. Con il nostro lavoro, siamo riusciti a riunire fratelli che non si sono mai conosciuti. Ma anche anziani padri che negli ultimi anni della loro vita hanno potuto riabbracciare i figli sudafricani».
L`opera di Emilio Coccia, che ha compilato quasi centomila schede, è «l`unica documentazione esistente» sulla storia dei prigionieri italiani in Sudafrica. Un`attività che ha i suoi costi e che il governo italiano sostiene con 12mila euro l`anno: «Ma senza le donazioni private, non siamo in grado di andare avanti. Nel cimitero di Zonderwater capita che vengono rubate le targhe di bronzo con i nomi dei caduti. Abbiamo dovuto mettere i cani di notte, inferriate e recinzioni elettrificate al museo». «Credo che si debba tenere viva la memoria di Zonderwater e degli altri cimiteri di guerra italiani in Sudafrica – conclude –. Sono storie di uomini. Anche se quelli che sono potuti tornare in patria si sono sentiti discriminati perché perdenti . Ma vanno ricordate anche tragedie come quella della nave inglese 'Laconia', silurata sessantacinque anni fa nell`Oceano Altantico. Affondò con 1.400 prigionieri italiani. L`ordine tassativo e inumano del comandante della scorta ai prigionieri – 'non aprire le celle' – li condannò a una morte orribile.
E da commemorare sono i 118 italiani che perirono nell`esplosione della nave 'Nova Scotia', i cui resti sono sepolti in due tombe comuni a Durban. Sacrifici per la patria, che hanno lasciato però il segno nella storia di questa nazione così lontana». Due cimiteri accolgono i resti dei soldati sudafricani che hanno combattuto e sono morti in Italia: si trovano a Castiglione dei Pepoli e Bolsena. Il dolore e l`orrore della guerra non hanno confini e non possono essere dimenticati.
Quando nel dicembre 1944, profilandosi la fine delle ostilità , il governo Bonomi cominciò ad elaborare i piani per il rimpatrio dei prigionieri di guerra si capì che per scongiurare le conseguenze di un ritorno caotico occorrevano misure drastiche. L`Italia stremata disponeva di risorse scarsissime, i trasporti erano inesistenti e l`emergenza abitativa drammatica a seguito dei bombardamenti. Si optò per rientri a intervalli regolari e a scaglioni limitati, meglio gestibili e controllabili. Per questa ragione molti soldati catturati dalle forze alleate tornarono a casa quando la guerra era finita da mesi, se non da un anno e più. Di fronte alla marea dei 522.174 prigionieri degli Anglo-americani censiti per difetto dal generale Pietro Gazzera incaricato nell`aprile `44 dal maresciallo Badoglio (di essi, oltre 50mila erano nei campi di concentramento al di là dell`oceano, sul territorio degli Stati Uniti), non fu possibile agire diversamente. I primi costretti ad arrendersi agli Inglesi erano stati i combattenti dell`Africa orientale, Eritrea, Somalia, Etiopia.
L`effimero impero di Mussolini cessò di esistere con la capitolazione del vicerè Amedeo di Aosta il 17 maggio 1941, anche se tentativi di resistenza continuarono fino a novembre. Centomila prigionieri finirono così nei campi allestiti in Kenia, in Sud Africa e perfino in India. Il duca d`Aosta morì prigioniero di guerra a Nairobi il 3 marzo 1942. Oltre ai militari catturati sul suolo italiano prima dell`armistizio, ad accrescere enormemente il numero dei prigionieri degli Alleati fu il disastro in Africa settentrionale, la perdita della Libia, l`arretramento fino alla Tunisia, la resa delle forze dell`Asse ai britannici, agli americani e ai francesi di De Gaulle nel 1943. Nella sola ritirata da El Alamein (novembre `42) i prigionieri italiani furono 16mila. A fine guerra rientreranno complessivamente in 410mila da parte inglese, 125mila da parte americana, 37mila da parte francese.
Dopo la pubblicazione dell`armistizio tra Regno d`Italia e Alleati (firmato a Cassibile il 3 settembre 1943, ma reso noto la sera dell`8) le Forze armate italiane, fino a quel momento alleate dei tedeschi, furono considerate nemiche dai nazisti. Quasi 700mila nostri soldati finirono prigionieri e deportati in Germania. Pochi coloro che, aderendo alla Repubblica sociale di Mussolini, accettarono di essere inquadrati nelle formazioni fasciste. La cattura degli italiani avvenne sia sul territorio nazionale, sia in Grecia, nell`Egeo, nei Balcani. Singolare e penosissimo il destino di questi militari, vittime di infinite umiliazioni e di un declassamento agli ultimi gradini di una scala definita in base a criteri politici, economici e razziali. Dapprima considerati prigionieri di guerra, con la nascita della Rsi vengono classificati come internati militari. Dall`autunno del `44 diventeranno «lavoratori civili», largamente utilizzati dall`apparato economico tedesco. A guerra finita, nei campi di transito in vista del rientro vennero registrati 635.132 militari internati italiani.
Presentare cifre esaustive rispetto al dramma dei prigionieri di guerra italiani catturati dall`Armata rossa è ancora oggi impresa proibitiva. Di certo si può dire che furono necessarie 700 tradotte per trasferire gli uomini del Csir (Corpo di spedizione italiano in Russia) e poi dell`Armir (Armata italiana in Russia) sul fronte orientale. Per rimpatriare i superstiti dopo l`epica ritirata del 1943 di tradotte ne bastarono 17. Quanti i prigionieri dei sovietici che affrontarono un calvario inenarrabile che spesso si concludeva con la morte, sia nei campi al di qua degli Urali sia in quelli disseminati in pieno territorio siberiano? Forse 80mila secondo alcune fonti, forse 60mila secondo altre. Al ministero della Difesa esiste un archivio con i nomi di 90mila militari che non sono tornati dalle steppe, ma l`elenco comprende anche i dispersi. Quello che è sicuro è che a tornare dalla prigionia sono stati poco più di 10mila sopravvissuti alla fame e agli stenti. Gli ultimi furono rimpatriati (via Vienna) solo nel febbraio del 1954.
Antonio Giorgi
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Re: Italiani prigionieri di guerra
http://www.anpi.it/patria_2003/08-03/44 ... rtoldi.pdf
http://digilander.libero.it/avantisavoi ... 0India.htm
questi sono siti che parlano della prigionia all'ombra dell'Hymalaya.
basta mettere su google "prigioniero in india ed escono questi articoli, ma per il primo chiedono di essere autorizzati per la pubblicazione.
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Re: Italiani prigionieri di guerra
Ti ringrazio per la notevole ricerca effettuata e le interessanti notizie da te messe a conoscenza di noi tutti. [264
Quale modo migliore di onorare i nostri caduti del ricordarne il valore e l'esistenza?
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Re: Italiani prigionieri di guerra
Breve frammento della storia di mio zio. Non avendo l'età* si arruola nel reggimento "GG.FF." e parte per l'Africa. Dopo Bir El Gobi viene catturato e consegnato ai francesi che letteralmente a calci nel c... lo spingono a piedi fino in Tunisia o in Algeria dove viene dato in carico a una fattoria dove è sempre stato ben trattato e soprattutto sfamato e curato della malaria. Probabilmente sarà* anche stato avvisato dell'armistizio, ma comunque ha dovuto prestare manodopera agricola semigratuita credo fino al 1946.
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Re: Italiani prigionieri di guerra
Aggiungo quanto compare sull'Alpino di ottobre sulla storia del tenente Giovanni Corsini che con altri 4 ufficiali fuggì dal campo di Eldoret in Kenia fino al Mozambico travestito da ufficiale inglese approfittando delle sue caratteristiche fisiche e dell'ottima conoscenza della lingua inglese. La storia completa è raccontata nel libro "lunga fuga verso il sud" edito da Mursia (che sull'articolo danno per introvabile).
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Allegati: 2
interessanti...P.O.W.
Sfrutto la segnalazione nell'apposita sezione.
ARCHIVI LIFE
Ho trovato questa, interessante per il colore, per le mostrine e per le tenute, in particolare la sahariana con controspalline semifisse.
I copricapo sembrano distribuiti senza fregio.
ciao
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Re: interessanti...P.O.W.
Interessante, a quale stammlager appartengono i prigionieri nelle foto?
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Re: interessanti...P.O.W.
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Re: interessanti...P.O.W.
Stupende queste due immagini [264
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Re: interessanti...P.O.W.
Brother where it could be this place?
Fratello dove potrebbe essere questo posto?
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Re: interessanti...P.O.W.
Immagini molto belle e interessanti
[00016009
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Re: Italiani prigionieri di guerra
Sui prigionieri di guerra (POW) ci sono molti libri. Mio padre, ufficiale della Milizia, restò in INDIA fino a fine '46 nel campo 25.
Ti garantisco che avere notizie e racconti è stato molto difficile.
Come libri ti suggerisco:
"FASCIT CRIMINAL CAMP" di Beppe Pegolotti
"LA REPUBBLICA FASCITA DELL'HIMALAYA" di Leonida Fazi
"YOL CAMPO 25" di Alfonso del Guercio
"I DIMENTICATI" di Ferdinando Bersani
"AMERICA DOLCE E AMARA" di Ricciotti Bornia
Nel caso ti interessi, ho altri titolo da suggerirti.
Ciao, Giovanni
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Re: Italiani prigionieri di guerra
Tesserino di mio suocero prigioniero dal 1942 al 1946 degli americani,
ciao
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Re: Italiani prigionieri di guerra
Ciao, non trovavo questa foto e posto il retro del documento.
Mio suocero è quello a sinistra con una divisa penso di fattura americana,
spesso guardando film sui campi di concentramento tedeschi commentava che a
parte le baracche di legno (gli Americani davano tende) il trattamento era lo stesso.
Dopo qualche anno siccome era autiere lavorò con loro.
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Re: Italiani prigionieri di guerra
Ciao a tutti!
vi racconto di un mio zio:
artigliere, fatto prigioniero dagli inglesi agli inizi in nord Africa.
Venne inviato in prigionia in Inghilterra, per uscire dal campo accettò di lavorare in una fabbrica ceh produceva non quali pezzi per gli hurricane.
Dopo un pò di tempo fù "accolto" in una famiglia, e da quella casa entrava ed usciva come fosse uno di famiglia.
....... e da qualche parte in Inghilterra ho anche un cugino [argh ..... in quanto la figlia dei padroni di casa non resistette al fascino di mio zio [23 ....un cristianone alto 1,80 e da giovane moolto sciupafemmine [264
Il racconto di come avvenne la cattura: la colonna in marcia, vengono avvistate blindo inglesi, il tempo di fermarsi e tentare di sganciare i pezzi........ li avevano già* addosso con le armi spianate!
Il racconto di come optò per il lavoro: il campo era freddo, umido, era maturata in lui la convinzione che la guerra sarebbe stata moolto lunga, e che avrebbe fatto meglio a pensare a se stesso, tanto valeva stare un pò più comodi!
Mi raccontò anche de i da lui definiti fascistoni, che preferirono rimanere nel campo piuttosto che lavorare per il nemico.
Ciao!
Ivano
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Re: interessanti...P.O.W.
Citazione:
Originariamente Scritto da Blaster Twins
Brother where it could be this place?
Niente Stammlager.. ritengo che si tratti della Tunisia o addirittura della Sicilia Occidentale..
molti militari ritratti appartengono ai mitraglieri, interessante una delle tante varianti della mostrina sul bavero della giubba di foggia sahariana un soldato in pp nella prima foto..
Bellissime foto!
:P
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Re: interessanti...P.O.W.
Le foto sono state scattate in Tunisia dopo la resa dell'armata italo/tedesca. Ho salvato un centinaio di bellissime foto in qualche cartella...sono eccezionalmente belle con un sacco di foto con mezzi abbandonati, aerei distrutti, Tigre in demolizione ecc..ecc....se le trovo magari ne posto...
Un saluto
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L'ARMIR nei campi di prigionia di Russia
A vostra disposizione il mio lavoretto.Manca l'introduzione-al momento non disponibile- che comunque non è altro che un riassunto di ciò che portò alla disfatta l'armata italiana.
Buona lettura
Capitolo primo
Dalla cattura all`internamento
1.La cattura
Il decreto n° 1798-800 emanato il1°luglio 1941 dal Consiglio dei commissari del popolo (Snk) vietava di:
a- Offendere i prigionieri e avere nei loro confronti un comportamento violento.
b- Prendere nei confronti dei prigionieri di guerra misure di coercizione e di minaccia per ottenere da loro informazioni sulla condizione del loro paese in ambito militare o in altri campi;
c- Confiscare ai prigionieri di guerra la divisa, la biancheria, le scarpe e altri oggetti di uso personale, come anche documenti personali o elementi di riconoscimento. Possono essere tolti ai prigionieri soldi e oggetti di valore per custodia e dietro rilascio di una ricevuta da parte dei funzionari competenti1.
Dalle testimonianze dei reduci si evince come queste disposizioni venissero abitualmente violate dai soldati russi:
Ci sono due mongoli che frugano nelle tasche a due militari per volta; vedo una certa animazione contro coloro che stanno perquisendo, sento uno sparo e vedo cadere il prigioniero assoggettato alla perquisizione. Chissà* perché l`hanno ucciso? (...) si sente un altro sparo, vedo un altro cadere a terra. (...) man mano che la fila si avvicina al punto di controllo mi accorgo che i mongoli sono ubriachi2.
Alla perquisizione venivano sottoposti tutti i militari che si arrendevano e, alla requisizione di oggetti di valore , talvolta si aggiungeva quella di vestiario e scarponi e ciò, considerando le temperature dell`inverno russo, equivaleva spesso ad una condanna a morte.
(...) mi gridarono: "Davai casij", fuori l`orologio! Me lo strapparono dal polso osservandolo con avidità*. (...) Seppi poi che "davai casij" erano state le prime parole russe ascoltate da tutti i prigionieri (...) In seguito mi tolsero anche i valenki e la sciapka una sorta di berretto di pelo che mi aveva cucito alla meglio una donna russa3.
1Decreto del snk dell`Urss n.1798-800 sulla definizione dello stato di prigioniero di guerra, 1°luglio 1941, in M.T. Giusti, "I prigionieri italiani in Russia", pp.33-34
2Luigi Venturini, "La fame dei vinti", Udine, Gaspari editore, 2003,pp.23-24
3Ivo Emett, "Nicevò...verranno tempi migliori", Pordenone, Grigoletti, 1994,p.97
Non mancavano poi episodi di crudeltà* e di esecuzioni di massa, rivolti soprattutto contro feriti e soldati tedeschi:
A valuiki il 19 gennaio 1943, dei 45 uomini del Comando del 61° Autogruppo, all`arrivo nel paese delle orde cosacche solo una decina riuscirono a sganciarsi e a ritarsi su Charkov. Circa 30, tra cui il maggiore comandante del gruppo, furono catturati dai cosacchi, quindi spogliati e fucilati presso i loro automezzi. Gli altri cinque, fra cui il sottoscritto, assistettero dalla finestra al massacro e verso sera furono catturati da carristi4.
La sera, in una sosta, fummo catturati da reparti di fanteria e carri armati. Immediatamente i feriti e gli ammalati gravi, circa 150, furono fatti scendere dagli autocarri, ammassati presso una capanna e trucidati (prima mitragliati, poi schiacciati dai carri armati). Successivamente i soldati russi, entrati in un`isba dove si trovavano una ventina tra soldati e ufficiali gravemente feriti o congelati, li massacrarono e infine diedero fuoco all`isba stessa5.
Un ufficiale russo richiama la nostra attenzione invitandoci a guardare sulla neve vicino al reticolato. Lo spettacolo che si presenta è orribile: nella neve si allunga una fila di corpi nudi, ingialliti dal congelamento, legati a dei paletti che li
crocifiggono con le braccia e le gambe allargate.
"Questi – grida l`ufficiale – sono nazisti che hanno osato fuggire. Chi di voi tenterà* di fuggire farà* la stessa fine."6
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Re: L'ARMIR nei campi di prigionia di Russia
2.Le marce del "davaj" e i trasferimenti in treno.
Dopo l`operazione "Piccolo Saturno" l`Armata Rossa si trovò a dover gestire centinaia di migliaia di prigionieri tedeschi, italiani, ungheresi e romeni che andavano trasferiti dalla zona delle operazioni verso l`interno nel più breve tempo possibile.
Per questo motivo i prigionieri vennero costretti a intraprendere marce forzate per raggiungere le stazioni ferroviarie; queste marce, note come marce del davaj (poiché la parola "davaj", cioè "avanti", veniva continuamente urlata dalla scorta), si protrassero dai 7 ai 25 giorni e vennero effettuate con qualsiasi condizione atmosferica e nella totale indifferenza nei confronti della sorte dei prigionieri,spesso lasciati dormire allo scoperto e riforniti di cibo solo saltuariamente ed in quantità* limitate7.
Catturato a Valuiki il 28.1.1943 nella zona del Don e portato al campo di Krinovaia, con oltre 20 giorni di marcia nelle condizioni più disperate, senza vitto sufficiente, con 40° di freddo, buttati di notte in capannoni diroccati. Durante le marce di trasferimento, nella mia colonna sono morti per stenti e freddo o uccisi appositamente dai partigiani russi che ci accompagnavano, un 70% dei prigionieri8.
4Testimonianza di Giannetto Palmas, in "Russia", a cura dell`Unirr, 1948, num.unico
5Testimonianza di Mario Pedroni, in Nuto Revelli, "La strada del davaj",Einaudi,Torino, 1966,p.70
6L.Venturini, "La fame dei vinti",p.25
7M.T. Giusti, "I prigionieri italiani in Russia", pp. 37-38
8Testimonianza del tenente Silvio Sala, Ibidem
I prigionieri italiani e croati della colonna con me catturata, furono inviati a piedi. (...) La marcia di trasferimento sino alla stazione ferroviaria di Mikajlovka, durò esattamente dal 22.12.42 al 10.1.43; i soldati ricevettero nutrimento due volte in tutto (una zuppa di bucce di patate ed una di grano, non pane); essi venivano alloggiati la notte in scuole o pagliai, ma la più parte delle volte all`addiaccio9.
La stanchezza, la fame ed i congelamenti misero molti uomini nell`impossibilità* di continuare la marcia e vennero perciò abbattuti.
Ad un tratto uno dei prigionieri cade e la scorta sollecita il poveretto ad alzarsi con le armi puntate. Il gruppo si attarda ma il malcapitato non si alza: uno sparo e il corpo è sospinto ai lati della pista. à? tremendo! Ora mi spiego i continui colpi che sentivamo in coda:chi cade e non si rialza è eliminato!10
Come al momento della cattura anche durante le marce si verificarono episodi di crudeltà*.
Di tratto in tratto, autoblindi e carri armati ci venivano incontro. Alcuni passavano sferragliando senza che i soldati si girassero dalla nostra parte; da altri partivano invece verso di noi ingiurie e raffiche di mitragliatrici. Non si capiva perché sparassero. Gli uomini colpiti cadevano l`uno sull`altro o si rovesciavano sul bordo della strada.11
Eravamo affamati e sfiniti oltre ogni limite. Durante una breve pausa vedemmo una guardia estrarre delle grosse pagnotte di pane nero e grossi pezzi di lardo.(...) Guardammo attoniti ed avidi gli uomini che mangiavano. I carcerieri se ne accorsero e ridendo ci fecero capire che dovevamo fare una gara. A un centinaio di metri di distanza appesero al ramo di un albero una pagnotta con del lardo incitandoci a raggiungerlo di corsa. Il primo che fosse arrivato avrebbe avuto il diritto di mangiarsi quel ben di Dio. I più, forse increduli o sfiniti, non si mossero, ma alcuni, raccogliendo le ultime forze, si lanciarono pieni di speranza. Quando furono a una cinquantina di metri vennero spietatamente abbattuti a fucilate tra le risa sguaiate dei guardiani, che mostravano di divertirsi tantissimo.12
Vanno però ricordate, in questo quadro di orrori e condizioni disumane, la generosità* e il coraggio di molte famiglie ucraine che, sfidando le possibili reazioni dei soldati della scorta, dividevano il loro cibo con i prigionieri permettendo così a molti di loro di sopravvivere.
Nessuna distribuzione di viveri venne fatta ai prigionieri. Soltanto attraversando i villaggi si riusciva ad avere qualche
9Testimonianza del tenente medico Temistocle Pallavicini, Ibidem
10L. Venturini, "La fame dei vinti", p.39
11Alberto Massa Gallucci, "No! Dodici anni prigioniero in Russia",p.51
12I. Emett, "Nicevò...verranno tempi migliori",p.99
tozzo di pane dalla popolazione civile che dimostrò molta comprensione e generosità* verso i prigionieri.13
Non dimenticherò mai il cuore di quella gente! Perché la popolazione ucraina e quella vicina al fronte , ama gli italiani. Questa gente ci conosce, sa che non l`abbiamo maltrattata.(...) Ed oggi di fronte alla nostra miseria ed alla nostra fame disperata, la popolazione piange per noi ed arrischia il calcio del fucile o la prigione per aiutarci.14
Una volta raggiunte le stazioni ferroviarie, i prigionieri venivano caricati su carri merci così da poter raggiungere i campi di smistamento; stipati in ottanta, a volte cento, in vagoni capaci di portarne la metà*, i prigionieri affrontavano settimane di viaggio in un ambiente senza riscaldamento, pigiati l`uno con l`altro senza la possibilità* di sdraiarsi.
Quando il centesimo prigioniero fu caricato, la porta scorrevole fu chiusa a gran fatica e fuori il chiavistello fu agganciato. Restammo nel buio, inebetititi e sgomenti, non ancora convinti che quanto accadeva era realtà* e non vaneggiamento. Poi di colpo, quasi all`unisono, si levò un`ondata di urli e pianti (...); la massa compatta dei corpi subiva ondeggiamenti, improvvisi tramestii.(...)
Il silenzio si fece improvviso quando si sentì che la porta veniva riaperta. Ahimè, un`altra decina di prigionieri veniva spinta dentro a gran colpi di calcio di fucile. Come era prevedibile, non riuscivano a farli entrare, anzi, qualcuno dei precedenti occupanti fu buttato fuori dalla pressione. Il russo sparò un paio di colpi all`interno, bucando il tetto del vagone e urlò che avrebbe sparato più in basso se non facevamo posto ai nuovi venuti. Il posto fu trovato: sulle spalle dei malcapitati che stavano vicino all`apertura. (...) Stanchi, infiacchiti da due settimane di marce, affamati, nessuno di noi era in grado di resistere in piedi per tante ore. Prima qualcuno, poi tanti altri, abbandonati dalle forze, scivolavano tra le gambe dei compagni, si accasciavano su se stessi come sacchi vuoti, qualche volta senza nemmeno toccare il pavimento, tant`era fitta la selva dei corpi.15
Le distanze da compiere non erano lunghissime, ma data la priorità* che avevano le tradotte militari, i treni restavano fermi nelle stazioni per giorni: qui il cibo e l`acqua saltuariamente distribuiti venivano lanciati all`interno del vagone attraverso un finestrino e ai prigionieri era vietato scendere; gli sportelli del vagone venivano aperti solo per tirar fuori i morti.
I bisogni corporali venivano espletati direttamente nei vagoni e la mancanza assoluta di igiene scatenò le prime epidemie di tifo e dissenteria; oltre a ciò, le ferite non curate, i congelamenti e la fame provocarono la morte a migliaia di quegli uomini che erano già* sopravvissuti a tante altre dure prove.
13Testimonianza di Umberto Figliuoli, in L. Vaglica, "I prigionieri di guerra italiani in URSS", p.40
14Egidio Franzini, "Memorie di un alpino redivivo", Venezia,1967, p.61
15Carlo Vicentini, "Noi soli vivi", Cavallotti Editore, Milano, 1986 p.84
Ci chiudono nei vagoni per nazionalità*. Nel mio vagone siamo trentotto, alpini, fanti, camicie nere. Si parte, ma dopo pochi chilometri si sosta. I vagoni sono chiusi dall`esterno. Passano due o tre giorni: sempre fermi. Nessuno apre i vagoni, non ci portano nulla . All`alba le teste dei bulloni sono brinate e facciamo a turno per leccarle.(...) C`è puzza nel vagone, siamo tra morti, feriti e congelati; facciamo tutto nel vagone e tutto è infetto da togliere il respiro. I congelati, quando tolgono le calze, portano via anche i pezzi di carne. Dopo nove giorni di sosta ci dicono che la notte si parte. Nel vagone sono diciotto i morti accatastati lungo la porta. Quando, dopo venti giorni di viaggio arriviamo ad Ak Bulak i Siberia, nel mio vagone siamo vivi sei o sette.16
Come era accaduto per le marce, anche in questa fase le guardie non registrarono i decessi, ed è pertanto impossibile stabilirne il numero esatto;tuttavia, i dati frutto delle ricerche dell`Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia (UNIRR) stimano in circa 20.000 i morti durante le marce e i trasferimenti ferroviari.17
16Testimonianza di Battista Candela,in N. Revelli, "La strada del davaj",Einaudi,Torino, 1966, p.73
17UNIRR, "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia", Crespi industria grafica, Cassano Magnano (Va), 1995, p.37
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Re: L'ARMIR nei campi di prigionia di Russia
Capitolo secondo
Nei campi di prigionia
1.I campi di smistamento
La prima tappa per gran parte dei soldati delle varie nazionalità* caduti prigionieri erano i campi di smistamento; questi erano situati a poche centinaia di chilometri dal fronte e per questo avevano carattere temporaneo, finalizzati ad un primo ricevimento dei prigionieri, in attesa di essere trasferiti nei vari campi di internamento sparsi per l`Unione Sovietica.
Si trattava di campi privi di qualsiasi organizzazione materiale, ove giunse un numero enorme di prigionieri ammalati, pieni di pidocchi e ormai stremati dalla fame e dalla fatica;è quindi comprensibile come, in alcuni campi, la mortalità* raggiungesse livelli altissimi come a Tambov (campo n°188), ove morirono 8.197 italiani, a Micurinsk (campo n°56), dove nei tre mesi di apertura si registrarono tra i soldati italiani 4.234 decessi o a Chrinovaja (campo n°81), che in un mese di esistenza ebbe almeno 1.844 militari deceduti.1
Tale elevato tasso di mortalità* è da imputare al sovraffollamento dei campi e al relativo diffondersi di epidemie di dissenteria e di tifo petecchiale, malattie che gli stremati fisici dei soldati difficilmente riuscivano a superare2.
Molti campi di smistamento, come Tambov e Micurinsk, erano situati nei boschi e non avevano costruzioni ma semplici alloggi ricavati nel terreno.
Così ricorda il campo di Tambov un reduce:
Il campo si componeva di circa una ottantina di bunker, ognuno di diverse dimensioni. Questi, a loro volta, possono essere descritti come dei veri e propri sotterranei.(...) Come entrai, notai subito l`assenza di singoli letti;erano presenti dei letti a più piani ammucchiati a più non posso e qualsiasi spazio veniva utilizzato per ricavare giacigli. Non c`erano né servizi igienici né acqua per lavarsi. Come basamento c`era solo la terra(...)3
E un altro:
al mio gruppo assegnarono il bunker 21.(...) Dentro non c`era letteralmente nulla; la terra gelata del pavimento era il giaciglio che ci offriva il nuovo campo. Scoprimmo che non c`era cucina, non esistevano gabinetti, non c`era acqua, non c`era nessuna recinzione.(...) Il campo non offriva nulla che potesse far sperare in una esistenza meno animalesca
Nei campi di Tambov e Micurinsk i prigionieri godevano di una relativa libertà*:non vi erano recinzioni, inutili dal momento che le fughe erano rese impossibili o vane dal proibitivo clima dell`inverno russo e dallo stato di forte debilitazione dei prigionieri5.
Questi erano in pratica lasciati a se stessi, "di fatto c`era una sorta di anarchia"6 , per cui il caos, specie nei momenti della distribuzione del cibo, era totale: "anche la distribuzione della minestra era sempre occasione di beghe, di disordini, di pugilati, senza che i russi intervenissero"7; di solito a sorvegliare il campo c`era solo una decina di guardie guidate da un ufficiale a controllare migliaia di prigionieri8 e, perciò questi affidavano la disciplina e i servizi ai prigionieri rumeni, i quali abusavano spesso del loro ruolo.
I russi, assolutamente incuranti e inoperanti nell`attività* finalizzata alla distribuzione del cibo, avevano attribuito tale incarico ai prigionieri rumeni. Questi però, considerando anche il tacere e l`indifferenza degli stessi sovietici, commettevano dei veri e propri soprusi appropriandosi più del dovuto delle cibarie di loro spettanza.(...) diventò quindi con il passare dei giorni una vera battaglia.9
Condizioni di vita altrettanto disumane si verificarono nel campo n°81 di Chrinovaja, un vecchio complesso per l`allevamento di cavalli in funzione già* al tempo degli zar, ove i prigionieri vennero ammassati nelle stalle e nei box per i cavalli:
Condizioni di inferno dantesco!(...) eravamo alloggiati nei locali destinati ai quadrupedi di una caserma; si stava in circa 27 nel box destinato ad un cavallo. Mancava materialmente lo spazio per stare distesi. Vitto per ufficiali: 100 grammi di pane nero di segala... due gavettini di cosiddetta zuppa calda, in cui tutto ciò che galleggiava era qualche buccia di patata...si attingeva l`acqua da un pozzo dove si trovavano quattro cadaveri di militari ungheresi. Alta percentuale di cannibalismo...10
Negligenze, disinteresse nei confronti della salute dei prigionieri, disorganizzazione furono elementi comuni a tutti i campi, incapaci di ricevere l`enorme mole di prigionieri che l`Armata Rossa aveva catturato nell`offensiva "Piccolo Saturno".
Il 31 dicembre 1945, riferendo al ministero dell`Assistenza post-bellica sui rapporti dei soldati rimpatriati, il ministero degli Esteri italiano commentava riguardo al trattamento usato dai russi verso i prigionieri italiani:
Non ho sentito riferire nessun episodio di crudeltà* premeditata, di maltrattamenti intenzionali da parte dei russi. I nostri soldati, sebbene abbiano della loro prigionia un ricordo orribile e verso i loro carcerieri un grande rancore, riconoscono di non essere stati vittime di trattamento inumano, ma soltanto, o principalmente, di una quasi inconcepibile negligenza. Essi affermano che il 90% del corpo di spedizione italiano fatto prigioniero in Russia, è perito nei campi di concentramento.11
1Ministero della difesa-Commissariato Generale Onoranze Caduti in guerra, CSIR-ARMIR , campi di prigionia e fosse comuni,pp.6-18
2M.T. Giusti, "I prigionieri italiani in Russia", p.66
3Vincenzo Di Michele, "Io, prigioniero in Russia", Firenze,MEF, 2008,pp.99
di quella vissuta fino ad allora.4
4C. Vicentini, "Noi soli vivi", p.94
5Fidia Gambetti, "Né vivi né morti", Milano, Mursia,1972,p.143
6V. Di Michele, "Io, prigioniero in Russia", p.100
7C. Vicentini, "Noi soli vivi",p.94
8M.T. Giusti, "I prigionieri italiani in Russia",p.67
9V. Di Michele, "Io, prigioniero in Russia", p.100-101
10testimonianza del tenente Sandulli, in M.T. Giusti, "I prigionieri italiani in Russia", p.69
11Aussme,DS 2271/c,p.2, Ibidem, p.70
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Re: L'ARMIR nei campi di prigionia di Russia
2.I campi di internamento
Dopo il periodo di permanenza nei campi di smistamento, i prigionieri venivano avviati nei campi di prigionia veri e propri; la destinazione dei prigionieri era determinata dal loro grado militare e dalla richiesta di manodopera dei comandi.
Gli ufficiali italiani, assieme a quelli ungheresi, rumeni e parte dei tedeschi, venivano avviati verso il campo di Suzdal; la particolare attenzione riservata agli ufficiali aveva lo scopo di offrire migliori condizioni di prigionia e di creare un ambiente più favorevole all`organizzazione dell`attività di propaganda12.
La truppa veniva invece trasferita in base alle necessità di manodopera nelle diverse zone dell`Urss, e impiegata in lavori stagionali o nelle fabbriche13.
Tra i campi di prigionia dove l`afflusso di italiani fu più massiccio si possono citare quelli della Mordovia a 600 Km a sud-est di Mosca; quelli delle repubbliche indipendenti dei Tatari e dei Mari al di là del Volga; quelli negli Urali nelle regioni di Perm e Sverdlosk; quelli nella regione di Taskent nel Kazachstan meridionale, al confine con la Cina e l`Afghanistan14.
Anche in questi lager la mortalità raggiunse cifre molto alte, sebbene fossero più attrezzati dei campi di smistamento: vi erano difatti baracche con incastellature, con pagliericcio e coperta; erano presenti almeno le cucine, le latrine, bagni e locali di disinfezione e gli internati potevano usufruire di un minimo di controllo medico.15
à? comunque difficile offrire un quadro complessivo del trattamento e delle condizioni di vita degli innumerevoli lager (videro la presenza di soldati italiani circa 428 campi o ospedali sovietici16) perché esse variavano da campo a campo e dipendevano da vari fattori, come dal comando del lager, dalla dislocazione o dalla tipologia del lavoro imposto ai prigionieri.17
Da una parte si riscontrarono migliori condizioni di vita, come nel campo n.29 di Pakta Aral nel Kazachstan meridionale come ricorda un reduce:
Dopo pochi mesi fui trasferito al campo 29.(...) Subito dopo l`armistizio il trattamento è migliorato di molto: il vitto è quasi raddoppiato in quantità e molto migliorato nella confezione. Ci sono state distribuite uniformi ed equipaggiamento completo come in dotazione al militare inglese in seguito all`arrivo di una Commissione Inglese appositamente giunta nel campo.18
Dall`altra si riscontrarono condizioni simili a quelle dei campi di smistamento, come nel caso del campo di Oranki, ove morirono 661 italiani di cui 327 ufficiali.19
Nel periodo trascorso tra le mura di Oranki, vidi entrare migliaia di prigionieri ed uscire migliaia di cadaveri che vennero sepolti alla rinfusa in fosse comuni nei dintorni del convento.(...) Ad Oranki la morte infieriva. Le privazioni, la scarsa alimentazione, il clima, la carenza di misure igieniche, la penuria di medicinali, favorivano lo sviluppo delle malattie consuntive.(...) Nel marzo 1943 arrivarono cinquecento ufficiali delle divisioni alpine, anche loro portavano il germe del tifo petecchiale che esplose violentissimo.20
Il miglioramento delle condizioni di vita si diffuse con il cambio d`atteggiamento delle autorità sovietiche nei confronti dei prigionieri, a seguito dell`alta mortalità registrata durante le marce e nei campi di smistamento.
Il 15 maggio 1943 fu emesso il decreto che imponeva la salvaguardia dei prigionieri di guerra, insieme alle misure da prendere per ridurre la mortalità 21;si trattava dell`importante direttiva dell`Nkvd n.248, firmata da Berija, che fu inviata a tutti i lager con lo scopo di imporre i criteri da adottare per "migliorare le condizioni di vita dei prigionieri" e "portare a un livello sanitario esemplare gli alloggi e le aree dei lager". Si doveva inoltre "migliorare il trattamento sanitario di ciascun prigioniero" e "prevedere una dieta differenziata per i prigionieri malati e debilitati";
"distribuire a questi ultimi 750 grammi di pane al giorno e una razione di cibo aumentata del 25% finchè non si ristabilisce completamente la loro capacità lavorativa"22.
Negli anni seguenti la disposizione, le condizioni di vita dei lager andarono così gradualmente migliorando, pur rimanendo croniche sia la scarsità di cibo sia la difficoltà di reperire i medicinali.
12Ivi,p.71
13Ivi,p.63
14L. Vaglica, "I prigionieri di guerra italiani in Urss", p.56
15Ivi,p.57
16M.T. Giusti, "I prigionieri italiani in Russia",p.60
17Ivi,p.72-73
18Testimonianza dell`artigliere Mario Rossi, in L. Vaglica, "I prigionieri di guerra italiani in Urss",p.59
19Ministero della Difesa, "Csir-Armir...", p.14
20Enrico Reginato, "Dodici anni di prigionia nell`Urss", Garzanti, Milano, 1965,p.53
21M.T. Giusti, "I prigionieri...",p.73
22Direttiva dell`Nkvd n.248 sulle misure necessarie per migliorare le condizioni sanitarie e il trattamento dei prigionieri, in M.T. Giusti, "I prigionieri...", pp.234-235
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Re: L'ARMIR nei campi di prigionia di Russia
3.La fame
à? stato il digiuno che ha fiaccato i più deboli, impedendo loro di sostenere il ritmo e la lunghezza delle marce del "davaj" e di resistere alla morsa del gelo nelle notti all`addiaccio. à? stato il digiuno a diminuire le difese dell`organismo ed a facilitare i congelamenti. Si deve imputare all`estremo stato di denutrizione, il propagarsi fulmineo delle epidemie di tifo e di dissenteria ed il loro immancabile esito letale. Fu la fame a condurre alcuni disgraziati a nutrirsi di carne umana"23.
La fame è il ricordo più tragico condiviso da tutti reduci; la speranza di ricevere cibo fu la costante, ossessiva aspirazione di tutti i prigionieri, che li accompagnò dalla cattura al rimpatrio.
Il vero problema che si presentò sin da subito fu la mancanza di cibo. Nell`arco di una intera giornata, veniva distribuita
una minuscola brodaglia con qualche chicco d`avena e un pezzo di pane a misura di pugno. C`era la fame;una fame di quelle vere che ti istradava il cervello verso un unico pensiero. Mangiare, mangiare; sempre mangiare"24
La situazione alimentare era grave in tutta la Russia e con l`avvento della guerra essa assunse dimensioni catastrofiche sia per la popolazione civile sia per i soldati al fronte ed è quindi ovvio come il trattamento dei prigionieri di guerra non poteva che essere del tutto insufficiente.
La denutrizione portò i prigionieri ad azioni estreme come non dichiarare i decessi all`interno di una baracca così da poter usufruire della razione di coloro che morivano e il cannibalismo.
Numerose sono le testimonianze di tali azioni:
Un italiano vicino di paglia mi sta raccontando che da tempo in questa e nelle altre stanze è in uso il sistema di mettersi a dormire tra agonizzanti o tra due cadaveri, per prendersi la loro razione25.
Verso sera ho avuto la spiegazione per il fumo acre che usciva dalla stufa, ove armeggiavano due compagni:era carne umana! I compagni che si dedicavano alla sepoltura si erano accorti che a qualche cadavere mancavano alcune partimolli: il taglio era netto e non si poteva scambiare per una ferita26.
Un giorno alcuni prigionieri di altri bunker vennero ad offrirci del fegato e della carne in cambio della razione di brodaglia.(...)Ci dissero che non avevano la possibilità* di cuocerla! Poi fummo colti da un dubbio atroce e ci accorgemmo con orrore che si trattava di resti umani!27
Per contrastare i fenomeni di antropofagia vennero costituite dai prigionieri delle squadre anticannibalismo:
Era assolutamente necessario fare qualcosa per impedirlo e ci organizzammo girando a turno brancolanti e armati di bastoni, con l`intento di evitare quelle mostruose forme di cannibalismo28.
Ne dibattemmo a lungo, condannando esplicitamente quelle gesta al punto tale da costituire una specie di corpo di spedizione all`interno del campo, cioè una ronda di noi prigionieri, con il compito di ispezionare e riferire dell`eventuale profilarsi di simili eventi29.
L`Nkvd aveva stabilito una certa quantità* di cibo per gli internati nei lager30 ma la disposizione, come altri provvedimenti rivolti a migliorare le condizioni di vita dei prigionieri, andò a scontrarsi con la carenza dei mezzi necessari e con la scarsa volontà* da parte dei comandanti dei lager ad adempiere ai propri obblighi.
La norma stabilita dall`Nkvd prevedeva, quotidianamente: 700 grammi di pane per gli addetti ai lavori pesanti e 600 per gli addetti ad altri lavori oltre a 20 g di carne, 60 di pesce, 400 di patate e verdure e 10 di zucchero; veniva prevista anche la distribuzione di una foglia di alloro e di 0,1 g di pepe.
Ma l`amministrazione non riuscì quasi mai a garantire la distribuzione regolare degli alimenti come ricorda un reduce:
A guardare le tabelle c`era di che rallegrarsi, si parlava di carne, di verdura fresca, di burro, di cereali, di pesce, neppure l`aceto era dimenticato né le foglie di alloro. Ma in pratica si moriva di fame31.
23UNIRR, "Rapporto sui prigionieri di guerra in Russia", p.79
24V. Di Michele, "Io, prigioniero in Russia", p.99
25L. Venturini, "La fame dei vinti", p.90
26Ibidem
27I. Emett, "Nicevò...", p.102
28Ivi, p.103
29V. Di Michele, "Io, prigioniero in Russia", p.101
30Decreto n.0463 del 3.12.1942, in M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.80
31Gherardini, "La vita si ferma", Milano, Baldini e Castaldi, 1948, p.295
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Re: L'ARMIR nei campi di prigionia di Russia
4.Il lavoro
Si è già* detto come il trasferimento della truppa da un campo all`altro avvenisse in base alle richieste di lavoro che arrivavano dai vari campi; non appena i prigionieri riuscivano a recuperare un minimo di forze, dopo i controlli dei medici e la successiva suddivisione in categorie di idoneità*, venivano inviati a svolgere dei lavori.
La manodopera dei prigionieri venne utilizzata principalmente per il taglio e il trasporto della legna, per la pulizia delle strade dal ghiaccio, per i lavori agricoli nei kolchoz, ma anche per la costruzione di edifici, di centrali elettriche, nella raccolta del cotone e nel lavoro in miniera32.
L`assegnazione ai lavori da svolgere era determinata da apposite commissioni mediche che in base alla sua condizione, attribuiva al prigioniero la tipologia di lavoro.
La Direzione centrale per i prigionieri di guerra e gli internati (GUPVI) stabiliva che in base ai risultati delle visite i prigionieri venissero suddivisi in quattro categorie: i sani, adatti a svolgere lavori pesanti; i parzialmente idonei al lavoro fisico, affetti da malattie congenite o da difetti fisici; i deboli, con gravi disturbi cronici o difetti fisici, da impiegare soltanto in lavori leggeri; infine gli invalidi, che non potevano essere assegnati ad alcun tipo di lavoro, fuorché ad attività* leggere di supporto ai servizi del campo.33
Gli ufficiali non erano obbligati a lavorare ma spesso, per sfuggire alla monotonia della vita da recluso e per ottenere un supplemento alla razione giornaliera, prendevano parte ai lavori:
La maggior parte usciva dal campo a lavorare, sia nei kolchozy che nel bosco.(...) Il lavoro non era obbligatorio, ma il miraggio del supplemento di vitto, convinceva molti ad uscire, almeno a provarci.34
Il supplemento di vitto era strettamente legato al raggiungimento della norma di produzione decisa dai comandanti del campo; questa imponeva un livello di produzione molto alto e quindi difficilmente raggiungibile da prigionieri denutriti e debilitati.
Nel nuovo campo si comincia il lavoro al cotone. La prima raccolta è a settembre. Dobbiamo raccogliere 50-60 chili di cotone al giorno. Quasi nessuno raggiunge la "norma" e ricomincia la fame.35
Chi riusciva a raggiungere la norma, e quindi il supplemento di pane, spesso era sottoposto ad uno sforzo tale da non poterlo ripetere in modo continuativo.
Tutti si sforzavano a lavorare come bestie per avere i 400 grammi di pane, ma ci riuscivano una volta o due o per pochi giorni e poi cadevano sfiniti. Preparare la creta, impastarla e preparare ventimila mattoni in 20 persone, in una sola giornata era un lavoro che superava le nostre forze e la nostra volontà*!36
Freddo e fatica finivano per indebolire i prigionieri, che erano sottoposti ad una dieta da circa 800 calorie37, cosicché il più delle volte, alla visita medica successiva finivano per rientrare nella categoria inferiore a quella di iniziale inquadramento.
Lo scarico dei rifornimenti al porto continua incessantemente e le mie condizioni di salute sono però peggiorate. Il freddo e la fatica consumano molte più calorie delle 800 che riceviamo e, in breve, mi ritrovo ricoverato all`infermieria deperito gravemente.38
Il lavoro dei prigionieri veniva considerato come una parziale forma di riparazione ai danni arrecati dalla guerra e come risarcimento per le spese dovute al suo mantimento39; veniva però corrisposta una retribuzione in denaro, nell`importo massimo di 200 rubli mensili, a chi avesse raggiunto la norma di produzione stabilita40.
Tale somma non era tuttavia direttamente consegnata ai prigionieri ma versata agli spacci dei lager, dove si potevano acquistare tabacco e beni di prima necessità*41.
A chi raggiungeva la norma oltre al supplemento in vitto e la retribuzione in denaro, veniva concesso un trattamento privilegiato come la sistemazione nelle baracche migliori e la precedenza nel ricevere biancheria, indumenti e scarpe42.
Oltre alle misure gratificanti per incentivare il lavoro, erano previste punizioni per chi lavorava male.
Le principali sanzioni erano il biasimo orale davanti alla squadra, il lavoro straordinario o il trasferimento a lavori particolarmente pesanti; per i casi particolarmente gravi erano previsti il carcere e la corte marziale43.
32L. Vaglica, "I prigionieri...", pp.64-65
33Direttiva n°28/7309, in M.T. Giusti , "I prigionieri italiani in Russia",p.86
34C. Vicentini, "Noi soli vivi",p.157
35Testimonianza dell`alpino Romano Beltrame, in N. Revelli, "La strada del davai",p.253
36Testimonianza di Angelo Lesizza, in L. Vaglica, "I prigionieri...", p.334
37L. Venturini, "La fame dei vinti", p.115
38Ivi, p.119
39Ordinanza del Commissario del popolo per gli Affari interni dell`Urss, 20 settembre 1945, riportato in Vladimir Galicki, "Il tragico Don:l`odissea dei prigionieri italiani nei documenti russi", Milano, 1993,pp.184-192
40Ibidem
41M.T. Giusti, "I Prigionieri...", p.88
42V. Galicki, "Il tragico Don", p.67
43Ivi,p.68
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Re: L'ARMIR nei campi di prigionia di Russia
5.L`assistenza sanitaria e la mortalità* nei lager
Le condizioni fisiche dei prigionieri arrivati nei campi, assieme alla continua mancanza di nutrimento e di misure igieniche e alla totale disorganizzazione iniziale, posero le basi per la diffusione delle epidemie che portarono alla morte la gran parte dei prigionieri italiani.
Secondo l`UNIRR l`andamento della mortalità* fu il seguente:
Anno mese n°morti
1942 gennaio/novembre 76
dicembre 391
1943 gennaio 3352
febbraio 6205
marzo 9943
aprile 6328
maggio 3985
giugno 1417
luglio 1102
agosto 510
settembre 462
ottobre 424
novembre 259
dicembre 551
A questi vanno aggiunti i 777 morti del 1944, i 1398 del 1945, i 39 del 1946 e i 12 che morirono tra il1947 e il 1950; 37241 deceduti ai quali vanno ne vanno aggiunti 2786 senza data di morte, per un totale di 40027 morti.44
Colpisce come gran parte dei decessi (31230 cioè l`85%) si sia verificato nei primi sei mesi del 1943; questo fu possibile anche per la mancanza totale di assistenza medica.
I malati venivano trasferiti nei lazzaretti e lì venivano lasciati; soltanto con la diffusione delle epidemie già* iniziata venne organizzato un rudimentale sistema di assistenza medica che si scontrava però con la cronica mancanza di medicinali e materiale sanitario.
Così Carlo Vicentini ricorda la vaccinazione:
Si entrava in ambulatorio dieci per volta a torso nudo. Messi in riga, un dottore dei nostri, ci strofinava il petto sopra il capezzolo con tintura di iodio, seguiva a ruota un altro dottore, munito di un siringone da veterinario che fulmineo ti pugnalava, iniettava una parte di siero e passava oltre(...) l`ago non veniva mai cambiato e la siringa conteneva abbastanza siero per tutti e dieci. I nostri compagni medici che avevano compiuto questa prodezza, ci confessarono che tutta la colonia italiana era stata vaccinata con una decina di aghi.45
Per cercare di ridurre il numero di pidocchi che infestavano i prigionieri, e quindi il diffondersi del tifo petecchiale, i comandanti dei campi organizzarono dei locali per la pulizia personale, spesso con esiti disastrosi.
Ecco in che cosa consisteva il bagno di Tambov!Guidati oltre il limitare del bosco, ci fecero entrare in alcune baracche dove, in enormi paioli, era stata versata dell`acqua bollente scaldata con fuoco di legna che affumicava l`ambiente rendendo l`aria acre e irrespirabile.(...) Ci dissero poi di buttare i vestiti nell`acqua per liberarli dai pidocchi. Non avevamo nulla per asciugarci, né disponevamo di alcun indumento di ricambio. Fortunatamente non tutti obbediscono a quell`ordine insensato, lavandosi alla meglio senza far bollire i vestiti. Quelli che avevano obbedito agli ordini mettendo a bollire i vestiti, furono costretti ad indossarli bagnati così com`erano, con la conseguenza che morirono fra atroci dolori nel tragitto di ritorno ai bunker con una temperatura che era scesa ad oltre 20 gradi sotto zero.(...) Come dimenticare il bagno di Tambov? Basti pensare che nel mio bunker eravamo rinchiusi in 42 ufficiali e riuscimmo a cavarcela in due!46
Per far fronte all`emergenza, il 16 marzo 1943 il viceministro degli interni Kruglov inviò ai funzionari dell`Nkvd la direttiva n.120, che prevedeva un insieme di misure tese a creare nei campi di prigionia condizioni igieniche e sanitarie migliori47; a maggio, avendo constatato il "persistere delle condizioni insoddisfacenti" nei lager, Kruglov ordinò di esonerare tutti i prigionieri di guerra dalle attività* lavorative per un periodo di dieci giorni e di utilizzarli nei lavori interni ai campi48.
Le misure adottate cominciarono ad avere qualche effetto verso la seconda metà* del 1943, anche grazie al reclutamento degli ufficiali medici prigionieri che non poterono che constatare la grave mancanza di medicinali e attrezzature.
In ogni campo l`ambulatorio è servito da medici prigionieri sotto il controllo di un medico russo. Strumenti chirurgici di primo intervento costruiti, in molti casi, dagli stessi prigionieri. Materiale sanitario insufficiente.49
I limiti della collaborazione dei medici prigionieri erano ben precisati ed essi "non potevano esonerare gli altri prigionieri dal lavoro; non potevano autorizzarne il ricovero e l`uscita dagli ospedali o dai centri di cura; né potevano far parte delle commissioni mediche per l`attribuzione dei prigionieri alle varie classi di lavoro.50
Assai migliori cure ricevettero i ricoverati negli ospedali situati nelle retrovie, grazie alla migliore
organizzazione e al trattamento ben diverso da quello dei lager.
Qui tutto è organizzato con medici e personale infermieristico. Nella baracca distribuiscono subito zuppa calda, poi al bagno. Nel padiglione brandine e lettini, tutto pulito: siamo 114.51
Per noi che eravamo abituati a digiunare per giorni fino a morire di fame o a squartare i cadaveri dei compagni per sopravvivere, la cosa ci sembrava irreale: fino a ieri si moriva sui vagoni e nei campi di prigionia, ora siamo qui (ospedale di arsk ndr) in pigiama bianco e facciamo perfino toeletta.52
44Ministero della Difesa-UNIRR,"Elenco ufficiale dei prigionieri italiani deceduti nei lager russi", p.6
45C. Vicentini, "Noi soli vivi", p.180
46I. Emett, "Nicevò...",pp. 103-104
47Direttiva dell`Nkvd n.120 sulle misure da adottare per il miglioramento dello stato fisico dei prigionieri, in M.T. Giusti, "I prigionieri...",p.92
48Ivi
49Testimonianza di Umberto Figliuoli, in L. Vaglica, "I prigionieri...", p69
50Direttiva n°52 del 2.3.46, in M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.93
51Testimonianza di Michelangelo Pattoglio, in N. Revelli, "La strada del davaj", p.270
52L. Venturini, "La fame dei vinti", p.105
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Re: L'ARMIR nei campi di prigionia di Russia
6.Altri aspetti della vita nei campi
Un interessante aspetto della prigionia riguarda l`aspetto religioso nella vita degli internati; numerosi furono i cappellani fatti prigionieri e la loro condizione in prigionia era espressa dall`articolo 16 della Convenzione di Ginevra che li dotava di "ampia libertà* per la pratica della loro religione, compresa l`assistenza alle funzioni religiose del loro culto"53.
Ma in Russia, specie nella prima fase della prigionia, non fu concessa alcun tipo di assistenza morale o religiosa ai prigionieri e il compito dei cappellani si limitò al conforto personale dei moribondi e dei feriti.
Come gli ufficiali, anche i cappellani furono tutti assegnati al campo di Suzdal, dove, dalla fine del 1943, furono autorizzati a celebrar messa; venne celebrata anche la messa di Natale54.
Vane furono le richieste dei cappellani di esser mandati a svolgere la loro funzione tra la truppa imprigionata negli altri campi, in quanto considerati potenziali ostacoli alla rieducazione politica.
Noi cappellani siamo rimasti in otto, concentrati a Suzdal insieme agli ufficiali. Facciamo domanda per essere smistati nei lager dei soldati. La risposta è "niet". Comprendiamo bene il motivo: i russi catechizzano i soldati per farne dei propagandisti comunisti, il cappellano potrebbe essere elemento di distubo.55
Altro fattore negativo per il morale dei prigionieri fu l`impossibilità* di comunicare con i familiari; la possibilità* di corrispondere venne concessa solo nel gennaio 194556.
Ma anche in questo caso le direttive si scontrarono con la disorganizzazione e la cattiva gestione dei campi.
Notizie da casa non ne avevo, io scrissi due cartoline, poiché ci fornivano una cartolina ogni quattro prigionieri e potevamo scriverle a turno; le mie cartoline le trovai dopo qualche tempo nella sporcizia, non erano mai state spedite.57
"A proposito, continuo rivolgendomi ai miei genitori, avete ricevuto una cartolina della Croce Rossa che vi ho spedito l`anno scorso?" " No, risponde mio padre, sono tre anni che non sappiamo nulla di te".58
Lo scambio di corrispondenza fu quindi cosa episodica come dimostra anche l`unica distribuzione di posta avvenuta in uno dei campi meglio organizzati, quello di Suzdal, svoltasi il 31 dicembre 1945.59
Anche i tentativi dei prigionieri di mettersi in contatto con i propri cari vennero sfruttati a livello propagandistico; difatti la censura militare si abbatteva su tutte le notizie che sfioravano argomenti non consentiti e il prigioniero era costretto a descrivere positivamente la propria condizione se voleva sperare di vedere inoltrata la propria lettera.
Mi vien detto che quasi tutti hanno intenzione di scrivere che "stiamo bene e che il trattamento è ottimo". Menzogna necessaria. Si spera che i sovietici pensino di utilizzare le cartoline come mezzo di propaganda e le facciano giungere realmente in Italia.60
53M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.100
54L. Vaglica, "I prigionieri...", p.76
55Testimonianza di Don Franzoni, Ibidem
56Ivi,p.78
57Testimonianza di Luigi Bodini, in Giulio Bedeschi, "Prigionia: c`ero anch`io", Milano, Mursia, 1990,p.552
58L. Venturini, "La fame dei vinti", p.149
59C. Vicentini, "Noi soli vivi",p.283
60E. Reginato, "12 anni di prigionia nell`Urss", p.82