Ho letto solo oggi questa notizia pubblicata su L'Eco di Bergamo del mese di giugno.
La riporto così come scritta sul quotidiano.
Ma come è possibile aver lasciato le famiglie di questi poveretti per tanti anni nell'incertezza sulla sorte dei loro cari.
A seguito dell'articole esiste la lista di tutti i 298 dispersi bergamaschi.
Chiedo la possibilità* di poter pubblicare tale lista.
Deportati bergamaschi
Rintracciate le tombe
di dispersi in Germania
Sono 298 militari e civili catturati dopo l`8 settembre `43
La scoperta dopo anni di indagini di un artigiano di Verona
Si calcola che i militari italiani internati in Germania dopo l'8 settembre 1943 furono 650 mila. I morti furono circa cinquantamila. I civili deportati nei lager del Reich furono attorno ai 44 mila. Il novanta per cento ha perso la vita. Di molti di loro, le famiglie ancora non conoscono il luogo dove sono sepolti. Un mistero su cui da quindici anni indaga un artigiano veronese, Roberto Zamboni. Una ricerca prima avviata sui libri, poi sui documenti, nei colloqui con gli ex deportati, quindi negli uffici ministeriali. Una ricerca cominciata per cercare di accertare il destino dello zio Luciano Zamboni, considerato disperso. Roberto Zamboni ha 47 anni, abita a Montorio Veronese, porta avanti un piccolo calzificio. Nel suo lungo elenco anche i luoghi di sepoltura, in gran parte non ancora conosciuti dalle famiglie, di 298 prigionieri bergamaschi. Li pubblichiamo tutti nelle pagine successive.
Lei ha cercato di sapere che fine avesse fatto suo zio Luciano. Che cosa ha scoperto?
«Il nome di mio zio era inciso in una lapide del cimitero del nostro paese, c'era scritto "disperso". Mia nonna ogni 2 novembre, giorno dei defunti, portava un fiore. Sapevamo che era stato internato nel lager di Flossenbürg, ma non sapevamo che cosa gli fosse successo. Soltanto, non era mai più tornato a casa. Ecco, io penso che vedersi portar via un figlio poco più che ventenne per poi scoprire che è morto di stenti e maltrattamenti in un campo di concentramento è una cosa terribile. Non avere una tomba su cui piangerlo, è difficilmente sopportabile. Mio zio aveva soltanto ventidue anni».
Che cosa ha scoperto?
«Che i caduti italiani nei lager che furono raccolti in sei sacrari militari furono circa sedicimila. Scoprii che buona parte dei parenti di questi caduti non vennero mai a sapere della traslazione dei loro congiunti: molti restarono in attesa di chi non sarebbe più potuto tornare, né da vivo né da morto».
Anche chi sapeva non portò i propri morti in patria. Perché?
«Perché nel gennaio del 1951 era stata approvata una legge che vietava il rimpatrio delle salme, affermava: "Le salme, definitivamente sistemate a cura del commissario generale non possono essere più concesse ai congiunti". Dall'entrata in vigore di questa normativa assurda, chi avesse avuto un parente morto in un campo di prigionia per mano tedesca, traslato senza il consenso dei parenti, in uno dei cimiteri militari italiani, non avrebbe più avuto la possibilità* di rimpatriarne le spoglie».
Come venne catturato suo zio?
«Nel settembre 1944 si presentò alla Todt, l'organizzazione tedesca che si occupava della costruzione di sbarramenti e fortificazioni. Fu inviato sul monte Altissimo di Nago, a nord del lago di Garda. Ma decise di fuggire anche da lì, ben sapendo il rischio che correva. Infatti venne catturato dai militi della brigata nera Rizzardi. Nel gennaio 1945 arrivò nel campo di concentramento di Flossenbürg, ebbe il numero di matricola 43738. In marzo venne decentrato nel sottocampo Offenburg, ma pochi giorni dopo venne costretto a una lunga marcia di 900 chilometri a piedi. Il 23 aprile, quando arrivò una compagnia della 97ª divisione di fanteria dell'esercito americano, mio zio era ancora a Flossenbürg. Morì dodici giorni dopo la liberazione del lager. Venne sepolto lì, ma il 12 marzo 1958 la sua salma venne trasferita nel cimitero militare italiano d'onore a Monaco di Baviera, senza che i suoi genitori sapessero niente».
Come cominciò la sua lotta contro la legge «anti rimpatrio»?
«Mandai una richiesta di aiuto al presidente della Camera dei deputati, Luciano Violante: era il 15 dicembre 1997. Violante si dimostrò subito molto disponibile. Nell'ottobre 1999 venne approvata una nuova legge che finalmente consentiva il rimpatrio delle spoglie. Purtroppo a spese delle famiglie. Inviai al ministero della Difesa la richiesta di traslazione delle spoglie di mio zio il 17 agosto 2000 con versamento di un milione e seicentomila lire».
La sua ricerca è poi andata avanti.
«Di recente ho ottenuto dal ministero della Difesa l'elenco di tutti i caduti sepolti in Germania, Austria e Polonia. Una lista di oltre 15 mila caduti italiani, contenente i dati di base (cognome, nome, provincia e data di nascita, data di morte e cimitero di attuale sepoltura). A questi dati sto aggiungendo, da altre liste in mio possesso, ulteriori elementi sulla deportazione o sull'internamento, sulla morte e sulla prima sepoltura (lager, matricola, spostamenti, date e cause della morte, luogo di prima inumazione ecc.). Con questi dati ho collaborato alla realizzazione del Libro dei Deportati edito da Mursia. Come riscontro a questa lista ho acquisito poi dall'Archivio segreto Vaticano – Ufficio informazioni Vaticano per i prigionieri di guerra – copia delle schede di ricerca degli italiani per i quali si richiesero notizie negli anni che vanno dal 1939 al 1945. Oltre due milioni di schede. Da mesi sto lavorando su questi elenchi al fine di pubblicare tutto il materiale raccolto sul mio blog, avendo cura di inserire i nominativi per provincia di nascita. I morti in Germania sono solo una parte, bisogna aggiungere tanti altri italiani prigionieri di americani e inglesi, morti in ogni continente».
Paolo Aresi

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