Capitolo quarto
Il rimpatrio

1.Le trattative per il rimpatrio
Per tutta la durata del conflitto e fino al momento dell`annuncio del rimpatrio, il governo italiano rimase completamente all`oscuro sul numero dei prigionieri in Russia.
L`Unione Sovietica non figurava tra i firmatari della Convenzione di Ginevra, ma si impegnava a rispettarne le condizioni ( e quindi anche a comunicare al nemico informazioni inerenti i soldati avversari catturati) a patto che lo facessero anche i suoi avversari; il 21 agosto `41 il governo tedesco annunciò che, di fronte alle atrocità* perpetrate dai russi sui prigionieri tedeschi, non si sarebbe più sentito vincolato dalle disposizioni di Ginevra1.
L`Italia accettò di trattare i prigionieri sovietici secondo la Convenzione di Ginevra, anche se in realtà* fino alla costituzione dell`ARMIR non ebbe alcuna influenza sul loro trattamento, in quanto i prigionieri finiti nelle mani del CSIR venivano consegnati alle autorità* tedesche.
Con la costituzione dell`ARMIR, circa 5000 soldati russi catturati finirono a lavorare nei magazzini delle retrovie, ma già* dal 12 marzo `42 l`Italia aveva deciso di non comunicare più ai sovietici le liste dei prigionieri caduti nelle sue mani, come riferito alla Croce Rossa Internazionale:

(...) Questo Ufficio, conosciuta la dichiarazione del governo sovietico che, su vostro invito, si è dichiarato disposto, pur non avendo firmato la Convenzione di Ginevra del 27 luglio `29, a scambiare, sulla base di reciprocità*, gli elenchi dei militari catturati, illesi e feriti e dei caduti in territorio sovietico, vi ha trasmesso tutte le notizie che gli sono pervenute riguardo alla cattura, al decesso, ai trasferimenti di militari sovietici.(...) Tutti i nominativi sono stati trasmessi anche coi caratteri cirillici. Nonostante la cura e la prontezza con cui queste trasmissioni sono avvenute da parte nostra, abbiamo dovuto dolorosamente constatare che è mancata qualunque reciprocità* da parte del Governo sovietico, non essendo giunta a questo Ufficio nemmeno una segnalazione di prigioniero italiano in mano sovietica o di caduto italiano su territorio dell`URSS (...) In queste circostanze, questo Ufficio è costretto a sospendere in futuro la comunicazione delle notizie che gli possono giungere riguardo a militari sovietici catturati, trasferiti o deceduti.2

Italia ed Urss quindi, al momento della disfatta dell`ARMIR non erano vincolate da nessun accordo riguardo i prigionieri, al fondo delle loro inesistenti relazioni c`erano la differenza di mentalità* e l`indifferenza dell`Unione Sovietica nei confronti dei prigionieri di guerra, compresi i propri; differenze ben espresse dall`ambasciatore italiano a Mosca, Quaroni:

Questa gente è abituata a tutt`altra concezione dei rapporti umani. Qui non si sono mai preoccupati dei loro prigionieri, non hanno mai chiesto liste, non hanno mai cercato di assicurare loro corrispondenza, pacchi, etc.(...) Nell`esercito sovietico, salvo che per i generali, non si comunica alla famiglia che il proprio congiunto è morto, la gente si sbrighi da sé. Il combattente che cessa di scrivere, probabilmente è morto, se non è morto, riprenderà* a scrivere. Oppure lo rivedrete a guerra finita.(...) Con questa mentalità* come vuoi che capiscano le nostre aspirazioni mentali ad avere e dare notizie, a sapere in quali circostanze il tale è morto, ad avere atti di morte o altro? Anche se volessero darsi la pena, la confusione è tale che domanderebbe un immenso lavoro: e qui tutto quello che non serve allo sforzo bellico immediato, deve essere senz`altro eliminato.3

Pietro Quaroni, dopo il riconoscimento del governo Badoglio da parte dell`URSS avvenuto il 14 marzo 1944, venne inviato a Mosca in qualità* di ambasciatore e subito si attivò con le autorità* russe per chiedere notizie riguardanti i prigionieri italiani; analoghi tentativi vennero fatti dai governi Bonomi del 1944-45 e da autorità* dell`esercito, quali i generali Messe e Gazzera.4
Per tutta risposta, le autorità* sovietiche risposero che la questione delle liste riguardanti i prigionieri e il loro rimpatrio erano collegate a due fattori: la mancata consegna, da parte del governo italiano, delle liste dei prigionieri russi che si trovavano in Italia e le presunte atrocità* commesse da reparti italiani durante la guerra.5
Il governo italiano si adoperò per soddisfare le richieste russe e appurò la presenza in Italia di 29 cittadini sovietici, così come comunicò alle autorità* sovietiche il corretto comportamento delle truppe italiane in territorio sovietico6;ma non bastò e fino alla fine della guerra, il rifiuto sovietico di consegnare i nominativi dei prigionieri si reiterò, respingendo seccamente ogni richiesta italiana.
Incurante delle richieste che venivano fatte dalle autorità* italiane, la leadership sovietica si adoperava autonomamente per rimpatriare centinaia di migliaia di prigionieri (specialmente gli ammalati e gli inabili al lavoro) che costituivano un ingombrante presenza nel territorio sovietico.
Un primo gruppo di prigionieri, circa 225.000, fu rimpatriato in base al decreto dell`NKVD del 15 giugno `45, che stabiliva il ritorno in patria dei malati cronici e degli inabili al lavoro7; del gruppo faceva parte anche un centinaio di italiani.
In agosto venne poi decisa la liberazione di altre centinaia di migliaia di prigionieri, tra cui quella di tutti gli italiani e la comunicazione venne data, il 25 agosto `45, dal viceministro degli Esteri sovietico Lozovskij al segretario della Ggil Di Vittorio, in visita in Urss.8

1M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.47
2Comunicazione del Ministero degli Esteri alla Comitato internazionale della Croce Rossa, in L. Vaglica, "I prigionieri...", pp.255-256
3Rapporto dell`ambasciatore Pietro Quaroni al ministero degli Esteri, in M.T. Giusti, "I prigionieri...", p.160
4Ivi, p.158
5Giovanni Messe "Inchiesta sui dispersi in Russia", all. a "Russia.1941-43",Milano, Rizzoli, 1964, p.34
6Giusti M.T., "I prigionieri...", p.159
7Ivi,p.162
8L. Vaglica, "I prigionieri...", p.266