Riflessioni sul corso del mio servizio militare dal 1938 al 1945.
Mi chiamo Arthur Krüger, sono nato il 12 giugno 1920 nella città libera di Danzica.
Sono state raccontate molte cose degli avvenimenti della guerra, cose buone e brutte. Sono stati scritti molti libri su quello che ex ufficiali hanno appreso e hanno detto. Costoro però, alla fine della guerra, sono ritornati nell`Esercito come volontari: della guerra e di fare il soldato non n`avevano ancora abbastanza.
Tuttavia, in tutti questi rapporti si è purtroppo parlato solo di rado del militare semplice, del fante che per anni è vissuto nel sudiciume, di noi, allora noti come i maiali del fronte, che vivevano lerci come maiali, ai quali nessuno pensava a tenerci puliti, a portarci l`acqua per raderci e per lavarci.
Perché oggi si trova una folla di gente che racconta le sue esperienze di Stalingrado, perché appena oggi? Quando quelli sopravvissuti all`inferno di Stalingrado sono in realtà solo un piccolo gruppo?
Perché coloro che oggi parlano in pubblico sono rimasti in silenzio per anni interi? Perché il generale Paulus e tanti ufficiali a Stalingrado, che per anni c`intimarono obbedienza cieca, disciplina di ferro e fede nel Führer, in prigionia si misero al servizio dei russi per trarne vantaggi?
Questi ufficiali chiedevano a noi, che dopo Stalingrado continuavamo a combattere fedeli al nostro giuramento, di tradire. Oggi gli eroi sono loro. Che cosa invece noi siamo, oggi in Germania si sente tutti i giorni.
Ora tutto ciò di cui vorrei parlare sono le mie riflessioni da soldato di fanteria che ha prestato il suo servizio dal 1938 fino al 9 maggio 1945.
Mi arruolai nella Wehrmacht nel 1938 come abitante della città libera di Danzica, prestando servizio nell`8° Reggimento di fanteria ad Insterburg, nella Prussia orientale. Nel giugno 1939 noi di Danzica fummo trasferiti in quella città con compiti d`ordine pubblico.
Là , assieme ad altri di Danzica, formavamo due reggimenti di Landespolizei inquadrati nel gruppo da combattimento Eberhard. Io fui assegnato come caporale al 1° reggimento di polizia che più tardi sarebbe diventato il 243.
Alla fine dell`agosto 1939 le nostre unità si disposero attorno a Danzica in posizione difensiva. Quando la corazzata Schleswig-holstein, il 1° settembre aprì il fuoco, ci lanciammo all`assalto in direzione del corridoio polacco. Eravamo fieri di avere vinto i polacchi e di avere preservato la nostra città natale dalla polonizzazione. Venne quindi la campagna di Francia del 1940.
Nelle vicinanze di Vorbach (Saarbrücken) la nostra divisione, composta di gente di Danzica, sfondò la linea Maginot e si spinse fino ai Vogesi Molti nostri camerati sono là , nel cimitero di Vorbach, che riposano.
Sì, eravamo fieri delle nostre vittorie e fieri d`essere soldati tedeschi. Credevamo fermamente alla vittoria delle nostre armi.
Attaccammo con foga nei Balcani. In Bulgaria fummo salutati con entusiasmo dalla popolazione e dal re Boris assieme alla regina.
Attaccammo quindi la Grecia scacciandone gli inglesi. Quale soldato non sarebbe stato orgoglioso o non avrebbe creduto nella vittoria? Inglesi, francesi e tedeschi si comportarono secondo le leggi di guerra. Soltanto in Russia, purtroppo, non fu così.
Nel luglio 1941 fu proclamato l`ordine di Stalin Smert Nemetzki Okupante, morte all`occupante tedesco, si colpisca ovunque esso si trovi. Non era più guerra, ma solo un massacro. I russi sparavano come pazzi sui nostri soldati della sanità , e sulle ambulanze, era quasi impossibile soccorrere i feriti e recuperare i morti. Fino al 1942 avanzammo tuttavia ancora bene, Kiew, Nieppropetrow, Charkow, Mariopol, Tangarogg, Stalino e Rostow erano i nomi della vittoria.
Le nostre perdite erano però enormi e le riserve inviate a rimpiazzare i caduti erano scarsamente addestrate. Giovani ufficiali che non avevano la più pallida idea della guerra, del fronte e del modo di combattere in Russia, parlavano dei russi come di una sottospecie d`uomini, del Führer, delle armi segrete e della vittoria finale.
Noi, pochi veterani senza gradi, non credevamo più a tutte queste sciocchezze. Per noi era chiaro che la guerra non poteva più essere vinta. Se, infatti, avessimo vinto avremmo dovuto rimanere in Russia come truppe d`occupazione da 10 a 15 anni.
Cosa ci restava? I russi volevano sterminarci, gli americani castrare tutti i maschi tedeschi e inviarli nei campi di lavoro, e se ci fossimo ritirati le SS erano pronte a spararci addosso. Non avevamo dunque nessuna prospettiva, salvo quella di vendere la pelle al prezzo più alto possibile.
Giunse poi Stalingrado. Di Stalingrado si sono raccontate e dette molte cose vere e altrettante non vere. Il pensiero di noi veterani era un riflesso di quello che avvertivamo.
A cosa credevamo? Eravamo allo stremo delle forze. Le compagnie di fanteria venivano ristrette sempre più in gruppi. Le riserve non avevano addestramento... Il carico più pesante era sopportato dai soliti pochi veterani. Il nostro auspicio era un colpo amico o una morte senza sofferenza. Vi sono esperienze che non si possono raccontare una volta di più, così, semplicemente. Quel che tutti speravano era ormai solo di non essere abbandonati.
Non era vero che mancasse benzina alla nostra fanteria motorizzata. Di benzina n`avevamo tanta, da poterci perfino lavare i nostri indumenti pieni di pidocchi.
La verità invece era che di mezzi non ce n`erano più. Essi erano stati impiegati davanti a noi, perché al fronte non giungeva più nessun ricambio.
Non credevamo davvero più alla vittoria. Si sperava ancora unicamente di sopravvivere. Lerci e completamente infestati dai pidocchi, vivevamo nelle nostre buche come ratti. La nostra principale occupazione era di schiacciare i fastidiosisssimi pidocchi. Smisi di contare dopo averne schiacciato 100 in una manica della giacca.
La sera l`ora del rancio, un paio di russi penetrò in una posizione di fucilieri.
Divorarono diligentemente il contenuto della gavetta dei fucilieri, riempiendola poi delle loro feci. Quindi si ritirarono. Salvo la cena non ci furono perdite. In guerra accadeva anche questo.
Una notte un carro armato T34 attraversò le nostre linee e si arrestò. Il nostro maresciallo maggiore Wiartalla stanò l`equipaggio e lo fece prigioniero. Con i suoi soldati - erano tutti ex carristi - raggiunse le posizioni dei carri russi ed eliminò tre carri tornando quindi indenne al comando di battaglione. Per quest`eroica azione fu decorato con la Ritterkreuz (croce di cavaliere). A fine novembre, nel corso di un tentativo di sfondamento da parte dei russi della posizione di sbarramento nord, venni ferito e dovetti essere evacuato, credo, partendo da Gumrak. Anche quest`episodio fu vera fortuna nella disgrazia, perché il pilota, ex soldato della guardia di frontiera, mi prese con sé. Seguirono 20 giorni di licenza di convalescenza a Danzica.
A Danzica erano ancora in molti che credevano alle armi segrete e alla conclusione vittoriosa della guerra. Molti erano anche i lavativi, i cosiddetti indispensabili (esonerati dal servizio militare per questa ragione, N.d.T.), e si doveva stare maledettamente attenti a quello che si diceva. Mia madre aveva già ricevuto la notizia che io ero disperso a Stalingrado. Mi avevano anche apostrofato, per così dire, con parole volgari. Com`era toccato anche ad un giovane, un attendente pluridecorato, che non poteva di certo essere al fronte. Quelli là , infatti, o sono tutti caduti o sono invalidi.
In Germania era molto diverso che al fronte. Era com`essere in un gran campo di concentramento. Mio padre a 54 anni era stato nuovamente richiamato. Mia madre era stata precettata per il lavoro obbligatorio. A casa ci si sentiva come forestieri.
Alla fine ero contento di ritornare al fronte a fine dicembre in Russia. Là , nella zona di Stalino, di Schachty, mi ritrovai di nuovo nei rincalzi assieme ad un mucchio raccolto a caso di gente in licenza, di sbandati e di scansafatiche. Andare in posizione. Fermi. Tornare indietro. E di nuovo in posizione fino a quando il fronte non era abbastanza stabilizzato.
Non so se avessimo avuto ancora la forza di pensare. Tutte le azioni erano per di più automatiche. Non so a cosa si possa ancora pensare, quando la morte è stabilmente davanti agli occhi. Devi tenere duro, forse hai fortuna e uscire ancora vivo da quest`inferno. Pensa solo a mantenere le forze, anche quando mani e piedi gelano. Devi muoverti. Non fermarti, altrimenti per te è finita. Molti erano i pensieri che sopraggiungevano confusi. Si vinceva se si riusciva a non mollare.
Infine potei lasciare quel gruppo allucinato votato alla morte. Venni comandato di guardia e a difesa di un magazzino della sussistenza e di un deposito munizioni. Di lì passai poi nel sud della Francia alla ricostituita 60a divisione di fanteria motorizzata.
Una volta ancora il destino mi aveva concesso di sopravvivere. Ancora una volta nella disgrazia ebbi la fortuna di essere giunto in quel luogo tardi. C`erano, infatti, già troppi sottufficiali, perciò venni assegnato ad un`unità di fanteria che più tardi venne trasferita in Italia. Nel frattempo la 60a divisione, cambiato il suo nome in divisione Feldherrnhalle Panzergranadiere, fece di nuovo ritorno in Russia.
Con la mia nuova unità raggiunsi l`Italia assegnata alla difesa costiera presso Genova. Più tardi partecipai ai combattimenti contro gli inglesi nei dintorni di Firenze e al lago di Comacchio. In ogni caso per chi come noi si era fatto due anni di Russia, la guerra in Italia era una vacanza distensiva.
Il clima e il caldo mi facevano davvero bene alle mani e ai piedi congelati, al punto che dopo un po` di tempo potevo nuovamente muoverli bene. Malgrado tutto ci pareva di essere in paradiso. Risorgeva la speranza. Eravamo ritornati fra uomini che ci assomigliavano.
Purtroppo questo sogno svanì presto: fummo trasferiti in Ungheria, a Budapest. Di nuovo a batterci contro Ivan.
Avanti a Budapest contro Ivan!
Budapest era già caduta, giungemmo troppo tardi. Andammo in posizione per arrestare, interrompere, sbarrare combattendo contro una potenza schiacciante. Gli americani erano avanzati in Austria su Wienerneustadt fino allo Steier. Un gruppo di soldati tedeschi che da Vienna avevano sfondato verso di noi ci raccontava che i russi tenevano i loro cavalli nel duomo di Santo Stefano. Nelle strade i detenuti vestiti da carcerati salutavano i russi al grido "viva Mosca!" Uno di loro aveva un paio di scarpe nuove. Un soldato russo lo vide, lo uccise e gli levò le scarpe.
Noi commentammo che quello era stato guarito dal comunismo per sempre.
La nostra ultima posizione, il 6-7 marzo 1945 distava 85km dagli americani. Il 7 maggio sei uomini del nostro gruppo di combattimento che si erano allontanati dal reparto vennero catturati e fucilati dalle SS.
La guerra per noi era finita, ma non volevamo in nessun modo cadere nelle mani dei russi. La notte dell`8 maggio alle 12 giunse l`ordine di cessare il fuoco. La Wehrmacht aveva capitolato su tutti i fronti. Ci ritirammo e ci consegnammo agli americani.
Dovevamo raggiungere entro mezzogiorno le linee americane. Ciò per noi voleva dire percorrere a ritroso combattendo 85km in 12 ore. Solo pochi di noi ci riuscirono. All`ingresso del campo sullo Steier (un fiume) i lavoratori stranieri ci sputarono addosso prendendoci a pedate. Ci strapparono i gradi e le decorazioni. Gli americani stavano lì, in piedi, e ci levarono ogni cosa di valore, anelli e orologi.
Quelli sospettati d`essere nazisti vennero messi da una parte. Quelli delle SS che avevano tentato di mescolarsi fra di noi da un`altra. Una parte di loro venne consegnata ai russi. Mi feci passare per sudtirolese e venni quindi inviato in Italia. Due miei camerati andarono a Saarbrücken. I francesi li presero e li rispedirono in un campo. Di là raggiunsero la Legione Straniera e quindi il Vietnam.
Non ho più saputo nulla di loro. Sapevo solo che in Vietnam combattevano molti soldati tedeschi e là sono caduti per sfuggire alla prigionia francese dopo la guerra.
Sarà ben difficile per tutti coloro che nacquero dopo comprendere quello che i soldati tedeschi hanno sofferto durante e dopo la guerra. Noi siamo gli ultimi testimoni ancora viventi di quel tempo, che ancora possono raccontare le loro vicende.
Forse, così facendo, possiamo mettere in guardia molti giovani da un destino uguale al nostro.
Arthur Krueger marzo 2003
I 32032 Feltre
Via Tortesen, 18

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