Film: La lunga ombra del lupo
Lingua originale: Italiano
Paese di produzione: Italia
Anno: 1971
Durata: 95 min
Genere: guerra, drammatico
Regia: Gianni Manera
Soggetto: Gianni Manera
Sceneggiatura: Gianni Manera, Enrico Manera
Produttore: Andrea Castorina, Lucia Cavallaro, Gianni Manera
Casa di produzione: S.L.I.F.
Distribuzione in Italia: Plaza Film
Fotografia: Clemente Santoni, Gioacchino Cantone
Montaggio: Mariano Arditi, Pasqua Di Benedetto
Musiche: Stelvio Cipriani
Scenografia: Maria Luisa Angelillo
Costumi: Francesca Maria Cofano
Trucco: Fernanda De Rossi
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INTERPRETI E PERSONAGGI
Gianni Manera (come John Manera): Marco, Il Lupo
Aliza Adar: Maria Teresa
Ivano Davoli: il tenente Andrea Mastroianni
Lucy Chevalier: la contessina Dal Monte
Joseph Logan: il tenente Heinz Warner
Elena Zareschi: la contessa Dal Monte
Maria Teresa Pietrangeli: Serena
Aldo Barberito: il tenente Von Kruger
Augusto Faillace: il capitano Frank O’Hara
Gustavo D’Arpe: Don Demetrio
Irene Aloisi: la moglie del Podestà
Eva Gioia: la contessina Balestrieri
Ivan Sebastian: il caporale John
Lou Chateroux: il dottore
Andrea Castorina (come Andy Castor): il tenente Herlitzka
Antonio Zambito
Claudio Perrone (come Claude Perron)
John Gold
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DOPPIATORI ITALIANI
Rita Savagnone: Aliza Adar
Pino Locchi: Ivano Davoli
Sergio Graziani: Joseph Logan
Vittoria Febbi: Maria Teresa Pietrangeli
Lydia Simoneschi: Elena Zareschi
Manlio Busoni: Aldo Barberito
Renato Turi: Augusto Faillace
Roberto Bertea: Gustavo D’Arpe
Carlo Romano: Lou Chateroux
Ferruccio Amendola: Ivan Sebastian
Melina Martello: Eva Gioia
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Sceneggiato, scritto, prodotto, diretto e persino interpretato (col nome d’arte John Manera) dall’ubiquo Gianni Manera, La lunga ombra del lupo è un film di ambientazione partigiana realizzato nel 1971 con molta buona volontà ma ben pochi mezzi. La volontà di fare economia risulta purtroppo molto evidente in ogni sua parte, con l’effetto non trascurabile di spingere sull’orlo del ridicolo una storia dignitosa e non priva di alcuni spunti interessanti. Fra i punti deboli che contribuiscono a sminuirne la credibilità possiamo elencare:
1) Acconciature di tutti gli attori non coeve al periodo della narrazione, uomini, specie i militari, con capelli troppo lunghi e basettoni, le donne addirittura con capelli cotonati.
2) Tranne pochi Kar.98k tedeschi e un paio di pistole, tutte le armi visibili nel film sono palesemente simulacri in legno, a partire dai molti MAB 38 fino al f.m. francese M.24/29 portato a spalla da uno dei militi fascisti, probabilmente per risparmiare sul noleggio delle armi per uso cinematografico. Il fucile di precisione usato dal cecchino italiano è invece una moderna carabina sportiva calibro 22.
3) L’abbigliamento di civili e partigiani è palesemente anni ‘70 mentre le uniformi americane postbelliche sembrano rimediate da un mercatino dell’usato.
4) Pochi veicoli d’epoca, spiccano una Kubelwagen ed una mitragliera Flak da 20 mm. sul suo carrello di trasporto originale.
5) La recitazione dei vari membri di un cast italo-franco-anglofono è spesso enfatica e non omogenea, oscillando tra il professionale e l’amatoriale. Non essendo state registrate in presa diretta, le voci degli attori di lingua straniera, nonché di gran parte degli italiani in ruoli di secondo piano sono state doppiate, a dire il vero ricorrendo a professionisti dotati di notevoli qualità vocali, tra i quali veri e propri mostri sacri del doppiaggio italiano come Carlo Romano, Ferruccio Amendola e Pino Locchi.
6) Nella scena finale, lo scontro risolutivo che vede partigiani e americani prevalere finalmente sui soldati germanici, scade in uno scontro a distanza ravvicinata, in cui evidentemente si è voluto fare a meno di pagare cascatori professionisti. Quindi i protagonisti combattono tra loro mimando un ridicolo effetto rallentato che per mancanza di fondi non poteva essere aggiunto in post-produzione. Manca poco che facciano “bum” con la bocca e sembra quasi di essere nella tipica rissa a cazzotti in testa dei film di Bud Spencer & Terence Hill! La bella colonna sonora composta da Stelvio Cipriani su toni epici e commoventi, una volta abbinata all’evidente pochezza delle immagini, ha un effetto sconcertante sullo spettatore.
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La trama del film, che narra la caccia spietata al partigiano Lupo da parte dei nazifascisti, denota una certa ingenuità nonché l’inevitabile manicheismo ideologico tipico del decennio degli “anni di piombo”. Inoltre si fa largo uso di “topoi” risalenti addirittura a quel Roma Città Aperta punto d’origine di tutta la cinematografia di genere resistenziale (i partigiani tutti eroi; l’ambiguità sessuale del biondo ufficiale nazista; Lupo, la sua donna e il loro neonato assimilati implicitamente alla Sacra Famiglia). Nella narrazione spiccano però almeno due elementi degni di un certo un certo interesse. Anzitutto la tematica poco analizzata – se non negletta – dalla cinematografia italiana del secondo dopoguerra, del coinvolgimento morale della classe abbiente italiana con gli occupanti nazisti, ondeggiante tra collaborazionismo, qualunquismo e opportunismo. In un film post-sessantottino come La lunga ora del lupo, essa è ovviamente inquadrata nell’ottica della lotta di classe. In secondo luogo la presenza (assai insolita e particolare per l’epoca nella quale fu realizzato il film) del tenente Mastroianni, ex-Alpino passato alla G.N.R. dopo l’8 settembre 1943 che in quanto abile cecchino viene inviato dai suoi superiori a sbarazzarsi del partigiano, attirandolo in una trappola. La sua figura, misurata e credibile nell’interpretazione di Ivano Davoli, è quella di un leale ufficiale italiano, spinto dal senso del dovere e dalla volontà di riscattare l’onta dell’armistizio badogliano. Egli sviluppa gradatamente una crescente insofferenza verso i nazisti, fino a rifiutarsi di uccidere Lupo a tradimento. Messo al muro dai tedeschi, verrà salvato in extremis prima della fucilazione, da un provvidenziale “arrivano i nostri” abbracciando la causa della libertà. Dunque un personaggio complesso e capace di evolvere psicologicamente. Si tratta di un caso raro nel cinema italiano, che all’insegna del più bieco conformismo ha sempre dipinto i combattenti repubblichini come figure abiette o ridicole. Infatti per trovare un militare della R.S.I. tratteggiato positivamente, bisogna tornare indietro almeno di un decennio, al Primo Arcovazzi magistralmente interpretato da Ugo Tognazzi ne Il Federale. Infatti, abbandonati gli iniziali toni da viaggio picaresco, nella seconda parte del film lasciava trapelare la sua sostanziale onestà, umanità e coraggio anche davanti alla sconfitta ineluttabile. Valori esplicitati non solo nell’evoluzione del rapporto nemico-amico col professore antifascista Bonafé. Si pensi per esempio a quando l’ingenuo milite scopre che il giovane intellettuale fascista da lui mitizzato perché “eroicamente caduto laggiù… nei cieli d’Albania” era invece imboscato in soffitta tra prosciutti e salami per scrivere poemi in onore dei nuovi padroni, chiunque essi fossero. All’umanissimo sfogo di Arcovazzi “…ma se tradiscono tutti non potrò mica vincerla da solo questa maledetta guerra!” O meglio ancora a quando durante il mitragliamento di un treno salva una donna incinta facendole scudo col suo corpo (questo fu un episodio di eroismo realmente accaduto nell’Italia Settentrionale che valse la M.O.V.M. alla memoria ad una giovane ausiliaria). Tornando al film La lunga ombra del lupo, è singolare che nella generale pochezza dei costumi di scena, il personaggio del tenente Mastroianni risulta essere quello maggiormente corretto anche dal punto di vista uniformologico per una vicenda ambientata nel 1944. Berretto grigioverde da campo mod. 42 con visiera recante l’aquila stilizzata da ufficiale della Guardia nazionale Repubblicana, divisa grigioverde mod. 34 in tessuto diagonale da ufficiale con al bavero fiamme nere caricate di “doppie emme saettanti” in metallo, nonché il distintivo metallico Fronte Russo sul taschino.
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Come ultima curiosità faccio notare che con tutta probabilità il Manera - il cui esordio cinematografico risale alla fine degli anni quaranta - si lasciò andare ad una certa forma di goliardico citazionismo cinefilo, dando ai personaggi del film i cognomi di attori (Mastroianni, Herlitzka) e produttori cinematografici (Warner).
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