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Discussione: Film: AEROPORTO

  1. #1
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    Film: AEROPORTO

    GENERE: Drammatico
    REGIA: Piero Costa
    SCENEGGIATURA: Piero Costa
    ATTORI:
    Attilio Dottesio, Armando Ferrara, Gualtiero Isnenghi, Antonio Lincetto, Anna Marazzini, Renato Malavasi, Carlo Minello, Anna Arena, Silvio Bagolini, Piero Carnabuci, Luisa Cei, Mario Sailer, Riccardo Tassani, Elio Steiner, Carla Zanni.

    FOTOGRAFIA: Gábor Pogány
    MUSICHE: Franco D'Achiardi
    PRODUZIONE: MARIANGELA NUVOLETTI PER VICTORIA FILM
    DISTRIBUZIONE: VITTORIA
    PAESE: Italia 1944
    DURATA: 90 Min
    FORMATO: B/N

    NOTE:
    - MONTAGGIO: GIANNI VERNUCCIO, (NON ACCREDITATO) - COLLABORATORE AL SOGGETTO E ALLA SCENEGGIATURA: ALESSANDRO DE STEFANI (NON ACCREDITATO). - L'UNICA COPIA DELLA PELLICOLA E' IN POSSESSO DELL'ARCHIVIO NAZIONALE CINEMATOGRAFICO DELLA RESISTENZA A TORINO.

    _____________________




    Piero Costa, nato a Tunisi nel 1913, fratello del noto regista Mario Costa, dopo avere fatto esperienza come documentarista aderisce alla Repubblica Sociale ed è uno dei pochi registi del cinevillaggio veneziano a terminare per tempo un film che viene distribuito abbastanza regolarmente nelle sale del nord. Aeroporto (dicembre 1944; 80 min.) scritto e diretto dal regista, è inoltre il suo film d’esordio. Esso esce nelle sale a guerra quasi conclusa e appare fuori tempo massimo; a Milano, ad esempio, viene “lanciato” nel febbraio 1945 da un ricco (per l’epoca) apparato pubblicitario e, ciononostante, la tenitura (presso il cinema Colosseo, una sala elegante che allora vantava 2000 posti) non supera la settimana a riprova dello scarso interesse del grande pubblico per gli ultimi prodotti del fascismo repubblicano e, in generale, per qualunque cosa rimandi alle sofferenze dell’interminabile conflitto.
    Aeroporto, lavoro di esplicita propaganda, modesto nella qualità e austero nella linea ideologica, viene dunque girato nel 1944 a circa un anno dalla disfatta dell’8 settembre di cui costituisce la prima rilettura critica, seppure all’interno di una rigida e artificiosa ottica fascista. Vi si racconta la vita quotidiana di un piccolo aeroporto militare, dei suoi aviatori sempre a un passo dalla morte, delle loro fidanzate in perenne attesa di venire sposate. La pellicola è una cronaca lineare, priva di una struttura narrativa forte, scandita innanzitutto dagli eventi storici recenti: si comincia con la scioccante caduta di Pantelleria (giugno 1943) dalla quale proviene il valoroso e scettico Giovanni Ferri, aviatore deciso a non arrendersi, il quale depreca la scarsa volontà di battersi dei soldati dell’isola; si prosegue con le ancora più sconvolgenti dimissioni di Mussolini (25 luglio) cui fa seguito l’imprevedibile caos dell’8 settembre. Il protagonista Riccardo Ferri ripete costantemente quanto gli ha detto il fratello ossia che “solo dopo aver toccato il fondo si può risalire”, evidenziando la chiave di lettura, tutta filofascista, di quegli eventi: gli alti comandi hanno sabotato la guerra, non aspettano che l’occasione buona per arrendersi (da Pantelleria all’armistizio) mentre i soldati semplici, ovvero il popolo, si sentono traditi, vogliono proseguire la lotta e possono farlo solo ora, nella nuova Rsi, ripulita dalla monarchia e dai generali fedeli al re e forse perfino solidali (in gran segreto) con i vertici della Gran Bretagna (l’aria di mistero che avvolge le presunte, esplosive rivelazioni che Giovanni Ferri vorrebbe fare al fratello potrebbero andare in quella direzione).
    Al di là di queste pure ipotesi, nelle atmosfere del racconto Costa riprende la solita retorica populista di centinaia di pellicole del regime, calandola nei drammatici eventi del 1943-44. La colpa delle sconfitte dunque non può essere di Mussolini, della sua politica avventurista (l’entrata in guerra con un esercito totalmente inadeguato) e di una popolazione incline a un saggio pacifismo (nonostante il quotidiano martellamento fascista); è degli alti gradi dell’esercito (che indubbiamente hanno più subìto che voluto le iniziative belliche mussoliniane).
    Pertanto il film illustra con buona efficacia lo stato di incertezza e di smarrimento che accompagna le gesta militari italiane in quell’estate 1943; in tal senso si tratta di un documento prezioso, proprio perché girato dall’interno degli eventi che racconta. D’altro canto avere considerato la caduta del fascismo e l’armistizio come puro e semplice tradimento, appare atteggiamento acriticamente allineato alle esigenze del nuovo fascismo repubblicano. In nessun momento questi simpatici ragazzoni messi in scena da Piero Costa si chiedono perché stiano combattendo, per quale preciso obiettivo (al di là dei vacui riferimenti alla patria e all’onore militare) e in quali condizioni ciò sia avvenuto e avvenga. In una logica romantica – che è poi tremendamente infantile – a costoro interessa solo di poter combattere e ammazzare più nemici possibili; ed è appunto questo l’unico messaggio che il film si preoccupa di veicolare, al fine di potere convincere un pugno di spettatori della bontà degli ideali guerrieri della Rsi (ideali che si limitano a perpetuare quelli del regime, resi estremi dal contesto storico).
    Nonostante le finalità propagandistiche - che avrebbero richiesto ben altri mezzi e capacità tecniche, ossia un film ben altrimenti spettacolare - Aeroporto è per tre quarti ambientato alla trattoria della base militare (per evidente scarsità di mezzi) e impostato sulle solite inutili schermaglie amorose (sotto tale aspetto il film sembra essere diretto più a un pubblico femminile che a quello dei combattenti del nord); quelle rare volte poi che Costa inquadra i caccia, deve farlo da lontano o limitarsi a semplici dettagli, anche per mascherare il fatto che sta utilizzando caccia tedeschi (Me 109), prevalenti nella RSI (ma incongruenti con la vicenda narrata), anziché i caccia italiani, fatto che, da solo, la dice lunga sullo stato dell’esercito nella Repubblica Sociale e in particolare dell’aviazione, proprio la più fascista delle tre armi. D’altro canto l’alleato tedesco non viene mai citato, anche perché il film sostanzialmente termina con gli eventi dell’8 settembre.
    In ogni caso il racconto dello sbandamento conseguente ai confusi ordini pervenuti da Badoglio nella giornata dell’armistizio è efficace (costituisce certamente la parte migliore del film): il comandante dell’aeroporto litiga con imprecisati superiori e lascia liberi i soldati di scegliere se tornare a casa o proseguire la lotta al nord mentre Riccardo, ignaro di tutto (era in missione), rientra solo il 9 settembre in un aeroporto desolatamente vuoto: nella solitudine conclusiva in cui viene lasciato il protagonista appare con forza l’idea di un paese che si è disgregato, che si avvia a una guerra civile e che faticherà non poco a tornare unito. Su quegli eventi la nazione successiva non potrà più avere una memoria condivisa.
    Giunti dunque al fondo ecco però comparire la “rinascita” (mito tipico di tutte le ideologie astratte fondate sul cosiddetto “uomo nuovo”; si noti che Rinascita sarà anche il nome del noto giornale teorico del PCI): poche immagini sintetizzano inverno e primavera; poi ecco il bando per l’arruolamento nella Rsi e Riccardo che si leva nuovamente in volo in una piccola squadriglia di caccia. La moglie, felice (!!), contempla i piccoli aerei dal suo balcone mentre sul primissimo piano di Riccardo, posto in chiusura, a sorpresa si coglie un’espressione perplessa, quasi amara e un’ombra scura che passa. Forse Costa ha voluto concentrare tutta la propria sincera perplessità in questo inatteso e “stonato” sguardo finale.
    "Chissà a quale di questi alberi ci impiccheranno..."

  2. #2
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    Una rara immagine del film apparsa sulla stampa della RSI.
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