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Discussione: SS italiane e RSI

  1. #11

    Re: SS italiane?

    Citazione Originariamente Scritto da LAUF
    Prima di venir frainteso, vorrei rettificare: la mia non è una presa in giro, però ho sì voluto generalizzare, quello sì.
    Il littorio era di fatto un fregio sulle uniformi delle SS italiane, anzichè il serto di foglie con la svastica; e a parte il fatto che le SS italiane erano sotto comando tedesco, era di fatto l'unità* "tedesca" che contava il maggior numero di diserzioni in tempo record (appena dopo l'addestramento in Germania), o semmai una delle meno affidabili. Ciò la accomuna con le forze della RSI, in cui la GNR spicca ugualmente per diserzioni, che l'hanno quasi dimezzata dopo appena 10 mesi di servizio. Poi logico pensare che c'erano mille motivi allora che ti portavano a compiere scelte del genere, esserci dentro era veramente un salto verso l'ignoto, vista la situazione ormai disperata della guerra per l'Asse. Con questi punti di contatto tra le due forze intendo dimostrare la familiarità* che può esserci stata tra le due, salvo alcuni contrasti il più delle volte dovuti ai rispettivi comandi, che erano ben diversi. Oltre a qualche raro caso in cui c'era una esplicita preferenza per il "baffetto", come ha citato Sturmtruppen, la maggior parte era uomini presi più o meno ovunque che si era arruolata e per poi facilmente cedere alla diserzione, per le più svariate ragioni. Per cui la composizione delle due forze era comunque di italiani con più o meno un simile "cursus onorum".

  2. #12

    Re: SS italiane?

    Citazione Originariamente Scritto da LAUF
    Prima di venir frainteso, vorrei rettificare: la mia non è una presa in giro, però ho sì voluto generalizzare, quello sì.
    Il littorio era di fatto un fregio sulle uniformi delle SS italiane, anzichè il serto di foglie con la svastica; e a parte il fatto che le SS italiane erano sotto comando tedesco, era di fatto l'unità* "tedesca" che contava il maggior numero di diserzioni in tempo record (appena dopo l'addestramento in Germania), o semmai una delle meno affidabili. Ciò la accomuna con le forze della RSI, in cui la GNR spicca ugualmente per diserzioni, che l'hanno quasi dimezzata dopo appena 10 mesi di servizio. Poi logico pensare che c'erano mille motivi allora che ti portavano a compiere scelte del genere, esserci dentro era veramente un salto verso l'ignoto, vista la situazione ormai disperata della guerra per l'Asse. Con questi punti di contatto tra le due forze intendo dimostrare la familiarità* che può esserci stata tra le due, salvo alcuni contrasti il più delle volte dovuti ai rispettivi comandi, che erano ben diversi. Oltre a qualche raro caso in cui c'era una esplicita preferenza per il "baffetto", come ha citato Sturmtruppen, la maggior parte era uomini presi più o meno ovunque che si era arruolata e per poi facilmente cedere alla diserzione, per le più svariate ragioni. Per cui la composizione delle due forze era comunque di italiani con più o meno un simile "cursus onorum".
    Vedi Lauf, se la differenza tra un pupazzo da carnevale e un rievocatore è la conoscenza storica (e non una rimasticatura di due righe di Pansa -vedi GNR-) e il rispetto per chi ha combattuto veramente, siamo messi bene. Meglio studiare prima di parlare, dando giudizi su cosa non si conosce.


    Dalle SS italiane al MSI: intervista a Alessandro Scano
    di Andrea Lombardi

    Alessandro Scano, classe 1923, entrò volontario nel CREM nel 1943. Dopo l`8 settembre, si presentò volontario nelle FF.AA. della RSI a Torino, essendo inquadrato nella GNR e quindi nelle SS italiane, dove già* combatteva il padre. Dopo la guerra entrò nel MSI, e fu coinvolto nella dura lotta politica a Torino nel primo dopoguerra. La sua è una delle rarissime testimonianze di un appartenente alle SS italiane; ugualmente interessante è la narrazione della sua militanza politica, dai FAR al MSI ad AN.

    Abbiamo chiesto a Scano di delinearci le differenze tra la GNR e le SS italiane:

    "Ritengo sia interessante conoscere la realtà* delle due formazioni fra le più impegnate sia al fronte contro gli angloamericani che nella guerriglia e repressione anti partigiana, la Legione Tagliamento e le SS italiane. La Legione d`assalto Tagliamento venne formata nell`estate del 1941. I Battaglioni delle SS italiane furono creati nel 1943 inizialmente da volontari nel nord Italia, e in seguito anche con prigionieri italiani in Germania che aderirono alla RSI, e inviati in Italia. La Tagliamento il 10 settembre 1941 fu inviata sul fronte russo e iniziò i combattimenti contro l`Armata Rossa sul Dnieper, operazioni militari che si conclusero nel gennaio 1943, quando rientrarono in Patria i pochi superstiti. La Legione fu insignita di medaglia d`Oro e d`Argento al valor militare. All`8 settembre il LXIII Battaglione al comando del Colonnello Merico Zuccari non depose le armi e continuò la lotta al fianco dell`alleato tedesco, e in seguito entrò a far parte della 1ª Legione M. Dopo importanti operazioni belliche nel bresciano contro formazioni partigiane, nel dicembre del 1943, in relazione al peggioramento della situazione in Valsesia nel vercellese, la Legione si trasferì a Vercelli e si acquartierò nella caserma Conte di Torino, che i legionari ribattezzarono Tagliamento. Nella prima metà* di settembre del 1943 mi arruolai volontario presentandomi al Comando di Torino, poi le nostre fila s`ingrossarono e fummo mandati a Rivoli in provincia di Torino per un periodo di addestramento. All`inizio del 1944 fummo aggregati al LXIII Battaglione M al comando del Capitano Alimonia e con grande onore diventammo Legionari dell`eroica Legione Tagliamento. In primavera fummo inviati in Valsesia e la nostra Compagnia pose la sua base operativa a Rimasco, piccolo centro a pochi chilometri dal confine svizzero, da dove ogni mattina si partiva per azioni di rastrellamento. In quel periodo conobbi un giovane Tenente, che sarebbe diventato poi un popolare attore di fama mondiale, Giorgio Albertazzi. La nostra tattica di avvicinamento alla zona dove si presumeva esserci attività* partigiana, era di portarci il più vicino possibile in camion, per poi proseguire a piedi. Se il terreno era allo scoperto proseguivamo in formazione aperta a ventaglio a parecchi metri di distanza l`uno dall`altro per offrire il minor bersaglio possibile, mentre in avanscoperta si mandavano due o tre pattuglie. Quando la conformazione del terreno non permetteva questa manovra (mulattiere, stretti sentieri scoscesi di montagna), si avanzava in fila indiana sempre a debita distanza l`uno dall`altro.

    Il nostro armamento personale consisteva: il mitra MAB, pugnale, mitragliatore Breda 30 (che era la mia arma di dotazione), mentre il reparto era dotato di mitragliatrice Breda 37 e mortai da 81. Non era d`ordinanza la pistola, anche se quasi tutti ne avevamo una. Io scambiai la mia Berretta 7.65, presa ad un partigiano, e molto ambita dai tedeschi, con la P 38 di un portaordini tedesco, questo tipo di pistola oltre ad essere un`ottima arma, aveva il vantaggio di camerare il calibro 9, lo stesso del mitra, quindi si aveva un`abbondanza di munizioni. Altri reparti erano dotati anche di cannoni controcarro da 47 mm e mitragliere da 20 mm, ovviamente queste armi pesanti non erano idonee per il tipo di operazioni, rastrellamenti in montagna, che faceva il nostro reparto. Ultima annotazione, gli altri reparti della RSI portavano il Gladio, noi l`M rossa.

    Quando nell`estate del 1944 chiesi il trasferimento alle SS Italiane nel Battaglione Degli Oddi, non si modificarono né i programmi d`addestramento né le operazioni belliche. Il nostro Battaglione, denominato Vendetta, era acquartierato a Pinerolo, prov. di Torino, nella caserma del Pinerolo Cavalleria. Iniziammo subito le operazioni di rastrellamento nel bergamasco, con base sul lago d`Iseo e nel pinerolese con base al Sestriere, quindi trasferimento definitivo nel comasco, a Mariano Comense, dove rimanemmo fino alla fine di quella tragica ma esaltante parte della nostra Storia.

    I rapporti con i camerati sono sempre stati improntati alla massima amicizia, e ciò anche con i tedeschi, anche se da questi si percepiva talvolta, e non a torto dati i precedenti, un vago senso di diffidenza. Con i nostri superiori vi à* stata una sostanziale differenza fra italiani e tedeschi. Con gli ufficiali italiani vi sempre stata, sia alla Tagliamento che nelle SS, rapporto rispettoso ma di cordialità*, in qualche caso anche di amicizia, questo certamente dovuto dall`essere per la quasi totalità* dei volontari animati da comuni sentimenti. Gli ufficiali tedeschi invece, erano in maggioranza di alto stato sociale, quasi una casta privilegiata della società* tedesca. Da noi vi era, almeno riferito a quel periodo, disciplina, ma un concetto della vita vorrei dire più comprensivo delle esigenze della medesima, i tedeschi invece, giusti ma estremamente rigidi. A tal proposito è indicativo un certo modo di interpretare la vita e consequenziali comportamenti, tenendo presente che eravamo in maggioranza tutti uomini giovani e giovanissimi, quindi portati, quando possibile a certe evasioni. A questo proposito bisogna ricordare che per i tedeschi il contrarre una malattia venerea era considerato sabotaggio all`esercito, con conseguenti punizioni disciplinari. Nei centri importanti vi erano case sotto il controllo diretto degli Ufficiali medici tedeschi, vietate rigorosamente ai civili, dove ciò non era possibile provvedevano diversamente e l`episodio che racconterò è molto chiarificatore. Durante la nostra permanenza al Sestriere venni comandato con la mia squadra ad effettuare per alcuni giorni un posto di blocco situato in una casa cantoniera a metà* strada fra il Sestriere e Cesana. Nel corso di questo servizio fummo anche attaccati di notte dai partigiani, ma lo scopo del racconto è un altro. Due volte al giorno un camion ci portava il rancio, un giorno insieme al pranzo portarono quattro "signore" ovviamente sottoposte a rigoroso controllo sanitario, nessun obbligo di approfittarne, ma tenendo sempre presente il pericolo che avremmo corso in caso di malattia. Questa era la disciplina tedesca, che coinvolgeva anche noi, che pur comandati da ufficiali italiani, essendo in un reparto appartenente alle SS, venivamo coinvolti dalla loro disciplina. L`armamento individuale era simile a quello in dotazione alla Tagliamento, qualche diversità* per equipaggiamento collettivo, infatti avevamo anche in dotazione la mitragliatrice MG 42, seppur in pochi esemplari, oltre ovviamente il Breda 30 e la mitragliatrice Breda 37. Con il trasferimento definitivo a Mariano Comense iniziò paradossalmente un periodo di tranquillità*, infatti operazioni di ordinaria amministrazione, controlli, posti di blocco, mai o quasi problemi inerenti alla guerriglia anche se era evidente a tutti noi che la fine era imminente. A riprova di ciò, il servizio di Feldgendarmerie che facevamo a coppie di due, quindi estremamente vulnerabili e visibili in quanto portavamo appesa sul petto una targa, con su scritto "Feldgendarmerie", durante tale servizio non abbiamo mai avuto il benché minimo problema. Questa calma apparente, tutto sarebbe poi esploso dopo pochi mesi, sfata in ogni modo quello che la retorica resistenziale ha sempre sbandierato, e cioè che i partigiani, negli ultimi mesi del conflitto ebbero il pieno controllo del territorio. Nulla di più falso. Noi abbiamo fatta la nostra scelta morale, di onore, di coerenza, di fedeltà*, che la Storia giudicherà* nel modo giusto, e, per toccare un tema doloroso e spesso sfruttato dalla sinistra per bassa propaganda, cioè per mascherare i loro scheletri nell`armadio come i Gulag e le foibe, di quella vergogna dei Campi di concentramento, non ne abbiamo mai avuto il minimo sospetto.

    Noi combattevamo una guerra già* persa, oggi giudicata ingiusta, io continuo a ritenerla giusta moralmente, senza preoccuparmi di questioni politiche".

    Chiediamo a Scano di narrarci qualche momento saliente della "sua" guerra civile:

    "L`episodio che mi accingo a narrare è il mio primo momento di guerra, vorrei dire non guerreggiata, in quanto il mio reparto in quell`azione non partecipò allo scontro, ma fu impiegato semplicemente con mansioni di guardia. I fatti che racconterò si svolsero tra l`11 e il 13 novembre 1943.

    In provincia di Varese e precisamente fra i comuni di Luino e Laveno sorge il monte S. Martino, sulla sommità* del quale, circa 1.000 metri, in località* denominata S. Martino in culmine, sorgeva un complesso di fortificazioni. Il Genio militare in alcune grandi caverne aveva creato appunto delle fortificazioni per prevenire un ipotetico attacco dal versante svizzero. All`8 settembre nel marasma generale ed il susseguente disfacimento dell`esercito, un ufficiale dei Bersaglieri, il Tenente Colonnello Carlo Croce reclutato un certo numero di uomini, circa 150, occupò le fortificazioni del monte S. Martino. L`intento assolutamente irrealizzabile, era di concentrare il maggior numero di uomini e di materiale bellico, compiere azioni ai danni dei tedeschi e attendere l`arrivo degli Alleati. Ovviamente il tutto era a conoscenza dei tedeschi e dei fascisti, i quali però considerata l`ingenuità* e la irrealizzabilità* del proposito non intrapresero mai azioni militari nei loro confronti, anche perché il gruppo denominato Gruppo 5 giornate, non mise mai in atto i propositi bellicosi. Verso la fine di ottobre il Comando tedesco propose al Colonnello Croce di sgombrare le fortificazioni, garantendo a lui ed ai suoi uomini un tranquillo espatrio in Svizzera. La proposta venne respinta, anzi causa alcune autonome iniziative di singoli appartenenti al gruppo, i fatti precipitarono, infatti vennero compiute rapine per reperire danaro, ma fatti ben più gravi attacchi a soldati tedeschi con l`uccisione di un Ufficiale. A quel punto il Comando tedesco ruppe gli indugi organizzando un rastrellamento per eliminare il Croce e i suoi uomini. Qui inizia il mio primo impiego militare, che come ho detto all`inizio, di guerra non guerreggiata. In quel periodo, la mia Compagnia della GNR era dislocata a Torino nei locali del collegio Figlie dei Militari. Partimmo per quella località* e fummo scaglionati lungo la strada che da valle porta verso il Monte S. Martino. Il nostro compito era di presidiare la strada per evitare eventuali tentativi di fuga, controllammo anche alcune casupole abbandonate e piccoli fienili, per intercettare possibili persone nascoste.
    Ovviamente non trovammo nessuno, il nostro impiego penso fosse esclusivamente di guardia lungo la strada, anche perché la nostra esperienza militare a quel momento era di 40-45 giorni di caserma. L`operazione la portarono a termine i tedeschi che colpirono e distrussero le fortificazioni con fuoco d`artiglieria e con l`impiego di tre aerei Stuka che fra le altre cose bombardarono il deposito dell`acqua, accelerando la resa del gruppo. Finì cosi l`avventura del Gruppo 5 giornate. Questo è il racconto della mia prima operazione militare.

    Durante un rastrellamento ci spararono da una baita; rispondemmo al fuoco, e dopo un breve intervallo il tiro avversario scemò sino a scomparire. Nonostante la posizione vantaggiosa i partigiani erano fuggiti abbandonando armi e munizioni. proseguimmo secondo il nostro programma per raggiungere Rimella, paese del capo partigiano Moscatelli, dove cercammo un posto per passare la notte. Trovammo ospitalità* in un albergo del paese, chiuso malgrado la stagione estiva, per evidenti motivi, la zona pur essendo località* di villeggiatura, fra partigiani e rastrellamenti dei repubblichini, non era evidentemente frequentata. Chiedemmo al titolare di procurarci del cibo che avremmo regolarmente pagato, ma la risposta fu che non vi era nulla, la dispensa e la cantina erano assolutamente vuote, data la mancanza totale di clienti. Ricordo che ci fu dato qualche pezzo di pane vecchio e un pò di vino che pagammo secondo quanto richiestoci. Il comportamento e le asserzioni del proprietario non ci convinsero, giunta la notte e tutto l`albergo, tranne noi, era immerso nel sonno, visitammo la dispensa e la cantina. Inutile dire che trovammo ogni ben di Dio, salumi, prosciutti, formaggi e vino in quantità*, sfuso e in bottiglie di qualità*. Ovviamente mangiammo e bevemmo in abbondanza. à? evidente che 150 uomini, giovani ed affamati, ma anche indispettiti, alleggerirono notevolmente le scorte. Al mattino, alle rimostranze del titolare che avremmo potuto arrestare con l`accusa di connivenza con il nemico, ci limitammo a ribattere che non avevamo potuto mangiare e bere nulla, in quanto per sua stessa dichiarazione , dispensa e cantina erano vuote, quindi nulla avevamo consumato e nulla dovevamo pagare. L`uomo si rese conto che avrebbe potuto incorrere in guai peggiori e la cosa finì lì.

    Per meglio chiarire il rapporto della Tagliamento con la popolazione è il caso di precisare quanto segue. Nel periodo della permanenza del nostro battaglione in Val Sesia e precisamente a Rimasco, nel corso della nostra lunghissima azione antipartigiana, circa tre mesi, la gente del luogo nei nostri confronti non è stata mai particolarmente avversa. Infatti non si sono mai verificati atti ostili o addirittura attentati, azioni che avrebbero potuto benissimo succedere in quanto, quando non eravamo impegnati in azioni di controguerriglia e liberi dai normali servizi, uscivamo, frequentavamo i locali del paese, avevamo un rapporto se non amichevole, almeno distaccato e tranquillo con la popolazione. Ovviamente vi erano anche persone ostili , simpatizzanti dei partigiani, motivo per cui anche chi ci era amico, non lo dimostrava. A tal riguardo un episodio. Un giorno un locale avvicinatosi ad una nostra pattuglia di ronda nel paese, ci disse a bassa voce di intimargli "mani in alto" allo scopo di far credere che fossimo stati noi a fermarlo. Quando fu nel nostro comando ci comunicò che in un piccolo comune a pochi chilometri, Carcofaro, vi era una riunione di capi partigiani. Lo trattenemmo alcune ore per non destare sospetti ed organizzammo un spedizione per la località* comunicatoci. In una baita, nelle vicinanze di quel piccolo comune, a brevissima distanza dal confine svizzero, vi doveva essere l`incontro fra diversi comandanti dei ribelli, forse con Moscatelli, sicuramente con due suoi importanti collaboratori, soprannominati Chiodo e Chiodino. Giunti sul posto purtroppo non trovammo più nessun, certamente la fuga deve essere stata precipitosa, infatti trovammo tracce della presenza recente di persone e segno della fuga improvvisa, trovai infatti una Beretta 7.65 con alcune munizioni. Per la cronaca è la medesima Beretta che scambiai con un porta ordini tedesco, con la sua P 38, come narrato.

    Come ho detto il periodo trascorso a Rivoli, prima del trasferimento a Vercelli, alla Tagliamento, periodo di istruzione, è stato relativamente tranquillo, ma comunque si verificarono alcuni casi inevitabili. Attacchi notturni alle sentinelle, con colpi d`arma da fuoco sparati da notevole distanza, che non hanno mai procurato feriti, azioni di disturbo più dimostrative che efficaci, colpi sparati da notevole distanza, in quanto la nostra immediata reazione non ha mai dato risultati, non abbiamo mai intercettato nessuno, evidentemente la distanza era tale da garantire una fuga tranquilla. Una sola volta uno di questi attacchi è stato più cruento.
    Una notte un posto di blocco sito su una strada secondaria, venne attaccato in modo più determinato. La nostra postazione era formata da tre militi con fucile mitragliatore Breda 30, all`arma vi era un mio caro amico, un certo Seves, (nella foto dove vi sono io con quell`arma e altri tre camerati, Seves è il più alto dei quattro).
    Venne raggiunto da una raffica, malgrado quattro colpi l`avessero raggiunto al petto, senza colpire fortunatamente organi vitali, rispose al fuoco facendo fuggire gli assalitori. Per la gran perdita di sangue svenne sull`arma. Quel ragazzo che come si può constatare dalla foto era un gigante di oltre due metri , guarì rapidamente, tanto da essere in piedi e in convalescenza dopo una diecina di giorni.

    Erano i primi giorni della RSI anzi non era ancora ufficialmente nata, settembre 1943, gli operai della FIAT Grandi Motori indicono uno sciopero contro il nuovo ordinamento che sta nascendo. Fummo mandati con funzioni di ordine pubblico e per garantire il normale svolgimento del lavoro ed evitare eventuali, incidenti, cosa possibile vista la consistenza numerica degli operai, alcune centinaia. Arrivati sul posto, con lo sciopero già* in atto posizionammo uomini di guardia agli ingressi dello stabilimento dei vari reparti e alcuni militi all`interno dei reparti stessi. Il risultato fu che senza bisogno di alcun nostro intervento, il lavoro riprese con regolarità* e lo sciopero fallì. La nostra consistenza era di alcune decine di uomini, che avrebbero potuto essere soprafatti con estrema facilità*, invece pochi uomini furono sufficienti per garantire l`ordine.

    Durante i primissimi giorni dell`autunno 1943, fra le varie incombenze andammo anche a inventariare e riordinare un arsenale sito alla periferia di Torino. Nell`inevitabile caos che vi trovammo, conseguente all`8 settembre, avemmo però una dimostrazione scioccante, di quanto cinica fosse la determinazione di perdere la guerra, pur di abbattere Mussolini.
    Infatti, mentre ancor oggi, l`Italia è accusata di aver mandato l`esercito allo sbaraglio, mal equipaggiato, male armato, vestito in modo inadeguato per affrontare gli inverni, in quel piccolo arsenale trovammo moltissimi mitra Beretta e relative munizioni, certamente più efficaci in una guerra moderna del vecchio ed ingombrante 91. Trovammo scarpe di vero cuoio, con imbottitura in pelo, certamente più adatte per il rigido inverno russo di quanto non fossero gli scarponi di bassa qualità* in dotazione ai nostri soldati, trovammo cappotti con interno di pelliccia, che se non eleganti, certamente più confortevoli del vecchio pastrano grigio verde.
    Tutto questo e quant`altro trovammo sarà* stato certamente presente in tutti i magazzini militari italiani, ed è facile intuire in quali diverse condizioni i nostri militari avrebbero affrontato i disagi della guerra. Guerra che forse avremmo perduta ugualmente, chissà*, ma sulla monarchia e sul Re, che Mussolini aveva creato Imperatore, sugli Alti Comandi, sui vari generali carichi di onorificenze e privilegi, che il regime dispensava loro, pesa ancora oggi sul loro ricordo, la vergogna, il disonore di aver barattata la vita di tanti soldati, che compivano il loro dovere, con uno sporco gioco politico.

    Durante la permanenza a Rivoli nei primi mesi del 1944, come ho detto per un periodo di addestramento, alcuni di noi, fra i quali il sottoscritto, insofferenti di quella inattività*, decidemmo di allontanarci dalla caserma, per raggiungere il fronte. Prendemmo un treno per Torino, per poi proseguire verso le zone di operazioni, oggi con più esperienza e buon senso, mi rendo conto che il nostro era un progetto folle, senza possibilità* di successo. Infatti non è neppure il caso di precisare che dopo pochi chilometri fummo raggiunti e riportati in caserma. Data la "bontà*" del progetto, che nulla aveva a che vedere con un tentativo di diserzione, fummo perdonati per la nostra scappatella, ma per sottolineare che innanzi tutto per un militare la prima e più importante cosa è la disciplina, fummo puniti in un modo quanto meno anomalo. Durante la giornata dovevamo fare i nostri servizi abituali, poi nelle ore di libera uscita saremmo stati legati agli alberi del cortile della caserma, presumibilmente fra gli scherni dei commilitoni. Fortunatamente e forse per questo la punizione ci era stata comminata, sapendo che non sarebbe mai stata messa in atto, il giorno dopo da Rivoli partimmo per Vercelli, per essere inquadrati nella Tagliamento. I nostri comandanti evidentemente ne erano al corrente e perciò ci inflissero questa inusuale punizione. Arrivati alla Tagliamento, la nostra voglia di combattere venne ampiamente soddisfatta.

    Durante i rastrellamenti con il Battaglione Degli Oddi, SS Italiane, nel bergamasco, un giorno si fece un`operazione anti guerriglia, sui monti sopra il lago d`Iseo. In quella zona vi è una località* denominata 13 laghi, ad una quota oltre 2.000 metri vi è un altopiano sul quale sono disseminati 13 laghi, alcuni di una certa ampiezza, altri poco più di piccole pozze di acqua. Su quell`altopiano, a quel tempo, vi erano delle case matte che servivano da alloggiamenti per le truppe in addestramento in quota. Era noto che queste costruzioni erano occupate da bande partigiane, organizzammo quindi un rastrellamento con il nostro battaglione, unitamente a truppe tedesche. Come spesso accadeva, quando le caratteristiche del terreno non consentivano imboscate, quasi mai quando giungevamo sul luogo, vi era la presenza di partigiani, anche quella volta arrivati sul posto, evidentemente il nostro arrivo era stato segnalato in tempo utile, i valorosi combattenti della libertà*, se erano andati, lasciando però segni inequivocabili di presenze recenti. Nel frattempo, come spesso accade in alta montagna, si scatenò un temporale di inaudita violenza, una grandinata con chicchi grossi come uova e se la testa era protetta dall`elmetto, il corpo era bombardato da questi proiettili di ghiaccio. Un radiotelegrafista fu colpito, attraverso l`antenna dell`apparecchio radio trasmittente da un fulmine e fu per puro caso se non subì conseguenze più gravi di un semplice svenimento. Dato l`approssimarsi della notte e la temperatura, che malgrado la stagione estiva, era scesa quasi a zero, ci riparammo nelle casermette e vi pernottammo. Il mattino seguente rientrammo alla base.

    Come ho avuto modo di precisare, l`ultimo periodo, inverno primavera 1944/1945 a Mariano Comense, trascorse nella quasi totale tranquillità* o meglio nell`attesa dell`ineluttabile. Una cosa mi è rimasta impressa , anche se ha poca attinenza con la guerra, se non marginalmente, in quanto faceva parte della nostra vita quotidiana. Eravamo acquartierati in un vecchio edificio disastrato con enormi stanzoni le cui finestre erano per la maggior parte prive di vetri e l`inverno 1944/1945 è stato particolarmente rigido. Ad appesantire questa condizione, il fatto che l`edificio era privo di locali dove lavarci e curare la nostra pulizia quotidiana, anche se la caserma era priva, ovviamente, di riscaldamento, sarebbe stato certamente meglio che scendere in cortile per lavarci ad una fontanella. Non è il caso di puntualizzare ulteriormente la difficoltà* della situazione. Ciò spiega perché un ricordo, quasi insignificante, fra tanti più cruenti e drammatici, ma che riassume le difficoltà* del momento, occupa un posto nei miei ricordi."

    Chiediamo a Scano una testimonianza del primo dopoguerra in Italia, e della sua militanza politica nel neonato MSI:

    "I miei primi momenti di militanza nel MSI rappresentano quella che ho chiamata la strada in salita del nostro impegno politico e molti sono gli episodi che stanno a dimostrarlo. Vi era la difficoltà*, come dirò più avanti, nell`organizzare e partecipare ai comizi, su piazze affollate sicuramente da simpatizzanti ma ancor più da una canea di ex partigiani urlanti tutto il loro odio nei nostri confronti, ma ancor più rabbiosi nel vedere il nostro impegno politico e per nulla intimoriti dai loro assalti e dai loro pestaggi, ai quali tra l`altro rispondevamo con estrema energia, volgendo molto spesso, queste scazzottate a nostro favore. Un`altra attività*, che svolgevamo, giorno e notte, era attaccare manifesti. Allora non vi erano, come oggi, spazi predisposti per l`affissione, ogni muro, ogni colonna, qualsiasi spazio libero era valido per incollarvi un manifesto, non vi era certo rispetto per quelli degli avversari politici, ovviamente reciprocamente, perciò la disponibilità* pressoché infinita di spazi, ma sopra tutto il ricorrersi per ricoprirci a vicenda, faceva si che fosse un lavoro senza fine. Durante il giorno il tutto si svolgeva in modo relativamente tranquillo, le difficoltà* e ovviamente i pericoli sorgevano durante la notte. Spesso ci imbattevamo, ma sarebbe più corretto dire, eravamo seguiti da gruppi che nelle vie più isolate e periferiche ci assalivano con l`intento di strappare i nostri manifesti ed essendo spesso noi in inferiorità* numerica, si arrivava allo scontro fisico, con alterne fortune. Una di queste situazioni è stata particolarmente "pesante" per noi e non è finita forse in modo tragico per puro caso. Stavamo attaccando manifesti sui muri della FIAT Mirafiori, oggi quella zona è periferia, ma piena città*, allora gli stabilimenti erano ai margini dell`abitato circondati dai campi, situazione estremamente favorevole per attaccarci. Infatti all`improvviso apparvero due camion carichi di operai del turno di notte, con intenzioni per niente favorevoli, le chiavi inglesi e spranghe di ferro di cui erano armati, ne erano la prova chiara delle loro intenzioni. Riuscimmo in qualche modo a resistere a quegli energumeni, sino a quando uno di noi riuscì ad allontanarsi e fare una telefonata alla polizia, arrivarono alcune camionette dell`allora reparti Celere e risolsero la situazione. Particolare significativo del clima di quei giorni: il capo pattuglia che ci scortò fino al centro città* ci disse, io sono stato comandato di venire a risolvere il vostro problema, ma se dipendesse da me avrei aiutato quegli operai a spaccarvi la testa.

    Un altro episodio non cruento, che avrebbe in teoria potuto riservare brutte sorprese a me e a qualche altro camerata, è la comparsa sui muri della FIAT Mirafiori, di una lista di proscrizione, nella quale con la scritta Fascisti da eliminare, alcuni nomi fra i quali il mio. Questo era il clima di quei giorni.

    Della mia appartenenza alla Tagliamento mi sono rimasti i ricordi di tanti camerati e di tanti Ufficiali, purtroppo per quanto so quasi tutti deceduti o persi definitivamente di vista. Desidero ricordare in modo particolare il nostro Cappellano militare il Tenente Don Antonio Intreccialaghi. Ci è stato sempre vicino, senza mai farci pesare il suo stato di sacerdote, partecipava, senza combattere, alle nostre azioni belliche, confortava i feriti, assisteva i più gravi, confortava con le preghiere i moribondi, quando era necessario cercava di alleviare le nostre pene con parole rasserenanti, condivideva i nostri momenti di allegria, era il nostro fratello maggiore. La malvagità* umana lo indicò come delatore di un gruppo di partigiani, di averli fatti fucilare. Con un volantino gli angloamericani, incitavano a ricercarlo quale criminale di guerra. Ovviamente accuse assolutamente infondate, come poi ampiamente dimostrato. La Sua vita era dedicata all`amore per Dio e alla Patria.

    Gli anni del dopo guerra, i primi del MSI, sono stati importanti, esaltanti ma particolarmente difficili. Infiniti episodi stanno a dimostrarlo, ne ho già* narrati parecchi, ma molti altri meritano di essere ricordati, per l`odio, la brutalità* che la sinistra riversava su di noi e le possibili gravi conseguenze che ne potevano scaturire, purtroppo i fratelli Mattei, Sergio Ramelli, e tutti quanti i 21 caduti del MSI ne sono una drammatica testimonianza. Una sera, Tullio Abelli, non ancora onorevole, doveva tenere un comizio a Torino, in Piazza Carducci, un`importante piazza semi centrale. Giunti sul posto trovammo una gran folla, che non manifestò né gradimento, né avversione. Il nostro mezzo di trasporto, che fungeva anche da palco mobile e da trasporto di manifesti e quanto utile per attaccare i medesimi, era un vecchio camion Dodge residuato di guerra e in quanto tale malconcio e mal funzionante. Parcheggiammo su un lato della piazza, messo in funzione il microfono, mentre veniva annunciato il comizio io scesi nella piazza, mi avvicinai e poi mi inoltrai tra la folla, per distribuire volantini. Debbo riconoscere che l`entusiasmo che ci animava, ci faceva perdere il senso della realtà* e commettere ingenuità* e imprudenze molto gravi. Negli anni 1948/1949, non ricordo esattamente, era impensabile che tutta quella folla, parecchie centinaia di persone, si fosse lì radunata per noi, ma con colpevole spavalderia pensavo di non correre eccessivi rischi. Invece i fatti erano ben diversi, infatti inoltratomi in mezzo alla folla per distribuire volantini, le cose precipitarono. Come sempre succede è sempre una prima persona ad accendere la miccia. Dato un volantino ad uno dei presenti, questi con un tono tutt`altro che amichevole mi disse: "Mettitelo in culo!", questo è stato il segnale, sputi, spintoni, pugni, calci. Riuscii a raggiungere il camion che nel frattempo i camerati, vista la situazione, avevano avviato, ma non mi fu possibile salirvi, a mala pena balzai sulla predella aggrappato alla portiera, respingendo a calci quelli che tirandomi per le gambe, cercavano di trascinarmi a terra. Purtroppo, come ho detto, il mezzo non era particolarmente efficiente, fatti pochi metri si fermò e la canea inferocita si precipitò verso di noi. Fortunatamente sul camion avevamo un paio di barili di colla per attaccare i manifesti, e delle pennellesse, e riuscimmo quindi a fronteggiare una situazione che stava diventando insostenibile. Ci disponemmo ai bordi del cassone e respingemmo l`assalto a colpi di pennellessa intrisa di colla e rovesciando in testa agli assalitori secchi di colla, uno di questi secchi lanciato sulla folla colpì in pieno una coppietta che svoltando in quel momento l`angolo, si trovò improvvisamente in mezzo a quel trambusto infernale, subendo conseguenze senza colpa. Questa nostra reazione ci consenti di resistere sino a quando il camion si rimise in moto e potemmo allontanarci definitivamente. Sfogammo la nostra rabbia per il mancato comizio, raggiungendo la centralissima piazza San Carlo, lì demmo fuoco ad un mucchio di manifesti, la cosa attirò l`attenzione, in breve si radunò una discreta folla e svolgemmo un comizio improvvisato.




    Le Grandi unita`
    dell`esercito nazionale repubblicano:
    efficienza e diserzioni

    Di Andrea Lombardi


    Oggi mi fanno paura quegli storici che sanno di avere sempre ragione e che pretendono di mettere il c hiavistello e il sigillo di ceralacca a ri-cerche considerate tabù, i cui risultati considerano ormai da tempo as-sodati felicemente per il bene di tutti.

    Ariel Toaff

    La storiografia, e più in generale, quasi tutta l`intelligencija culturale italiana hanno relegato in un angolo le vicende storiche e umane dei soldati italiani nella seconda guerra mondiale, divenuta "la guerra di Mussolini" a tutto vantaggio di chi era stato â?? o si era accodato â?? in quella che la vulgata volle come unica parte vincitrice della "guerra di liberazione", ossia la "Resistenza", e preferibilmente quella di matrice comunista. Ancora oggi, infatti, nonostante una tardiva e limitata pre-sa di coscienza da parte della storiografia ufficiale della partecipazio-ne (peraltro marginale, e osteggiata dagli Alleati) del Regio Esercito alle operazioni delle FF.AA. Alleate in Italia nel 1943-1945, si arriva per esempio a presentare con gran rilievo mediatico, e ancor peggio, istituzionale, il diario di Bruno Trentin, rappresentante di spicco del sindacato e all`epoca giovane antifascista, dove la frase chiave del diario, pronunciata dal padre alla proclamazione dell`Armistizio, è: "à? la guerra che comincia! [quella di "liberazione", evidentemente, NdA]". Alla quale fa subito eco il figlio con una frase-slogan: "La guerra vera per l`Italia vera". Come se le migliaia di italiani morti tra le pietraie della Grecia, le nevi della Russia, tra le lamiere dei carri della Ariete nel deserto libico non fossero "veri", non avessero fami-glie che li piangessero, e l`aver combattuto, senza nulla chiedere, per la loro nazione non li qualificasse come "veri" italiani.

    Prendendo in considerazione le Forze Armate della RSI, la storiogra-fia mainstream presenta le Divisioni dell`Esercito Nazionale Repub-blicano (ENR) come unità* che, dopo aver subito un addestramento disumano e spersonalizzante nella "Germania nazista", ritornano in Italia accolte dall`ostilità* del "popolo alla macchia", vengono logorate dalle forze partigiane, e si sfaldano poco dopo con migliaia di diser-zioni; inoltre, non combattono contro gli Alleati a causa della sfiducia dei tedeschi. Anche la storia orale, se raccolta dagli storici di sinistra, concorda appieno con tale impostazione, chiaramente subordinata ai dettami dell`ANPI: alcune testimonianze di militari â?? Ufficiali di complemento â?? delle Divisioni dell`Esercito Nazionale Repubblicano, portate alla nostra attenzione anni fa da una docente della Facoltà* di Storia di Genova, e raccolte in una ricerca d`impronta resistenziale, deprecavano in maniera monocorde i propri camerati e Ufficiali, la-mentavano le dure condizioni dell`addestramento in Germania, la sua "spersonalizzazione" e la volontà* tedesca "di fare di noi degli auto-mi", mentre giunti in linea si criticava il rancio, le postazioni, l`inadeguatezza degli equipaggiamenti a fronte dell` inclemenza del tempo, etc.

    Inizieremo con il commentare i punti sollevati dalle testimonianze citate, chiudendo poi con delle considerazioni generali sulle testimo-nianze stesse, e, a titolo di esempio tra le varie unità* dell`ENR, sul ruolo della Divisione F.M. San Marco nel 1944-1945, ragionando non secondo i canoni della storiografia resistenziale o quella reduci-stico-apologetica dei "soldati dell`Onore", ma sforzandoci di seguire un approccio obiettivo, storico militare.

    L`addestramento in Germania fu certamente duro, ma perché i soldati erano formati secondo la regola del "sudore salva il sangue": l`addestramento doveva, per quanto possibile, replicare le reali condi-zioni di battaglia, integrando le lezioni apprese dalla Heer in anni di guerra, e inserite prontamente nei programmi d`istruzione.
    L`addestramento non formava "automi", perlomeno non nell`accezione dispregiativa delle fonti resistenziali: il soldato doveva certamente essere condizionato a reagire automaticamente; in guerra un istante d`esitazione nell`affrontare in modo corretto un`emergenza, o nell`azionare con efficacia un`arma o un equipaggiamento, poteva portare a gravi conseguenze per il soldato e i suoi commilitoni. Al contrario delle "testimonianze" citate, i veterani delle Divisioni dell`Esercito Nazionale Repubblicano, Ufficiali e truppa, sia attraver-so le loro memorie, sia in interviste o conversazioni da noi raccolte, hanno sempre posto in rilievo la meticolosità* dell`addestramento in Germania, in grandi campi che permettevano ad esempio di compiere manovre con l`intera Divisione, anche con l`impiego dell`artiglieria media; la possibilità* di addestrarsi assieme di più reparti, verificando il livello raggiunto nella coordinazione, comunicazioni, comando e controllo, era quasi totalmente sconosciuto in Italia. Il Tenente Licitra, del Gruppo Esplorante Cadelo della Monterosa, arrivò a dire che lui, già* veterano di diverse campagne, solo in Germania si rese conto di "come si faceva la guerra", e che gli istruttori tedeschi, anche solo per addestrare a tirare le bombe a mano, insegnavano diverse tecniche, a seconda della posizione del soldato e del bersaglio, etc. Il Tenente Li-citra ben mise a frutto l`addestramento in Germania: il 26 aprile 1945, a Ruta di Camogli, un cannone controcarro PAK 40 facente parte di un reparto di retroguardia ai suoi ordini riuscì a distruggere un M4 A4 Sherman americano, e, unitamente al fuoco delle MG dei Bersaglieri del Cadelo, a bloccare così per diverse ore l`avanguardia di un grup-po di combattimento statunitense della 92nd Infantry Division "Buffa-lo" avanzante verso Genova. Un fatto d`arme senza dubbio minore, ma tuttavia indicativo dell`efficacia combattiva della Monterosa an-che nelle ultime ore del conflitto. L`esperienza di guerra era trasmes-sa alla reclute anche nei dettagli più piccoli: ad esempio, il soldato era addestrato, una volta in posizione "a terra", a disporre i piedi paralleli al terreno, in modo che un proiettile che passasse radente non colpisse il tallone: un veterano del San Marco riporta come un suo camerata di una squadra di fucilieri che non aveva rispettato tale prescrizione, du-rante un`azione ebbe il tallone asportato di netto da un proiettile che aveva invece mancato quello di un altro Marò, sulla stessa traiettoria ma con il piede nella posizione prescritta dagli istruttori tedeschi.

    Sempre a riguardo degli "automi", è da notare come la superiore ef-ficienza delle unità* tedesche, portò l`US Army ad attivare una spe-cifica commissione (Historical Evaluation and Research Organi-zation), la quale riconobbe empiricamente, anche con l`uso di mo-delli matematici, applicati alla ricostruzione di un gran numero di scontri tra unità* Alleate, sovietiche e tedesche, una maggiore ca-pacità* combattiva, sia in attacco che in difesa, ai soldati della We-hrmacht rispetto ai loro avversari. Seguirono poi gli studi degli storici militari Liddel Hart, Martin van Creveld, Paul Savage, Ri-chard Gabriel e Trevor Nevitt Dupuy, che analizzarono approfon-ditamente questi risultati, confermandone la validità*.
    L`addestramento della Heer formava non solo gli Ufficiali, ma anche i Sottufficiali, e in una certa misura anche la truppa, all`Auftragstaktik, ossia al prendere, nel quadro della missione, l`iniziativa personale quando essa poteva essere fruttuosa, anche in mancanza di ordini specifici. Gli Ufficiali italiani che avevano combattuto accanto ad unità* tedesche concordano solitamente nell`affermare come un Uffi-ciale inferiore tedesco o addirittura un Sottufficiale esperto avessero un`autonomia e un potere decisionale in campo tattico che nel Regio Esercito era appannaggio solo degli Ufficiali superiori italiani.

    Arrivando all`equipaggiamento delle Divisioni dell`Esercito Naziona-le Repubblicano, i documenti, ossia gli organigrammi e i rapporti di forza e armi, danno un quadro ben diverso da quello diffuso dalla pubblicistica ideologicamente schierata: gli ordini di battaglia delle Divisioni al momento del rientro in Italia presentano delle unità* dalla buona potenza di fuoco, sia all`interno delle Compagnie Fucilieri, sia nelle armi d`accompagnamento e d`appoggio: le Squadre furono do-tate delle eccellenti mitragliatrici MG 42, e distribuite pistole mitra-gliatrici MP 40 e MAB 38 A, i potenti cannoni controcarro da 7.5 cm PAK 40 garantivano finalmente una efficace difesa contro i corazzati, assieme ai lanciagranate a carica cava Panzerfaust, etc. Il limite delle Divisioni dell`ENR di essere ippotrainate, era comune a tutte le Infan-terie-Division tedesche, anche se, in effetti, la decisione tedesca di u-sare queste unità* come reparti di presidio e sicurezza, quindi per compiti di seconda linea, condizionò in maniera negativa il comple-tamento dell`equipaggiamento in alcuni settori.

    Tutto considerato, viene quindi da pensare che le testimonianze dei repubblichini citate siano state accuratamente scelte per il loro con-cordare (in buona o mala fede) con la vulgata resistenziale e che, alla luce delle circostanze illustrate, non siano certo indicative del morale e delle motivazioni della maggior parte dei componenti le Divisioni dell`ENR, e tanto meno della efficienza combattiva di queste unità*.

    A proposito delle diserzioni, prendendo in considerazione la San Marco, è innegabile che la dispersione in capisaldi della Divisione, lo stillicidio degli agguati partigiani, e la freddezza della popolazione, timorosa di rappresaglie dall`una e dall`altra parte, oltre all`incapacità* di reagire alla situazione di alcuni Ufficiali, portò ad un notevole ab-bassamento del morale, e a numerose diserzioni. Su questo argomen-to faremo solo due considerazioni, frutto dell`analisi di dati di fatto e non di preconcetti ideologici: la prima, è che a fronte di queste diser-zioni, che la vulgata presenta come la prova dell`inefficienza dell`Esercito di Graziani, rimane il fatto incontestabile e consequen-ziale, pura aritmetica, diremmo, che la maggior parte dei Marò rima-se invece al suo posto, e che anzi, negli ultimi giorni di guerra, in una atmosfera di pesantissima tensione psicologica e fisica, la Divisione, finalmente a ranghi compatti, dimostrò sul campo l`efficienza com-battiva imparata in Germania, superando diversi sbarramenti dei par-tigiani, combattendo in campo aperto. Questo fatto, incontestabile e consequenziale, per l`appunto, è invece chiaramente ignorato dagli storici engagé et similia, ovvero ricercatori, laureandi, dottorandi, giornalisti, etc., che preferiscono opportunisticamente non porsi con-tro una certa egemonia culturale, che gli garantisce in cambio carriera e prebende.
    Come corollario, citeremo inoltre che da parte resistenziale sono ocu-latamente ignorate le diserzioni nelle unità* partigiane; alla strombaz-zata diserzione del Battaglione Vestone della Monterosa (e chiara-mente si evita di indicare come il Vestone fosse un reparto fuori orga-nico, e che solo circa cinquanta uomini rimasero con i partigiani) si possono contrapporre i numerosi ex partigiani â?? spesso semplici reni-tenti alla leva â?? che si presentarono alle autorità* o ai reparti militari della RSI, specie dopo i bandi di amnistia, e furono incorporati nelle FF.AA. della RSI: segnaliamo gli ex partigiani nel Battaglione Riso-luti e nel Battaglione NP della Decima MAS, che seguirono quest`ultimo reparto al Fronte Sud e in prigionia, nei Btg. Ruggine della GNR, etc.

    In secondo luogo, proviamo ad osservare le statistiche relative alle diserzioni di alcune unità* di fanteria dell`8ª Armata inglese nell`agosto-dicembre 1944 (da Eric Morris, La guerra inutile, pag. 522):

    1ª Divisione: 626
    4ª Divisione: 664
    46ª Divisione: 1.059
    56ª Divisione: 990
    78ª Divisione: 926

    Come si vede cifre di tutto rispetto, e teniamo conto che per i soldati inglesi, seppur coinvolti in aspri scontri, era evidente come la supre-mazia Alleata nello scontro di matériel li avrebbe condotti presto alla vittoria. Inoltre, a differenza dei soldati inglesi, gli effettivi delle FF.AA. della RSI operavano spesso vicino alle loro famiglie, e un momento di debolezza poteva facilmente spingerli a tornare a casa. All`opposto, per un Tommy o per un GI, la strada dall`Appennino bo-lognese a Leeds o a Milwaukee era una scoraggiante long way...

    Per ultimo, veniamo all`importanza militare della San Marco (e delle altre unità* dell`Esercito Nazionale Repubblicano) nel quadro storico militare della guerra in Italia nel 1944-1945. Ovviamente, la vulgata vuole questa importanza pari a zero, poiché le unità* non sono impie-gate contro gli Alleati, ma, schierate in Liguria, sono poi sfaldate da-gli attacchi partigiani e si prodigano solo in rappresaglie contro civili innocenti e martiri partigiani, obbedendo ciecamente al bieco occu-pante nazista. La realtà*, se vista obiettivamente da una prospettiva storico militare, è diversa. Il predominio navale Alleato, unito alla su-premazia aerea, aveva reso possibile tutta una serie di sbarchi sulle coste italiane: dallo sbarco in Sicilia, compresi i successivi sbarchi minori, detti End run, per cercare di ostacolare l`ordinata ritirata tede-sca verso Messina, a Salerno, sino ad Anzio. Per l`Alto Comando te-desco era quindi naturale pensare che gli Alleati potessero tentare dei nuovi sbarchi, particolarmente a Nord, dietro la linea del fronte (e in effetti sbarchi di diversione furono eseguiti nell`aprile del 1945 du-rante l`ultima offensiva Alleata sul Senio). Di conseguenza, nella se-conda metà* del 1944 i tedeschi si trovarono a dover presidiare sia la costa nord-occidentale italiana sia quella orientale; scopo arduo, con i mezzi risicati di cui disponeva l`Heeresgruppe B: basti pensare che per contenere le truppe Alleate sbarcate ad Anzio nel gennaio 1944, tra le unità* inviate in emergenza vi era la 715. Infanterie-Division, la cui artiglieria era formata da pezzi di preda bellica russa da 76.2 mm, mentre le mitragliatrici distribuite alla sua fanteria erano in buona parte preda bellica francese, mentre anche alla scelta 4. Fallschirm-Division mancava del tutto il Reggimento d`artiglieria! Le unità* dell`Esercito Nazionale Repubblicano permisero quindi ai Comandi tedeschi di poter liberare delle loro unità* inviandole al fronte, impie-gandole contro gli Alleati; e â?? diserzioni o meno â?? le GG.UU. dell`ENR eseguirono fino al termine della guerra la loro funzione di presidio (e non solo, considerate le numerose piccole azioni condotte sulle Alpi al confine con la Francia). Vista la superiorità* numerica e in mezzi Alleata il poter inviare al fronte anche solo un paio di Divi-sioni, piuttosto che doverle tenere a scopo di presidio nelle retrovie, dovette rappresentare per i tedeschi un vantaggio operazionale note-vole, e nuovo filo da torcere per gli Alleati nella loro lenta avanzata verso nord, dove ogni metro era fatto pagare a caro prezzo dalle vete-rane unità* della Wehrmacht.

    Inoltre, seppur limitatamente, le Grandi Unità* dell`ENR, o loro ali-quote, furono poi effettivamente impiegate al fronte contro gli Alleati: oltre alle citate operazioni sul confine italo-francese, ricordiamo bre-vemente la partecipazione di elementi della San Marco e della Mon-terosa alla riuscita Operazione Wintergewitter nel Natale 1944, e del-la Divisione Italia alla difesa della Linea Gotica. I Marò della San Marco e gli Alpini della Monterosa in particolare ebbero un buon comportamento al fronte, sia nelle dure condizioni della guerra di po-sizione, sia durante Wintergewitter, come testimoniato anche dagli encomi dei Comandi tedeschi.

    Riteniamo che queste brevi note, pur nella loro sinteticità*, possano tuttavia essere una traccia per poter studiare con maggiore distacco â?? e alla luce dei fatti, e non dei dogmi â?? la storia militare delle Divisioni dell`Esercito Nazionale Repubblicano.

    Il volontarismo nelle FF.AA. della RSI

    Di Guido Bonvicini

    La maggior parte degli storici della guerra civile in Italia ha prestato scarsa o addirittura nessuna attenzione al fenomeno del volontarismo nell`esercito della Repubblica Sociale Italiana. Il fatto viene di solito sbrigato e respinto con brevi frasi come "volontarismo disperato", "compagnie di ventura", "bande armate", "rifugio dei disperati e dei declassati" , nelle quali non meraviglia tanto l`ostilità* preconcetta quanto la faciloneria. Non si può pretendere di spiegare un fenomeno di tale ampiezza semplicemente squalificando chi vi ha avuto parte. Un giorno qualcuno vorrà* scrivere la storia di quel periodo, e dovrà* rivolgere la sua attenzione anche a questi volontari e alle loro ragioni.
    L`indagine sulla loro consistenza numerica non può far capo a nes-sun dato certo, causa la dispersione degli archivi, ed e poi resa alea-toria dal fazioso contrasto delle opinioni intorno a reparti sui quali per troppo tempo s`è esercitato da una parte un cieco vilipendio e dall`altra un`altrettanto cieca esaltazione. Un autore che ha dato prova di equità* e di senso storico ha proposto la cifra prudenziale di centocinquanta-duecentomila volontari, escludendo i reparti di par-tito, come le Brigate Nere, e quelli di polizia, come la Muti . Il numero si presta ad una prima considerazione, che è già* stata proposta da altri. Nessun momento della storia d`Italia dal Risorgi-mento ad oggi ha visto un simile afflusso di volontari: non le guerre sabaude o i moti mazziniani o le imprese garibaldine, non la prima guerra mondiale, non la resistenza, e nemmeno la seconda guerra mondiale fra il 1940 e il 1943. Ciò avveniva invece dopo una guerra arrivata fino all`armistizio, in un momento in cui il paese era tagliato in due da un fronte di combattimento, quando centi-naia di migliaia di soldati italiani erano morti o si trovavano nei campi di concentramento, in un paese battuto e avvilito, con la pro-spettiva della sconfitta.
    Le indagini sulle cause di questo fenomeno non sono mai state condotte con metodo, soprattutto per il discutibile presupposto che la storia debba essere scritta dai vincitori anche per i vinti. Altra ragione che a molti ha impedito di comprendere il fatto e l`aver voluto considerare l`armistizio come un punto fisso nel quale una guerra finì e un'altra cominciò. à? ora di ricordare che con l`armistizio la guerra non ebbe termine e non ricomincio, ma continuo.
    Africa Orientale, Albania, Africa Settentrionale, Russia: i fronti e-rano stati tra loro lontani e diversi, ed avevano chiesto una somma enorme d`impegni e di sacrifici. Ormai non si combatteva più oltre il mare, ma entro i confini del paese: la Sicilia era perduta, la Ca-labria investita dall`Ottava Armata britannica. Il paese s`era lo-gorato in tre anni di guerra, gli uomini migliori erano caduti o pri-gionieri: l`Italia del 1943 era ferita profondamente. Ma più che le perdite in guerra pesava la constatazione che la classe politica e quella militare avevano mostrato di essere inferiori ai loro compiti, che lo sforzo bellico s`era rivelato troppo grande per le possibilità* della nazione, che il popolo aveva fatto vedere la fragilità* delle sue forze morali. Queste e tante altre verità* spiace-voli aveva messo a nudo la guerra nella sua realtà* inesorabile. Il 25 luglio, nonostante l`ammonimento, firmato da Badoglio ma suggerito da V. E. Orlando, "la guerra continua", era stato, nell`opinione comune, il primo passo verso la liquidazione del con-flitto. Il paese sembrava svuotato di energie e rassegnato a qualsia-si imposizione.
    Le forze armate mantenevano ancora una loro consistenza rappre-sentata da un milione e settecentomila uomini mobilitati, ma è dif-ficile dire quanti reparti fossero completi ed efficienti: era in corso un largo rimaneggiamento nei comandi e nelle strutture or-ganizzative ed inoltre parecchie unita si stavano trasferendo. Ma la crisi più grossa investiva il Governo e il Comando Supremo, dove si preparava un armistizio che non doveva consistere nella sempli-ce resa ai vincitori, ma voleva contemporaneamente realizzare un rovesciamento delle alleanze col passaggio nel campo avversario. La maggior parte delle forze militari era assorbita dalle vaste zone d`occupazione - Francia meridionale, Corsica, Slovenia e Croazia, Dalmazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Albania, Grecia, Egeo - e si trovava necessariamente frazionata in un altissimo numero di presidi, dove molti reparti erano da tempo impelagati nella guer-riglia antipartigiana e si trovavano spesso frammisti a unita te-desche. Le disposizioni degli alti comandi per un evento che doveva coinvolgere un così elevato numero di italiani erano state vaghis-sime, e in qualche caso non erano state nemmeno comunicate.
    Nella penisola esisteva qualche buon reparto attorno a Roma, al nord c`erano alcune Divisioni in ricostituzione, per il resto si trattava quasi dappertutto di depositi, centri di addestramento, comandi piazza, distretti, magazzini, uffici. L`armistizio dell`8 settembre 1943 piombò come un fulmine su questi deboli organismi milita-ri disorientati e paralizzati. Il resto lo fece la determinazione dei tedeschi, che poté essere a volta a volta impaurita o decisa, diplo-matica o brutale, ma in tutti i luoghi rispose a un disegno unitario che tendeva ad eliminare sul nascere il nuovo potenziale nemico: vagoni piombati per i prigionieri destinati all`internamento, un a-bito civile rimediato per gli sbandati. Ai non pochi italiani i quali s`erano illusi che con l`armistizio l`Italia potesse uscire dalla guer-ra fu grosso disinganno constatare che la guerra rimaneva in Italia, con la differenza che il paese scadeva da protagonista di storia a oggetto di contesa.
    A casa in quei giorni stavano le donne, i vecchi, gli imboscati e i ragazzi sotto i diciannove anni. Una delusione disperata può far na-scere la ribellione, e nei giovani i gesti impulsivi e generosi sono possibili in qualunque situazione. Molti tra i migliori combattenti non accettarono il modo dell`armistizio, che contrastava troppo apertamente con la loro visione del dovere e dell`onore; ma il maggior numero di ribelli all`8 di settembre fu costituito da gio-vani che fino allora non avevano combattuto. Chi credesse di ve-dere in questi volontari il risultato di un`educazione di partito dimenticherebbe molte altre cose. Nel loro rifiuto all`armistizio essi coinvolgevano in un`unica condanna molti elementi dell`Italia recente: i dirigenti fascisti inetti come gli antifascisti cauti, le troppe parole sparse sui destini imperiali e anche i risen-timenti velleitari degli oppositori, i guerrafondai all`insegna delle aquile e dei pennacchi insieme coi disfattisti di Radio Londra. Condannavano, in conclusione, le lacune di fondo della nostra realtà* e le conseguenti inferiorità* dell`Italia. Erano nati sotto il fasci-smo ed erano anche i figli di quelli che avevano vinto la Grande Guerra, erano stati allevati nel culto della Patria e conoscevano la democrazia solo per sentito dire. Pure entro i ristretti limiti conces-si dall`educazione e dall`informazione, essi erano attenti alla realtà* che avevano visto formarsi e svolgersi attorno a loro, e ne intui-vano la direzione e gli sbocchi. Nel complesso e torbido agitarsi di sentimenti, di paure, di odii che coprì l`autunno del 1943, i giovani che non vollero chiudere gli occhi capirono di trovarsi dentro una selva inestricabile di drammatiche contraddizioni, e qui, con tutta la pena che ciò comportava, maturarono, con le sole proprie forze ed uno per uno, la propria scelta.
    Non e facile cogliere questi motivi oggi, ad una distanza di tempo in sé non rilevante, ma che pure si allarga se consideriamo che alla generazione di allora si sta sostituendo una nuova generazione, e-stranea a questi fatti per età* ed ancor più per educazione. Può stu-pire, vista da oggi, una posizione che, considerata da un punto di vista utilitaristico, appare in pura perdita: qualcuno parlerà* di semplicismo giovanile o addirittura di esaltazione.
    Una spiegazione si può avere solo se si ricorda quale valore avesse in quegli anni in Italia la coscienza nazionale, alla quale certo il fascismo aveva contribuito per la sua parte, ma che aveva radici ben più lontane. Era il ricordo del Risorgimento e la prova re-cente della prima guerra mondiale, era il riconoscersi italiani che finalmente prevaleva sul sentirsi piemontesi o siciliani. Si trat-tava di uno stato d`animo piuttosto che di un fatto, e come tale sfugge per buona parte a chi analizza solo gli accadimenti, ma fu appunto la coscienza nazionale quella che si sentì umiliata la sera dell`8 settembre, che considerò l`evento come uno schiaffo insop-portabile.
    Nell`accertamento storico di quello che fu la Repubblica Socia-le Italiana, il segno positivo della sua esistenza va cercato essen-zialmente nell`aspetto combattentistico, nel fatto, nuovo per la storia d`Italia, delle molte decine di migliaia di uomini che scelsero di battersi in condizioni impari e su posizioni perdenti, per fedeltà* ad un impegno militare che altri non avevano portato fino in fondo. Il resto conta assai meno: i diciotto punti del Manifesto di Verona e anche il "ritorno alle origini", discuti-bili l`uno e l`altro sia sul piano ideologico che su quello pratico, alla Carta non giovando la genericità* delle impostazioni, al "ritor-no" il sospetto che sia stato frutto più di involuzione che di rin-novamento.
    Ad ogni modo non furono le promesse politiche quelle che determinarono tanti giovani a vestire una divisa proprio quando era evidente che i panni civili potevano essere tanto meno impegnativi: fu un impulso allo stato puro, un richiamo alla posizione morale e civile del cittadino in tempo di guerra. E così nelle forze armate della R.S.I. confluirono uomini che partivano da premesse tra loro assai distanti: fascisti e antifascisti, giovani dell`Azione Cat-tolica e atei, fanatici e scettici. Il punto d`incontro era quello per cui tutti si sentivano vittime di un grosso imbroglio e reagivano chiedendo di battersi .

  3. #13
    Utente registrato L'avatar di LAUF
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    Re: SS italiane?

    Naviditalia, quella era la mia -poca- conoscenza in merito (rievocatore sono, ma non italiano), e ho pensato lo stesso di metterla giù. Poi meno male che hai approfondito tu con informazioni esemplari, ben venga. Non volevo sparare a zero su nessuno, anche se è sembrato così, ho detto per l'appunto quel poco che sapevo, i forum servono anche a questo. Ora grazie a te ne so di più sull'argomento!
    ---

  4. #14
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    Re: SS italiane?

    Complimenti Andrea, puntuale e preciso come sempre! Il problema è che certe 'vulgate' storiche sono all'ordine del giorno. Lavorando nella scuola, spesso chiedo ai ragazzi delle superiori o ai giovani diplomati cosa sanno della RSI e vi posso assicurare che è il buio assoluto.

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  5. #15
    Utente registrato L'avatar di brus
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    Re: SS italiane?

    Grandissima risposta di Andrea "naviditalia" a chi li ha definiti combriccola di disertori, complimenti sinceri anche da parte mia.

    Ciao
    brus

  6. #16

    Re: SS italiane?

    Citazione Originariamente Scritto da LAUF
    Naviditalia, quella era la mia -poca- conoscenza in merito (rievocatore sono, ma non italiano), e ho pensato lo stesso di metterla giù. Poi meno male che hai approfondito tu con informazioni esemplari, ben venga. Non volevo sparare a zero su nessuno, anche se è sembrato così, ho detto per l'appunto quel poco che sapevo, i forum servono anche a questo. Ora grazie a te ne so di più sull'argomento!
    Scusa te la mia "irruenza" ma sono temi che mi appassionano molto!

  7. #17
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    Re: SS italiane?

    ottimo naviditalia, ottimo
    socio del Coordinamento Ligure Studi Militari ( C.L.S.M. )

    della folgore l'impeto !

    imparate a rispettare le donne Guerrieri, nelle mani di una donna nasciamo e nelle mani di una donna moriamo !!!!!

  8. #18
    Utente registrato L'avatar di avio
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    Re: SS italiane?

    Molto esaustivo .

  9. #19
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    Re: SS italiane?

    La prima domanda era "che rapporti c'erano tra le SS italiane e i militi della RSI"... Poi "guai" a parlare di disertori (meglio quelli inglesi vero?, anche se pochi in proporzione a quelli dei reparti della RSI-SS italiane: Quanti erano le SS italiane a leggere i pochi testi sull'argomento? 20.000, 15.000 o solo 8.000? Mah comunque pochi ma se qualcuno vuol fare una stima demografica sulla popolazione italiana della RSI... faccia pure ) Ma anziché citare libri di memorie dei reduci RSI-Msi-An ecc... preferisco postare questa foto di un SS italiano fotografato a Perugia nel 1944 insieme a dei ragazzini dell'Opera Balilla durante una cerimonia (forse a loro era simpatico).
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  10. #20
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    Re: SS italiane?

    Citazione Originariamente Scritto da Sturmtruppen
    ma se qualcuno vuol fare una stima demografica sulla popolazione italiana della RSI... faccia pure )
    A me personalmente non viene da ridere pensando al momento più tragico vissuto nella mia nazione, penso che con questo ti commenti il tuo intervento da solo...
    La risposta alla prima domanda è ovvia comunisti, fascisti, qualunquisti, menefreghisti siamo tutti appartenenti al genere umano, c'è il simpatico, l'antipatico, il virtuoso e la merda in tutti i gruppiu non può esistere una linea generale.......
    I libri chiunque li scriva rispettali...anche quelli di Bonvi
    Ciao

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