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Discussione: Il mitra OVP di Ilio Barontini in ERitrea

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    Il mitra OVP di Ilio Barontini in ERitrea

    Nel numero di ottobre 2016 della rivista “Storia e Battaglie” è apparso un interessante articolo a firma di Stefano Baracchini riguardante il mitra italiano OVP usato dal militante comunista italiano Ilio Barontini durante la sua attività in A.O. a fianco dei guerriglieri abissini foraggiati dall’ Inghilterra. L’ autore ipotizza che la rara arma automatica, prodotta in piccola serie, fosse una preda bellica strappata ai reparti italiani di stanza nel territorio dell’ Impero, citando espressamente la M.V.S.N. e la P.A.I. oltre al Regio Esercito. Mi permetto di dissentire, dato che nonostante le pionieristiche ricerche e i molti interessanti prototipi realizzati a partire dalle Villar-Perosa tra la fine della 1^ g.m. e il primo dopoguerra, le armi automatiche individuali non conobbero una produzione di massa e le nostre FF.AA. le adottarono solo tardivamente. Ciò fu dovuto a motivi economici e politici, ma anche all’ ostilità degli alti comandi, composti da generali di formazione ottocentesca. Costoro esaltavano il tiro singolo mirato, col 91. Inoltre temevano che l’ adozione fra la truppa di pistole mitragliatrici, o peggio ancora di fucili semiautomatici, avrebbe portato il soldato italiano a “sparacchiare alla cieca” consumando inutilmente un a quantità maggiore di munizioni. Ciononostante gli ufficiali inferiori del R.E. che ne apprezzavano le qualità in combattimento, non cessarono mai una personale caccia alle MP nemiche, utilizzando le preziose prede belliche ogni volta che ne venivano in possesso in Abissinia, Spagna e su tutti i fronti della 2^ guerra mondiale. Nei reparti della Milizia operante in colonia, solo la Forestale, per la necessità dei suoi uomini di operare spesso da soli o in piccoli gruppi in luoghi isolati e difficili da raggiungere, riconobbe la necessità di un maggior volume di fuoco, adottando il Beretta 18/30, meglio conosciuto come “siringa”. Quanto alla nuova forza di polizia denominata Polizia dell’ Africa Italiana, inizialmente gli agenti erano dotati di moschetti 91, tanto è vero che le gibernette in cuoio erano previste per i caricatori di tale arma. Soltanto in seguito furono adottati dai motomitraglieri i nuovi moschetti automatici MAB38A e relativo gibernaggio in tela o cuoio per i caricatori corti da 10 colpi. L’ elevata qualità del mitra Beretta portò poi all’ adozione generalizzata per tutta la truppa “nazionale” della P.A.I. e rare volte per i “locali”. Comunque tra il 1937 ed il 1939, periodo nel quale i tre rivoluzionari professionali italiani Barontini, Rolla e Ukmar si trovavano nella nostra colonia (grazie a una inedita collaborazione tra i servizi britannici, francesi e sovietici), nessun reparto aveva ufficialmente in dotazione l’ O.V.P. dunque come quell’ arma era arrivata nelle mani di Barontini? Possiamo solo fare delle ipotesi alternative.
    1) Gli sciftà abissini pagati, armati e sostenuti da quello stesso governo britannico che nel 1937 aveva, seppur obtorto collo riconosciuto la legittimità del nuovo Impero italiano, erano il più delle volte delle bande tribali che vivevano sul territorio derubando le popolazioni indigene. Denaro ed armi inglesi giungevano a dorso di mulo dal Sudan, ma spesso l’ armamento più diffuso fra i guerriglieri era quello italiano, vista la maggior facilità di reperirne in loco le munizioni depredando i nostri caduti. Non sorprenderebbe dunque il fatto che l’ MI6 si fosse rifornito di armi e munizioni “Made in Italy” attingendo al mercato internazionale delle armi, anche per non rendere immediatamente manifesto il sostegno britannico a quelli che per noi erano e restavano solo criminali comuni.

    2) Almeno nel periodo intercorso tra la disfatta di Adua e l’ incidente ai pozzi di Ual-Ual, l’ Abissinia era uno stato amico. Confinava con le nostre colonie Eritrea e Somalia e in un certo senso gravitava nell’ orbita dell’ Italia. Scambi diplomatici ed economici erano frequenti, delegazioni di personalità abissine e membri della famiglia reale si erano recati in visita in Italia svariate volte. I governi prefascisti e poi la dittatura mussoliniana avevano tentato di implementare la popolarità dell’ Italia presso quelle popolazioni anche vendendo o donando loro surplus della 1^ g.m. come ad esempio molte copie spagnole di bassa qualità del revolver Bodeo ed altre armi antiquate. Ma anche oggetti ad alta tecnologia, come una blindo IZM e due carri armati FIAT 3000 donati al Negus durante una sua visita a Roma e ritrovati in perfetto stato nel Ghebì imperiale dai nostri soldati. Non è quindi impossibile che il mitra O.V.P. fosse giunto legittimamente negli arsenali abissini ben prima del 1935.

    3) Anche se pare improbabile che di propria iniziativa nostri ufficiali destinati al teatro di operazioni dell’ africa orientale abbiano potuto accedere agli O.V.P. eventualmente ancora presenti negli arsenali militari utilizzandoli come arma personale (pensiamo solo alla ottusa e paralizzante burocrazia del Regio Esercito), non è da escludere la possibilità che singole armi fossero offerte sul mercato dalle stesse ditte produttrici di fronte al disinteresse ufficiale ostentato dagli organi militari preposti. Si ha infatti notizia del fatto che nel 1942 alla vigilia della partenza dell’ ARMIR per il fronte russo, alcuni incaricati della ditta Beretta girassero le caserme proponendo l’ acquisto a titolo personale di MAB 38A “commessa rumena” ai più facoltosi tra i nostri ufficiali degli Alpini, dietro versamento di molti biglietti da mille. I volenterosi piazzisti per invogliare all’ acquisto non mancavano di sottolineare che il maggior volume di fuoco rispetto ai 91 regolamentari avrebbe fatto la differenza tra la vita e la morte. Forse tentativi di vendita diretta a militari in partenza per l’ A.O. accaddero anche nel 1936…
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    I tre comunisti italiani coinvolti nell’ operazione erano veri agenti del Comintern, meglio conosciuti come “i tre apostoli” e furono prestati dai servizi sovietici ai guerriglieri negussiti grazie ai buoni auspici dei servizi segreti inglesi e francesi. Fatti esfiltrare dalla Spagna rossa, ricevettero documenti falsi dalle autorità di polizia francesi, imbarcandosi poi per l’ Egitto. Da li raggiunsero il Sudan anglo-egiziano dove furono presi in carico dall’ esercito di Sua Maestà che provvide a far passare loro clandestinamente il confine, muniti di lasciapassare per i guerriglieri. La loro presenza in A.O.I. era nota anche alle nostre autorità, dato che gli “apostoli” diffusero a più riprese volantini propagandistici in italiano, diretti a far disertare i nostri soldati. Qualcuno si spinge fino ad attribuire a questi agitatori comunisti, la strage del cantiere Gondrand, vista come vendetta “ideologica” contro i proletari italiani, colpevoli di aver sostenuto la guerra di Mussolini contro il Negus, nonchè di venire a lavorare con entusiasmo nella nuova colonia. Operarono separatamente tra il 1937 e il 1939, ma le ripetute operazioni di “grande polizia” portate avanti dalle nostre truppe in loco che ridussero ai minimi termini l’ attività dei guerriglieri sino al 1941, li costrinsero a ripassare il confine. Una volta tornati in Sudan vennero ricevuti dal generale Harold Alexander, che si complimentò ufficialmente con loro.
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    Ilio Barontini, livornese della classe 1890, è un militante comunista esperto in esplosivi e schedato dal Fascismo.
    Nel 1931 espatria in Francia, entrando nella struttura occulta del Comintern.
    A metà degli anni ’30 combatte in Cina.
    Nel 1936/37 è in Spagna con le Brigate Internazionali, prima col Btg. Garibaldi, poi con la XII Brigata, combatte contro gli italiani a Guadalajara.
    In Etiopia dal 1937 al 1939, combatte gli italiani a fianco dei guerriglieri abissini.
    Tornato in Francia si occupa di spionaggio a favore dell’ Urss. Dal settembre 1939 al giugno 1940 organizza una rete di sabotaggio fra gli operai comunisti delle industrie belliche francesi. In conseguenza del patto Ribbentrop-Molotov tedeschi e sovietici erano implicitamente alleati e tutte le capacità cospirative del comunismo francese erano volte a favorire la vittoria nazista.
    Dal giugno 1941, dopo l’ invasione nazista dell’ Urss, organizza i partigiani comunisti in Francia.
    Nell’ agosto 1943 rientra in Italia e dopo l’ 8 settembre organizza le SAP e i GAP nell’ Italia settentrionale.
    Nel dopoguerra viene eletto in parlamento col PCI. Esponente della linea dura, che sperava in una “seconda ondata” rivoluzionaria e forse legato alla struttura militare clandestina comunista, non accetta la svolta legalitaria impressa al partito da Palmiro Togliatti a partire dal luglio 1948, dopo il fallito attentato di Pallante.
    Muore nel 1951 in un incidente d’ auto mentre insieme a due compagni si reca da Livorno a Scandicci (FI) per una riunione.
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