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Discussione: Gli alpini della "Julia" nella campagna di Grecia 1940 - 41

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    Gli alpini della "Julia" nella campagna di Grecia 1940 - 41

    L'eroica divisione alpina Julia nella campagna di Grecia (1940-41)

    “Qualunque volta è tolto agli uomini il combattere per necessità, combattono per ambizione; la quale è tanto potente ne’ petti umani che mai, a qualunque grado salgano, li abbandona”.
    (Niccolò Machiavelli)

    La storia della divisione alpina “Julia” è tutta una leggenda perché i suoi alpini, come tanti altri alpini, come tanti altri soldati d’Italia, hanno saputo scrivere le più belle pagine della loro storia con episodi leggendari. Un esempio paradigmatico: “Il soldato tedesco ha stupito il mondo, il bersagliere italiano ha stupito il soldato tedesco” (Erwin Rommel). La divisione “Julia” si è sacrificata nel fango e nella neve delle montagne del fronte greco - albanese ed ha percorso l’interminabile steppa dal Don all'Oskol nel gelido inverno russo del 1942-43, dopo aver perso gli alpini più coraggiosi e i comandanti più prestigiosi.
    Poi, con il settembre del 1943, su quella che i soldati tedeschi definirono la “divisione miracolo” è scesa una coltre di silenzio fino al 15 ottobre del 1949, quando, nel 77° anniversario della fondazione del corpo degli alpini, la “Julia” venne ricostituita come brigata. Da allora, le nappine del “Tolmezzo”, del “Cividale”, dell’ “Aquila” e del “Gemona”, alle quali si affiancheranno i gruppi “Belluno”, “Conegliano”, “Udine” e “Osoppo”, saranno portate con fierezza da gente nuova, ma in gamba com’era quella di ieri. I “camerati” tedeschi guardavano con disprezzo gli sventurati soldati del regio esercito che si ritiravano in mezzo al fango albanese….i soliti vigliacchi italiani, pensavano. Il mondo intero rideva della rotta dei nostri militari, meditando sullo stereotipo dell’italiano codardo e sul crollo delle illusioni imperiali di Mussolini. Alla frontiera tra Italia e la Francia, a Mentone, una mano beffarda aveva scritto con la vernice su un muro una frase sarcastica: “Grecs, arretéz! Ici France!” (Greci, fermatevi! Qui è la Francia!), una frase che è insieme un omaggio al valore dei fanti ellenici e una derisione per le disgrazie italiane.

    Ma Mussolini, i kameraden e il mondo intero si sbagliavano di grosso. I soldati italiani che combatterono tra le pietraie dell’Albania non si sono mai arresi. Si sono battuti per la loro sopravvivenza, per riuscire a tornare a casa, disputando rabbiosamente al nemico ogni strada, ogni ponte, ogni guado. Se ascoltate oggi un coro alpino che canta la canzone “Sul Ponte di Perati” e chiudete gli occhi, non potrete fare a meno di pensare alle voci di quelle migliaia di uomini, alcuni poco più che adolescenti, caduti sui monti della Grecia in quell’atroce inverno del 1940-41. Non potrete non pensare a quell’eterno coro di fantasmi di cui parla il triste canto alpino. Si legge nella “Storia della Guerra di Grecia” di Mario Cervi (BUR, 2001): “Il sacrario di quota 731, chissà come ridotto ora, con la sua alta croce e con i suoi cimeli gloriosi e melanconici, non deve tanto ricordare una offensiva sterile e una campagna pazzesca, quanto una somma immensa di valore e di dolore. Sia reso grazie all’ardimento dei nostri soldati e insieme alla loro bontà. Sono stati nella campagna di Grecia i soldati peggio guidati del mondo, senza dubbio alcuno”. Ed ancora: “Il ripiegamento, lo sforzo per aprire un varco nell’assedio greco, si sono trasformati in una crudele anabasi. La guerra di Grecia si rivelò per l’Italia una delle più tragiche avventure militari di tutti tempi. Con un armamento che risaliva alla prima guerra mondiale, privi dei rifornimenti indispensabili, comandati da generali che badavano più alla propria carriera che a vincere una battaglia sul campo, i nostri soldati dovettero lottare disperatamente per sei lunghi mesi, fino al risolutivo intervento tedesco, per evitare di farsi buttare a mare dall’esercito greco, un esercito povero e male armato come il nostro, ma che combatteva per difendere la libertà della propria Patria”.
    Parlando della guerra fatta dagli alpini in Russia, altra epopea tragica, Mario Rigoni Stern ha scritto: “E invece sì, ha senso, per ragioni pratiche e per ragioni poetiche e per la storia. Necessita parlarne perché mettendo insieme i racconti e le testimonianze di tanti si ha una visione vasta, globale quasi... una voce del coro di quei sessantamila alpini che un’estate partirono cantando con disperazione e che la primavera successiva ritornarono più che decimati e con il dovere morale di far sapere perché era rimasti in così in pochi. Insomma in questo racconto (M. Bernardi. Il dovere dei semplici. Mursia, 2008, ndr) si ripropone il viaggio di ritorno dalla guerra, dal sacrificio e dalla morte. Ma non ancora dall’oblio”. Riporto da Internet: <Julia” fu impiegata nell’occupazione dell’Albania dove rimase, al termine dell’operazione, per presidiare la zona settentrionale (provincia di Scutari). Nell’imminenza dell’apertura delle ostilità contro la Grecia, ai primi di ottobre del 1940, si spostò verso il confine greco-albanese, prendendo posizione presso i fiumi Osum e Vojussa. Un mese prima circa il comando della divisione era stato assunto dal generale Mario Girotti che avrebbe guidato l’unità alpina fino alla conclusione della campagna di Grecia. L’ultimatum alla Nazione ellenica fu consegnato dall’Ambasciatore italiano ad Atene (Emanuele Grazzi, ndr) alle ore 3 del mattino del 28 ottobre. Conteneva richieste tali da far trasparire chiaramente il carattere pretestuoso del documento e la volontà del Governo italiano di aggredire comunque la Grecia. Tredici giorni prima, infatti, in una riunione a palazzo Venezia, Mussolini aveva comunicato la decisione di iniziare l’azione contro il regno ellenico. All’alba del 28 ottobre del 1940 ebbe inizio l’offensiva. La divisione “Julia” era composta dall’8° Rgt. alpini (battaglioni “Tolmezzo”, “Gemona” e “Cividale”), dal 9° alpini (battaglioni “Vicenza” e “l’Aquila”), dal 3° artiglieria da montagna (gruppi “Conegliano” e “Udine”) e da altri reparti minori: complessivamente 278 ufficiali, 8.863 sottufficiali e soldati semplici, 20 pezzi d’artiglieria, 2.316 quadrupedi>>.<Julia” un’azione rapida e decisa, una marcia verso il nemico durante la quale la divisione non “deve costituire una linea permanente di rifornimenti, lasciando drappelli a protezione di essa”, ma deve contare su “un'autonomia logistica” e su “nessuna affluenza da tergo per un certo tempo”. “Quando la coda di ognuno dei battaglioni sia sfilata per un determinato punto, si leggeva nel documento, dietro ad essa non deve rimanere che il vuoto. La divisione alpina “Julia” non guarda indietro e porta tutto con se, anche la sua fortuna”. Un tristemente famoso motto diceva “La Julia muore sul posto”. Un altro recitava: “Sull’arma si cade, ma non si cede”. Con quanta leggerezza il comando superiore avesse diramato queste disposizioni, prevedendo una fin troppo facile avanzata, apparirà amaramente evidente due settimane più tardi. L’azione, che doveva concludersi nell’arco di cinque o sei giorni (gli alpini erano stati dotati di viveri per tale periodo e i muli disponevano di cinque razioni di foraggio) durò invece 14 giorni: due settimane di sanguinosa avanzata seguite da un altrettanto tragico ripiegamento che costarono alla “Julia” 49 ufficiali e 1.625 alpini. La ritirata fu massacrante. Il 10 novembre il grosso dell’8° Rgt. si raccolse a Konitsa, mentre il 9° mantenne il possesso della sella Cristobasileus. A sera la divisione “Bari” assunse la responsabilità del settore, trattenendo alle proprie dipendenze il 9° alpini, mentre gli altri reparti della “Julia” ripiegarono a Premeti per riordinarsi>>. <Udine”, mentre l’8° alpini e il gruppo “Conegliano” passarono alle dipendenze della “Bari”. Nei giorni precedenti, nonostante la tenacissima resistenza avversaria, la sella Cristobasileus fu abbandonata e la difesa fu organizzata su quella di Sant’Attanasio. Il giorno 16 alla divisione “Julia” fu affidato il settore del Ponte di Perati. La crescente pressione nemica, particolarmente al centro e alla sinistra della Vojussa e le numerose infiltrazioni, resero necessario un restringimento della fronte ai soli ponti di Perati e Bourazani; il 19 i reparti ripiegarono sulle alture di destra del fiume Sarandaporos perennemente in piena. Il 21 l’offensiva greca si accentuò sulle ali e, dopo sei ore di strenui combattimenti, di fronte all’intervento di nuove unità nemiche, apparve necessario far saltare il ponte. La sera del 23 il comando d’armata ordinò alla “Julia” di assumere la difesa della conca di Frasheri. Alla divisione furono assegnati due battaglioni alpini e due gruppi d’artiglieria, ma i reparti erano duramente provati. Gli attacchi ellenici dei giorni successivi furono respinti, ma il 29 l’offensiva riuscì a superare le difese italiane e a puntare sul monte Taborj: fu arrestata per tempo dal 9° alpini prontamente intervenuti>>.<Julia”, ridotta ad un pugno di alpini, venne inviata, il 10 gennaio, a difendere il punto di congiunzione tra le divisioni “Lupi di Toscana” e “Bari”. Dopo 15 giorni venne fatta ripiegare nelle retrovie per essere ricostituita. In questa seconda fase della guerra la “Julia” aveva perso 153 ufficiali e 3.644 sottufficiali e soldati. Il 22 febbraio la “Julia”, forte di 348 soldati e 10.141 sottufficiali e soldati, fu assegnata al XXV corpo d’armata col compito di sostituire la “Legnano” nel settore del monte Golico e dello Scindeli. Qui, dal 28 febbraio al 24 marzo, la divisione fu impegnata nella battaglia di logoramento di Tepeleni. Ai primi violenti attacchi del 28 febbraio seguirono, nei giorni successivi, sanguinosi combattimenti sul Golico, sullo Scindeli, sul Beshishtit e nella stretta di Dragoti. Le forze in campo, entrambe stremate, trascorsero il periodo attorno al 13 marzo in relativa calma. Il 18 i battaglioni “Cividale” e “Gemona” tentarono di riprendere quota 1.143 del Golico, ma la resistenza greca ebbe la meglio. Il 24 marzo si concludeva la battaglia con un ultimo attacco verso la quota 1.143 che non produsse risultati apprezzabili. La “Julia” perse in questo periodo 3.846 uomini, di cui 116 ufficiali. Il 6 aprile la Germania attaccava la Jugoslavia e subito dopo i panzer tedeschi dilagavano in Grecia. Pochi giorni dopo iniziò la controffensiva italiana; l’inseguimento portò la divisione “Julia” nella zona del canale di Corinto dove rimase a presidio fino al ritorno in Patria. Nella primavera del 1942 fu disposto il suo rientro che si effettuò in marzo. Durante queste operazioni il piroscafo “Galilea”, sul quale era imbarcato il battaglione “Gemona”, venne silurato da un sommergibile inglese. Dei 1.532 uomini imbarcati se ne salvarono solo 246 (La campagna greco-albanese. maidaur.blogspot.com). Se parliamo della “Julia” e delle sue canzoni non possiamo far altro che citare il comportamento dell’indomito battaglione “Cividale”. In seguito all’annessione dell’Albania al regno d’Italia l’intera divisione alpina “Julia” venne inviata in Albania per presidiare il territorio. Il battaglione “Cividale” sbarcò a Durazzo nell’aprile del 1939 e venne inviato a presidiare la zona di Kukes nella zona Nord orientale del Paese. Nell’estate del 1940 il battaglione venne spostato in varie riprese verso il confine greco. Il 28 ottobre iniziò la campagna contro la Grecia ed il “Cividale” penetrò in territorio ellenico nei pressi di Turnovo (cippo 8 e 9 del confine). Il “Cividale” avanzò fino al 3 novembre senza incontrare grossa resistenza e raggiunse Vovusa. In seguito al pressoché completo accerchiamento della “Julia”, il battaglione dovette ritirarsi verso Bryaza e Pades e raggiungere Konitsa (10 novembre), perdendo numerosissimi alpini. Inviato a riposo in territorio albanese, dopo il 18 novembre tornò precipitosamente in linea nella zona del ponte di Perati dove sostenne durissimi combattimenti contro i soldati greci. Il giorno 22, perduta la testa di ponte, ritornò in territorio albanese e fu impiegato per la difesa della conca di Frasheri. In seguito al cedimento del fronte, il “Cividale” fu costretto ad arretrare ancora e nei primi giorni di dicembre occupò la linea del monte Mali Topojanit che mantenne fino all’8 gennaio del 1941. Un ripiegamento lo portò sul Mali Taronine e a metà gennaio nella zona di Erok, dove continuò a battersi disperatamente con i pochi uomini che gli erano rimasti. In quel periodo, infatti, il battaglione aveva in linea soltanto 72 uomini sui 1.200 che erano in azione all’inizio della campagna contro la Grecia. Verso la fine di gennaio, il “Cividale” fu mandato a riposo a Mavrova nei pressi di Valona per essere ricostituito unitamente a tutta la divisione “Julia”. Schegge, cartucce, bombe a mano e caricatori: mio Dio, non c’è un metro quadrato di terreno che circonda il ponte di Perati, dove non affiori qualcosa che ci riporta al passato. Cartucce e bombe a mano italiane si accompagnano con quelle greche.
    Il 19 febbraio il “Cividale” s’incamminò verso il monte Golico che raggiunse nella giornata del 24, sistemandosi a difesa dal corso della Vojussa a quota 800 mt. circa. Il giorno 28 febbraio, il battaglione alpino respinse gli attacchi dei greci a prezzo di gravi perdite, ma l’8 marzo, perse le quote superiori, anche lui fu costretto ad arretrare. Il 15 marzo partecipò all’attacco della quota 1143 senza riuscire a mantenerla, nonostante l’eroismo delle sue penne nere. Unitamente ai reparti del battaglione “Gemona”, ci riprovò il 18 ed il 24 marzo, ma anche in questa occasione non poté mantenere la quota se non a prezzo di sacrifici disperati. Stabilizzato il fronte sul Golico, il “Cividale” rimase su quella montagna fino al 12 aprile. Continuava, intanto, lo stillicidio dei suoi uomini. Il 23 aprile del 1941, in seguito alla fine delle ostilità contro la Grecia, il “Cividale” avanzò in territorio ellenico ed arrivò a Gianina nella prima decade di maggio. Qui vi rimase per circa un mese per poi trasferirsi fino ad agosto al passo del Metzovo. Verso la fine di agosto la “Julia” si portò nel Peloponneso ed il “Cividale” venne inviato nella zona di Lutraki, sul canale di Corinto, fino al rimpatrio che avvenne alla fine del mese di marzo del 1942 via ferrovia. Come sappiamo era stata, infatti, affondato il piroscafo “Galilea” sul quale trovò la morte la maggior parte del battaglione alpino “Gemona”. In seguito all’occupazione italiana del regno di Albania, il Governo fascista incoraggiò notevolmente il nazionalismo e l’espansionismo albanese e nel 1941 all’Albania furono annessi il Kosovo e alcuni territori montenegrini. Mussolini avrebbe voluto far incorporare all’Albania anche tutto l’Epiro e la Ciamuria (in prevalenza popolata da albanesi), ma ciò non fu possibile per l’opposizione categorica della Germania nazista. Mussolini aiutò le minoranze albanesi nel sud Italia ad essere riconosciute etnicamente e a diventare una realtà della Patria in camicia nera. Ma torniamo in Grecia. Che cosa avrebbero detto e fatto o lasciato fare i greci minacciati dall’invasione non aveva la benché minima importanza. Gli dei dell’Olimpo mussoliniano avevano già deciso per loro e ciò era più che sufficiente. Indro Montanelli, definì la campagna di Grecia come “una smargiassata di Mussolini”. La smargiassata ci costò: 13.755 morti; 50.784 feriti; 12.638 congelati; 25.067 dispersi; 52.108 invalidi. Questi sono i frutti “del piano logico e convincente” elaborato dalla diplomazia fascista dell’epoca, messo a punto da Benito Mussolini e da Galeazzo Ciano (Ministro degli Esteri, nonché suocero del Duce), avallato da Sebastiano Visconti Prasca (comandante delle truppe italiane in Albania) ed accettato da Pietro Badoglio (capo di Stato Maggiore) senza alcuna reticenza. “Assassini, Assassini, mille volte assassini...”, scriveva a casa sua un soldato italiano nel lontano dicembre del 1940. In una lettera del 28 ottobre al quadrumviro Cesare Maria De Vecchi, Badoglio arrivò persino a vergare: “Il 28 ha inizio la spedizione punitiva contro la Grecia. Questi greci avranno il trattamento che si meritano”. “La Grecia è un Paese così povero che non può essere da noi concupito”. Così aveva paradossalmente detto Ciano nel settembre del 1939.

    La Grecia aveva un regime dittatoriale non molto dissimile da quello dell’Italia fascista. Mussolini però aveva identificato nella Grecia l’obiettivo ideale di una campagna militare che avrebbe fatto guadagnare all’Italia un avamposto nei Balcani ed un maggior peso rispetto all’alleato tedesco. La mattina del 28 ottobre del 1940, l’Ambasciatore italiano ad Atene (Emanuele Grazzi) consegnò un ultimatum al primo Ministro greco (generale Alexandros Metaxas) che lo respinse immediatamente. Questa data in Grecia è divenuta ricorrenza nazionale come giorno del “No”, cioè il ricordo orgoglioso del rifiuto di consegnare le armi elleniche all’Italia littoria. Mussolini è al corrente della scarsa preparazione bellica italiana. Ha ricevuto ripetuti avvertimenti in proposito. Lui stesso ha una volta ammesso che l’Italia era meglio preparata alla guerra nel 1915 che nel 1939. Ha potuto verificare di persona che le divisioni pronte al conflitto non avevano la consistenza organica necessaria. Per circa un anno il Duce frena le proprie velleità guerriere a causa della sin troppo evidente impreparazione militare. Ma le vittoriose campagne naziste in Polonia, in Norvegia, in Danimarca, in Belgio e in Francia lo convincono ad affrettare i tempi. Ha l’illusione che il sacrificio di qualche migliaio di morti risulterà sufficiente per conquistare il diritto di sedersi al tavolo dei vincitori (“Mi bastano duemila morti”, dirà con prosopopea). Ma si sbagliava di grosso. Parlando della nostra entrata in guerra (giugno del 1940), annotava amaramente nel suo diario l’esule antifascista Pietro Nenni (futuro dirigente socialista): “E’ una guerra senza ragione, senza scusa e anche senza onore. Senza ragione, perché non è in giuoco alcun reale interesse italiano. Senza scusa, perché una vittoria tedesca in questa guerra importerebbe a noi, come al resto dell’Europa, l'intollerabile e brutale egemonia di Hitler. Infine senza onore, perché Mussolini attacca una Francia già invasa e agonizzante, facendo assumere all’Italia la parte dello sciacallo”.
    Ad Atene, la notte del sabato 26 ottobre, c’è una “serata italiana” imperniata sulla rappresentazione della Madama Butterfly. E’ presente i figlio di Giacomo Puccini. Il ricevimento si svolge alla legazione. Presenziano molte autorità greche. Mentre si beve, il plenipotenziario italiano E. Grazzi comincia a ricevere un lungo messaggio cifrato proveniente da Roma. Una nota italiana intima al Governo di Atene di consegnare vari “punti strategici” del Paese, pena la guerra. La decifrazione dura ore. Grazzi teme che l’ordine di consegna dell’ultimatum sia immediato. Come racconta l’allora addetto militare in Grecia, generale Luigi Mondini, Grazzi: “rimase per tutta la durata della festa con l’angoscia di dovere, ad un bel momento, pregare gli invitati di andarsene perché egli doveva andare a dichiarare guerra al loro Paese”. L’ordine è invece di consegnare la nota alle 3 del mattino del 28 ottobre. Ioannis Metaxas, il dittatore greco simpatizzante per le forze dell’Asse che era salito al potere nel 1936, riceve l’ultimatum in vestaglia: accettarlo sarebbe il suicidio. L’unica possibilità che gli resta è quella d’optare per la guerra. Indro Montanelli ha detto che a quel punto Metaxas fu preso da una crisi isterica. Durante la campagna di Grecia le crisi isteriche furono ad esclusivo appannaggio di Mussolini.
    Alberto BERTOTTO

    “Sul Ponte di Perati”

    Sul ponte di Perati
    bandiera nera:
    è il lutto degli alpini
    che fan la guerra.
    E’ il lutto della Julia
    che va alla guerra:
    la meglio gioventù
    che va sotto terra.
    Sull’ultimo vagone
    c’è l’amor mio:
    col fazzoletto in mano
    mi dà l’addio.
    Col fazzoletto in mano
    mi salutava
    e con la bocca
    i baci mi mandava.
    Quelli che son partiti
    non son tornati:
    sui monti della Grecia
    sono restati.
    Sui monti della Grecia
    c’è la Vojussa:
    col sangue degli alpini
    s’è fatta rossa.
    Alpini della Julia
    in alto i cuori:
    sul ponte di Perati
    c’è il Tricolore.
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    " Usi obbedir tacendo e tacendo morir....."

  2. #2
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    Re: Gli alpini della "Julia" nella campagna di Grecia 1940 -

    Articolo interessante .
    Grazie per avercelo riproposto, in quanto è già stato:
    Pubblicato da piave.it in data Martedì, 19 Maggio 2009
    http://www.ilpiave.it/modules.php?name= ... e&sid=6914
    luciano

  3. #3
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    Re: Gli alpini della "Julia" nella campagna di Grecia 1940 -

    Il mio nonno paterno (fante della Div. Bari)... è ancora lassù, su quelle montagne.
    LA MIA PAGINA "FORTIFICATA" SU FACEBOOK©: http://www.facebook.com/pages/Italien/323925510817

    Nel mezzo del cammin di questa vita, mostrassi alfin la truce metà oscura...
    ché la pazienza mia era finita, e lo baston calassi su ogne testa dura.


    Fatti non fummo, a viver come inermi... bensì pello inimico, far divorar dai vermi.


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