Maresciallo Arnaldo Harzarich 41° Corpo V.V.F.- Pola
Un eroe da ricordare





"Ha il sistema nervoso molto scosso; si estranea sovente dall`argomento rimanendo per minuti interi con gli occhi fissi nel vuoto: ciò si può certamente attribuire alle terribili visioni a cui era portato nel corso della sua attività di recupero nelle foibe".




Ecco un brano dell`interrogatorio del Maresciallo Arnaldo Harzarich in servizio effettivo al 41° Corpo dei Vigili del Fuoco di Pola, brano stilato il 12 luglio 1945 dall`ufficio "J" del Governo Militare Alleato.
Ma chi era quest`uomo, vero Eroe di cui, purtroppo, oggi ben pochi custodiscono la memoria.
Considerato giustamente il miglior uomo del 41° Corpo V.V.F., innamorato del servizio, figlio del dovere, pronto e tecnicamente preparato, il Maresciallo Harzarich fu sempre il più valido cooperatore dei Comandi del Corpo. Dopo lo sfacelo dell`otto settembre e la scoperta, nelle foibe, delle prime vittime della ferocia slava, egli dedicò volontariamente e interamente la sua opera per dare, dove fu possibile il recupero, degna sepoltura a tanti Martiri. Organizzatore e coordinatore sul campo, l`Harzarich partecipò in prima persona alla gran parte dei recuperi dalle foibe istriane cominciati nella prima metà dell`ottobre 1943 e terminati, per il precipitare della situazione militare, il 2 febbraio 1945.
La mattina del 16 ottobre 1943, in località Cregli di Barbana, accompagnato da alcuni vigili che si erano offerti di aiutarlo, scortato da una squadra di polizia in quanto la zona era molto pericolosa perché infestata dalle bande partigiane comuniste titine, Harzarich esplorò la prima foiba.
Preparata l`impalcatura destinata a sorreggere la fune a cui era assicurato, egli iniziò la discesa. Metro dopo metro, nell`oscurità della voragine, egli discese per 80 metri e dovette fermarsi perché l`ignota profondità dell`abisso era superiore alla lunghezza della fune di cui disponeva. Ritentò più volte l`esplorazione di questa foiba ed il 10 dicembre, deciso a superare qualsiasi ostacolo, con gravi difficoltà ed enorme sforzo fisico raggiunse il fondo della voragine a 190 m. di profondità .
Lì, sul fondo della foiba, nelle viscere della terra, da solo, si ritrovò in una caverna lunga due metri e larga appena ottanta centimetri. Illuminati dalla torcia, i corpi devastati delle vittime giacevano accumulati l`uno sull`altro. Harzarich tentò un conteggio dei poveri corpi, conteggio che risultò impossibile, per i danni causati dai 190 metri di precipitazione e per il tempo trascorso dalle uccisioni. Egli prese quanti più brandelli e resti di indumenti gli fu possibile, e ciò permise la successiva identificazione degli sventurati da parte dei loro congiunti.
La sera del 18 dicembre 1943, dopo un`altra pericolosissima e faticosissima discesa, protetto da una scorta della 60a Legione M.V.S.N. di Pola comandata dal primo seniore Mignoni, anch`egli polesano, furono riportate alla superficie le salme degli otto sventurati che ivi erano stati precipitati.
Questo è il riassunto dell`esplorazione e del recupero dalla foiba di Cregli di Barbana, ma i rischiosi interventi dell`Harzarich e della sua squadra si ripeterono tante altre volte, come nella foiba di Vines profonda 226 metri, da cui vennero recuperati 84 cadaveri, come in quella di Surani presso Antignana (135 metri e 26 salme recuperate), in quella di Terli presso Barbana (125 metri e 26 salme recuperate), nell`abisso di Semi a Lupogliano (246 metri e contenente almeno 120 vittime), in quella di Gimino, Castellier, Carnizza, S. Lorenzo del Basanatico, Marzara, Rozzo, Pisino, Lindaro; a decine furono ancora esplorate ed a centinaia le salme dei trucidati recuperate. Per le sue valorose imprese nel recupero degli infoibati, sin dall`ottobre 1943, ricevette le prime lettere minatorie, scritte in slavo e con timbri partigiani, nelle quali gli veniva ordinato di sospendere il lavoro di recupero se voleva evitare di finire in foiba pure lui. Le ultime lettere minatorie le ricevette nel dicembre del 1944, ed in esse gli venne comunicato che i partigiani slavocomunisti lo consideravano un "criminale di guerra" condannato a finire in foiba assieme ai suoi congiunti. Il 27 marzo 1945, trovandosi a Cividale del Friuli, a casa del Comandante dei V.V.F Podrecca, venne a sapere che i partigiani di Tito avevano posto una taglia di 50.000 lire (di allora!) sulla sua testa.
L`8 aprile successivo, su ordine del Comando del Corpo V.V.F di Pola, lasciò il capoluogo istriano e riparò ad Isola d`Istria. Il 23 di quel mese si trasferì a Capodistria ed il 26 a Trieste, dove venne accolto da una famiglia amica. Si diede alla macchia il giorno dopo l`arrivo dei partigiani slavi in città . Restò nascosto presso una famiglia di contadini che gli dette ospitalità e il 10 giugno riuscì a trasferirsi nella zona controllata dagli angloamericani per riabbracciare finalmente la sua famiglia a Trento il 12 giugno.
Un mese dopo, il 12 luglio, venne portato al centro "J" del G.M.A. di Pola, dove venne interrogato quale "persona degna di ogni considerazione e del tutto attendibile" nel documentare le atrocità commesse dagli slavi contro gli italiani dell`Istria.
Seppur gravemente provato fisicamente e psicologicamente per le terribili vicende di cui era stato il principale testimonio, non ebbe un attimo di esitazione nel dichiararsi pronto a riprendere l`attività di recupero, ponendo l`unica condizione di avere un`adeguata scorta armata.
Tanto valore, tanta abnegazione e tanto coraggio non furono ripagati quanto avrebbero meritato; anzi, il Comando dei V.V.F di Venezia, dando credito alla denuncia di aver partecipato a rastrellamenti, presentata contro di lui, non volle riassumerlo in servizio, denuncia palesemente infondata fatta da una persona che "confondeva" i rastrellamenti con la scorta armata Repubblicana, dalla quale veniva accompagnato fino alla foiba dove procedeva al pericoloso lavoro.
Egli venne quindi trasferito, con un altro cognome, in una località dell`Italia centro meridionale, dove la vendetta degli slavocomunisti contro il testimone della loro feroce bestialità non avrebbe potuto raggiungerlo.
Così scomparve e venne dimenticata la grandiosa figura del Maresciallo Harzarich, fulgido esempio di coraggio, di solidarietà e di cristiana pietà che, a rischio della propria vita, diede a tanti italiani dell`Istria un luogo dove piangere i propri cari.