Monaco, trovati in una fossa distintivi di alpini deportati
Appartengono a soldati italiani di varie divisioni in Germania dopo l’8 settembre.
La rivelazione su Der Spiegel. L’appello degli storici: necessario scavare ancora

Monaco, trovati in una fossa distintivi di alpini deportati - Tempo Libero - Messaggero Veneto

MONACO. Sensazionale scoperta di oggetti personali appartenuti a soldati italiani deportati dopo l´8 settembre del 1943 dalle truppe naziste in Germania. Il ritrovamento è avvenuto a Graßlfing, a 38 chilometri a nord di Monaco nella proprietà dell’azienda Graßlfing che dal 1923 appartiene al fondo di compensazione del casato bavarese Wittelsbacher.

A un tiro di schioppo si trova l’ex-campo di concentramento di Dachau dove morirono per gli stenti, o furono assassinati, 41 mila 500 internati per motivi politici o razziali; o, appunto, perché militari italiani internati che si rifiutarono di combattere, dopo l’ armistizio, a fianco delle truppe naziste.

Il ritrovamento è avvenuto a opera di un certo Thomas Skroch, un imprenditore che si definisce un "hobbyhistoriker", uno storico amatoriale, come riporta l' edizione online dell’autorevole settimanale Der Spiegel di Amburgo.

Sotto un prato di circa due ettari Skroch ha rinvenuto circa 4000 mila oggetti metallici tra i quali molte centinaia di distintivi di soldati di varie formazioni, naturalmente anche alpini, circa un migliaio di cinturini, posate di militari, borracce, distintivi di ufficiali, bottoni di mutande e canottiere, distintivi di riconoscimento, piccoli strumenti musicali, nonché portasigarette con la scritta italiana.

Solo un distintivo sarebbe chiaramente leggibile. Vi si distinguerebbe il nome di Ernesto di Mancini, nato il 1911. Mancherebbero, secondo Skroch, gli elmetti e le armi. Dopo il ritrovamento Skroch ha subito informato l’"Institut für Zeitgeschichte", l’Istituto di storia moderna di Monaco, che ha messo a conoscenza della straordinaria scoperta.
Altri storici hanno collegato questo ritrovamento con il fatto che in questi luoghi, dopo l’8 settembre, furono deportati molti militari italiani. Si calcola, infatti che circa 600 mila soldati si rifiutarono di continuare a combattere a fianco dei tedeschi e furono tenuti prigionieri dalle truppe naziste, in Germania dove lavorarono come "Zwangsarbeiter" sia nei campi di concentramento sia nelle fabbriche.

Circa 45 mila morirono sia per il lavoro massacrante, per la fame e malattia o in seguito a bombardamenti. Cinquemila sarebbero invece quanti, tra loro, non hanno lasciato traccia. Neanche l’apposita commissione di storici istituita concordemente dai governi italiano e tedesco ha potuto chiarire dove siano morti.

Nel 2012, presentando il risultato di approfondite ricerche nei rispettivi archivi, la commissione dovette, infatti, ammettere di non essere stata in grado di dare risposte alle richieste dei familiari.

Molti quesiti intorno alla nuova scoperta hanno già acceso la discussione in Germania. Non si sa, per esempio, se i soldati italiani a cui appartenevano gli oggetti furono vittime di un massacro e che si possa quindi essere vicini al rinvenimento di una tomba di massa; oppure se la Wehrmacht avesse proprio in questo luogo un deposito degli oggetti appartenuti a militari italiani.

Una cosa pare certa: per dare risposte a questi quesiti sarebbero necessari ulteriori scavi, come ha sostenuto Thomas Schlemmer dell’Istituto di storia moderna di Monaco.

Qualche elemento di certezza, però, c’è già: è stato possibile acclarare che tutto il materiale apparteneva ad alpini italiani della Seconda Divisione Tridentina, delle divisioni Giulia, Cunese, Pasubio, Brennero e addirittura della Divisione Leonessa composta da fedeli e famigerati fascisti.

Queste divisioni combatterono nella campagna di Russia al fianco delle truppe naziste in particolare a Stalingrado e a Nikolajewka. «Ma la ricerca nella zona degli scavi ora andrebbe estesa», ha ribadito Thomas Schlemmer.
Che sia stato un atroce destino, quello toccato agli “Internati militari”, come venivano definiti con un eufemismo i militari deportati, non c’è dubbio storico, come attestano le continue ricerche messe in atto all’indomani della fine del secondo conflitto, e mai del tutto interrotte.

Il governo italiano infatti rinunciò formalmente a ogni eventuale loro risarcimento. Anche quando il governo di Gerhard Schröder, nel 2000, fece istituire un fondo per risarcire, seppur simbolicamente, tutti i cosiddetti "Zwangsarbeiter" deportati dai paesi dell'Est, i sopravvissuti internati italiani vennero inspiegabilmente tagliati fuori.