La III guerra d'indipendenza concorse a determinare una politica di germanizzazione e slavizzazione compiuta dall'impero asburgico contro gli italiani.
La slavizzazione forzata in Venezia Giulia ed in Dalmazia progettata e portata avanti dalla Duplice Monarchia si sviluppò notoriamente in una pluralità di forme e modi, che compresero attività di polizia e giudiziarie, deportazioni, immigrazione in massa di slavi dall'interno, propaganda politica, misure scolastiche ecc. Uno degli strumenti di cui l'autorità imperial-regia si servì per slavizzare queste regioni fu il clero nazionalista sloveno e croato, per il cui tramite si cercò di realizzare una slavizzazione massiva della chiesa cattolica locale in tutti i suoi aspetti, in contrasto all'identità nazionale e religiosa degli italiani cattolici che vi vivevano. Questo portò le istituzioni ecclesiastiche locali ad essere coinvolte nel contrasto nazionale fra italiani e slavi. [Un ottimo studio d’insieme sulla tematica della Chiesa cattolica della Venezia Giulia durante le lotte nazionali nel periodo finale dell’impero asburgico è quello di G. Valdevit, Chiesa e lotte nazionali: il caso di Trieste (1850-1919), Udine 1979].
1]L’austroslavismo
Il cosiddetto austroslavismo indicò una corrente politica largamente diffusa (anche) presso sloveni e croati che si prefiggeva il conseguimento dei propri obiettivi nazionali e nazionalistici all’interno del regime asburgico e con la sua collaborazione. L’austroslavismo era diffuso presso varie popolazioni slave dell’impero, come i Cechi. Ciò che qui interessa è la sua presenza presso gli “slavi del sud”. La finalità di tale movimento, beninteso piuttosto variegato, era per i suoi aderenti sloveni e croati quello del “trialismo”, ossia la costituzione di un terzo “regno”, accanto ad Austria ed Ungheria. che avrebbe dovuto comprendere sloveni e croati ed appagare le loro aspirazioni.
L’austroslavismo fu, è bene ripeterlo, alquanto variegato al suo interno. Molti politici sloveni però suggerivano la creazione d’una nuova unità amministrativa, posta all’interno dell’impero asburgico, che avrebbe dovuto comprendere assieme la Carniola, la Stiria meridionale, la Carinzia meridionale, ma anche terre in cui gli italiani erano maggioranza, come il cosiddetto Litorale (la Venezia Giulia), quindi Trieste, l’Istria, la contea di Gorizia e Gradisca, nonché la Dalmazia. Si giungeva persino a rivendicare territori italiani al di là dell’Isonzo, come parte della valle del Natisone. I confini di questa nuova unità amministrativa avrebbero dovuto ricalcare in buona misura quelli elaborati già alla metà del secolo XIX da Peter Kozler. Questi era un geografo sloveno, ma d’origine tedesca e favorevole all’impero asburgico, che aveva creato nel 1848 la prima mappa della “Slovenia”, in cui venivano attribuiti ad essa anche molti territori che non erano per nulla a maggioranza slovena.
Il “terzo regno” avrebbe inoltre dovuto includere anche la Croazia, la Slavonia, la Bosnia-Erzegovina. Il destino degli italiani e dei serbi all’interno di tale nuova costruzione statale sarebbe stato, nelle intenzioni di molti dei nazionalisti Sloveni e Croati, quello dell’assimilazione forzata, quindi della loro slovenizzazione e croatizzazione. Si sarebbe dovuto quindi trovare un modus vivendi con il potere centrale ed il gruppo etnico austriaco, cercando invece di snazionalizzare le minoranze italiana e serba all’interno della nuova costruzione amministrativa.
Questi nazionalisti speravano di poter realizzare i propri progetti di riforma statale in senso trialistico ricorrendo all’alleanza di settori dell’establishment imperiale, in particolare l’esercito. Infatti, lo stesso capo di stato maggiore, Conrad von Hötzendorf, noto italofobo (propose l’attacco all’Italia per ben due volte, dopo il terremoto di Messina e durante la guerra di Libia),simpatizzava per le posizioni austro slaviste. Questo era il caso inoltre dell’erede al trono Francesco Ferdinando, non casualmente in ottimi rapporti con von von Hötzendorf.
L’austroslavismo incontrò la simpatia ed il sostegno di settori consistenti della classe dirigente austriaca e fu sostenuto da personaggi cruciali del nazionalismo slavo, che erano, particolare sintomatico,tutti ecclesiastici: J. J. Strossmayer, vescovo di Dakovo ed animatore del movimento nazionale croato; Janez Evangelist Krek, sacerdote, professore di teologia al seminario di Lubiana, capo ed ideologo spicco del Slovenska Ljudska Stranka “Partito popolare sloveno”, che chiese l’unione di sloveni, croati, serbi, “sotto lo scettro degli Asburgo” ed auspicava di trovare degli alleati all’interno dei circoli militari per poter attuare i suoi piani di riforma statuale; [cfr. A. Moritsch, “Der Austroslawismus. Ein verfrühtes Konzeptzur politischen Neugestaltung Mitteleuropas”, Wien 1996].
Infatti, il clero sloveno e croato rappresentava la guida politica del movimento nazionalista di questi due popoli, causa la debolezza culturale di tali popolazioni e l’assenza di una classe dirigente aristocratica o borghese od intellettuale che potesse sostituire gliecclesiastici. L’alleanza fra il potere imperiale asburgico ed i nazionalismi sloveno e croato in funzione antitaliana ebbe modo di trovare la sua saldatura proprio nell’austroslavismo ed i suoi rappresentanti politici nel clero slavo.
Il Concordato del 1855 fra Vienna e Roma aveva attribuito alla Chiesa cattolica una serie di funzioni pubbliche, che erano già state cancellate all’epoca di Giuseppe II. La Chiesa si vedeva assegnare l’anagrafe,il potere di repressione di reati previsti dal diritto canonico, competenza in materia matrimoniale, autorità di censura e d’influenza sull’intero settore dell’istruzione. In cambio però la Chiesa doveva accettare di ridurre i propri membri ad una condizione di parziale sottomissione al potere politico, poiché gli ecclesiastici erano ritenuti di fatto funzionari pubblici dello stato e l’imperatore poteva esercitare un’estesa influenza sull’amministrazione ecclesiale, in particolare sulle scelte dei vescovi. Questo rese possibile un’azione di slavizzazione della popolazione ad opera dei nazionalisti slavi ecclesiastici sia all’interno dell’ambito chiesastico in senso proprio, sia anche nell’ambito pubblico loro attribuito.
Era stato un sacerdote un teorico basilare del nazionalismo sloveno, Matija Majar, che era «cappellano presso la cattedrale di Klagenfurt e autore della petizione per la Zedinjena Slovenija (Slovenia unita) che formulò per la prima volta la richiesta di unire in un’unica entità amministrativa tutti gli sloveni residenti in Carniola, Carinzia, Stiria, Goriziano, Istria e Trieste. In quello che diventò a tutti gli effetti il programma nazionale sloveno fu formulata in modo esplicito la richiesta di introdurre lo sloveno come lingua d’insegnamento nelle scuole e lingua d’uso negli uffici pubblici ma anche di riunire la nazione slovena in un unico regno, appunto la Slovenia, dotato di una sua assemblea regionale.» [Marta Verginella, “L’ascesa della nazione ai confini dell’impero asburgico”]