Giulio ed io, eravamo partiti dalle parti del Kilimangiaro per raggiungere, prima o poi, il lago Iteshi-Teshi, nella ex Rhodesia del Nord, con il catorcio che avevamo comprato in un villaggio sul confine keniota, da un vecchio inglese. Ero sempre stato bravo a convincere gli amici a seguirmi in viaggi allucinanti del genere, per questo mi sentivo un po` un verme. Tuttavia, concedere a quella vecchia jeep, alla fine dei suoi giorni, un ultimo viaggio, mi faceva sentire alquanto buono e altruista. Purché ci avesse portati, da brava, fino a destinazione. La guida che ci era stata appioppata a Malindi diceva a malapena un paio di parole inglesi, o almeno fingeva, però era un ottimo cacciatore.

L`Africa immediatamente post-coloniale dava l`impressione di un bubbone in parte già* esploso, specie al nord, ma che in gran parte doveva ancora, per così dire, "dare il meglio di sé". Con il decadimento del monopolio anglo-francese, troppi interessi sarebbero venuti inevitabilmente a confliggere in quella fetta di mondo ancora divisa da insanabili e ancestrali odi tribali, che, ad esempio belgi e portoghesi, avevano fatto di tutto per tenere in buona salute. Checché se ne potesse dire, le colonie meglio gestite, anche sotto il profilo sociale, erano indubbiamente state quelle tedesche, smembrate alla fine della Grande Guerra nel 1918 dagli inglesi.

Accadde che, dopo una settimana di viaggio, giunti nei pressi del confine fra Tanzania e Zambia, decidemmo di fare una sosta nella cittadina di Kasanga. Facendoci largo, entrammo in un ostello che pareva essere diventato una sorta di ricovero per anziani, data la ragguardevole età* dei frequentatori.

Feci caso a un tavolo al quale sedeva un gruppo di vecchi africani e con loro, come se niente fosse, perfettamente integrato, quasi parte dell`arredo del locale, un vecchio bianco, con le guance vagamente arrossate, piuttosto alto e secco, con lucenti capelli bianchi corti e diligentemente pettinati. Quello parlava il dialetto dei suoi compari correntemente e ogni tanto si lasciava scappare una battuta in tedesco, che gli altri capivano benissimo e alla quale rispondevano ridendo nella stessa lingua. Da ore giocavano a carte e bevevano birra.

Noi prendemmo due whiskey al bancone fumando una sigaretta.

Concludemmo che il posto era ospitale e che vi avremmo potuto passare tranquillamente la notte, quello ci mostrò dove avremmo dormito e lì lasciammo la nostra poca roba.

Quando tutti si erano già* ritirati, l`unico ad essere rimasto lì al suo tavolo era il vecchio bianco. Aveva un viso duro e scolpito, fiero, prussiano, lo sguardo fisso verso il variopinto tramonto, come se si ritrovasse in quei colori potenti e guerreschi che si perdevano all`orizzonte dietro gli altipiani. Come mi sedetti a mangiare qualcosa ad un tavolo, quello si voltò lentamente verso di me e mi fece un moderato cenno di saluto.

"Che ci fa lei qua?" mi chiese dopo un poco che mi aveva notato. Parlava l`inglese con una inconfondibile pronuncia tedesca.

"Beh, che ci faccio io qua..." farfugliai sorpreso "sono in viaggio con un amico e una guida indigena che parla tutto fuorché l`inglese"

"Che ne pensa?"

"Beh sono posti meravigliosi, sognavo da sempre di poterci venire, proprio così, all`avventura" dissi addentando un pezzo di pollo.

"Ah!" sorrise "Qui io ci sono venuto in guerra, ero nelle Schutztruppe, nel lontano `14, l`esercito coloniale tedesco di sua maestà* Guglielmo II. Sergente Hans Broch"

Lo guardai incuriosito, se ne accorse e mi diede un`occhiata indagatrice dalla testa ai piedi. Gli porsi la scatola delle sigarette, per offrigliene. Indugiò lì per lì, poi con un gesto solenne se ne prese una e l`accese. Feci lo stesso continuando a guardarlo affascinato.

Allora incuriosito anche lui mi chiese: "Posso sedermi al suo tavolo?"

"Prego!"

Si rivolse in dialetto al ragazzo che serviva. Poi tornò alla conversazione.

"Sa, da allora sono rimasto sempre qui, mi sento come un albero con le radici ben sprofondate in questa terra rossa. Qui mi sento a casa. Beh a dire il vero c`è anche qualcosa di molto importante che mi lega a questo posto"

"Posso sapere di che si tratta?".

Rimase un po` perplesso davanti alla mia sfacciataggine, poi mi disse che se mi fossi trovato lì l`indomani all`alba mi avrebbe mostrato di cosa si trattava.

Così all`alba mi trovai lì, alquanto assonnato per essere rimasto a leggere fino a tardi, sotto la zanzariera, alla fioca luce d`una vecchia lampada ad olio.

Il vecchio era lì ad aspettare.

"Buongiorno. Sa, in fondo non mi dispiace dopo tanti anni raccontare la mia storia ad uno straniero di passaggio, fra poco del resto verrà* la mia ora, a che pro tenermi tanti ricordi per non raccontarli a nessuno?".

Ci mettemmo in cammino e costeggiammo per un lungo tratto il Lago, senza fare parola.

Una volta che ci fummo allontanati abbastanza dalla città*, arrivati ad un certo punto, Hans si fermò di colpo. Mi pareva un luogo qualsiasi e non potevo capire perché proprio lì si fosse fermato.

"Qui è seppellita la mia donna, colei che mi fece prendere la decisione di rimanere qui" una lacrima sottile gli rigò il viso affilato.

"Come si chiamava?"

"Non voglio dire il suo nome, questo è ciò che mi chiese, di non pronunciarlo mai dopo la sua morte. Antica usanza della sua tribù."

"E lei, non è mai tornato in Germania?"

Ci rifletté, poi disse: "Tornai solo una volta in Germania, nel `35, i miei erano già* morti da un pezzo e, certo, non rimpiansi di essere stato assente dal mio paese in quegli anni, gli anni in cui quel gruppo di montanari bavaresi prese il potere".

Sorrisi all`espressione che quello adoperò per definire i nazisti.

"Le vie delle città* e le piazze sono ancor oggi perlopiù affollate di uomini grigi, biechi personaggi, generali inetti, immortalati nella pietra o nel bronzo. Solo qualche raro elenco su scarne lapidi ricorda l`immane sacrificio delle masse di uomini qualunque che costò quei monumenti tronfi e vanagloriosi di vuoti uomini di stato. Nessun monumento, ricorda il mio generale Paul Emil von Lettow-Vorbeck, così come i più, che conoscono la storia antica a grandi linee, ricordano un Pericle, un Alessandro o un Cesare, anziché i buoni costumi e il genio militare, tramandati da Senofonte, del grande condottiero spartano Agesilao"

"Mi racconti di quest`uomo"

"Quel Lettow-Vorbeck era uno che sapeva davvero il fatto suo e non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, per questo lo misero a capo delle Schutztruppe in Africa, lontano dalle alte sfere dell`esercito. Fu dapprima in Camerun, poi in Africa Occidentale e infine, allo scoppio della guerra, in Tanganica, dove ebbi l`onore di incontrarlo, io ero infatti a Tanga e fui per un po` di tempo suo attendente. Proprio a Tanga ci fu il primo grande scontro, a seguito dell`attacco anfibio britannico. Ebbe il coraggio di muovere i suoi uomini, contrariamente al parere del Kaiser e del prudentissimo governatore della colonia, von Schnee. La sua grande forza fu nel riconoscere la secondarietà* del suo ruolo, in uno scenario come l`Africa, non di primaria importanza, rispetto ai fronti europei. Come in una partita a carte, talvolta nella vita bisogna essere consapevoli del proprio ruolo, riconoscervisi ed accettarlo, anche qualora esso sia un ruolo qualunque. Bisogna credere nelle proprie carte qualsiasi esse siano. Di quali carte disponeva Lettow-Vorbeck? Circa 15 mila ascari e qualche centinaio di ufficiali e sottoufficiali tedeschi, gli inglesi lo sapevano e lo presero sottogamba. Egli invece fu il primo europeo a credere in un esercito indigeno, addestrò con fiducia i suoi ascari, contro i pareri dei patrii benpensanti, e li armò come poté. Tutti lo amavano, come un generale spartano, era sempre in mezzo ai suoi e i suoi costumi erano di specchiata onestà*. Vincemmo a Tanga e poi a Jassin e Mahiwa, nel `16, fu la nostra Maratona, migliaia i caduti inglesi e solo cento i nostri. Riuscimmo a mettere in ginocchio il sistema ferroviario della Rhodesia grazie ai nostri sabotaggi. Li colpivamo sempre dove meno se lo aspettavano e sa quanti uomini impiegarono gli inglesi in quei quattro anni?"

"Mi dica"

"Riderà*, forse, pensando che io sia un povero vecchio crucco rimbecillito. Invece la prego di credermi"

"Senz`altro, non si preoccupi, ho sempre avuto un debole per le cose incredibili"

"Ebbene, allora deve sapere che in quegli anni gli inglesi furono costretti ad impiegare un numero considerevole di uomini in questa landa abbandonata da Dio. Ben 300 mila uomini in tutto. Per farlo, mentre il grosso dell`esercito era impiegato in Europa, dovettero per la prima volta affidarsi a un grande esercito indigeno, seguendo così la lezione di un odiato crucco. Contro un solo generale ne furono messi ben 137, uno dopo l`altro sconfitti. Le loro vittime furono circa 60 mila. La nostra impresa fu davvero memorabile!"

"Capisco ora perché lei abbia paura di non essere creduto Sergente"

"Già*"

"Di fronte a un così glorioso passato non ha paura di vivere soltanto di ricordi?"

"Quella fu la grande irripetibile chance di tutta la mia vita, ogni altro successo che avessi tentato di raggiungere in seguito non l`avrebbe eguagliata. Mi resi conto, e me ne rendo conto tutt`ora, che in quella circostanza, io, figlio d`una maestra e di un impiegato delle imposte, sono stato partecipe d`un evento epocale che non avrei mai pensato, al fianco di uno dei più grandi generali di tutti i tempi, che conosceva i suoi soldati uno ad uno. Così decisi di rimanere qua, imparai l`inglese e fui assunto nelle Poste, potei rimanere così accanto all`indigena che avevo incontrato e verso la quale provavo un sentimento che i miei compatrioti mai avrebbero compreso. Restai al suo fianco fino all`ultimo giorno, quando la malaria se la portò via e venni qui a seppellirla affinché la sua tomba, quaggiù, nascosta, non si confondesse fra le altre. E poi, beh certo, l`uomo è chiamato ad un inesorabile ed inarrestabile declino, guardi la mia Germania: osannante davanti al Fuhrer, ora addirittura rasa al suolo e spartita fra americani e russi. Ogni uomo di buon senso, dinnanzi ad uno sventurato presente alla cui agonia assistiamo impotenti, non può che guardare al passato e, talvolta, rimpiangerlo, nulla di più umano non crede?"

Sorrisi e annuii. "E poi la guerra come andò a finire?"

"Lettow-Vorbeck ricevette l`ordine di arrendersi tre giorni dopo che l`armistizio era già* stato firmato in Europa. Tenga conto che il fronte del Tanganica invece era ancora attivo, vivo e vegeto, saremmo stati senz`altro in grado di resistere ancora a oltranza, imbattuti. I due eserciti si incontrarono sul ponte Chambeshi, situato sul confine fra Rhodesia e Tanganica, poco lontano da qui. Ivi noi deponemmo le armi al cospetto del generale sudafricano Smuts. Lettow-Vorbeck fu promosso e, noi, ascari compresi, fummo richiamati in patria e marciammo trionfalmente sotto la Porta di Brandeburgo, unici eroi della Patria ad essere rimasti imbattuti"

"Mi domando come possano un tale generale e una tale impresa rimanere dimenticati dai posteri"

"Il povero generale rimase in Patria e volente o nolente dovette subire il nazismo. Non cedette mai alla corte che Hitler gli fece, la sua adesione al Terzo Reich, disse egli stesso, gli era anatomicamente impossibile. Conservatore di ferro e monarchico di vecchio stampo, non poteva soffrire le rivoluzioni, eppure fu a suo modo "rivoluzionario", né vedere il potere in mano a quei fanatici che non lo meritavano, come le perle ai porci. Manco a dirlo, si ritirò in campagna lontano dagli affari di stato e non prese più parte a nulla. Per questo venne dimenticato; gli uomini per troppo tempo hanno agognato le stridenti e sconclusionate urla dei vari fuhrer novecenteschi. I tedeschi erano allora troppo indaffarati nel perdere ogni traccia della propria individualità* e uniformarsi alle masse oceaniche armate d`odio, stregate da volgari sobillatori e lanciate verso l`illusione di una grande nazione onnipotente, non potevano prestare attenzione ad un tenace vecchietto di campagna, da anni lontano dalle luci della ribalta. Erano lontani i tempi di Cincinnato, ahimè!

"Così egli, alcuni anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, decise di far ritorno fra i suoi "cari", curioso di vedere se ancora qui qualcuno lo ricordava. Quando arrivò in Tanzania fu accolto con tutti gli onori dai suoi ascari. In suo onore fu intonato l`Haya Safari, l`inno delle Schutztruppe. Quando morì, ad Amburgo, dispose che i suoi beni fossero devoluti ai suoi veterani, se ne occupò la Banca Nazionale Tedesca. Tuttavia quando l`incaricato fu inviato qui si trovò a dover risolvere un problema non da poco. Come infatti dimostrare chi davvero erano i veterani di von Lettow-Vorbeck? Numerosi vecchi portavano come dimostrazione brandelli di divise coloniali tedesche, ma ciò non era sufficiente. Si decise allora di fare ad ognuno un semplice esame: ognuno avrebbe ricevuto una scopa ed eseguito, con quella, degli ordini impartiti in lingua tedesca. A distanza di quasi cinquant`anni tutti gli ascari passarono meritevolmente l`esame. Quella fu la più grande vittoria del mio generale" sentenziò il Sergente dopo tanto parlare.

Rimanemmo un po` in silenzio scrutando l`acqua. Poi mi volsi verso il vecchio che fece come per scrollarsi di dosso i suoi ricordi. Ci riavviammo dunque verso il centro.

Giulio e la guida erano lì preoccupati temendo che fossi stato rapito o qualcosa del genere, mi guardarono con aria di rimprovero. Personalmente ero troppo emozionato da quello che il vecchio sergente tedesco mi aveva raccontato e troppo entusiasta per aver scoperto quella storia ignota ai più.

Salutai quell`uomo con una calorosa stretta di mano e sguardo riconoscente. Poi partimmo e lasciammo Kasanga. Il sergente tornò a giocare a carte.

Autore: Nicolò Basso

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