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Re: [Film] "Uomini contro" di Francesco Rosi
Noventa di Padova, 3.11.1917
ore 16.30 circa.
Il generale Graziani di passaggio vede sfilare una colonna di artiglieri
da montagna. Un soldato, certo Ruffini di Castelfidardo, lo saluta tenendo
la pipa in bocca. Il generale lo redarguisce e riscaldandosi inveisce
e lo bastona. Il soldato non si muove. Molte donne e parecchi
borghesi sono presenti. Un borghese interviene e osserva al generale
che quello non è il modo di trattare i nostri soldati. Il generale, infuriato,
risponde: "Dei soldati io faccio quello che mi piace" e per provarlo
fa buttare contro un muricciuolo il Ruffini e lo fa fucilare immediatamente
tra le urla delle povere donne inorridite. Poi ordina al
T. colonnello Folezzani (del 280 artiglieria campale) di farlo sotterrare:
"à? un uomo morto d`asfissia" – e, salito sull`automobile, riparte.
Il T. colonnello non ha voluto nel rapporto [porre] la causa della
morte. Tutti gli ufficiali del 280 artiglieria campale possono t
Accusato di ferocia, Graziani si giustificherà* reclamando che occorrevano
mezzi straordinari per salvare la patria in circostanze così gravi
come quella provocata dalla disfatta di Caporetto. Era invece, come
hanno dimostrato Enzo Forcella e Alberto Monticone nel loro libro Plotone
d`esecuzione, prassi inveterata ricorrere ai "mezzi straordinari", una
vera e propria apologia della paura, perseguita ricorrendo alla potestà* legislativa
accordata in tempo di guerra al Comando supremo e ai comandanti
dei corpi dall`art. 251 del codice penale militare, risalente al
1859: un potere enorme, che consentiva di applicare sanzioni che superavano
per rigore le già* dure norme del codice medesimo.
Dal maggio 1915 al novembre 1918 le condanne a morte dei Tribunali
di guerra e dei Tribunali territoriali furono, secondo i dati forniti dall`Ufficio
statistico del Ministero della guerra, 4.028, delle quali 750 eseguite,
311 non eseguite, 2.967 pronunziate in contumacia: ma quante
furono le esecuzioni sommarie? E le decimazioni? L`Ufficio giustizia
militare del Comando supremo fornì nell`estate 1919, su richiesta del
Ministro della guerra Albricci, alcuni dati per sua stessa ammissione «inesatti
e incompleti» che portavano a un totale di 107 fucilazioni sommarie
nell`arco di tempo compreso fra l`ottobre 1915 e il novembre
1917. à? una cifra attendibile? Senz`altro no, sia perché l`Ufficio giustizia
è in grado di produrre dati riferiti a soli 13 mesi sui 41 della durata del
conflitto sia perché delle fucilazioni ordinate dal generale Graziani nel
novembre ‘17 in territorio padovano e trevigiano – le quali per l`Ufficio
ammontavano a 34, mentre non potevano certamente essere meno di 57
– non si tenne inspiegabilmente conto, come ammette una nota leggibile
a margine del documento statistico conservato presso l`Archivio Centra
le dello Stato e pubblicato da Alberto Monticone nel suo saggio Il regime
penale nell`Esercito Italiano durante la Prima guerra mondiale.
Il Comando supremo, insediatosi a Padova dopo Caporetto, non poteva
ignorare la frenetica attività* fucilatrice del generale Graziani, nota
alla popolazione stessa se non altro perché i bandi dell`Ispettorato allo
Sgombero erano affissi ovunque: perché l`Ufficio giustizia tacque sulle
esecuzioni ordinate da Graziani o ne alterò le cifre? Scrive nel suo diario
il colonnello Angelo Gatti, dirigente dell`Ufficio Storico del Comando
supremo, in data 13 novembre 1917:
il generale Graziani, che è ispettore delle vie, ha fatto affiggere nelle
vie di Padova un avviso che diceva che era stata pronunciata la sentenza
di fucilazione nella schiena di ... soldati per violenza. Il popolo
di Padova si riuniva in attruppamenti per leggere e discutere questi e
altri moltissimi bandi [...].
Ancora: in una lettera alla moglie Fernanda, datata "Padova, 22 novembre
1917 ", Ugo Ojetti, ufficiale presso il Comando supremo, definisce Graziani
«quel pazzo del generale [...] destinato alla pulizia e fucilazione delle retrovie
». Nel 1964 Fernanda Ojetti pubblica, curate e annotate personalmente,
le lettere del marito a lei indirizzate tra il 1915 e il 1919: tra le Notizie biografiche
che corredano il volume così scriveva di Graziani:
Graziani gen. Andrea (1864-1931)
Valorosissimo combattente.
Nel 1917 dopo Caporetto chiamato "il generale delle fucilazioni".
Arginò così lo sbandamento. Comandò le truppe cecoslovacche. Dopo
molti anni, una notte cadde dal treno e morì. La morte fu attribuita
ad una possibile vendetta.
Dunque tutti sapevano, né potevano non sapere. La stessa relazione
della Commissione di inchiesta su Caporetto riconoscerà* che «le ferree
misure da esso adottate valsero ad impedire che lo sbandamento dilagasse
nell`intero Paese» e che «questi energici provvedimenti portarono
ottimi risultati»; eppure nel gennaio 1919, alcuni mesi prima che la relazione
stessa fosse resa pubblica, il maggiore generale Graziani fu collocato
a riposo d`autorità*.
Uomo ingombrante, certo. Pazzo, fanatico oppure eroe? O forse indispensabile
strumento della repressione militare, del quale liberarsi una volta
finito il lavoro sporco? La sua stessa morte è piena di ombre e ambiguità*:
fu il violento epilogo di una carriera violenta, giunto in ritardo sulla storia,
o l`anonimo suggello della nemesi? Se ripensiamo alle decine di soldati e di
civili messi al muro da Graziani, la "possibile vendetta" cui allude sibillinamente
Fernanda Ojetti potrebbe persino avere – ci sia concesso – una
sua morale consolatoria, ma potrebbe lasciar intendere anche ipotesi meno
scontate, come quella di un regolamento di conti interno al regime. Ma non
di questo vogliamo parlare. Riandiamo invece a quel soldato fucilato sul
posto sotto gli occhi della popolazione di Noventa Padovana, all`artigliere
Ruffini Alessandro da Castelfidardo, di anni ventitré, giustiziato in un
pomeriggio di novembre dell`anno 1917 ai bordi della strada principale del
paese, a poca distanza dalla chiesa parrocchiale.
5. Un esempio terribile
à? inutile cercare la cronaca della fucilazione dell`artigliere Ruffini sulla
stampa locale: né Il Veneto né La Provincia di Padova né Il Gazzettino la
riportano. Dichiarata zona in stato di guerra fin dal 22 maggio 1915,
Padova – come molte altre province venete – era sottoposta al potere
legiferante dell`autorità* militare, che si affiancava così «a quella accordata
dal parlamento al governo per le necessità* della guerra con la legge
22 maggio 1915, n. 671», come ci informa Alberto Monticone.
Per giunta, dopo Caporetto, la sede del Comando supremo si era trasferita
da Udine a Padova il 27 ottobre 1917: la censura vigila inesorabile, molte
pagine dei quotidiani hanno spazi bianchi. Con un esercito in rotta e il
nemico alle porte (non pochi nel governo e negli alti comandi pensavano
sarebbe stato necessario ritirarsi addirittura al Mincio) nessuna notizia "disfattista"
deve essere pubblicata; curioso, dal momento che i bandi
dell`Ispettore generale Graziani erano affissi a ogni cantonata.
Ma in Veneto – e non solo – l`atteggiamento della popolazione nei
confronti della guerra destava preoccupazione. Avverte Piero Melograni
che nelle province di Verona, Mantova e Padova gli abitanti delle zone
rurali «benché si trovassero sotto la diretta minaccia dell`invasione nemica,
non furono animate da sentimenti patriottici». Di ciò il generale
Diaz, succeduto a Cadorna l`8 novembre `17 come Capo di Stato maggiore,
informa il presidente del Consiglio Orlando con una lettera in data
24 novembre:
Da informazioni avute da varie fonti [...] si è potuto constatare come
il contegno delle popolazioni rurali nel Veronese, nel Mantovano e nel
Padovano sia ostile alla guerra [...]. Anche qualche vecchio [...] afferma
che sotto l`Austria si stava benissimo [...].
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