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Discussione: LA “B” COY DEL 28° BTG MAORI nella battaglia di Cassino

  1. #1
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    LA “B” COY DEL 28° BTG MAORI nella battaglia di Cassino

    Memorie del Capitano Matarehua Wikiriwhi, comandante della Compagnia B del 28° Battaglione Maori, da una sua lettera a Walter Nardini, autore di "Cassino, fino all'ultimo uomo"


    Ci siamo mossi dall’area di Castelforte sul fronte dell’Ottava Armata il 19 gennaio del 1944. Dopo aver viaggiato per circa 230 miglia da Termoli, Lucera, Ariano, Cicciano e Caserta, e raggiungemmo la nostra nuova zona ad Alife alle 08:45 di venerdì 21 gennaio. Il ricordo principale di quel viaggio attraverso l’Appennino è la sfida ingegneristico-stradale di costruire una strada lungo quei dirupi, su strutture di tipo a cavalletto, dove le normali metodologie di costruzione erano impossibili. Restammo ad Afile per circa due settimane. Durante questo periodo abbiamo fatto molte esercitazioni di attraversamento fluviale con battelli d’assalto, di arrampicate in montagna, attacchi di fanteria usando munizioni vere e, generalmente, tutte le esercitazioni in attesa dello sforzo importante quale quello di Cassino.
    Parlando di cose più mondane mi ricordo che giocavamo molto al nostro passatempo nazionale, il Rugby, e il 27 gennaio ci siamo presi una giornata di riposo per visitare Napoli e Pompei. Sono rimasto molto colpito dalle rovine di Pompei1.
    Ad Alife abbiamo ricevuto, dalla Base Avanzata, 20 rimpiazzi molto necessari. Avevamo subito molte perdite ad Orsogna ed in altre azioni sulla costa Adriatica.


    DA ALIFE A MONTE TROCCHIO E CASSINO
    Ci siamo mossi da Alife al Trocchio sabato 5 febbraio. Il viaggio si svolse senza intoppi e prendemmo posizione sul lato sotto vento del Monte Trocchio. Le posizioni erano state preventivamente occupate dal Northern Reconnaisance Unit della 36° Divisione della II US Corps. Ricordo che gli Americani erano molto socievoli, con un equipaggiamento e razioni superiori alle nostre, ma non erano molto preoccupati dalla serietà dei combattimenti – questo non sia visto come una critica dei nostri Alleati Americani. Avevano semplicemente un approccio diverso dal nostro.Lo scambio tra le unità rappresentò un lavoro complesso, le piogge torrenziali ed il forte vento resero il terreno un pantano. Solo dopo tre giorni ci sistemammo nei nostri nuovi alloggi. Negli 11 giorni precedenti l’attacco principale, oltre alla manutenzione delle armi e dell’equipaggiamento, studiammo in dettaglio il terreno che dovevamo superare per avanzare verso la Stazione Ferroviaria. Avevamo a disposizione dei rapporti dell’Intelligence sulla consistenza della presenza dei tedeschi che occupavano la zona della Stazione ma, come ci dimostrarono gli eventi seguenti, questi rapporti sottostimavano tale dato e in seguito ne informai il Generale Kippenberger. Durante questo periodo abbiamo mandato molte pattuglie notturne per testare e sondare le difese avanzate del nemico. Nella notte fra il 9 e il 10 febbraio abbiamo approntato un pattugliamento di Compagnia; la finalità principale era di fare un’imboscata alle pattuglie tedesche in quanto anch’esse erano molto attive sul nostro fronte. Facemmo una marcia di 5 miglia fino alla zona di imboscata che dominava tutte le via di accesso per e dal Fiume Rapido.

    L'ATTACCO
    La mattina di giovedì 17 marzo fummo informati che l’attacco principale sarebbe iniziato quella notte all’ora zero, quando la fanteria avrebbe attraversato la start line alle 21:30. Presenziammo ad un briefing al comando di Battaglione e dopo abbiamo avuto il nostro briefing di Compagnia - facemmo anche un’ultima visita alla vetta (del Monte Trocchio) con i tre comandanti di plotone, i due Tenenti George Takurua, George Asher e Tini Crapp
    Prendemmo il té alle 17:00 e questo fu seguito dall’abituale messa. In assenza del cappellano di Battaglione, Wi Huata, la funzione fu celebrata da George Takurua che era membro della Chiesa di Ringatu. Alle 18:15 dopo un breve discorso del Ten. Col. R.R.T. Young e mio, condussi la Compagnia a 5 miglia circa dall’area della start line. Marciammo in fila indiana nell’ordine seguente: Comando di Compagnia, 10°, 11° e 12° Plotone. In tutto la Compagnia contava 120 uomini. Era una bella serata, fredda e con la neve sulle montagne, umida e con il fango sotto i piedi. Ben presto, durante la marcia di avvicinamento, ruppi il silenzio radio e provai i settaggi (le frequenza) dell’apparato n. 38 (con n.38 o apparato n.38 si intende una radio in dotazione alle unità di livello Compagnia e Plotone che permetteva le comunicazioni fra il Comandante di Compagnia e i Plotoni e/o Comando di Battaglione; la denominazione corretta della stessa è “Wireless Set No. 38” che esisteva nelle versioni Mk1, Mk2, Mk3) che agganciarono il Plotone del Comando di Compagnia ed anche il Comando Battaglione.
    Raggiungemmo l’incrocio fra la strada e la ferrovia (il passaggio a livello) alle 20:15; ci fermammo ed ordinai alla Compagnia di riposare. Eravamo a circa 250 yarde dalla start line. Ci precedeva la Compagnia “A”. Alle 20:40 la nostra artiglieria iniziò a cannoneggiare la stazione e la città di Cassino. Alle 20:50 la Compagnia “A” si mosse verso la start line e noi la seguimmo. Parte di questa marcia di avvicinamento seguiva la linea ferroviaria. Vi erano due ponti demoliti prima della start line. I nostri Genieri si davano da fare per riparare i ponti ma questi erano solo parzialmente terminati e così abbiamo avuto grande difficoltà ad attraversarli, tanto che alle 21:30 solo metà della Compagnia era appostata correttamente sulla start line.
    Dovevamo andare avanti e ordinai alla Compagnia di avanzare. Avanzammo solo per un breve tratto quando un colpo di mortaio mi esplose d’avanti. Distrusse l’apparato n. 38 che avevo sul petto, il mio elmetto di latta, volato via gettandomi a terra, si bucò. Mi feci aiutare dal Sergente Maggiore di Compagnia Ron Koinaki a togliermi di dosso l’inutile n. 38. Da questo punto in poi i contatti radio con i Plotoni erano saltati e ci dovemmo affidare a dei Porta Ordini. Stranamente, a parte qualche graffio sulle braccia, non mi ero fatto nulla. Fossi e scoli d’acqua rallentavano l’avanzata ed il pesante fuoco di mitragliatrice mieteva molte vittime. I nostri barellieri furono messi a dura prova evacuando i feriti; abbiamo dovuto impiegare dei fanti per aiutarli. Alle 22:15 le nostre squadre avanzate avevano raggiunto il filo spinato nemico e subito iniziò il combattimento. Ingaggiarono il nemico con mitragliatrici leggere, granate e baionette. Su per giù in questo momento uno dei miei uomini fece esplodere una mina anti uomo dietro di me. Un pezzo di metallo mi ferì ad una gamba e dovetti tornare indietro, alla postazione medica avanzata, per la fasciatura. L’RMO, il Dottor D’Arcy, mi consigliò di tornare nelle retrovie per farmi medicare ma, vedendo il numero di feriti nella postazione, gli dissi che stavo bene così. Diedi istruzioni che mi fosse portata una nuova n. 38, e ripresi a riorganizzare.
    Le cose non erano andate molto bene. Vi erano molte sacche di resistenza difficili da snidare e ad un certo punto un ufficiale del Genio si offrì di aiutarci. Lo ringraziai dell’offerta ma ero consapevole del gran da fare che aveva tra le mani. Richiesi l’intervento della Compagnia “A”, dei due Tenenti Christy e Wally Jones e dei loro uomini: ci hanno dato un aiuto prezioso. All’ 01:00 avevo raggiunto gli obiettivi della Compagnia e organizzato una Postazione Comando con i pochi uomini rimasti al riparo di un muro di una palazzina manutenzione della Stazione. Feci un giro delle postazioni delle Squadre e venni conoscenza che George Asher era rimasto ucciso e Tini Crapp era ferito. Dissi agli uomini di trincerarsi e di attendere l’arrivo dei nostri rinforzi. A quel tempo non potevamo sapere che uno o due ponti non erano ancora stati riparati e che le armi di supporto (rinforzi) non sarebbero potuti passare: eravamo isolati.
    Alle prime luci (del giorno 18.03.44) ci sparavano dal lato sinistro e leggermente da dietro e mi resi conto che la Compagnia “A” non aveva raggiunto l’obiettivo. Inviai una squadra in quella direzione e poco dopo non avemmo più problemi da quel lato. Durante le prime ore del mattino arrivò una nuova n. 38 ed eravamo di nuovo in contatto con il Comando di Battaglione. Contattai i Plotoni con la radio e comunque eravamo su un fronte stretto, di circa 150 yarde di larghezza. Le costruzioni in parte demolite rendevano difficile il movimento ma, d’altro canto, offrivano un qualche riparo dal fuoco e dall’osservazione nemica. Durante la mattina vi furono diversi tentativi di contrattacco ma riuscimmo a respingerli tutti. Dalle 08:30, circa, fummo a lungo pesantemente bombardati. Subimmo altre perdite. L’evacuazione dei feriti era diventato un problema e richiesi l’uso di fumogeni sia per i barellieri che per permettere l’arrivo di rinforzi.
    Alle 12:00 la situazione stava peggiorando, mentre gli uomini si stavano stancando e le munizioni andavano esaurendosi chiamai il Comando di Battaglione per istruzioni. Ci dissero di … “resistere, costi quel che costi”.
    Alle 14:00 vidi un tedesco con la divisa da carrista scalare un cumulo di macerie e con calma osservò le nostre postazioni. I miei uomini fecero fuoco mancandolo e questi, voltandosi, si dileguò. Poi alle 15:10 il mio Porta Ordini, soldato Shorty Bidois, che stava al mio fianco in una trincea, mi disse: “Signore, sente quello che sento io?” prima che gli potessi rispondere un carro Tigre sfondava un muro di un palazzo a circa 100 yarde e la torretta si girava verso di noi. Il cannone da 75mm sparò. Il colpo passò tra Bidois e me, sfondando un muro dietro di noi e scoppiò nel palazzo della Stazione. Chiamai il Comando di Battaglione, informandolo di quello che stava succedendo e che stavamo per ritirarci. Mandai una voce alle postazioni dicendogli di evacuare nel miglior modo possibile. Non abbiamo avuto il tempo di attraversare la linea ferroviaria e guadammo un ruscello poco profondo alle nostre spalle. A questo punto la fanteria tedesca aveva iniziato a sparare facendo fuoco con fucili e mitragliatrici. Appena attraversato il ruscello mi voltai e vidi dei miei uomini esitare e cercare di ripararsi. Gli gridai di proseguire.
    La mia gamba destra cedette sotto di me – era stata colpita da una raffica di mitragliatrice. Due dei miei uomini vennero ad aiutarmi ma gli ordinai di andare via. Poi arrivò il soldato George Sutherland e dovetti minacciarlo con la pistola prima che andasse via. Erano le 15:40 e, come ho annotato, era una bella giornata, soleggiata ma fredda.
    Fino al calar della notte non ho potuto fare nulla. Improvvisai un laccio emostatico con il cordoncino della mia pistola e ciò ridusse il sanguinamento. I miei uomini vi avevano applicato una rozza fasciatura da campo. Intorno alle 20:30 una piccola pattuglia tedesca mi passò vicino. Mi era balenato il pensiero di gridare ed arrendermi ma la mia mente tornò ai combattimenti su Creta nel 1941 quando “i ruoli erano invertiti”, i tedeschi avanzavano e noi ci ritiravamo.
    Sebbene non avessi un’esperienza diretta si diceva che noi fucilavamo i nostri prigionieri gravemente feriti perché non avevamo a disposizione un servizio medico. Niente poteva trattenerli dal fare lo stesso a me, ora, visto che gli sarei stato solo d’impaccio. C’erano molti dei nostri uomini sparsi nell’area, distesi a terra e uccisi durante l’attacco o la ritirata, così mi distesi in silenzio. Mi ricordo di aver avuto fame e freddo nonché volevo una sigaretta. Alle 22:30, in un modo o in un altro, decisi di andarmene.
    Fui fortunato che a poca distanza da me c’era un pezzo di legno ed una cappa del gas. Dalle mie esperienze anteguerra di pastore di greggi, avevo mantenuto l’abitudine di portare un coltellino. Spaccai rozzamente il legno in due e con strisce della cappa mi fasciai molto stretto il ginocchio. Non mi potevo alzare in piedi. Poi ho scoperto che, stando semiseduto potevo piegare la gamba buona e, con l’aiuto delle mani, trascinarmi di pochi passi alla volta a marcia indietro.
    Il mio primo problema fu la ripida scarpata della ferrovia. Dovevo salire sui binari visto che questa era la migliore via di fuga. Alle prime luci dell’alba (del 19.03.44) ero a circa 150 yarde da dove ero partito. Potevo vedere chiaramente le postazioni avanzate tedesche. Seduto sul terrapieno della ferrovia sopraelevata ero “un pugno in un occhio”, tanto che presto arrivavano colpi di MG nella mia direzione.
    A metà mattinata anche il lavoro dei Genieri sul ponte fu colpito dal pesante fuoco di artiglieria. Ero sotto tiro incrociato e pensavo che era solo questione di tempo. Verso mezzogiorno mi sentii sopraffatto dalla sete e, seppure non sapessi come, avevo deciso che mi sarei ripreso. In qualche modo ruzzolai nell’acquitrino in fondo alla scarpata. Dopo aver alleviato un poco la sete mi accorsi di un asino morto e gonfio a pochi piedi da me.
    Mi sono sentito male per un po’ di tempo. Riuscii a ritornare su, verso i binari, ma a questo punto qualcos’altro mi turbava. Mi trascinai in dietro lungo il terrapieno della ferrovia, le mie mani erano lacere e sanguinanti ma rimediai reggendo pezzi di legno, in ogni mano, che supportavano il mio peso.
    La possibilità di arrivare ai ponti prima che venissero distrutti era appesa ad un filo. La mia fortuna tenne ancora e alle 15:00, guardando in dietro, potevo vedere gli uomini delle nostre postazioni avanzate.
    Erano del 24° Battaglione e avevano sostituito le nostre unità. In seguito li redarguii per non essere venuti a prendermi; diventavo sempre più debole e mi ci vollero due ore per coprire le ultime 150 yarde. In tutto avevo coperto circa 1000 yarde. Gli uomini del 24° chiamarono un veicolo che arrivò poco dopo. Quasi contemporaneamente arrivò il nostro ufficiale Intelligence, Moana Raureti a cui feci un breve rapporto sugli eventi. Erano le 17:00 di sabato 19 marzo. Fui portato in ospedale e non ho più preso parte alla campagna (d’Italia) e neanche alla guerra. Tornai a Wellington, Nuova Zelanda, il 1° maggio 1944, esattamente quattro anni dopo essere partito dallo stesso porto.
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    Passo il tempo cercando gocce di storia, fili di verità e tracce di me stesso.

  2. #2
    Utente registrato L'avatar di Franz56
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    Re: LA “B” COY DEL 28° BTG MAORI nella battaglia di Cassino


    Molto interessante...
    Grazie per averlo postato...
    La vita è un temporale... prenderlo nel .... è un lampo...!!!
    El vento, el ... e i siori i gà sempre fato quel che i gà voludo lori...

    "Se un bischero dice 'azzate vorti'osamente può apri' un varco spazio temporale, in cui può incontrassi po'i se'ondi prima, generando 'osì un'infinita e crescente marea di 'azzate"... Margherita Hack

  3. #3
    Utente registrato L'avatar di Blaster Twins
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    Re: LA “B” COY DEL 28° BTG MAORI nella battaglia di Cassino

    Una storia che non conoscevo. Davvero interessante.
    A/F 505 PIR 82ND AIRBORNE DIVISION "ALL AMERICAN"
    H-MINUS
    ALL THE WAY!

    www.progetto900.com

  4. #4
    Moderatore L'avatar di squalone1976
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    Re: LA “B” COY DEL 28° BTG MAORI nella battaglia di Cassino

    Citazione Originariamente Scritto da Blaster Twins
    Una storia che non conoscevo. Davvero interessante.


    ChM
    Virgo fidelis Usi ubbidir tacendo e tacendo morir

    Non nobis domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam

  5. #5
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    Re: LA “B” COY DEL 28° BTG MAORI nella battaglia di Cassino

    Molto interessante davvero.
    Grazie per la condivisione.
    sven hassel
    duri a morire

  6. #6
    Utente registrato L'avatar di gotica68
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    Re: LA “B” COY DEL 28° BTG MAORI nella battaglia di Cassino

    bella storia!

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