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					Storia di Gramsci Mario fratello del più famoso Antonio
				
					
						
							Riporto pari pari da altro forum:
 
 Ritengo doveroso che la ns Ass. ricordi la limpidissima figura di Mario Gramsci, fratello del più noto Antonio: già federale di Varese, e combattente pluridecorato volontario di 3 guerre (IGM, Etiopia, 2GM), sansepolcrista e marcista. Dopo l'8 settembre aderì alla RSI. Catturato dagli inglesi alla fine della guerra, venne internato in Australia tra i detenuti politici e sottoposto a "democratica" rieducazione a suon di sevizie e torture materiali e morali, a seguito delle quali morì poco dopo il rientro in Italia. OVVIAMENTE IGNORATO DALLA STORIOGRAFIA UFFICIALE E SPECIE DA QUELLA RIGUARDANTE IL FRATELLO PER LA QUALE SAREBBE TROPPO SCOMODO AFFRONTARE IL PARTICOLARE...
 
 Mussolini amava Varese tanto che nel 1927 la fece diventare provincia anche se ciò sarebbe avvenuto (tuttavia secondo i Varesini questa sarebbe pura leggenda e per i Bustocchi pura verità) solo grazie ad una offesa che egli subì durante una visita ufficiale nella città di Busto Arsizio, allora più popolosa ed economicamente sviluppata e quindi maggiormente deputata a diventare capoluogo rispetto all’attuale. I Bustocchi, infatti, preferirono andare in massa a salutare il nuovo parroco piuttosto che il Duce d’Italia e quell’episodio avrebbe determinato la vittoria di Varese, rinfocolando l'atavica rivalità campanilistica tra le due cittadine.
 
 Il primo federale dell’organizzazione provinciale varesina fu Mario Gramsci, fratello minore di due anni del ben più noto Antonio, esponente della prima ora e di primo piano della gerarchia fascista, volontario in tre diverse guerre, del quale, però, non resta molta documentazione e sostanzialmente indiretta. Si può parlare di una vera “damnatio memoriae” come raramente sia mai capitato e del resto, con un minimo sforzo di sano realismo, non è difficile capirne il perché.
 
 Nato nel 1893 a Sorgono, partì volontario per la prima guerra mondiale con il grado di sottotenente. Come molti reduci e arditi, al ritorno dalle trincee aderì ai fasci di combattimento, partecipando direttamente anche alla Marcia su Roma. Questa sua decisione causò gravi tormenti familiari e nel 1921 la lacerazione definitiva dei rapporti con il fratello Antonio, il quale cercò di dissuaderlo in tutti i modi, così come ci provarono i compagni del partito comunista, ma con metodi un po’ meno fraterni, senza riuscire ad incrinare di un millimetro le convinzioni fasciste di Mario, anche quando lo ridussero in fin di vita a suon di bastonate.
 Il legame tra i due rimase spezzato fino al 1927 quando, dal carcere, Antonio scrisse alla madre una lettera nella quale esprimeva il desiderio di ringraziare personalmente il fratello per l’interessamento che aveva avuto verso le sue condizioni di salute.
 
 In realtà è probabile che Mario Gramsci si spinse oltre e con l’aiuto di Bombacci e altri socialisti che si schierarono al fianco di Mussolini, intervenne in prima persona per rendere più tollerabile la condanna a vent’anni di carcere emessa dai tribunali speciali fascisti nei confronti del fratello, che infatti fu trasformata in libertà condizionata, concedendo ad Antonio la possibilità di curare con l’aiuto dei migliori medici e strutture del tempo e fino al giorno della scomparsa, le conseguenze del morbo di Pott che lo tormentavano dall’infanzia. Proprio questa intercessione, però, causerà il fallimento dell’incontro, così che la riconciliazione non avvenne mai e i due si separarono per sempre senza che capitasse più alcuna occasione di potersi di rivedere.
 
 Abbandonato l’incarico di Federale, Mario Gramsci aprì una ditta commerciale fino al 1935 quando partì volontario per la guerra in Abissinia. Indomito e avventuriero, all’età di quarantasette anni combatté anche sul fronte libico fino alla disfatta del 1943. Tornato in patria, Mario Gramsci scelse di rimanere fascista anche dopo il 25 luglio, seguendo Mussolini nella Repubblica Sociale.
 
 Se il fratello, «per una benevole ironia della storia si salvò da Stalin perché Mussolini l’ha messo dietro alle sbarre» (E. J. Hobsbawn), a Mario il fato riservò diversa e più triste sorte. Catturato dalle truppe inglesi al termine della Seconda guerra mondiale e deportato in un campo di concentramento in Australia, fu recluso tra i detenuti politici nel reparto destinato agli irriducibili, sottoposto a "democratica" rieducazione a suon di indicibili torture materiali e morali, nell'illusione che quel trattamento disumano riservatogli sarebbe stato sufficiente a piegare quell'animo d'acciaio. Evidentemente gli inglesi non sapevano di avere a che fare con un duro e irremovibile fascista, per di più sardo, e così nemmeno il particolare accanimento serbatogli riuscì a smuoverlo dalle proprie convinzioni.
 
 Provato dalla dura prigionia, fu rimpatriato nel 1945 in Italia solo perché gravemente ammalatosi. Morì nel 1947, proprio in conseguenza delle botte e delle malattie contratte nel campo di concentramento australiano, dimenticato da tutti, con il solo conforto dei figli.
 
 
 
 
 
 
 
 
	
	
	
	
	
	
	
	
	
	
	
	
		
		
			
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