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Discussione: Tre cugini in guerra...

  1. #1
    Collaboratore L'avatar di Il Cav.
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    Tre cugini in guerra...

    Se ormai sembra tramontare l' ipocrita usanza di dividere i combattenti della guerra civile 1943/45 in angeli o demoni, tuttora sopravvive la vulgata secondo la quale seicentomila combattenti della Rsi sarebbero stati - non importa se illusi o in malafede - tutti irriducibilmente fascisti. In realtà non furono i dogmi dell' ideologia fascista a spingere la maggior parte di quanti "andarono a Salò", gesto fin da allora chiaramente foriero di nefaste conseguenze. In realtà quasi ognuno di quei combattenti - in massima parte giovani o giovanissimi - era spinto da proprie personalissime e a volte contraddittorie motivazioni personali. Vi ebbero gran peso il corso degli eventi, la casualità, gli incontri, le amicizie, l' ambiente familiare. Nerio Nesi, nato a Bologna nell' umile famiglia di un operaio della Manifattura Tabacchi, fu uomo di spicco della sinistra socialista e raggiunse alti incarichi dirigenziali in RAI, alla Olivetti e in BNL, fino allo scandalo BNL-Atlanta che nel 1989 mise in luce i finanziamenti illegali all' Iraq di Saddam Hussein. In una sua biografia dal tono autoassolutorio edita nel 1993 (NERIO NESI - BANCHIERE DI COMPLEMENTO - SPERLING & KUPFER EDITORI) ricordava in maniera insolitamente schietta per un politico l' atteggiamento tenuto dalla sua famiglia durante il secondo conflitto mondiale e gli eventi che coinvolsero lui e due cugini in età militare.
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    Nella mia famiglia non c' era solo una tradizione cattolica. Lo zio Sartoni, il marito della sorella di mia madre, era un socialista militante: una persona civile e mite.
    (...)
    Lo zio e la zia, entrambi socialisti, avevano un figlio, Severo, un giovane poco più che ventenne, sottotenente del Sesto Bersaglieri, un reggimento assai popolare tra i bolognesi. Nell' autunno del 1941 il "Sesto" partì per il fronte russo e con il "Sesto" mio cugino Severo. Del "Sesto", dei suoi duemila bersaglieri non sarebbe tornato quasi nessuno. Il reggimento fu sterminato nella battaglia del Don. Quando arrivò la notizia che il figlio era caduto in combattimento, lo zio Sartoni fece pubblicaresul Resto del Carlino un necrologio che così cominciava: "E' morto nell' uguale terra lontana". Ecco che cos' era, in quegli anni, il mito dell' Unione Sovietica, la "terra dell' uguaglianza", anche per un socialista moderato.
    (...)
    C' era davanti a me l' esempio di mio cugino che combatteva in Russia. E di un altro cugino, Sergio, imbarcato su una nave da guerra, l' incrociatore Raimondo Montecuccoli. Sergio era un ragazzo bravissimo, con una eccezionale predisposizione per la matematica. Uno dei pochi che fosse riuscito a diventare ufficiale di Marina in servizio permanente effettivo, pur appartenendo a una famiglia modesta. Aveva un coraggio eccezionale e gli piacevano le imprese difficili. Combattè contro gli inglesi prima sul Montecuccoli e poi nella Decima Flottiglia Mas di Junio Valerio Borghese. L' 8 settembre al momento dell' armistizio, rimase con Borghese nella Repubblica di Salò. Continuò a combattere sul mare, finchè il suo Mas fu affondato dagli inglesi, che lo deportarono in India. Per questa scelta, nel 1945, fu espulso dalla Marina. Per un uomo come lui, che si identificava profondamente con il proprio ruolo di ufficiale, fu un colpo tremendo. Si trovò così disoccupato e senza denaro. Ma non si perse d' animo. Si laureò rapidamente in ingegneria con il massimo dei voti; poi vinse un concorso ed entrò nel ministero dei Lavori Pubblici. Fece una carriera molto rapida, trovandosi in varie occasioni a un passo dalla carica di direttore generale. Ma quando era sul punto di raggiungere quel grado, al ministero si esaminava il suo fascicolo personale e riemergeva la storia del suo passato nella "Decima Mas". Perciò veniva sistematicamente scartato.
    (...)
    Dopo questo episodio Sergio, amareggiato, si dimise dall' amministrazione pubblica, aprì uno studio prpofessionale e iniziò la sua terza vita con successo. Un successo dovuto anche al fatto che quando, negli anni dell' estremismo armato, si progettarono le carceri di massima sicurezza e non si trovava nessuno che volesse assumersi l' incarico sfidando la vendetta delle Brigate Rosse, mio cugino, che non ha mai avuto il senso paralizzante della paura, disse tranquillamente: "Se volete, le carceri ve le faccio io".
    (...)
    Cominciai l' ultimo anno al Liceo Alfieri di Asti. Ma pochi mesi dopo mi giunse la chiamata alle armi da parte della Repubblica Sociale. Per la prima volta la mia famiglia si divise. Mia madre non voleva che partissi: si oppose in tutti i modi. Non mi era mai capitato di assistere a uno scontro tanto duro fra i miei genitori. Ma mio padre fu irremovibile. Diceva: "Non sono mai stato fascista: ma tuo cugino è morto in Russia, un altro tuo cugino sta combattendo nel Mediterraneo. Non puoi imboscarti. Mi vergognerei di fronte ai loro genitori". Era il 1943, non aqvevo ancora diciotto anni. Mi presentai alla caserma del 35° Reggimento di fanteria a Bologna. Poche settimane dopo la caserma venne occupata dai tedeschi che non persero tempo e ci spedirono in Germania. A salvarmi la vita fu mio padre. Poco prima di partire ci incontrammo fortunosamente per pochi minuti. Lui mi aveva portato un maglione imbottito di sigarette. "Non fumarne neanche una", mi raccomandò, "vedrai che ti saranno utili". Aveva ragione. Quei dodici mesi nel campo di addestramento di Stettin am Kalten Mark furono un inferno. Per sopravvivere bisognava essere robusti o scambiare, come facevo io, sigarette con pane.
    (...)
    Nel gennaio del 1945 i tedeschi ci riportarono in Italia, in Garfagnana. La mia dicisione avrebbe dovuto combattere contro gli Alleati. Ma nessuno di noi era disposto a farlo. Mi misi in contatto con i partigiani toscani che mi fornirono un salvacondotto falso, e mi dileguai. Rimasi nascosto per un pò di tempo. All' inizio di aprile tornai a Bologna. Pochi giorni dopo finiva la guerra e cominciava la libertà.

  2. #2
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    Storia molto interessante e con radici nelle mie zone; grazie per la condivisione.
    sven hassel
    duri a morire

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