Questo film potrebbe essere considerato un OT e forse lo è, ma è importante perchè è l' unica pellicola italiana a trattare sia pur marginalmente e riducendolo a una storia di corna, l' argomento dei sommergibilisti italiani che - inviati da Betasom in Giappone nel '43 per caricarvi materiali strategici per le industrie belliche italotedesche - vi rimasero bloccati dall' armistizio.
La maggior parte di loro aderì alla RSI e continuando ad operare in asia in seno alla WM con equipaggi misti italo-tedeschi. I sottomarini furono dunque rinominati con la sigla U-It, seguita dal numero. Dopo la caduta di Berlino e la resa tedesca, il naviglio passò di mano, venendo incorporato nella IJN, gli equipaggi divennero italo-nipponici e la sigla dei mezzi divenne I,seguita dal numero. Alcuni sommergibili furono affondati o distrutti. Dopo l' agosto '45 il personale superstite fu catturato dagli americani e in seguito rimpatriato. Ma non tutti: saputo che il governo Parri li considerava traditori e in patria sarebbero stati processati per collaborazionismo, alcuni marò restarono in Giappone in rancoroso esilio, prendendone la cittadinanza e sposando donne locali. La spiegazione data da uno di loro fu chiara: "Non eravamo stati noi a tradire l' Italia... era l' Italia ad aver tradito noi".
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Nel film, la giovane Akiko, rimasta sola al mondo dopo la morte della madre giapponese e del padre, un marò italiano, approfitta dei biglietti aerei scontati per le Olimpiadi di Roma del 1960 per riportarne in patria le ceneri - e un solino con i gladii della RSI !!! - provocando scompiglio nella famiglia legittima del "disperso", che evidentemente si era rifatto una vita in Giappone a loro insaputa. Dopo varie traversie dovute agli usi e costumi dei due popoli (mangia la carbonara con le bacchette come il ramen, tenta di ammannire ai parenti italiani il sushi - subito declassato a pesce crudo - con effetti esilaranti) oltre che all' italico gallismo dei "pappagalli" romani facili all' equazione:
DONNA GIAPPONESE=GEISHA=PROSTITUTA riuscirà ad integrarsi pienamente nella società trasteverina, diventando non una donna sottomessa ma, secondo il marito "come le nostre e peggio delle nostre" .