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Collaboratore
Era quella che Galeazzo Ciano definì nei suoi diari con amara disillusione, guerra italo-montenegrina, chiedendosi se saremmo riusciti a vincere almeno questa senza chiedere aiuto ai tedeschi. I nostri soldati, attaccati da ogni parte nelle città e nei villaggi, spesso con l' inganno, ebbero perdite dolorose. I partigiani non facevano prigionieri. Nonostante le pressanti richieste di aiuto rivolte via radio allo S.M.E., fu evidente che bisognava sbrigarsela con le poche forze in loco, che a stento riuscivano a tenere la capitale. Fu così che il governatore armò di sua iniziativa civili montenegrini "collaborazionisti" o comunque affidabili, dando loro come sbrigativo segno distintivo la coccarda con la stella da porre sui copricapi e gli indumenti civili. Costoro furono determinanti per sbloccare la situazione e soccorrere i presidi di carabinieri e finanzieri assediati nei paesi, spesso due o tre uomini, con poche munizioni, senza la conoscenza della lingua e del territorio, ospitati in case requisite, trasformate in caserme di fortuna. Molti di loro, dopo una resistenza disperata si immolarono eroicamente, per non finire vivi nelle mani dei villici. All' arrivo dei rinforzi spediti in fretta e furia dall' Italia seguì una dura repressione, che pose fine al sogno di resuscitare il Regno del Montenegro come stato satellite dell' Italia, direttamente sotto un re Savoia o un parente della Regina Elena.
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