dal Corriere della Sera del 30 Maggio 2004 (articolo di Gianluca Di Feo):

"QUEGLI IRRIDUCIBILI NELL'ISOLA-BUNKER CHE NON VOLEVANO CEDERE AGLI ALLEATI"

Sulla costa della Normandia c' era anche una piccola armata di connazionali
schierata con i tedeschi: la loro vicenda si era persa nel caos dell'
armistizio. Alcuni di loro si asserragliarono a Cézembre. E fu per
costringerli alla resa che gli americani sperimentarono il napalm



Quella mattina sulle coste della Normandia c' erano anche loro. Una piccola
armata di italiani che per scelta, per convenienza o per obbligo era
schierata dalla parte dei tedeschi. Migliaia di uomini impegnati lungo il
«vallo atlantico»: ventimila secondo alcune stime, addirittura 40 mila
secondo altre. Basta guardare alle spiagge del primo sbarco: all' alba del
D-Day negli scacchieri di Omaha, Utah, Juno e Gold c' erano almeno cinque
unità italiane in armi. Invece gli alpini della «Trento», costretti a
lavorare per l' organizzazione Todt, approfittarono del caos e fuggirono
verso casa. «E' stato un inferno - ricorda Antonio Cipriani -. A mezzanotte
sembrava di essere in pieno giorno tante le bombe che cadevano: i morti non
si contavano. Nella confusione dell' attacco, io e tre miei compaesani siano
scappati». Durante i raid si diedero alla macchia anche i camionisti
piemontesi che per uscire dal lager avevano accettato di servire con la
colonna mobile della 716ma divisione. Invece i mitraglieri aggregati al
736mo granatieri, quasi tutti bersaglieri, tentarono un disperato
contrattacco. E gli artiglieri del 1261mo restarono ai pezzi, sparando
contro la più grande flotta di tutti i tempi. Nel settore Utah, in un bosco
dietro al forte di Marcouf, la quarta batteria - personale italiano e
comando tedesco - distrusse un cacciatorpediniere: «Centrammo un colpo dopo
l' altro - ha scritto il colonnello Triepel -. Uno spezzò il timone, perché
la nave cominciò a sbandare. Poi sprofondò di prua».

STORIA DIMENTICATA - La storia di questi soldati si è dissolta, persa nel
grande caos seguito all' armistizio. Esiste un' unica traccia certa: gli
archivi della Feldpost, il servizio postale germanico che permettono di
ricostruire movimenti e composizione delle forze armate hitleriane. Uno
storico - Gianni Giannoccolo - è riuscito a selezionare un elenco di unità
tedesche composte anche da militari italiani. Evidenzia almeno 60 reparti
attivi sul fronte atlantico. Berlino dopo l' 8 settembre aveva inquadrato
gli «alleati» in piccoli nuclei, compagnie o al massimo battaglioni. I
compiti erano scelti in base all' affidabilità. In prima linea chi si era
immediatamente mostrato fedele al Reich: in Normandia armavano ben 24
batterie di artiglieria pesante. Chi invece aveva «aderito» alla Rsi dopo la
cattura, andava nella contraerea o nei trasporti. I prigionieri leali ai
Savoia invece finivano nei cantieri della Todt: furono loro a costruire la
fortezza di Longues sur Mer - oggi trasformata in museo - che tenne sotto
tiro Omaha e Gold. Parecchi autisti italiani guidavano le colonne dei
rifornimenti. Persino le tre divisioni corazzate delle SS mandate da Hitler
per «ricacciare in mare» l' armata anglobritannica avevano dei contingenti
di volontari di Salò. E in tanti non tornarono. Tra il 19 e il 27 giugno a
Montebourg tre reggimenti di artiglieria (1261, 1262 e 1709) furono
distrutti nel tentativo di fermare i tank inglesi: un terzo dei soldati
erano italiani.

IL COMANDO DI BETASOM - Dopo l' 8 settembre l' unica eccezione alla
dispersione dei «collaborazionisti» riguardò la base sottomarini di
Bordeaux, in codice Betasom. Diecimila uomini guidati da Enzo Grossi - con
una discussa fama di asso dei sommergibili - che si erano guadagnati la
stima dell' ammiraglio Doenitz. Gli fu concesso di arruolare altri
volontari: 4.000 figli di immigrati, giovani cresciuti in Francia che del
fascismo avevano conosciuto solo la propaganda. Già dall' autunno del ' 43
crearono la «Divisione atlantica» e il battaglione «Longobardo» di fanteria
di marina. Le foto mostrano file di ragazzi con divise improvvisate e
sguardi poco marziali. Ma nelle settimane successive allo sbarco anche la
«Divisione atlantica» - come ha ricostruito Marino Perissinotto su «Storia e
Battaglie» - venne smembrata.

L' ISOLA DI FUOCO - La battaglia più sanguinosa fu combattuta a Cézembre, l'
isoletta-bunker che «copriva le spalle» alla cittadella di St. Malo: una
Maginot in miniatura, con tre livelli di sotterranei. Lunga 500 metri e
larga poco più di 250, ha conquistato il terribile primato di «terra più
bombardata della storia»: in un mese 120 mila tonnellate di ordigni.
Nonostante questo inferno, l' isola difesa da tedeschi e marinai di Salò ha
continuato a fare fuoco sugli americani. L' assedio cominciò ai primi di
agosto: navi, obici semoventi, bombardieri la bersagliano senza sosta. Il 17
agosto Saint Malo alza la bandiera bianca, ma l' isola resiste ancora. È a
questo punto che gli alleati decidono di usare un' arma mai sperimentata
prima: il napalm. Molti italiani sono terrorizzati: il 20 agosto tre marò
disertano e raggiungono la costa a nuoto. Descrivono agli americani le
condizioni della guarnigione: nei rifugi ci sono 277 feriti, tra cui 17
repubblichini, manca l' acqua potabile e scarseggia il cibo. Eppure, il 28 i
bunker rispondono con l' artiglieria a una nuova richiesta di cedere le
armi. Dicono che Patton fosse infuriato: il generale ordina di spazzare via
Cézembre. Due giorni dopo, l' apocalisse: 265 bombardieri sganciano migliaia
di bombe perforanti e barili di napalm. Dall' isola si leva una nuvola di
fuoco, simile al fungo di un' atomica: il calore piega persino le canne dei
cannoni, cancella ogni forma di vita dalla superficie. Il 1° settembre l'
ammiragliato germanico dà il permesso di resa al presidio. Dalle caverne
escono anche 69 italiani: «Camminavano a testa bassa come gente che viene
dall' altro mondo, parevano degli zombie». Appena arrivati sulla spiaggia,
gli americani rendono l' onore delle armi a questi «uomini che sembravano
delle ombre». Molti dei loro commilitoni rimasero nei cunicoli devastati. E
mai più esplorati: ancora oggi Cézembre è «una terra desolata», vietata a
tutti per la presenza di mine e ordigni inesplosi. In uno dei fortini
crollati, sotto una croce incisa nel cemento - riporta uno speleologo
francese - c' è una scritta spezzata da una granata: «Giovanni F...». Poi un
numero e la parola «Nap...». Forse l' ultimo saluto a uno di quei marinai
senza nome.

Questo è l'articolo che apparve diversi anni fa sul Corriere della Sera, spero possa essere di vostro interesse.
L'argomento "Italiani in Normandia" e sconosciuto ai più, ma furono almeno 20.000 (altre fonti indicano 40.000) i nostri connazionali che a diverso titolo, e volenti o nolenti, si trovarono ad operare in Francia, moltissimi dei quali impiegti sulle coste atlantiche alla costruzione del famoso Muro dell'Atlantico, ma molti furono impiegati nei vari reparti di artiglieria disseminati lungo la costa francese, isole Channel comprese!