Riccardo Marraffa: Dal 1911 ufficiale di Artiglieria nel Regio Esercito, veterano pluridecorato della Grande Guerra, nel gennaio 1937 divenne comandante della Polizia dell’Africa Italiana e forgiò a propria immagine e somiglianza il nuovo corpo armato creato da Mussolini l’anno prima, inculcando in ufficiali e truppa un inflessibile senso di fedeltà allo Stato ed alla Monarchia, superando e in un certo qual modo eludendo i limiti impliciti nell’ideologia fascista. Fece rapidamente della P.A.I. una moderna ed efficiente realtà dalla duplice natura – militare e di polizia – destinata ad operare sia in Libia che in A.O.I. con personale misto italiano ed africano, prendendo ad esempio la polizia coloniale britannica. In tempi di povertà generalizzata e diffuso analfabetismo tra la popolazione italiana, l’arruolamento era visto da molti giovani solo come un impiego statale ben remunerato, con vitto e alloggio assicurati e senza troppe responsabilità. Marraffa ritenne invece indispensabile ammettere alla Scuola P.A.I. di Tivoli solo personale nazionale di alta statura, in perfetta salute, esclusivamente volontario, altamente scolarizzato (diploma di liceo o istituto tecnico) e in grado di operare in completa autonomia per lunghi periodi, garantendo l’ordine pubblico nei vasti territori africani più con l’esempio che con la repressione. A tale scopo i futuri agenti dovevano studiare approfonditamente non solo il Codice Penale italiano, ma anche la Sharia islamica e il diritto consuetudinario delle varie popolazioni indigene, nonché parlare almeno una delle lingue locali. Essi furono equipaggiati senza badare a spese con uniformi di altissima qualità, armi automatiche innovative e mezzi motorizzati e blindati appositamente studiati per operare in ambiente africano. Oltretutto in una quantità a quell’epoca totalmente sconosciuta alle forze armate nazionali. Gli Ascari P.A.I. reclutati in tutte le etnie dell’Impero dovevano a loro volta saper leggere e scrivere correttamente l’italiano (a livello da licenza elementare) e venivano inquadrati da esperti e fedeli sottufficiali indigeni, in genere veterani eritrei dei CC.RR. e del R.C.T.C. con molti anni di servizio. Sin dall’inizio la P.A.I. aveva come propria missione istituzionale la protezione delle vite, dei beni, dei diritti civili e religiosi di tutti i sudditi residenti nelle colonie del Regno d’Italia, indipendentemente dall’etnia di appartenenza o dalla fede professata. Contingenti di agenti P.A.I. specialmente addestrati scortavano persino le navi cariche dei sudditi di religione islamica in navigazione verso l’Arabia Saudita per compiere l’Haji, il pellegrinaggio alla Mecca ritenuto sacro dovere di ogni buon musulmano, proteggendole dalle bande di pirati che anche allora infestavano il Mar Rosso. Anche dopo le leggi razziali del 1938 grazie all’esempio di moderazione dato dal suo comandante, la Polizia dell’Africa Italiana rimase totalmente estranea a forme di repressione e discriminazione sporadicamente perpetrate in colonia dai fascisti più facinorosi ai danni dei nativi. L’entrata in guerra dell’Italia nel giugno 1940 bloccò le promettenti sperimentazioni in corso per dotare il corpo anche di una propria componente aerea dotata di velivoli ad ala rotante (dato che per volere di Italo Balbo tutti i velivoli ad ala fissa ricadevano sotto la esclusiva giurisdizione della Regia Aeronautica), immettendo in servizio autogiri ed elicotteri di produzione nazionale per operazioni di polizia e soccorso sanitario. Dopo la definitiva perdita dell’A.O.I. il corpo formò alcune colonne celeri dotate di motociclette e autoblinde, che operarono come unità esploranti a fianco del nostro esercito in Africa Settentrionale fino al maggio 1943. Dopo la caduta della Tunisia le restanti forze della P.A.I. ancora in Italia vennero riunite nella Colonna Cheren, comandata dal generale Presti. Dopo l’armistizio dell’8 settembre e la rapida occupazione militare tedesca, il generale Marraffa assunse il comando di tutte le forze di polizia ancora presenti a Roma, ma considerando quello monarchico fuggito a Bari l’unico governo italiano legittimo, rifiutò decisamente di aderire alla R.S.I. e cedere i suoi uomini alla G.N.R. appena creata da Mussolini. Il 27 settembre fu tratto in arresto dalla Gestapo con l’accusa di alto tradimento. Deportato nel campo di sterminio di Dachau, vi trovò la morte l’11 dicembre 1943. Probabilmente fu volontariamente soppresso dagli aguzzini nazisti ma il certificato consegnato in seguito per vie burocratiche alla famiglia riporta genericamente come causa della morte un infarto cardiaco.
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I Lancieri Vicereali: A inizio 1942 alcuni tra i Lancieri Vicereali P.A.I. più giovani e volenterosi rimasti a Napoli dal 1940, furono addestrati a Tivoli all’utilizzo delle motociclette ed ai moderni metodi di guerra nel deserto, venendo poi aggregati alla Colonna Romolo Gessi della P.A.I. destinata all’impiego operativo in Libia. I prescelti erano tutti eritrei di lingua araba e religione islamica, in quanto avrebbero potuto più agevolmente adattarsi a interagire con gli Agenti P.A.I. libici e con la popolazione di quel territorio. Al fronte dettero buona prova, seguendo le sorti del reparto sino alla resa delle truppe italiane. Visto il risultato positivo dell’esperimento, nel 1942/43 il resto del personale di colore parallelamente alla partecipazione al film Harlem fu istruito a Tivoli allo scopo di creare un reparto organico di moto mitraglieri indigeni. A tale scopo la sfarzosa uniforme di gala fu abbandonata in favore della sahariana kaki e l’alto “tarbusch” rosso venne ridotto in altezza a imitazione della “tachia” libica, permettendo di calzarlo saldamente anche alla guida di motocicli ad alta velocità. Le pistole Beretta 34 ed i mitra MAB 38 A andarono a sostituire le tradizionali lance da cavalleria. Finito l’addestramento il gruppo al comando di ufficiali bianchi fu decentrato nelle Marche con compiti di movimentazione stradale ed ordine pubblico. Dopo l’armistizio, pur essendo il reparto teoricamente agli ordini della R.S.I. i tedeschi dimostrarono una crescente ostilità e vi furono frequenti incidenti con i moto mitraglieri di colore, finché all’approssimarsi del passaggio del fronte questi ultimi si dettero alla macchia per ordine dei loro ufficiali, ripresentandosi però in servizio all’arrivo degli angloamericani. Riportati tutti a Napoli, dopo lo scioglimento della P.A.I. grazie alla conoscenza approfondita dei mezzi a motore furono utilizzati in vari modi dall’esercito cobelligerante e dai servizi segreti italiani anche dopo la fine del conflitto (nel 1945 un ex- Lanciere Vicereale P.A.I. divenne autista della vettura di servizio e attendente personale di Edgardo Sogno). Alla fine degli anni ’40 con la perdita definitiva della sovranità sulle nostre colonie in seguito alla firma del trattato di pace del 1947, alcuni dei nativi scelsero di tornare definitivamente in Africa. Altri si dimostrarono fedeli all’Italia al di là dei mutamenti istituzionali e restarono nel nostro paese, venendo arruolati inizialmente nelle FF.OO. per la repressione del banditismo in Sicilia e Sardegna. Ma poi trovarono impieghi più tranquilli in ministeri ed enti di vario genere. Il più famoso di tutti loro fu certamente l’ex- graduato P.A.I. Andalù, che per molti anni fu custode del Giardino Zoologico di Roma, divenendo poi un popolarissimo personaggio televisivo grazie alla partecipazione alla trasmissione L’amico degli animali al fianco di Riccardo Lombardi e Bianca Maria Piccinino.
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I sudditi coloniali: Al termine delle riprese di Harlem i sudditi coloniali utilizzati come comparse (circa una sessantina di individui di tutte le età) vennero premiati con un lungo giro turistico delle bellezze di Roma, a bordo di due vetture tranviarie dell’A.T.A.G. appositamente noleggiate dalla produzione del film sulla linea allora esistente “Circolare Rossa – Circolare Nera” con la scorta di agenti P.A.I. per evitare indebiti contatti con la popolazione bianca. Una volta tornato a Napoli, il gruppo vide decisamente peggiorato sia il proprio vitto che il tenore di vita, per l’aggravarsi del conflitto e il cambiamento improvviso del personale di guardia loro assegnato. Nell’aprile 1943 tutti i sudditi coloniali furono definitivamente trasferiti a Treia, in provincia di Macerata, per avvicinarli ai motomitraglieri indigeni già operanti in zona. Alloggiati in precarie condizioni igieniche a Villa Spada (già centro di internamento per cittadini stranieri), i sudditi coloniali erano sottoposti a una sorveglianza minima rispetto a Napoli e avevano più occasioni per interagire e fraternizzare con la popolazione italiana del luogo. Dopo l’armistizio rimasero indisturbati fino al mese di ottobre, quando uomini della Banda Mario (una formazione partigiana capeggiata dall’antifascista italiano Mario Depangher, ma in gran parte composta da ex-prigionieri di guerra britannici, sovietici, polacchi e jugoslavi fuggiti l’8 settembre dai campi di prigionia dell’Italia centrale) assaltarono la villa per disarmarne le guardie ed impadronirsi di armi e munizioni. Mohamed Abbasimbo, Scifarrà Abbadicà, Abbagirù Abbanangì ed Addis Agà furono i primi ad unirsi ai partigiani. Da allora altri etiopi e somali li seguirono alla spicciolata. Quando il 1 luglio 1944 la Banda Mario liberò San Severino Marche anticipando di poche ore l’entrata in città delle truppe polacche del generale Anders si conteranno nelle sue file almeno 15 africani, tra cui due donne. Prima di allora, in due distinti scontri a fuoco con i poliziotti altoatesini del Btg. Polizei-SS Bozen – proprio quelli dell’attentato dinamitardo di via Rasella – erano caduti in combattimento Abbabulgù Abbamagal (soprannominato Carletto) e Mohamed Raghé. Donne sole, famiglie con bambini ed individui restii ad affrontare i rischi della guerra partigiana rimasero a Villa Spada sotto la protezione della P.A.I. fino all’arrivo a Treia delle truppe angloamericane. Alla fine tutti furono riportati a Napoli e rimpatriarono al termine del conflitto. Fra i sudditi coloniali che dopo aver partecipato come comparse alle riprese del film Harlem si trovarono a diventare inaspettatamente partigiani, quello che nel suo paese assurse al rango più alto fu senza dubbio il somalo Aden Scirè (Aaden Shire Jaamac). Con la proclamazione dell’indipendenza della Repubblica Somala nel 1960 divenne un importante uomo politico e per alcuni anni fu Ministro degli affari religiosi e della giustizia. Cadde in disgrazia e fu emarginato dopo il colpo di stato militare perpetrato nel 1969 da Mohamed Siad Barre.
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I prigionieri di guerra sudafricani: Finite le riprese del film Harlem i prigionieri sudafricani del campo 122 rimasero in attesa di ulteriore impiego come comparse. L’8 settembre 1943 nel caos seguito all’armistizio un gran numero di soldati alleati riuscì ad evadere dai campi di prigionia italiani – spesso liberati dagli stessi carcerieri – dandosi alla macchia in massa. Ciò non avvenne per i docili P.O.W. di etnia Zulu, dato che non potevano certo mescolarsi facilmente con la popolazione locale passando inosservati e il loro luogo di detenzione sulla via Tuscolana non era situato in aperta campagna, ma alla estrema periferia di una grande metropoli. Una volta occupata Roma, i tedeschi presero subito il controllo del campo 122 e iniziarono la sistematica spoliazione di Cinecittà, del Centro Sperimentale di Cinematografia e dell’Istituto L.U.C.E. asportando e spedendo in Germania non solo preziosi macchinari, materiale tecnico e mobilia, ma persino lampadine, rubinetti e serrature. I neri sudafricani furono utilizzati come come manovalanza e in seguito spostati più al nord (ma per loro fortuna non nel Reich) dove furono costretti a scavare trincee e fortificazioni per la Organizzazione Todt. L’agente dell’O.S.S. Peter Tompkins, paracadutato a Roma dagli americani nell’inverno 1943, grazie alla rete partigiana del tenente Maurizio Giglio si arruolò sotto falso nome come agente ausiliario della P.A.I. frequentandone per un certo periodo l’accantonamento al Foro Mussolini. Qui rimase sbalordito, imbattendosi per caso in un prigioniero di guerra sudafricano di nome Joe. L’uomo era fuggito a suo tempo dal campo 122, ma poco dopo era stato arrestato da una pattuglia. Gli uomini della P.A.I. avevano presto scoperto la sua abilità col pallone e si erano ben guardati dal riconsegnarlo ai tedeschi. Infatti in Sudafrica anche l’attività sportiva era strettamente segregata su basi etniche, in quanto lo sport nazionale dei bianchi era il rugby, mentre i neri eccellevano nel calcio. E in quel periodo i vertici della P.A.I. cercando di mantenere buoni rapporti con gli occupanti, avevano organizzato sui campi del Foro Mussolini un torneo propagandistico con partite amichevoli tra la propria squadra di calcio e le rappresentanze delle varie divisioni della Wehrmacht operanti nei dintorni di Roma.Viste le potenzialità calcistiche del povero Joe, gli italiani non fecero altro che promuoverlo su due piedi da prigioniero di guerra ad agente, vestendolo da ascaro e trattandolo con ogni riguardo pur di convincerlo a giocare nella loro compagine. Non sappiamo che fine abbia fatto, probabilmente dopo la liberazione di Roma fu riconsegnato incolume alle truppe alleate. Senza lieto fine fu invece la vicenda sportiva del prigioniero di guerra sudafricano Kay Mayake. Nato a Barberton, 360 km ad est di Johannesburg, durante la detenzione al campo 122 partecipò ad Harlem interpretando un pugile afroamericano e interagendo in una breve scena col personaggio dell’allenatore Frankie Battaglia, interpretato da Erminio Spalla. Nella primavera del 1944, Mayake fu costretto ad incrociare i guantoni con Primo Carnera in un incontro propagandistico organizzato dal cinegiornale Luce e secondo copione avrebbe dovuto soccombere sotto i colpi dell’ex- campione dei pesi massimi. Inaspettatamente però mise K.O. l’avversario italiano e per ritorsione fu deportato dai nazisti in un campo di sterminio in Germania, dove nell’inverno 1944/45 si persero definitivamente le sue tracce.
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Pilade Levi: Congedatosi dall’esercito americano, nel secondo dopoguerra il giovane cineasta ebreo fu nominato responsabile della filiale italiana della Paramount Pictures, assumendo un ruolo di primo piano nell’ambiente cinematografico nazionale ed internazionale nel periodo della “Hollywood sul Tevere”.
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Cinecittà: Prima occupata e saccheggiata dalle truppe tedesche, poi gravemente danneggiata dalle incursioni aeree americane, Cinecittà divenne nell’immediato dopoguerra un enorme campo profughi gestito inizialmente dall’A.M.G.O.T. e poi dall’U.N.R.R.A. in cui si avvicendarono sfollati provenienti dai Castelli Romani, apolidi, profughi di guerra, ex-deportati provenienti da varie nazioni europee ed italiani rimpatriati dalle ex-colonie. Migliaia di persone si avvicendarono nel corso degli anni in precarie condizioni all’interno delle strutture rimaste in piedi. Teatri di posa, magazzini, uffici amministrativi, persino la sede del dopolavoro cinematografico ed i finti palazzi costruiti come parte dalla scenografia del film Bengasi nel 1942, furono trasformati in dormitori. Nonostante gli occupanti americani ostentassero disinteresse se non aperta ostilità verso la rinascita di una cinematografia italiana indipendente da Hollywood (9) essa poté avere luogo solo a partire dal 1947, in virtù del mutato contesto geopolitico internazionale e della incipiente guerra fredda, ma anche grazie agli sforzi del giovane ed astuto Giulio Andreotti, allora Sottosegretario allo Spettacolo nel primo governo De Gasperi. Il nostro paese era obbligato dal trattato di pace di Parigi a rimborsare alle maggiori case di produzione statunitensi i loro cospicui fondi, requisiti e incamerati dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia agli Stati Uniti nel 1941. Tale somma che ammontava a numerosi milioni di $ dell’epoca, fu effettivamente restituita ai legittimi proprietari e depositata in banche italiane. Ma il futuro senatore a vita (che nel 1939 da giovane universitario aveva visitato Cinecittà con il G.U.F. fascista partecipando anche al film L’assedio dell’Alcazar come comparsa) ebbe l’accortezza di impedirne il trasferimento all’estero, vincolandone l’utilizzo esclusivamente alla realizzazione di film sul territorio nazionale. Ciò spinse i cineasti statunitensi ad impiegare – dapprima quasi di malavoglia – le strutture superstiti della mussoliniana Città del Cinema, per girarvi pellicole americane a basso costo, destinate a mercati considerati marginali e sottosviluppati. Avendo però quasi subito riscontrato favorevoli condizioni di lavoro (grazie all’alta professionalità delle maestranze nostrane e ai costi di realizzazione estremamente bassi), gli americani una volta rassicurati dalla definitiva scelta anti-comunista e filo-atlantista della Democrazia Cristiana in seguito alla vittoria elettorale del 18 aprile 1948, iniziarono a realizzare a Roma pellicole “kolossal” a sfondo storico-mitologico o pseudo-biblico, dirette da registi di grido e interpretate da stelle di rilevanza mondiale. Ciò ebbe come conseguenza non solo la creazione di quell’ambiente cinematografico cosmopolita comunemente noto negli anni ’50 e ’60 come la “Hollywood sul Tevere” ma anche il completo recupero di tutti i teatri di posa al loro uso originario e quindi il ritorno di Cinecittà alla piena operatività prebellica.
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HARLEM E’MORTO? LUNGA VITA A KNOCK-OUT!
Trasformato dai numerosi tagli imposti dagli occupanti anglo-americani in un innocuo ed “apolitico” film sportivo, Harlem venne rimesso in circolazione col nuovo titolo Knock-Out! ottenendo il visto censura governativo il 4 dicembre 1946, purché le copie autorizzate circolassero esclusivamente nel circuito delle sale di seconda visione del centro-sud, con esclusione di Roma, Napoli, Firenze, nonché di tutta l’Italia settentrionale. Ovvero si voleva evitare che la pellicola fosse proiettata nelle zone maggiormente interessate dalla guerra civile, provocando incidenti a sfondo politico, in quanto seppure sforbiciati e eliminati dai titoli di testa e dalle locandine, vi apparivano i defunti Ovaldo Valenti e Luisa Ferida. I timori delle autorità si rivelarono fondati, in quanto il 5 luglio 1947 un gruppo di ex-partigiani comunisti assaltò a mano armata il cinema Ariosto di Reggio Emilia dove si proiettava Knock-Out! e fattisi consegnare dal proiezionista i rulli con la pellicola, li bruciarono pubblicamente nella vicina via Cairoli. Le successive indagini contro ignoti non consentirono di identificare i responsabili del gesto. Considerazioni politiche spinsero a ritenere più opportuna la commercializzazione all’estero, visto che tra i nostri emigranti erano ancora numerosi gli ammiratori di Amedeo Nazzari. Quindi Knock-Out! venne esportato in Francia nel 1948, in Spagna e in Germania Est nel 1950, in Argentina e Brasile nel 1952. Negli anni ’80 fu ripetutamente mandato in onda dalla RAI-TV insieme ad altri vecchi film acquisiti dal catalogo della Cines. Alla metà degli anni ’90 fu commercializzato nelle edicole in VHS ed oggi è ancora reperibile in DVD. Invece del film Harlem – in versione originaria non censurata – è sopravvissuta esclusivamente una copia 35 mm in pellicola nitrato, preservata in buone condizioni alla Cineteca Nazionale e proiettata in pubblico per la prima volta il 22 maggio 2018 durante un convegno, dopo quasi 75 anni di totale oblio.
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CONSIDERAZIONI FINALI
Nei sogni ambiziosi di Luigi Freddi, Harlem avrebbe dovuto essere una opera artistica a tutto tondo, in grado altresì di rappresentare l’apice ideologico/razziale della cinematografia fascista, eclissando tutti i film di propaganda realizzati in Italia sia prima che durante la guerra. Ma la lunga gestazione della pellicola, il vertiginoso aumento dei costi e l’andamento sempre più catastrofico del conflitto lo trasformarono, malgrado tutti gli sforzi, in un autentico – seppur grandioso – canto del cigno. Infatti questo kolossal fu l’ultimo film propagandistico effettivamente giunto in sala prima del crollo del regime fascista. Altri titoli solo previsti o già in lavorazione furono cancellati in seguito alle sconfitte militari (10). Dal maggio 1943 con la perdita delle residue posizioni dell’Asse in Tunisia e l’inizio della devastante campagna di bombardamento contro le città italiane da parte dei quadrimotori americani, l’ideologia fascista scomparve progressivamente dal grande schermo, parallelamente al liquefarsi del residuo sostegno popolare al regime. Da allora fino all’armistizio gli spettatori italiani scelsero di sfuggire alla incombente tragica realtà assistendo preferibilmente a pellicole disimpegnate, sia che si trattasse di commedie come Campo de’Fiori o drammi come Ossessione. E non è certo un caso che l’uno e l’altro furono girati quasi del tutto in esterni e sono oggi considerati fra i primi precursori dell’ondata neorealista postbellica destinata ad influire profondamente sul cinema mondiale.
NOTE:
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(1) Il personaggio di Aquila Nera, interpretato nel film Harlem da un suddito coloniale non bene identificato, era apertamente ispirato alla figura del pilota afroamericano John C. Robinson (1906-1954) che si offrì come istruttore di volo all’esercito abissino suscitando le ironie della stampa italiana nel 1935. I media americani di orientamento antifascista all’epoca lo soprannominarono “Brown Condor” esaltandolo enfaticamente come il primo aviatore di colore al mondo. Ciò non era vero neanche per gli Stati Uniti, dove peraltro una rigida separazione razziale tra bianchi e neri rimase in vigore nella società civile e nelle forze armate fino agli anni sessanta del ventesimo secolo. Il primo pilota militare di colore al mondo fu l’italo-eritreo Domenico Mondelli (1886-1974) che ottenne il brevetto già nel 1914, seguito nel corso della 1^ g.m. dal turco-nigeriano Ahmet Ali Celikten (1883-1969) , dall’anglo-giamaicano William Robinson Clarke (1895-1981), dal franco-martinicano Pierre Réjon (1895-1920) e dall’afro-americano Eugene Jacques Bullard (1894-1961).
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(2) Nel 1944 il militante comunista Sergio Amidei ospitò le riunioni dei maggiori dirigenti del P.C.I. clandestino a Roma, tra cui Negarville, Amendola, Alicata, Pellegrini e Ingrao nella sua abitazione, un appartamentino subaffittato dalla pensione Ricceri, al civico 51 di piazza di Spagna. Nel 1945, lavorando alla sceneggiatura del film-icona del neorealismo italiano, per maggiore verosimiglianza inserì in Roma città aperta riferimenti ad eventi autentici della resistenza romana. Guarda caso la pellicola di Roberto Rossellini si apre proprio con la scena dell’improvviso arrivo delle SS, la perquisizione dell’appartamento all’ultimo piano del civico 51 e la rocambolesca fuga del partigiano Manfredi sui tetti di fronte a Trinità dei Monti, per scavalcare il muro della sede diplomatica spagnola e rifugiarsi in territorio neutrale. Tali eventi erano realmente accaduti proprio all’Amidei nel periodo dell’occupazione nazista di Roma.
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(3) L’esclusivo Hotel Commodore di New York era ubicato in piena Manhattan. Dopo molte vicissitudini e un lunghissimo periodo di declino, negli anni ottanta del ventesimo secolo fu acquistato per una frazione infinitesimale del suo valore e completamente ristrutturato dal tycoon statunitense Donald Trump. Ancora oggi è in attività col nuovo nome di Grand Hyatt.
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(4) Film girati nel periodo 1940/43 con sudditi coloniali come comparse:
La figlia del Corsaro Verde di Enrico Guazzoni
Passione africana di Gennaro Righelli
Giarabub di Gofferdo Alessandrini
Bengasi di Augusto Genina
Giungla di Nunzio Malasomma
Germanin di Hans W. Kimmich
Harlem di Carmine Gallone
Due cuori tra le belve di Giorgio Simonelli
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(5) Utilizzate dalla Organizzazione Todt come manodopera salariata in vari cantieri militari sulla costa atlantica nell’ambito della costruzione del cosiddetto “Vallo Atlantico”, queste ex- truppe coloniali francesi vennero spesso a contatto con i sommergibilisti e i soldati italiani di stanza a Betasom, apprezzandone l’umanità. Dopo l’armistizio alcuni neri e maghrebini si presentarono volontari a Bordeaux, venendo arruolati in parte nella Divisione Atlantica della R.S.I. stanziata a difesa di isolotti e installazioni portuali sulla costa francese. Pochi altri si aggregarono ai Volontari di Francia, un nucleo armato di giovanissimi volontari italiani (in gran parte figli di emigrati antifascisti) nato spontaneamente a Parigi dopo l’8 settembre, che dopo un breve addestramento a Bordeaux confluì nella X^ M.A.S. e rientrò in Italia.
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(6) L’accordo italo-tedesco del maggio 1942 che permise lo sfruttamento dei P.O.W. di colore come comparse a Cinecittà, ebbe probabilmente come effetto collaterale quello di aver salvato la vita ai suddetti prigionieri di guerra sudafricani, garantendo loro un trattamento umano secondo le convenzioni internazionali da parte del nostro Regio Esercito. E’ noto infatti che tutti gli individui ritenuti dall’ideologia nazista come appartenenti a razze inferiori (ebrei, zingari, meticci, truppe coloniali francesi), che furono usati forzatamente nel corso del conflitto come comparse in film e documentari di propaganda girati nel Reich o nei territori occupati dalla U.F.A. di Goebbels andarono incontro a una sorte ben peggiore. Divenuti inutili al termine delle riprese, furono rapidamente avviati ai campi di sterminio e soppressi, affinché nessuno di essi sopravvivesse alla guerra.
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(7) Film realizzati in territorio della R.S.I. nel periodo 1943/45:
Aeroporto di Pietro Costa
Ogni giorno è domenica di Mario Baffico
Trent’anni di servizio di Alessandro De Stefani
La buona fortuna di Alessandro Cerchio
Peccatori di Flavio Calzavara
Il fiore sotto gli occhi di Guido Brignone
Fatto di cronaca di Piero Ballerini
L’angolo di mondo di Piero Ballerini
Senza famiglia di Giorgio Ferroni
Ritorno al nido di Giorgio Ferroni
Rosalba di Ferruccio Cerio
Fiori d’arancio di Dino Hobbes Cecchini
L’ultimo sogno di Marcello Albani
I figli della laguna di Francesco De Robertis
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(Il promettente attore trevigiano Elio Marcuzzo, militante antifascista ed omosessuale dichiarato, dopo aver interpretato l’ambiguo ruolo dello spagnolo nel film Ossessione di Luchino Visconti, nel 1942/43 girò altri film, alcuni dei quali a Parigi in coproduzione con la casa di produzione tedesca U.F.A. grazie alla sua perfetta conoscenza delle lingue. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 non aderì alla rinata cinematografia della R.S.I. operante a Venezia, ma preferì raggiungere la famiglia sfollata da Treviso a Cavrié. Pur facendo vita ritirata, durante la guerra civile simpatizzò per i partigiani (e secondo alcuni li finanziò). Tre mesi dopo la liberazione un gruppo di individui già facenti parte delle Brigate Garibaldi – travestiti da militi nel maldestro tentativo di attribuire il loro crimine a inesistenti sbandati fascisti – prelevò sotto la minaccia delle armi Elio e il fratello Armando dalla loro abitazione. Portati in camion alla cartiera di Mignagola, nei pressi di Breda di Piave, i due vennero torturati a lungo, impiccati e, come stabilito dall’autopsia, sepolti vivi il 28 luglio 1945. Quando poco dopo i fatti divenne evidente che gli assassini dei Marcuzzo erano partigiani comunisti essi diffusero ad arte notizie false. Sostennero che l’attore sarebbe stato legittimamente “giustiziato” in quanto collaborazionista, colpevole di aver effettuato traduzioni dall’inglese e dal tedesco per conto del segretario comunale repubblichino di Treviso, di essere stato un confidente del locale comando militare germanico, di non aver impedito alla sorella Rina di fidanzarsi con un sottufficiale della Guardia Nazionale Repubblicana. In realtà il capo partigiano Gino Simionato ed i suoi uomini miravano ad impadronirsi della ingente somma di denaro in contanti che Elio custodiva in casa, diffidando delle banche. Arrestati e processati all’inizio degli anni ’50 i colpevoli vennero prosciolti in quanto il reato ricadde nell’amnistia Togliatti. A differenza di altri omicidi commessi da partigiani comunisti nell’immediato dopoguerra ai danni di forze dell’ordine, possidenti e sacerdoti nell’ambito della prevista “seconda ondata” rivoluzionaria destinata a instaurare in Italia una dittatura di stampo sovietico, il caso Marcuzzo imbarazzò molto i vertici del P.C.I. in quanto l’attore era notoriamente un loro simpatizzante. E inoltre era legato fin dalla metà degli anni trenta ad un gruppo di giovani cineasti e intellettuali al vertice della rete clandestina del partito a Roma, primo fra tutti Pietro Ingrao. Di conseguenza l’onnipotente partitone togliattiano operò con successo una abile falsificazione della storia, facendo cadere l’oblio sulla figura dell’incolpevole Elio o (quando era proprio indispensabile parlarne) facendolo passare non senza reticenze per vittima dei nazifascisti, alterandone perfino la data di morte. La sorella Rina visse per decenni a Treviso sotto una cappa di silenzio, atterrita dalle minacce di terribili ritorsioni. Ancora nei primi anni del duemila, una enciclopedia mondiale degli attori redatta in lingua inglese e consultabile in rete riportava la vulgata menzognera diffusa decenni prima dai comunisti, definendo Elio Marcuzzo come «Italian actor killed by fascists». La verità sull’eccidio di Elio e del fratello Arnaldo venne ristabilita, non senza contrasti, solo grazie al giornalista e scrittore Giampaolo Pansa, che ne rievocò la tragica sorte in alcuni dei suoi libri revisionisti.
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(9) L’ammiraglio Ellery W. Stone, capo del governo militare di occupazione alleato (A.M.G.O.T.) dal 1943 al 1947, pronunziò poco dopo la liberazione di Roma un duro discorso dinanzi ad una delegazione di produttori, registi e attori italiani, dichiarando apertamente la volontà americana di non permettere la rinascita postbellica del nostro cinema, colpevole di essere stato uno strumento di propaganda fascista. Oltretutto, secondo l’alto ufficiale statunitense l’Italia sconfitta sarebbe stata in futuro ridotta al ruolo di paese esclusivamente agricolo, dunque non avrebbe avuto bisogno di una propria industria cinematografica indipendente, dovendosi limitare ad importare pellicole hollywoodiane per il proprio mercato interno. Nessuno dei cineasti presenti si permise di controbattere le affermazioni dell’onnipotente personaggio, che peraltro rientravano pienamente nella strategia imperialista concepita nel secondo dopoguerra dagli Stati Uniti e mirante al completo asservimento politico, economico e militare del nostro paese.
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(10) Film italiani interrotti per cause belliche fino all’8 settembre 1943:
Passione africana (Interrotto alla metà del 1941 per la perdita dell’A.O.I. e mai terminato)
I quattro di Bir El Gobi (Interrotto alla fine 1942 per la perdita della Libia e mai terminato)
La carica degli eroi (Interrotto alla fine 1942 per la perdita della Libia e mai terminato)
I cavalieri del deserto (Interrotto alla fine del 1942 per la perdita della Libia e mai terminato)
Fucilato all’alba (Interrotto alla fine del 1942 per la perdita della Libia e mai terminato)
Piazza San Sepolcro (Interrotto nel luglio 1943 per la caduta del regime fascista e completato affrettatamente nei 45 giorni di Badoglio. Bloccato dall’armistizio tra Italia e Alleati e mai più pubblicato nel dopoguerra)
Scalo merci (Iniziato allo scalo ferroviario romano di San Lorenzo si spostò in Abruzzo dopo il bombardamento americano del 19 luglio 1943. Bloccato dall’armistizio tra Italia e Alleati fu realizzato ex-novo nel dopoguerra con titolo e sceneggiatura diversi)
L’invasore (Interrotto per l’armistizio tra Italia e Alleati. Venne completato nel dopoguerra inserendovi scene di massa tratte da una pellicola tedesca del 1944)
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