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Discussione: Monte Pal Grande e Bersaglieri!

  1. #1
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    Red face Monte Pal Grande e Bersaglieri!

    Ciao a tutti!

    Chi mi sa raccontare qualcosa riguardo al Monte Pal Grande? Sicuramente sarò scarsa io nella ricerca, ma purtroppo ho trovato solo informazioni sul Monte Pal Piccolo...

    Inoltre mi piacerebbe avere informazioni sull'attività dei bersaglieri nella WWI, attività, fregi, uniformi...Ho pochissime informazioni su un mio parente (di cui avevo già postato il foglio matricolare mi pare) bersagliere morto sul Monte Pal Grande e volevo almeno farmi un'idea, dato che sono in lotta con il comune per ottenere il certificato di morte

  2. #2
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    Già poco è successo sul Pal Piccolo...
    Monte Pal Grande... tanto freddo, fame, valanghe, congelamenti... notizie che non riempivano i bollettini di guerra e i resoconti dei corrispondenti di guerra.
    Una guerra di sacrificio.
    Una serie di foto fatte all'inizio della guerra, nella prima immagine si vede benissimo il campo di bocce (si, letto bene, il campo di bocce).
    L'ultima ritrae la trincea AU contrapposta.
    Dietro la trincea AU c'era lo strapiombo, la trincea veniva raggiunta con un sistema di camminamenti scalinati e scale a pioli.
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    Comincio un sacco di cose e non ne finisco nes

  3. #3
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    La salita alla trincea AU.
    I soldati AU in trincea sono appollaiati su trespoli...
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  4. #4
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    La Grande Guerra nel settore di Monte Croce Carnico

    I luoghi

    Mentre le montagne tutto attorno al passo di Monte Croce Carnico-Plöckenpass hanno caratteristiche tipicamente alpine, il piccolo gruppo formato dal Pal Piccolo-Kleiner Pal (1886 m.), dal Cuelat-Freikofel (1757 m.) e dal Pal Grande-Grosser Pal (1809 m.) presenta aspetti morfologici ben diversi, questi tre monti si staccano dal massiccio dell’Avostanis in direzione ovest e si ergono come una muraglia strapiombante fra le due strette valli parallele del torrente But a sud e del torrente Anger a nord, lasciando a ovest la profonda apertura del passo.

    Il Pal Piccolo non ha una vetta unica, ma la sua sommità, dalla forma di “C” inclinata a destra, è formata da un piccolo altopiano tormentato da cimette, valloncelli, forre, cocuzzoli e doline che gli danno un aspetto carsico, con le cime del lato nord più alte di quelle del lato sud contornanti tutte la piccola conca della casera Pal Piccolo di sopra.
    A est il Pal Piccolo digrada con una serie di cocuzzoli e vallette, chiamati tutti insieme Dosso del Cammello-Kamelrücken, fino ai piedi del Freikofel.
    Questo grande dente di roccia, la cui sommità ricorda un torrione medioevale, sorge improvviso dal caotico viluppo del Dosso del Cammello.
    La sua parete sud cade a picco sulla vallata di Timau, mentre il versante austriaco risulta meno dirupato.

    Proseguendo verso oriente, dal Freikofel si scende al passo del Cavallo-Rossbodenpass (1590 m), un ampio valico fra la valle dell’Anger e la conca delle casere Pal Grande di sotto e di sopra, anch’esso rotto da un intrico di valloncelli, cocuzzoli e doline.
    Dal passo del Cavallo bruscamente sale il Rossboden (1756), una cresta parallela alla propaggine ovest del Pal Grande e da essa separata dalla valle dei Pifferi, al cui termine, attraverso un’ampia sella, il Rossboden, si salda al Pal Grande (1809 m.).
    Il Pal Grande, la cui parete nord cade ripida sulla vallata del torrente Anger e quella sud sulla vicina valletta del rio Gaier, continua con la sua cresta est fino alla sella Pal Grande, che risale al Piz Timau e al massiccio dell’Avostanis, dove le caratteristiche morfologiche ritornano alpine.
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  5. #5
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    Un passo indietro

    Il passo di Monte Croce Carnico è uno dei valichi più antichi delle Alpi, conosciuto e utilizzato già in epoca etrusca e romana e durante tutto il medioevo.
    La piccola età glaciale, che durò a fasi alterne dalla metà del 1400 alla fine del 1500, rese impraticabili tutti i valichi alpini, separando di fatto la penisola italiana dal nord dell’Europa.
    Le comunicazioni furono possibili solamente via mare attraverso la Francia.
    Al suo termine i valichi di Tarvisio-Coccau e del Brennero, utilizzabili a periodi anche durante la glaciazione, erano diventati le due principali vie di comunicazione fra la penisola italiana e il nord dell’Europa, mentre il passo di Monte Croce Carnico, rimasto sempre impercorribile per oltre un secolo, aveva perso ogni importanza.
    Dopo la guerra del 1866 fra regno d’Italia e regno di Prussia da una parte e impero d’Austria dall’altra, il passo divenne uno dei tanti piccoli valichi di importanza locale lungo il confine fra i due stati, triste via di emigrazione stagionale per le popolazioni carniche costrette a cercare all’estero il sostentamento per le loro famiglie.
    Alla fine delle guerre d’indipendenza il giovane regno d’Italia, cercando riconoscimento e sostegno politico all’estero, si era avvicinato all’impero Austro-Ungarico, ma il fatto di essere formalmente alleati non aveva impedito ai due governi di erigere fortificazioni e sbarramenti lungo l’arco del confine, cosicché all’inizio del nostro secolo i punti di transito della linea di confine fra i due stati erano ben difesi.
    Il passo di Monte Croce Carnico era stato invece dimenticato, a sua protezione da parte austro-ungarica vi era una baracca-fortino costruita in pietra e risalente all’epoca napoleonica, da parte italiana nulla, la strada carrozzabile proveniente da Tolmezzo si fermava a Timau. e al passo saliva solo una ripida mulattiera.
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  6. #6
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    Lo scoppio della prima guerra mondiale

    Dieci anni prima dell’inizio del nostro secolo, anche se i comandi supremi rimanevano scettici e ritenevano inconcepibile combattere in montagna, anche durante la bella stagione, in tutti gli eserciti europei erano nati o stavano per essere creati su iniziativa di pochi ufficiali entusiasti i primi reparti militari specializzati nel combattimento nelle zone alpine.

    Quella tragica estate del 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, le imperial-regie truppe da montagna dell’esercito nazionale austriaco, reclutate nei territori del Voralberg, del Tirolo, della Carinzia, della Carniola e della Stiria, partirono come le altre fanterie per il fronte russo. Dopo il primo anno di guerra l’esercito austro-ungarico era stato letteralmente distrutto, aveva subito perdite spaventose, superiori all’ 80% e i suoi magazzini di munizioni e di viveri erano vuoti.

    Quando nella primavera del 1915 un nuovo avversario si affacciò all’orizzonte, i pochi reparti organici della Landsturm, la milizia territoriale, disponibili per difendere il confine meridionale della duplice monarchia furono affiancati dai reparti volontari degli Standschützen, gli appartenenti all’associazione dei tiratori al poligono, vecchi e adolescenti non in età di leva, inquadrati frettolosamente da ufficiali e sottufficiali richiamati dal fronte russo o in convalescenza in patria per ferite. Questi reparti raccogliticci e male addestrati si schierarono a fianco dei massicci forti, unico vero baluardo a difesa del confine, e attesero il primo urto del regio esercito.
    Anche se oggi può sembrare assurdo, al momento di scendere in campo il regno d’Italia dichiarò guerra solo all’Austria-Ungheria e non all’impero di Germania.
    Nonostante ciò il comando germanico inviò in territorio trentino e tirolese i reparti militari dell’Alpenkorps, che si schierarono in prima linea a necessario supporto delle scarse forze austro-ungariche.
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  7. #7
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    L’intervento italiano

    Il 24 maggio 1915, quando iniziarono le ostilità, gli increduli comandi austro-ungarici constatarono con stupore che il regio esercito italiano era ben lontano da essere quel micidiale strumento pronto a scattare in avanti che temevano da mesi.
    Il comando supremo italiano, costretto dall’alleanza stretta con Francia, Russia e Gran Bretagna a muoversi prima del previsto, faceva entrare in guerra le truppe sotto il suo comando senza che gli effettivi fossero tutti radunati, le dotazioni di armi e munizioni completate e i reparti pronti allo sforzo.
    Addirittura in certe zone di confine non esistevano strade adatte al passaggio delle pesanti trattrici d’artiglieria, la Carnia era una di queste, e solamente nel 1914 erano stati iniziati i lavori di adeguamento della rete stradale, portati spesso a termine durante la guerra.
    Questa tragica impreparazione portò a una fase di stallo sul nuovo fronte della durata di un paio di settimane, che i comandi austro-ungarici utilizzarono per togliere dal fronte russo truppe meglio addestrate e occupare, dove possibile, posizioni favorevoli anche oltre la linea di confine, privando il comando supremo italiano della possibilità di sfruttare la superiorità schiacciante di uomini e di mezzi del regio esercito.
    Le direttive emesse dal capo di stato maggiore, il generale Cadorna erano ben chiare: vista la conformazione a “S” inclinata della linea del confine, era evidente il pericolo che poteva derivare da un eventuale attacco austro-ungarico dal Trentino, tutti i reparti italiani a est del Piave sarebbero rimasti chiusi in un’enorme sacca.
    Sul fronte montano, con rapidità e decisione si sarebbero dovuti quindi occupare il maggior numero di obiettivi di importanza strategica situati anche in territorio avversario, per creare un robusto fronte difensivo facilmente presidiabile che permettesse di salvaguardare le spalle e concentrare poi tutti gli sforzi del regio esercito sull’Isonzo, obiettivi Lubiana e Vienna.
    Ma i suoi subordinati non si attennero agli ordini, come sarebbe successo troppe altre volte durante la guerra, e non si mossero.
    Riuscì anzi alle più attive truppe austro-ungariche di impadronirsi di molte favorevoli posizioni, la cui conquista nel prosieguo della guerra sarebbe costata sangue e sacrifici.
    Molte teste gallonate pagarono con l’esonero questa disobbedienza, ma il momento propizio era ormai sfuggito.
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  8. #8
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    I primi scontri

    Nella zona del passo di Monte Croce Carnico, considerato come tutta la Carnia un fronte secondario anche se la via del passo era una delle strade più rapide per valicare la catena delle Alpi e raggiungere il cuore dell’Austria attraverso la valle del Gail i primi scontri fra le truppe furono caratterizzati dall’esitazione e dalla mancanza di ordini precisi.
    Le cime dei monti erano percorse da pattuglioni della Regia Guardia di Finanza e di Alpini reclutati nella zona e inquadrati nei battaglioni Tolmezzo e Val Tagliamento, contro cui agivano gruppi di Tiratori Volontari Carinziani comandati da sottufficiali pratici dei luoghi della Gendarmeria e della Guardia di Finanza austriaca.
    Gli scontri a fuoco erano sporadici ma violenti, tra i primi caduti due triestini, Angelo di Valentini, volontario triestino negli alpini dell’8º reggimento, medaglia di bronzo al valore militare, caduto i primi giorni di guerra sul Pal Piccolo, e Cesare Bartolini, mitragliere dell’i. e r. reggimento fanteria n. 97º caduto il 20 giugno a nord del passo. Al primo verranno dedicate lapidi e libri, al secondo, e a tutti gli altri cittadini austro-ungarici di lingua italiana combattenti nelle forze armate sconfitte, sarà negata anche la memoria.
    Nessuna delle due parti progettava però una occupazione stabile delle vette, al contrario le truppe austro-ungariche avevano lavorato a un sistema trincerato di sbarramento alla fine della valle dell’Anger, proprio sulla collinetta davanti alla Plöckenhaus, la casa-albergo del passo, costruendolo secondo le esperienze acquisite in Galizia, terra di grandi pianure.
    Alla fine di maggio a comandare il settore pericolante venne chiamato il generale Fernengel, che ordinò il logico avanzamento delle linee difensive sulle vette, ma anche da parte italiana il generale Lequio, comandante della Zona Carnia, era arrivato alla stessa decisione.
    Il Pal Piccolo era stato il primo monte a essere occupato stabilmente da reparti del battaglione Tolmezzo ma non si era provveduto ne’ alla costruzione di trincee ne’ di ripari per gli uomini, quasi che i rapporti sui progressi delle tecnologie belliche, inviati al comando supremo dagli ufficiali del regio esercito in missione di osservatori sui vari fronti europei, non avessero insegnato nulla.
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  9. #9
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    Sulla vetta del Freikofel invece si era appostata una compagnia dell’i.r. battaglione n. 10 della milizia territoriale stiriana, che da quella posizione dominante svolgeva opera di cecchinaggio e disturbo sulle vie di collegamento e di rifornimento fra il Pal Piccolo, il Pal Grande e le posizioni di fondovalle.
    Il 28 maggio la 6ª compagnia del battaglione Tolmezzo falliva l’occupazione del Pal Grande, che riusciva invece il giorno successivo con il concorso della 72ª compagnia dello stesso battaglione, ma il 30 la vetta di quota 1809 era rioccupata da reparti austro-ungarici dell’i. e r. battaglione cacciatori n. 30.
    La situazione rimase incerta fino al 6 giugno, quando gli alpini dei battaglioni Tolmezzo e Val Tagliamento furono spediti all’attacco del Freikofel, praticamente senza fuoco d’appoggio, vista la scarsissima artiglieria italiana presente in zona.
    Mentre due plotoni dovevano cercare di aggirare la vetta del Freikofel con una manovra diversiva, un reparto di dieci rocciatori al comando del caporale Felice Polonia risaliva il ripidissimo versante sud, cogliendo di sorpresa la guarnigione austro-ungarica.
    Il combattimento inizi allora asprissimo nel tentativo delle due parti di rovesciare a valle gli avversari, e dal Freikofel la lotta si estese rapidamente al vicino Pal Grande e richiese altre truppe di rinforzo. Da parte austro-ungarica arrivano in successione i polacchi e i ruteni dell’i. e r. battaglione cacciatori n. 30, i cechi del III battaglione dell’i. e r. reggimento di fanteria n. 18 e sei compagnie di ungheresi dell’i. e r. reggimento di fanteria n. 46.
    Da parte italiana accorsero gli altri plotoni dei battaglioni Tolmezzo e Val Tagliamento, reparti del III e IV battaglione del 3º reggimento fanteria, brigata Piemonte, reparti dei battaglioni alpini Val Varaita e Val Maira e dell’VIII battaglione. della Regia Guardia di Finanza. Dopo una settimana di durissima lotta il bordo sud della vetta del Freikofel rimase in mano italiana, quello nord in mano austro-ungarica.
    Anche sul Pal Grande, dopo una lotta furibonda non ci furono né vincitori né vinti.
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  10. #10
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    Durante la notte fra il 13 e il 14 giugno, agli alpini del Tolmezzo, impegnati nella lotta per il possesso della vetta del Freikofel, nell’occupazione del Pal Piccolo era succeduta la 23ª compagnia dell’VIII e le tre compagnie, 61ª, 62ª e 63ª, del XX battaglione della Regia Guardia di Finanza.
    Alle prime luci del 14 giugno le scarsissime artiglierie austro-ungariche (10 pezzi obsoleti) della zona iniziarono un furioso bombardamento e, dopo una lunga e faticosa salita lungo lo scosceso e ripido pendio, tre gruppi d’assalto austro - ungarici, formati da una prima ondata di tre compagnie e mezzo dell’i.r. battaglione n. 10 della milizia territoriale stiriana e da una seconda di tre compagnie del III battaglione dell’i. e r. reggimento di fanteria n. 61 del Banato, sbucarono sulle cime nord del Pal Piccolo, sorprendendo le disorganizzate e scosse Fiamme Gialle e cacciandole in disordine e con gravissime perdite, fra le quali anche il comandante del reparto maggiore Giovanni Macchi, prima nella conca della casera e poi oltre le cime sud, verso la valle.
    Bisogna precisare che il XX battaglione dalla Regia Guardia di Finanza era un battaglione costiero, che reclutava nella zona di Salerno, e venne inspiegabilmente schierato in alta montagna, nonostante fosse privo di salmerie.
    Così avanzando le truppe austro - ungariche si esposero però al fuoco diretto delle artiglierie italiane in zona, la 52ª batteria da montagna appostata sul Monte Tierz e una batteria di obici da 149 mm in batteria a Muse, vicino Cleulis, che iniziarono a colpire gli attaccanti.
    Nel frattempo gli assalitori erano contrattaccati dai sopraggiungenti reparti italiani, formati da alpini della 72ª compagnia del battaglione Tolmezzo e dalla 222ª compagnia del battaglione Val Varaita, cui si aggiunse poi anche la 272ª compagnia del battaglione Val Tagliamento.
    La lotta continuò selvaggia per tutta la giornata e per ancora altri due giorni, sotto un continuo fuoco d’artiglieria, finché le due parti ristettero, esauste, gli italiani padroni delle cime sud, gli austro-ungarici delle cime nord, la conca della casera a dividere i contendenti e i reparti direttamente contrapposti a oriente al centro della “C” e a occidente a metà della parte terminale della “C”.
    A buona ragione, dopo un mese di lotte sanguinose, entrambi i comandi proclamavano sui bollettini ufficiali di essere rimasti padroni delle tre vette contese, ma i reparti si erano trincerati dove avevano potuto, un cocuzzolo italiano, mezza valletta austro-ungarica, una dolina terra di nessuno.
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