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Allegati: 8
forte verena
[[justify:7vnmlgry]size=150]Ho trovato questa interessante pubblicazione dal sito tecnologos(quindi analizza aspetti costruttivi) a firma di U. Barbisan.
Io sono fuori zona quindi il meno indicato a parlarne quindi chi vuole integrare magari con foto e ben accetto! Veneti e Trentini avanti!!!!!!!!!!!!!
Non so se ne avete mai parlato..spero di non essere ripetitivo ma comunque penso che ci sono riportate info interessanti[/size]
La distruzione di Forte Verena
Forte Verena, posto a 2.019 m di quota s.l.m., sull`omonimo monte che domina l`Altopiano di Asiago, venne pesantemente colpito il 12 giugno 1915 dalle artiglierie austriache, dopo alcune settimane dall`entrata in guerra dell`Italia.
-In particolare il Forte fu devastato dai colpi di obice Skoda calibro 305 mm, oltre che da calibri inferiori, che penetrarono i paramenti in calcestruzzo; un colpo da 305 mm, sparato nel primo pomeriggio del 12 giugno, uccise il comandante e una quarantina di uomini. Altri bombardamenti perdurarono per tutto il mese, fino alla dismissione del Verena ai primi di luglio, come per buona parte degli altri forti della regione. A tale riguardo affermano M. Minola e B. Ronco in Fortificazioni nell`Arco Alpino (Torino, 1998, pp. 80-81):
La cosiddetta guerra dei forti non fu di lunga durata perchè la sistemazione difensiva italiana non ebbe tempo di esplicare completamente la sua funzione: la distruzione del Forte Monte Verena e del Forte Campolongo in seguito ai bombardamenti con mortai e obici di grande calibro, suscitò una larga ripercussione morale tra le truppe... Le vicende negative dimostrarono che le opere italiane non erano in grado di resistere alle potenti artiglierie di assedio avversarie. Lo Stato Maggiore si convinse quindi della necessità* di togliere le artiglierie dai forti e di impiegarle in altre posizioni protette e ben nascoste più prossime al fronte.
A seguito del dramma del Verena, il Regio Esercito avviò un`inchiesta; non mancarono accuse di frode e giudizi negativi sulla tecnica edilizia militare italiana. L. Malatesta conclude il suo libro Il dramma del Forte Verena, 12 giugno 1915 (Trento, 2005, p. 202) affermando che il Verena era:
un forte come tutti gli altri con i suoi enormi difetti dovuti all`inefficienza degli ingegneri militari che non si accorsero o non seppero tener conto dello sviluppo degli armamenti a livello europeo che in pochi anni produsse bocche da fuoco superiori al 152 mm, che segnarono la sorte delle fortificazioni italiane.
Iniziato nel 1912 il Verena risulta quasi del tutto completato nel 1914 e, come gli altri forti italiani, venne realizzato in calcestruzzo semplice in grado di resistere alla penetrazione dei proiettili di obice fino a 152 mm.
Di fatto si trattava di una fortificazione ancora ispirata ai principi ottocenteschi di E. Rocchi, orientati a dotare le fortezze di bocche da fuoco di efficace tiro a lunga distanza, piuttosto che aumentare spessori e corazzature dei paramenti, cioè privilegiando la difesa attiva a sfavore di quella passiva.
Inoltre l`aumento degli spessori dei paramenti nelle fortificazioni d`alta quota, con esigui spazi di costruzione, comportava la riduzione degli ambienti interni e, ovviamente, aumentava i costi, fattore non trascurabile considerando la difficile situazione economica dell`Italia ai primi del Novecento. Affermava B. Zanotti in Fortificazione permanente (Torino, 1891, p. 217):
Per controbilanciare la cresciuta potenza dell`attacco, derivante principalmente dai progressi raggiunti dalle artiglierie, secondo Lui (n.f.t. E. Rocchi) la difesa non poteva ricorrere all`afforzamento indefinito degli organi di protezione, cioè all`impiego su larga scala delle corazze e delle masse cementizie, come propugna il generale Brialmont, ma trarre partito dalla cresciuta potenza delle artiglierie per paralizzare gli sforzi del nemico, fin dal principio dell`attacco.
Seguendo i principi di Rocchi, il Genio Militare tentò di individuare siti impervi per realizzare le fortificazioni sfruttando la configurazione orografica per il tiro a lunga gittata, accettando il compromesso di avere fortificazioni con contenuta resistenza passiva a favore della rapidità* di edificazione e riduzione dei costi. Rocchi suggeriva, per tali fortificazioni, uno spessore medio dei paramenti in calcestruzzo semplice non inferiore a 2 m, generalmente poi attestato sui 2,5 m (E. Rocchi, "La fortificazione attuale", in Rivista di Artiglieria e Genio, 1891, vol. I, p.78).
Viceversa le fortificazioni austriache avevano paramenti in calcestruzzo armato in grado di resistere a proiettili di obici da 305 mm, già* in uso nell`artiglieria austro-ungarica e tedesca, risultato di una sperimentazione iniziata alcuni anni prima dello scoppio della guerra, tesa a perfezionare la composizione e produzione del calcestruzzo, il tipo e quantità* di armatura.
In Italia le sperimentazioni sulle fortificazioni in calcestruzzo semplice iniziarono nella seconda metà* dell`Ottocento, quando in Germania, Austria e Francia già* si sperimentavano soluzioni in calcestruzzo armato, valutando la capacità* di resistenza alla penetrazione, migliorando l`aderenza acciaio/calcestruzzo, introducendo le piegature "a uncino" delle barre lisce, perfezionando le composizioni degli impasti con ghiaie silicee e inerti di origine basaltica e granitica.
-Nell`agosto del 1914, un anno prima dell`entrata in guerra dell`Italia, i grossi obici tedeschi, prodotti dalla Krupp, devastarono il forte belga di Liegi sgretolando cosi profondamente il calcestruzzo al punto da far ritenere fosse stato malamente realizzato.
Viceversa il forte francese di Douaumont, benché preso dai tedeschi (1916), non subì gli stessi danni del forte di Liegi, nonostante fosse stato bersagliato dagli obici da 305 e da 430 mm, dimostrando la maggiore qualità* del calcestruzzo e delle corazzature francesi rispetto a quelle belghe.
Per la Fortezza di Trento, completata nel 1915, gli austriaci utilizzarono calcestruzzi armati con reti di tondini di acciaio (diametri fino a 32 mm, maglia 10 x 10 cm) legati manualmente, e speciali additivi fluidificanti per calcestruzzi prodotti dalla tedesca Henkel.
A Lavarone gli austriaci costruirono Forte Belvedere, edificato fra il 1908 e il 1912, sopra la Valdastico, a quota 1.177 m s.l.m. Progettato per resistere agli obici da 305 mm, venne realizzato in calcestruzzo armato con triplice struttura di travi in acciaio da 400 mm e spessore di circa 2,5 m.
Ciononostante anche i forti austriaci dimostrarono i limiti di tale tipologia di difesa passiva, a favore della mobilità* delle bocche da fuoco e della protezione offerta dalle caverne e dalle mimetizzazioni campali.
Le varie esperienze europee sulla resistenza del calcestruzzo da impiegarsi nelle fortificazioni erano abbastanza note e diffuse al punto che sulle riviste specializzate si proponevano, già* sul finire dell`Ottocento, i risultati ottenuti; in particolare si sapeva che inglesi, tedeschi, austriaci e francesi producevano calcestruzzi ad uso militare con resistenze ultime a compressione variabili fra 150 e 170 kg/cm2 (oggi si considerano scadenti i calcestruzzi con resistenze di 80-100 kg/cm2 e ottimi i calcestruzzi con resistenze di 600-700 kg/cm2).
Era diffusa l`idea che per le fortificazioni fossero più idonei impasti a "presa lenta", ottenuti con la miscelazione di percentuali di acqua salata che permetteva anche di gettare il calcestruzzo con temperature vicine allo zero. Scriveva, in tal senso, ma nel 1922, G. Baluffi (Costruzioni in cemento armato, Milano, 1922, pp. 3-4):
L`acqua marina può adoperarsi per l`impasto destinato ad opere in calcestruzzo semplice, e non per il calcestruzzo che deve essere armato, giacché si faciliterebbe la corrosione dei ferri... Esperienze fatte recentemente in America dal prof. A. Abrams mettono in evidenza la prevalente importanza della dosatura d`acqua d`impasto, rispetto a tutte le altre norme d`uso per la formazione dei calcestruzzi. L`Abrams è venuto alla conclusione che la resistenza del conglomerato è in relazione al rapporto tra l`acqua e il cemento, non già* alla percentuale del cemento rispetto ai materiali componenti del calcestruzzo. Si possono ottenere calcestruzzi di ottima resistenza anche con scarsa percentuale di cemento, purché resti basso il rapporto tra l`acqua e il cemento. Bisogna, s`intende, raggiungere il limite tale che permetta di ottenere un impasto lavorabile, cioè che si possa regolarmente costipare nelle forme.
Era altresì consolidata l`opinione che l`eccesso di cemento negli impasti rendesse il calcestruzzo semplice non idoneo per le fortificazioni. F. Lo Forte ("Esperienze sui calcestruzzi" in Rivista di Artiglieria e Genio, 1888, vol. IV, p. 216) affermava, in sintonia con il pensiero di Rocchi, che calcestruzzi troppo ricchi di cemento dotavano:
una maggior resistenza allo schiacciamento e quindi anche alla penetrazione, ma il calcestruzzo risulterebbe, per così dire, soverchiamente vetroso e rigido, perciò più soggetto a scheggiarsi e a spaccarsi all`urto dei proiettili.
Forte Verena rispecchiava, quindi, i principi teorici di fine Ottocento a riguardo della composizione dei calcestruzzi semplici.
L`inchiesta della Commissione d`inchiesta ritenne che nelle strutture di Forte Verena fosse stato utilizzato calcestruzzo magro di cemento ma senza tener conto delle prescrizioni dell`Ispettorato del Genio Militare (1905 e 1910).
Al Verena si impiegò un calcestruzzo "normale", anziché "speciale", con 300 kg di cemento per metro cubo, 0,4 m3 di sabbia e 0,8 m3 di inerti, previsti di ghiaino e che, invece, fu sostituito da pietrisco di consistente dimensione.
Però non sappiamo fino a che punto i calcestruzzi siano stati eseguiti "a regola d`arte", e se, per esempio, si sospesero i getti quando le temperature scendevano sotto lo zero, come espressamente vietato dalle norme civili italiane del 1907, rielaborate sulla base di quelle tedesche.
Inoltre le sperimentazioni europee, anche quelle riferite ai calcestruzzi poveri di cemento, suggerivano dosaggi con almeno 325 e 350 kg di cemento per metro cubo di impasto, sempre con ghiaia e non pietrisco. Rocchi ("La fortificazione attuale. Esame di alcuni particolari di un ordinamento difensivo", in Rivista di Artiglieria e Genio, 1892, vol. I, p.397) specificava che:
Per le parti che non sono direttamente esposte ai tiri di sfondo (come fondazioni, piedritti, etc.) si può impiegare un calcestruzzo meno ricco di cemento, della seguente composizione:
1 volume di cemento;
3 volumi di sabbia;
7 volumi di ghiaia; detto calcestruzzo al settimo, mentre quello precedente è detto al quarto. Quest`ultimo richiede 325 kg all`incirca di cemento per metro cubo, mentre il calcestruzzo al settimo ne richiede 200 kg soltanto.
In altri termini per le parti esposte al tiro anche Rocchi suggeriva l`impiego di 325 kg di cemento a metro cubo, mentre l`esperienza francese proponeva impasti con dosaggi di cemento variabili da 350 a 400 kg per metro cubo.
I lavori di costruzione del Verena procedettero lentamente, dal 1912 al 1914, sia per le difficoltà* di trasporto dei materiali e dell`acqua, sia per le condizioni meteorologiche spesso avverse, con ampie escursioni termiche, piogge e nevischio che, plausibilmente, hanno condizionato la resistenza del calcestruzzo e l`adesione delle riprese.
A tale proposito la Commissione di inchiesta osservò che il calcestruzzo era stato gettati a strati di circa 25-30 cm, come prescritto dall`appalto, ma che era modesta l`aderenza fra gli strati.
E` inoltre possibile che i cementi, provenienti da Bergamo e da Casale, siano giunti in condizioni imperfette al cantiere del Verena e che l`acqua degli impasti non fosse pura, con la presenza di componenti che potrebbero aver ulteriormente diminuito le prestazioni meccaniche del calcestruzzo.
Ricordiamo che all`epoca non erano diffuse le impastatrici meccaniche e che, spesso, come rilevato in altri coevi cantiere, si impastava manualmente il calcestruzzo direttamente sui luoghi di getto con incerti rapporti acqua/cemento.
Ciononostante se si fossero adottate le proporzioni di composizione del calcestruzzo secondo le norme civili e le prescrizioni militari, si sarebbe ottenute resistenze di discreto valore (in relazione alle conoscenze dell`epoca) che invece non sembrano essere presenti al Verena.
A grandi linee possiamo supporre che il calcestruzzo del Verena non avesse valori di resistenza meccanica a compressione superiori a 120 kg/cm2, non accettabili nemmeno dalle norme civili del 1907 che limitava a 150 kg/cm2 il valore minimo di resistenza di rottura a compressione (con coefficiente di sicurezza pari a 5).
Scrive F. Russo in La difesa dell`Arco Alpino 1861-1940 (Roma 1999, p. 216):
Per quanto riguarda il cemento, l`esame superficiale e comparativo del conglomerato impiegato nei due tipi di forte faceva giudicare notevolmente superiore la qualità* di quello impiegato per le opere austriache, mentre le inchieste effettuate a seguito dello smantellamento del forte Verena, conseguente alla facile penetrazione nella struttura di un colpo austriaco, hanno dimostrato che il dosaggio e la qualità* del calcestruzzo per esso impiegato, rispondeva in genere alle condizioni imposte dai capitolati stipulati; è da rilevare, però, la sensibile influenza esercitata dalla temperatura sulla presa del cemento, in relazione alle altitudini alle quali erano stati effettuati i lavori di costruzione delle opere e, soprattutto, alla necessità* di effettuare i getti di calcestruzzo anche nei periodi meno propizi, dall`urgenza di avere le fortificazioni ultimate.
Singolarmente ai primi del Novecento in Italia, il calcestruzzo armato era maggiormente diffuso nell`edilizia residenziale e industriale, generalmente sulla base del brevetto francese Hennebique, in quanto il costo degli acciai era quasi proibitivo per realizzare possenti e massicce fortificazioni in calcestruzzo armato.
Le prescrizioni della Società* Hennebique, rappresentate in Italia dalla società* G. A. Porcheddu di Torino, erano molto accurate, prescrivendo ghiaia e sabbia "di fiume", lavate e prive di impurità*, ghiaie setacciate al crivello con diametri non superiori a 4 cm, e cemento di qualità* Portland II.
La ricerca italiana nel settore delle fortificazioni ai primi del Novecento palesava, comunque, un certo scetticismo di fronte all`impiego del calcestruzzo armato. Per esempio nell`articolo "Inconvenienti dell`impiego del cemento armato nelle opere di fortificazione", in Rivista di Artiglieria e Genio (1901, vol. I, p. 252), che si rifaceva ad un coevo testo francese, si affermava:
Questo genere di costruzioni (n.f.t. calcestruzzo armato sistema Monier) non è stato ancora interamente provato ai lavori che danno luogo ad altri sforzi oltre a quelli statici. Noi però riteniamo soltanto che l`introduzione del ferro nel calcestruzzo di cemento non possa avere altro risultato utile al di fuori di quello di aumentare la resistenza del calcestruzzo a trazione; e che riguardo alla resistenza a compressione, specialmente allo schiacciamento derivante dall`urto e dallo scoppio, questa introduzione di ferro non può che diminuire tale resistenza, a causa dell`ostacolo che essa reca nell`intima unione dei materiali, sabbia, cemento e ghiaia.
Una posizione che oggi sappiamo inesatta e che sottolinea le incertezze che circolavano sulle conoscenze del calcestruzzo armato, dando adito a isolati pareri spesso privi di fondamenti scientifici a fronte di numerose sperimentazioni (straniere) sui vantaggi del calcestruzzo armato.
Ma il calcestruzzo armato, oltre ad essere maggiormente costoso, richiedeva
manodopera specializzata, mentre per il calcestruzzo semplice si poteva fare ricorso a manodopera civile generica, come avvenuto al Verena il cui cantiere non ebbe adeguata sorveglianza e scrupolosa valutazione sperimentale della resistenza dei conglomerati.
In altri termini era diffusa l`onesta convinzione che un generico calcestruzzo semplice (più economico) fosse ancora idoneo per i paramenti difensivi rispetto all`azione di normali bocche da fuoco; perciò il calcestruzzo armato fu impiegato dal Regio Esercito solo per strutture secondarie e non soggette al tiro nemico.
- Forte Verena, granulometria degli inerti e stratificazione dei getti.
Dal punto di vista dei tipi strutturali al Verena, come in tutti i forti in calcestruzzo semplice, si adottò il sistema a volte e cupole in modo da sollecitare il materiale solo a compressione, come si trattasse di strutture in muratura. Inoltre, le strutture voltate erano prodotte con diversa composizione dei calcestruzzi in relazione alla dislocazione, tentando di ottenere moduli di elasticità* inferiori negli strati interni e sempre più alti verso l`esterno, risultato ottenuto variando i dosaggi di inerti e mantenendo costante la quantità* di cemento.
Infatti, Rocchi ("Le forme ed i materiali della nuova fortificazione", in Rivista di Artiglieria e Genio, II parte, 1888, vol. II, p. 37), sulle cui teorie erano basate le fortificazioni italiane anteguerra, affermava:
E` necessario che l`involucro di calcestruzzo offra ai proiettili la minima penetrazione e, a tale intento, sarà* opportuno rivestirlo esternamente di uno strato di materie durissime, come frantumi di basalto o di granito, rottami di proietti, ghiaia silicea, ecc. Questo strato di materie dure riuscirà*, forse, ad arrestare le granate e a farle scoppiare fuori dall`involucro di calcestruzzo.
Ma, all`epoca, l`analisi scientifica del comportamento di un proiettile rispetto alla penetrazione nei paramenti era ancora empirica a causa delle elevate variabili che entrano in gioco, dall`energia cinetica del proiettile, dall`angolazione di impatto, alla capacità* di assorbimento di energia di deformazione, alla resistenza meccanica e al modulo di elasticità* delle strutture, etc.; non secondaria la stratificazione dei paramenti che, variando di resistenza e rigidezza, deviava la penetrazione del proiettile inesploso in superficie.
Le sperimentazioni, per esempio quelle effettuate al poligono di Zossen (1867), evidenziarono che una fortificazione a volta in calcestruzzo semplice sarebbe stata efficace ai colpi dei grossi obici solo con spessori superiori ai 3 m e sovrastati stratificazioni di ben 10 m di terra, condizione inattuabile nelle fortezze d`alta quota.
Le esperienze belghe del 1888 dimostrarono, invece, l`inefficienza di strati di sabbia interposti fra due strati di calcestruzzo semplice, soluzione che poi fu attuata durante la Seconda Guerra Mondiale dai tedeschi ma con spessori spropositati di calcestruzzo armato e che diedero efficace risultato. I belgi conclusero, perciò, l`accettabilità* di strutture a volta in calcestruzzo semplice con spessori variabili fra 4 e 5 m. che comunque non dettero buon prova durante la Grande Guerra di fronte alle artiglierie tedesche.
- Resti delle casermette ai piedi del Verena con la singolare "parete sospesa".
Lo studio degli effetti dei grossi obici austriaci e tedeschi divenne argomento di speculazione e sperimentazione nel dopoguerra. Singolarmente le ricerche non determinarono, però, almeno per l`Italia, fortificazioni di spessori superiori ai 3 m, seppure in calcestruzzo armato, per la modificata concezione della strategia bellica.
Furono soprattutto i tedeschi, durante la Seconda Guerra mondiale, a realizzare strutture in calcestruzzo armato di enorme spessore (fino e oltre 10 m, con strati interposti di sabbia), in particolare per i ricovero dei sottomarini.
La strategia italiana del dopoguerra, viceversa, si rivolse a linee di fortificazioni discontinue, disseminate lungo le frontiere e secondo principi di resistenza differenziata; in altri termini si realizzarono fortificazioni di più ridotta dimensione, di difficile individuazione e mimetizzate, protette dalla roccia, collegate da gallerie e depositi sotterranei con armamento di piccolo calibro, più facile da movimentare.
Rimane il fatto che i forti italiani della Grande Guerra non erano in grado di sopportare i colpi lanciati dai grossi obici da 305 mm e superiori e, perciò, furono dismessi per le distruzioni subite e per la modificata strategia di impiego delle artiglierie (da fisse a mobili).
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- Zanotti B., Fortificazione permanente, Torino, 1891.[/justify:7vnmlgry]
U. Barbisan
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Re: forte verena
Ottima segnalazione Marco [264
Al Forte Verena ci sono stato parecchie volte, si trova in una splendida posizione..peccato le sue condizioni di trascuratezza!! [15 [126
[00016009
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Re: forte verena
Interessante segnalazione, grazie [00016009
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Re: forte verena
Ma gli amici cementisti, come mai non intervengono su questo topic di un forte così importante per le prime fasi del la grande guerra??? [137
Forse è stato troppo esaustivo l'intervento e le spiegazioni di Marcocougars?????
[00016009 [00016009
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Re: forte verena
Appena finito di leggere tutto ..... molto interessante
Diciamo che purtroppo non cè da aggiungere niente ... l'articolo è stato fin troppo esaustivo
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Re: forte verena
Si potrebbe aggiungere qualche foto
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Allegati: 1
Re: forte verena
Citazione:
Originariamente Scritto da Peo
Al Forte Verena ci sono stato parecchie volte, si trova in una splendida posizione..peccato le sue condizioni di trascuratezza!! [15 [126
Dovete sapere che il forte Verena attualmente è in restauro. I lavori saranno lunghi e sono da poco iniziati.
Citazione:
Originariamente Scritto da Marcocougars
Si potrebbe aggiungere qualche foto
Se l' intervento (per me troppo invasivo) sarà* come quello del vicino forte Campolongo (ci hanno impiegato 3 anni) ritengo sia interessante postare le foto prima , e quando disponibili , dopo gli interventi.
[attachment=0:11oq4xre]Comparazione.jpg[/attachment:11oq4xre]
Saluti [00016009
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Re: forte verena
Decca questa dell'inizio dei lavori di restauro del Verena è una buona notizia!
Non sapevo del restauro fatto al forte Campolongo, a vedere dalla foto che hai postato sembra fatto bene con messi in evidenza gli interventi di rifacimento delle murature.
Del resto piuttosto che vederlo in stato di abbandono e in preda al degrado... [00016009
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Re: forte verena
[264 Complimenti, consigliatissimo, da leggere e rileggere per dibattere, anche perché in Italia le cose sostanzialmente non cambiarono negli anni '30 e '40 del Novecento....
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Re: forte verena
Un'ottima notizia !
Mi sembra venuto bene il forte campolongo . Comunque anche sè un pò invasivo è meglio un forte restaurato che un cumolo di macerie .