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Discussione: Caratteri generali del REI nella Terza Guerra d'Indipendenza

  1. #1
    Moderatore L'avatar di squalone1976
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    Caratteri generali del REI nella Terza Guerra d'Indipendenza

    La Terza Guerra d'Indipendenza si presenta con caratteri peculiari che la distinguono dalle due precedenti. Non è piú infatti la guerra del piccolo e saldo Esercito Piemontese, rafforzato da contingenti degli altri stati italiani, come nel '48, o da volontari di tutta Italia in esso incorporati ed alleato dell' Esercito Francese, come nel '59; ma è la guerra dell’Esercito Italiano, del giovane Regno d'Italia, costituito rapidamente sul saldo tronco piemontese e quadruplicato di forza: non piú infatti le vecchie 5 divisioni, ma 20 divisioni. Non solo, ma il Regio Esercito ha ora ben 40 000 volontari, guidati, come nel '59, da Giuseppe Garibaldi, il quale nel '60, al Volturno, aveva mostrato di saper guidare e vincere mirabilmente una difficile battaglia ove erano impegnate forti masse di combattenti. Le operazioni terrestri si accompagnano poi a quelle di mare, e per la prima volta una grande flotta italiana entra veramente in lizza, le operazioni navali sembrano dover assumere importanza rilevante (su questo ci sarà un articolo separato). La guerra, purtroppo, non ebbe l'esito sperato; e nell'insieme sembrò mostrare più le vecchie deficienze italiane e le conseguenze di rapide improvvisazioni, che non i brillanti frutti della miracolosa unificazione. Pure non mancarono episodi gloriosi, e se la guerra non fosse stata troncata troppo presto dall'accordo della Prussia, fulmineamente vittoriosa, con l'Austria, l'imprevista rotta di Custoza avrebbe potuto essere vendicata e la fortuna delle nostre armi risollevarsi decisamente.
    Con la riforma del 1854, come sappiamo, l'Esercito Piemontese era stato formato sul modello francese, ossia da esercito di numero in un esercito di qualità, con ferma di 5 anni per una piccola aliquota di 5 classi, una seconda categoria accanto ad esse, e 6 classi nominali di riservisti; dopo il 1859 per sei anni si lavorò alacramente per creare un Esercito degno di tale nome, considerato che nell'Esercito Piemontese confluirono i soldati lombardi che precedentemente erano nell'Esercito Austriaco, dei ducati e delle Romagne. Garibaldi aveva inteso, dopo l'epica sua impresa del 1860, che l'esercito della rivoluzione, ossia l'esercito garibaldino, rimanesse accanto a quello regio, per liberare insieme Roma e la Venezia, ma è da considerare che l'esercito di Garibaldi era volontario e quindi non regolare e presentava non poche difficoltà di assimilazione nell'Esercito Regio, visto poi che la base dei garibaldini era di tipo contadino e meridionale; già il grosso dei contadini siciliani, delusi nelle loro aspirazioni circa il possesso delle terre e nelle speranze d'una vita meno grama, aveva mostrato di non volerne sapere d'una leva in massa, e la rivolta contadina dell'Italia meridionale espressa, dato il grado d'estrema arretratezza delle plebi agricole, nella forma del brigantaggio. Come indicato in precedenza le 5 divisioni dell'esercito piemontese salirono a 20 dello stesso tipo (quasi una per ogni milione di abitanti, secondo la norma d'allora), ciascuna con 2 brigate di fanteria, 2 battaglioni di bersaglieri, 3 batterie d'artiglieria. Solo la cavalleria ebbe uno sviluppo minore: da 36 squadroni a 100, anziché a 144 (questo dato a mio parere è preoccupante e si vedrà nei miei futuri post, che tutto ciò deriva dal sempre minore impiego dell'arma in questione, specialmente sul campo di battaglia). Erano stati invece adeguatamente sviluppati il genio e i servizi. Restarono tuttavia alcune deficienze del vecchio esercito: l'artiglieria poco numerosa, sebbene di calibro piuttosto grosso, ma appunto per questo difettava di mobilità.
    Altra deficenza grave e preoccupante, in un esercito di qualità con ufficiali tutti di carrier fu quella dei quadri. Nelle 3 nuove divisioni lombarde, pochissimi ufficiali passarono dal servizio austriaco a quello sardo; perciò si provvide con molte promozioni nei sottufficiali, e con esse, dopo un breve corso presso la scuola militare d'Ivrea, furono i molti volontari (che nei mesi precedenti avevano combattuto nelle file dell'esercito piemontese) a ricevere promozioni . Quanto all'esercito dell'Italia centrale, le 7 divisioni entrarono da pari loro ufficiali, nell'esercito sardo: i toscani erano per lo più ufficiali in regola, sebbene non mancasse un certo numero di sottufficiali e volontari promossi in fretta ufficiali. Nelle schiere emiliane il guaio era maggiore: gradi spesso improvvisati e dati in larga misura a reduci del Veneto e di Roma del '48-49, oppure a sottufficiali. Erano venuti infine anche ufficiali dell’esercito borbonico, e circa 2000 ufficiali garibaldini dell'esercito meridionale; nell'insieme, dunque, quadri molto eterogenei, di diverso e inuguale valore; di una certa gravità era l'inconveniente nei quadri superiori dove era ancor meno facile avere dei buoni comandanti di battaglione e di reggimento. Il Fanti, come si è visto, aveva voluto rimediarvi riducendo il numero dei battaglioni da 4 a 3 per reggimento, ma portandoli in pari tempo da 4 a 6 compagnie; cosicché ci sarebbe stato un minor bisogno di maggiori, tenenti colonnelli e colonnelli, ma il La Marmora aveva protestato con una certa violenza, come se si fosse trattato della rovina dell'Esercito Italiano, e con lui i suoi seguaci; e presto si era tornati al battaglione di 4 compagnie, mentre il problema degli ufficiali superiori rimaneva insoluto. Quanto ai generali, fra i comandanti di brigata molti brillavano per coraggio personale già ben provato e per minuto zelo, ma non certo per qualità d'intelletto e di cultura sebbene si fosse cercato di lasciare nei depositi e nei presidi gli elementi meno intelligenti e capaci. Fra i comandanti di divisione, al contrario, v'era una serie di ufficiali di valore: Govone, Cugia, Ricotti-Magnani, Cadorna, Brignone, Angioletti, Carlo Mezzacapo, Pianell, Cosenz, Medici, Bixio, Sirtori, e altri ancora; uomini ricchi d'esperienza e di meriti, sia che provenissero dalle file dell'esercito piemontese o dell'esercito toscano, come l'Angioletti, o da quello borbonico o dalle schiere garibaldine (Bixio).
    Il guaio si faceva di nuovo manifesto quando si saliva ai comandanti di corpo d'armata, o anche piú in alto; quanto allo Stato Maggiore, esso era rimasto allo stato embrionale; e solo dopo l'amara esperienza del '66 si pensò, con la creazione, l'anno dopo, della scuola di guerra, di rinnovarlo sul serio.
    Per quel che riguarda l'addestramento delle truppe, esso malgrado i buoni propositi di non pochi generali, era ostinatamente rimasto soprattutto quello di piazza d'armi, senza sufficienti esercitazioni collettive in campagna che cercassero veramente d'accostarsi alla realtà della guerra, al combattimento in ordine sparso. Nell'insieme, l'esercito italiano era stato oggetto di grandi cure, e pur fra le strettezze del bilancio, con la crisi finanziaria sempre incombente, si può dire che la precedenza nelle spese sia sempre stata data alle forze armate; pure, ad onta di ciò, non poteva rappresentare, a detta del generale Corsi, una potenza militare proporzionata ai fondi stanziati, di fronte a un vecchio e solido esercito quale l'austriaco, e costituiva un corpo « assai piú bello che robusto », ma rappresentava tuttavia uno strumento di guerra pur sempre notevole, animato da un alto spirito patriottico e suscettibile di miglioramenti e d'irrobustimento; se non che, trattandosi d'un esercito giovane e alquanto inuguale andava adoperato con avvedutezza, cosí da lasciarlo allenarsi ed esercitarsi, prima della prova suprema, e non già da gettarsi subito a cuor leggero allo sbaraglio.
    In sintesi il Regio Esercito nel 1866 era molto eterogeneo per cultura militare e nei vari livelli di comando e di truppa, ma era anche un esercito che aveva come spinta propulsiva quella dell'uinficazione e quindi con il morale alle stelle e pronto al combattimento dal punto di vista del valore personale (che spesso fece la differenza sul campo di battaglia), si difettava però nella cavalleria che austriaci e prussiani utilizzavano molto sia nell'esplorazione che nel campo di battaglia e nelle comunicazioni (ovvero sapere come era composto l'esercito nemico etc).
    Sarà mia premura nei prossimi post indicare altri dati e dettagli, i miei prossimi articoli oltre a questo alquanto generico, vertono su la politica estera e interna, composizione delle truppe italiane sia di terra che navali etc di ogni Guerra per l'Indipendenza Italiana e ci sto lavorando, questo è solo un assaggio di articoli che considero più importanti e hanno bisogno di un tempo di lavoro maggiore.


    Ch. M.
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  2. #2
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    Re: Caratteri generali del REI nella Terza Guerra d'Indipend

    Non interessa a nessuno questo periodo storico?
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  3. #3
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    Re: Caratteri generali del REI nella Terza Guerra d'Indipend

    Vedere gli errori degli ufficiali di più alto grado ci si piò domandare: ma che cosa sapevano fare questi??? Una confusione enorme in fase di avvicinamento, ordini emanati a voce e non scritti, intersecazione di percoso tra le varie divisioni ... nessun piano in caso di ritirata.
    Se la guerra finì per opera della Prussia è stato un bene per l'esercito italiano, con questi comandanti... e se guardiamo le scorte di vettovagliamento la guerra sarebbe finita ugualmente nel giro di 10-15 giorni. Non si può iniziare una guerra con scorte così basse, con mancanza di viveri, di armi e di munizioni. Ipotesi se l'esercito austrioco si fosse asseragliato in Verona cosa sarebbe successo'. I forti posti all'esterno della città (1° e 2° cerchia) avrebbero causato un'ecatombe di soldati italiani e l'assedio della città si sarebbe concluso con il ritiro dell'esercito italiano per mancanza di scorte.

    angelo

  4. #4
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    Re: Caratteri generali del REI nella Terza Guerra d'Indipend

    Disanima molto interessante.
    Non sono ferrato nella materia specifica, ma leggo con attenzione come fossi a lezione dal professore di STORIA MILITARE.
    sven hassel
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  5. #5
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    Re: Caratteri generali del REI nella Terza Guerra d'Indipend

    Christian, prosegui...

  6. #6
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    Re: Caratteri generali del REI nella Terza Guerra d'Indipend

    Interessante esposizione sulla struttura del neonato Regio Esercito italiano. Comunque la terza guerra d'indipendenza risveglia in me ricordi scolastici il celebre telegramma di Garibaldi con la sintetica risposta "Obbedisco", la battaglia di Lissa con la frase pronunciata dall'ammiragli austriaco Tegetthoff "uomini di ferro su navi di legno hanno sconfitto uomini di legno su navi di ferro" (memeoria scolastica), i Malavoglia uno dei personaggi morì nella battaglia. Se non ricordo male l'unico che vinse qualche battaglia fù Garibaldi?
    Trovo interessante conoscere l'iniziale costituzione del Regio Esercito, poi sviluppata nel corso degli anni, lessi su un libro di Rochat che il R.E. mancava sino alla fine della II G.M. di sottufficiali preparati.

  7. #7
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    Garibaldi vinse a Bezzecca nel 1866 e non solo, ma Bezzecca certo è la più importante e famosa, non condivido le critiche ai sottufficiali e agli ufficiali inferiori, perchè erano preparati e volenterosi oltre che arditi in battaglia, gli esempi nel 1866 e non solo, sono diversi. E critico anche la frase assurda dell'ammiraglio austriaco, io stesso ho fatto una profonda disamina sull'operato dell'ammiraglio italiano Persano, studiando e ricercando su testi a lui favorevoli e contrari, e mi sono fatto, su questi dati e fatti, un'idea precisa, il Persano era privo di responsabilità nella sconfitta di Lissa, che è da imputare ad altri alti ufficiali che non seguirono le direttive dell'ammiraglio in capo, per invidia e astio.............una parte della flotta nemmeno entrò nel combattimento quella giornata e da ciò ne derivo la sconfitta, l'ammiraglio Tegetthoff deve la sua vittoria alla Fortuna e all'inimicizia tra ammiragli nel campo italiano........altrimenti avrebbe subito una sconfitta assai cocente.

    I nostri marinai di ogni ordine e grado, non erano dei novellini, erano in gran parte dei veterani della marina Sardo-Piemontese e del Regno delle due Sicilie...............gente esperta e capace.

    Confermo sul personaggio dei Malavoglia.

    ChM
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  8. #8
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    Non intendevo confutare l'eroismo dei sottufficiali del R.E. (mai parlato di ufficiali) ma come scritto nel libro di Rochat volevo solo precisare che il R.E., al contrario della R.M., dei Reali CC e della Regia G. di F. e successivamente della R.A., mancava sino alla fine della II G.M. di una vera è propria "casta" di sottufficiali, spina dorsale di ogni esercito. Nel R.E. i sottufficiali, pochi, erano impegnati con compiti burocratici solo nei distretti, sarebbe interessante acquisire, al riguardo, il ruolino di una compagnia di fanteria della I° G.M., per visualizzare quanti sottufficiali di carriera vi erano presenti in organico.

  9. #9
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    Cercherò di trovare qualche doc a tal proposito, ma ti posso garantire che sergenti etc, c'erano ed erano decisamente capaci e sostenevano i tenenti e s. Tenenti nel loro lavoro.
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