DONNE NISEI NELLA W.A.A.C.
Torno sull’argomento Nisei con una breve integrazione. E’ utile ricordare che oltre al migliaio di interpreti militari di etnia giapponese che prestarono servizio con le forze di occupazione del governo militare americano su espressa richiesta del generale MacArthur, inviato a governare e sottomettere un popolo con una cultura e una lingua millenaria a lui completamente estranee, giunsero in Giappone anche un centinaio di donne Nisei inquadrate nel corpo ausiliario femminile dell’esercito (W.A.A.C.) con le stesse mansioni dei colleghi maschi. Si trattava di cittadine americane di etnia giapponese che una volta rinchiuse nei campi di concentramento americani erano state arruolate quasi forzatamente illudendole che ciò avrebbe alleviato le sofferenze delle loro famiglie tenute in detenzione. Alcune avevano accettato per patriottismo, altre perché in famiglia non c’erano figli maschi in età militare che potessero farlo al posto loro, altre ancora sperando di incontrare fratelli o fidanzati già arruolatisi. Frequentarono la scuola di lingue gestita dai servizi segreti dell’esercito dove studiarono giapponese, coreano e cinese. Ottenuta la qualifica di interprete militare vennero inviate nel Giappone occupato dove prestarono regolare servizio al fianco dei loro colleghi dall’estate 1945 all’estate 1946. Ma a quella data fu loro imposto il rimpatrio negli Stati Uniti per essere regolarmente smobilitate. L’altra alternativa era di continuare a lavorare come interpreti civili per enti o uffici parastatali gestiti dagli americani in territorio nipponico. Quasi tutte scelsero il rimpatrio per dimostrare di aver prestato servizio militare in quanto leali cittadine americane. Oltre al pregiudizio razziale imperante le ragazze Nisei erano cadute vittime anche dell’ambizione politica e della misoginia di MacArthur. Per quanto esse fossero come tutte le giovani donne americane nate, cresciute ed educate all’americana, cioè concrete, indipendenti ed individualiste, lo stereotipo diffuso della donna giapponese come totalmente sottomessa all’autorità gerarchica tradizionale a partire dall’imperatore fino al capofamiglia, faceva temere agli alti comandi che le interpreti Nisei potessero essere contattate dai parenti giapponesi e costrette o convinte a falsificare o trafugare importanti documenti di ufficio a favore di una peraltro inesistente “quinta colonna” antiamericana operante fra la popolazione locale. Ciò era assurdo anche perché le ragazze al momento del giuramento militare erano state costrette dall’esercito a firmare anche un documento ufficioso (immorale e illegale oltre che incostituzionale) che minacciava ritorsioni fino alla pena di morte contro i rispettivi nuclei familiari internati in caso di appropriazione di beni militari, assenza senza permesso, diserzione, violazione degli obblighi di segretezza, tradimento, ma anche “contiguità con elementi legati al regime imperiale”. Ciò vuol dire che per salvare la vita dei genitori in America dovevano evitare accuratamente tutti amici e parenti viventi in Giappone, che in un modo o nell’altro all’Imperatore avevano prestato giuramento o comunque avuto a che fare tutti. Per la assurda paranoia antigiapponese tutti rappresentavano una minaccia alla lealtà delle W.A.A.C. nippoamericane, dal vecchio nonno che aveva combattuto i russi nel 1905, al cugino maestro di scuola in un lontano villaggio, fino al nipotino dodicenne scampato all’atomica o alla ex vicina di casa già iscritta ad una associazione patriottica. Ma c’era anche un altro motivo più profondo e forse più vergognoso e indicibile dietro la decisione di MacArthur. E’ noto che il generale disprezzava apertamente sia Roosevelt che Truman, aveva enormi ambizioni politiche e aspirava a candidarsi alle prossime elezioni presidenziali, dunque stava accuratamente costruendo ad uso interno dei media statunitensi una sua immagine non solo di generale vittorioso ma anche di governante capace e attento ai bisogni della popolazione. A ciò si deve anche il fatto che Hirohito non fu incluso nella lista dei criminali di guerra ma fu invece oggetto di un ostentato rispetto da parte del generale americano. Purtroppo però la fame, le violenze e il disordine morale seguiti all’arrivo delle truppe di occupazione come era già avvenuto in tutta Europa provocarono un impressionante fenomeno di prostituzione di massa anche nell’arcipelago nipponico. Ogni soldato o marinaio poteva per così dire toccare con mano quanto fosse facile avere una donna in cambio di scatolame o sigarette. Si radicò in quei primi mesi l’idea che tutte le giapponesi fossero docile bottino di guerra e crebbero in modo esponenziale le violenze carnali ai danni di giovani e giovanissime ma anche di vegliarde. Delle vittime civili di tali abusi a MacArthur importava poco o niente, in fondo in base agli articoli del trattato di resa egli era il padrone assoluto delle anime e dei corpi di cento milioni di giapponesi, controllava ogni branca dell’autorità civile nipponica e poteva ridurre al silenzio ogni voce di dissenso contro i nuovi padroni. Fra il popolo americano anche dopo la vittoria l’odio antigiapponese restava enorme. Ma egli era preoccupato che i suoi uomini potessero fare come si dice di tutt’erba un fascio e considerare potenziali “segnorine” anche le W.A.A.C. di etnia giapponese, facendole oggetto di sgradite attenzioni. Quelle giovani donne non erano solo cittadine degli Stati Uniti a tutti gli effetti, ma anche membri delle forze armate americane in servizio ai suoi ordini. Una o più aggressioni sessuali ai loro danni non avrebbero potuto restare senza conseguenze, i media statunitensi ne avrebbero parlato diffusamente, ne sarebbero nati scandali e processi, rovinando la sua immagine pubblica faticosamente costruita in vista delle elezioni. Non potendo controllare i bassi istinti della truppa, l’ambizioso generale rispedì in patria tutte le interpreti Nisei (ma non diventò mai presidente degli Stati Uniti). Non fu un ritorno a casa gioioso, non ci furono fiori e bandiere per loro, nonostante avessero servito il loro paese per oltre un anno. La gente le additava in strada accusandole di essere spie del nemico. Avevano avuto la sfortuna di tornare alla seconda metà del 1946, proprio al culmine di una violentissima campagna d’odio scatenata dai media contro la cittadina americana Iva Toguri, alias Tokyo Rose, durante la guerra speaker propagandista della radio nazionale nipponica NHK additata a simbolo di tutte le “infide donne giapponesi”. Contro di lei secondo il controspionaggio militare e l’FBI non esistevano prove concrete di tradimento, ma sull’onda dello sdegno popolare e del perbenismo borghese fu imbastito ai suoi danni un processo costosissimo ma di dubbia regolarità e fu condannata a una lunga pena detentiva. Quanto alle interpreti Nisei, una volta congedate dalle W.A.A.C. si ricongiunsero coi familiari (quelli ancora in vita dopo la durissima detenzione nei campi) e andarono avanti cercando di sopravvivere, spesso con un tenore di vita incomparabilmente più basso rispetto all’anteguerra, in quanto case, imprese commerciali e depositi bancari requisiti nel 1941 agli onesti e laboriosi nippoamericani erano ormai definitivamente in ben altre mani.



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