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Discussione: Nicole Mangin, ufficiale medico francese

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    Nicole Mangin, ufficiale medico francese

    Agosto 1914, ospedale militare temporaneo di Bourbonne-les-Bains (Vosgi).
    La sedia cade rumorosamente mentre il medico-capo scatta in piedi, i pugni appoggiati sulla scrivania. Il suo colorito, abitualmente tendente al roseo vira al rosso mattone:

    -Ma signora, voi siete una donna!
    In piedi di fronte a lui in un elegante tailleur, c’è una giovane donna. Una bella donna. I tratti fini del volto non tradiscono in lei alcuna inquietudine, al più un atteggiamento attento e riflessivo.
    -Ecco i documenti, signor capitano. Sono davvero in forza presso il vostro reparto.
    - Ma porco cane! Avevo richiesto l’ aiuto di un medico ausiliario, non di una sartina.
    -Se non vi dispiace, signor capitano, mi sento perfettamente in grado di adempiere alle nuove responsabilità che mi spettano.
    -Avete dato la tesi almeno?
    -Certamente, signor capitano, dopo cinque anni di studio come esterna agli ospedali di Parigi. Dopo aver sostenuto la tesi di laurea, ho lavorato al servizio di pneumologia sotto la guida del professor Roger e mi sono dedicata a ricerche di laboratorio sul cancro e la tubercolosi. Poco prima di ricevere l’ ordine di mobilitazione ero stata incaricata di tenere alla Sorbona corsi di profilassi anti-tubercolotica e dirigevo il dispensario antitubercolare del professor Robin, all’ ospedale Beaujon di Parigi.
    Impressionato da quel curriculum eloquente e da quei nomi prestigiosi nel mondo della medicina, il maggiore medico si placa altrettanto velocemente quanto s’ era adirato.
    -Bene, bene. Posso chiedervi il vostro nome? Signora…?
    -Dottor Nicole Girard-Mangin, signor comandante.
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    Basterebbe il testo di questo colloquio a dare un’ idea della diffidenza e dell’ incredulità suscitata da Nicole Mangin presso i suoi superiori nel Servizio di sanità militare. Nel 1914 infatti, si trovò ad essere - all’ età di 36 anni - l’ unico ufficiale medico donna di tutto l’ esercito francese, operante al fronte e nelle immediate retrovie. La sua storia dunque, merita di essere raccontata dettagliatamente, nonostante non rimanga documentazione ufficiale del servizio da lei prestato. Ricostruire la carriera militare di Nicole è particolarmente difficoltoso, dato che presso l’ Ufficio storico dell’ esercito a Vincennes, e il Servizio archivistico della sanità militare a Val-de-Grace non esiste una cartella personale a suo nome, caso unico fra milioni di combattenti francesi. Ciò è dovuto al fatto che la burocrazia militare si basava sulle liste di leva fornite dallo stato civile, ma lei – essendo donna – in quelle liste proprio non c’era.
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    Charlotte-Nicole Mangin nasce a Parigi il 10 novembre 1878, in una casa del boulevard de Strasbourg. Il padre Charles è un facoltoso commerciante di vini e liquori, originario di Vèry nel dipartimento della Mosa. Uomo dal fisico robusto e vigoroso per la sua epoca (1,70 m. per 120 kg.) Charles è un buongustaio e un moderato bevitore, ha una grande memoria ed è un buon narratore, in grado di affrontare con la stessa facilità soggetti seri o aneddoti divertenti. Ama documentarsi su tutti gli argomenti, legge una quantità incredibile di libri ed ha una fertile immaginazione e un gusto innato per la conversazione. Charles Mangin apprezza la gente semplice e nonostante per quasi tutta la vita abbia guadagnato bene, non da troppa importanza al denaro. Uomo di una bontà estrema, ogni qual volta le sue finanze glielo consentono, non perde occasione per aiutare amici o parenti in difficoltà economiche. Per questo non lascerà quasi nulla in eredità ai figli, tranne la proprietà terriera a Saint-Maur e una casa a Vèry. Politicamente - come molti uomini della sua generazione - è un repubblicano convinto ed un ateo. Ancora giovane, aderisce alla massoneria appena giunto a Parigi, ma presto se ne distacca constatando l’ avidità e l’ affarismo celati dietro gli ideali di fraternità. Profondamente umanista e idealista, cresce i quattro figli molto amore, ma anche con una educazione rigorosa, permettendo a ciascuno di acquisire il massimo possibile di istruzione e competenze professionali, così che possano prepararsi a portare avanti le future carriere secondo le rispettive inclinazioni. Malgrado sia un tipico esponente della media borghesia francese, Charles cerca di inculcare nei figli principi improntati a patriottismo, coscienza sociale, semplicità di vita, servizio a favore dei più poveri e svantaggiati. Si astiene però dall’ imporre in famiglia le sue idee politiche o il suo ateismo, lasciando liberi i figli di fare le proprie scelte una volta giunti all’ età della ragione. Trascorre da pensionato gli ultimi anni nel paese natale, dedicandosi al giardinaggio e alla pesca. L’ impronta dell’ educazione paterna è evidente nelle vicende successive di Nicole, che si fa notare sin da piccola per un carattere particolarmente energico e un notevole gusto per lo studio e una capacità di apprendimento superiore alla media. Attorniata dai tre fratelli Emile (1882), Maurice (188 e Marcel (1892), la bambina tende a diventare un maschiaccio e a ciò contribuisce il fatto che il padre è spesso assente da casa a causa del suo lavoro. Negli anni formativi emerge il suo carattere deciso, pieno di iniziative ma anche la prepotente necessità di occuparsi del benessere altrui. Durante le vacanze estive a Vèry è lei a decidere a cosa giocare, coinvolgendovi gli altri bambini. Sempre prima ad arrampicarsi sugli alberi da frutta malgrado le sgridate materne, consola i fratellini quando si fanno male e li protegge, prendendosi la colpa delle loro piccole monellerie.
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    La famiglia risiede abitualmente nella capitale, dove “Nicolette” frequenta la scuola comunale di Charenton-le-pont seguendovi i corsi d’ istruzione primaria e superiore. Nel 1890 intraprende brillantemente gli studi secondari al liceo Fénelon. I risultati non si fanno certo attendere e al termine degli studi le viene rilasciato il certificato di compimento degli studi secondari (equivalente per le ragazze del diploma di licenza liceale, che a quei tempi in Francia era riservato ai soli studenti maschi). Sembra cosa da poco, ma il fatto era abbastanza raro in un’ epoca dove alle ragazze di buona famiglia si chiedeva di essere più graziose che intelligenti e molti genitori temevano che una eccessiva ostentazione di cultura allontanasse dalle figlie i buoni partiti. Scegliendo di studiare medicina, Nicole Mangin compie la sua prima scelta implicitamente femminista, ed è consapevole di non imboccare una strada semplice. Il mondo della medicina a quel tempo è violentemente misogino e tradizionalista. I grandi baroni della medicina disprezzano le donne ritenendole “costituzionalmente inadatte alla professione” e la gran massa dei pazienti preferirebbe la morte piuttosto che affidarsi (anche gratis) alle cure di una dottoressa. A quei tempi una donna che trasgredisce in qualche modo l’ ordine sociale è giudicata una “avventuriera” nefasta per gli individui e la società. Nel 1888 solo undici donne esercitano la professione medica a Parigi fra molte difficoltà. Nel 1928 le dottoresse attive nel territorio metropolitano e nelle colonie francesi del nordafrica sono salite a 556. Per giungere a quella cifra - che all’ epoca sembrava favolosa – ci son voluti decenni di lotte femministe e la tremenda ecatombe di uomini provocata dalla Grande Guerra! Alla luce di questi esempi si comprende bene come alla diciassettenne Nicole dimostra grande coraggio e perfetta padronanza di sè a intraprendere studi tanto lunghi e difficili sapendo di aver contro tutta la società. Quando a 18 anni si iscrive al primo anno di medicina alla Sorbona, in tutta la facoltà ci sono solo cinque studentesse e solo tre di loro giungeranno alla laurea. Ciononostante tre anni più tardi nel 1899, è ammessa come esterna agli ospedali di Parigi. Durante i suoi studi Nicole Mangin si interessa particolarmente alle pubblicazioni sul cancro e la tubercolosi e si dedica alle ricerche di laboratorio su questi due terribili flagelli. Purtroppo se le ricerche sul cancro portate avanti da Nicole, sono ben documentate, le numerose pubblicazioni mediche a suo nome sulla tubercolosi sono andate disperse e ne rimangono solo i titoli.
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    In quello stesso 1899 Andrè Girard, figlio di un socio di Charles Mangin nonché dipendente della ditta di famiglia, dichiara il suo amore a Nicole. Entrambi si conoscono da lungo tempo, a causa degli stretti rapporti stabilitisi tra le due famiglie. Non si tratta solo di un matrimonio di convenienza, come era comune nell’ alta borghesia dell’ epoca. Per quanto possiamo sapere, entrambi erano profondamente innamorati l’ uno dell’ altra. In una lettera indirizzata ad una amica, Nicole Mangin confessa tutta la sua gioia. Certo, non ha che 21 anni e i suoi studi sono ben lontani dall’ essere terminati. Un matrimonio al terzo anno di medicina ostacolerà senza dubbio la sua carriera universitaria. Ma Nicole è perdutamente innamorata di Andrè, un uomo prestante, affascinante e spiritoso, che piace alle donne, ma che sa anche mostrarsi attento e premuroso. La sua famiglia ha importanti interessi nella produzione e commercio di vini e spumanti e possiede vigneti a Saumur, Epernay e Reims. Andrè è indubbiamente un buon partito. Oltretutto con lui Nicole scopre per la prima volta l’ amore e la tenerezza, dopo aver vissuto l’ esperienza ospedaliera a stretto contatto col dolore e la morte, senza riuscire ad abituarsi o tantomeno a “indurirsi” di fronte alle sofferenze dei malati. Il fidanzamento è brevissimo, i due si sposano entro l’ anno. Allo scoccare del nuovo secolo con la morte improvvisa del padre di Andrè, la giovane coppia eredita una delle più grandi fortune del dipartimento dello Champagne. Per i successivi quattro anni Nicole, divenuta ormai signora Girard-Mangin conduce una lussuosa esistenza altoborghese, all’ interno di un mondo di privilegiati. Non potendo sopportare l’ inattività, presto affianca il marito nella gestione della ditta di famiglia. Lo accompagna e lo segue nei suoi viaggi d’ affari in Belgio, Germania e Gran Bretagna. Ma insidiosamente la quotidianità di una vita dorata inizia a corrodere Nicole. La ragazzina che si arrampicava suli alberi e ha conosciuto la vita libera da studentessa universitaria a Parigi non riuscirà mai a sentirsi una dama della buona borghesia. I suoi parenti acquisiti hanno abitudini ben diverse da quelle rigide e rigorose della famiglia d’ origine. Essi d’ altra parte sembrano indifferenti alle aspirazioni sociali e umanitarie della giovane donna. In effetti cosa sono per Nicole la mondanità, lo sfoggio di bei vestiti e gioielli, i pettegolezzi e gli intrighi d’ alcova, l’ avidità affaristica di questi privilegiati di fronte alle speranze e agli ideali ereditati dal padre? In realtà Nicole Girard-Mangin non si è mai sentita pienamente a suo agio in seno a quella grande borghesia che considera troppo ripiegata su se stessa e troppo superficiale dal punto di vista intellettuale. Sempre più spesso sorgono litigi fra i due coniugi. Andrè Girard è un “femminiere” che ama le feste, la vita facile, vede in ogni cosa un mezzo per far denaro, spesso e volentieri fa abuso di alcool. Per lui sedurre e sposare una “intellettuale” come Nicole è stata poco più di una scommessa. La donna si rende conto troppo tardi che - visti i rapidi progressi in campo medico - presto non le sarà più possibile riprendere utilmente gli studi. D’ altra parte è consapevole che i suoi mezzi di sussistenza e il futuro dell’ unico figlio sono sottoposti all’ arbitrio del marito. La crisi coniugale giunge all’ epilogo quando la proverbiale lettera anonima informa Nicole che il marito la tradisce apertamente da parecchi anni. La cosa è insopportabile e porta rapidamente alla fine del matrimonio. La famiglia d’ origine - contrariamente all’ opinione dei benpensanti dell’ epoca disposti a tutto per evitare gli scandali - si schiera compatta a fianco di Nicole, sostenendola anche economicamente. Charles Mangin l’ anziano padre non si limita a troncare ogni rapporto con il genero, ma chiude anche ogni collaborazione professionale con la ditta Girard.
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    Nel 1903 dopo quattro anni di matrimonio, all’ età di 25 anni Nicole Mangin, chiede e ottiene il divorzio. L’ex marito le concede senza problemi una congrua somma di denaro sufficiente al mantenimento suo e del figlio Etienne. Tornata indipendente affitta un appartamentino a Parigi e riprende immediatamente gli studi e l’ attività ospedaliera. Ben presto però si rende conto che la vita universitaria le rende impossibile accudire a tempo pieno un bambino di tre anni. Affida dunque il piccolo alla sua famiglia e in seguito sempre più spesso all’ ex-marito, col quale resta comunque in buoni rapporti. Nicole non cesserà mai di occuparsi del figlio, per quanto possibile, compatibilmente coi suoi rigidi orari di lavoro. Durante gli ultimi anni d’ università Nicole Mangin prosegue gli studi sul cancro e la tubercolosi sotto la direzione del professor Victor Henri alla Sorbona e all’ istituto Pasteur con l’ équipe del professor Roux. Questi numerosi incarichi e attività non le impediscono di lavorare alla sua tesi di laurea sui “Veleni cancerogeni” presentata nel 1909, a 31 anni di età. La tesi, che ha come relatore il professor Henri, farà scalpore egli ambienti medici francesi.
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    Dopo l’ attentato di Sarajevo anche Nicole Mangin segue sui giornali con crescente preoccupazione il succedersi degli avvenimenti, che condurranno l’ Europa alla guerra e – come tutti – le sue opinioni fluttuano fra pacifismo e patriottismo. Naturalmente il suo maggior timore è per i fratelli Emile e Maurice, entrambi in età militare. Ma con sua grande sorpresa il 2 agosto 1914 trova fra la posta una cartolina precetto a suo proprio nome. Come spiegare quest’ anomalia? Durante l’ affrettata mobilitazione generale dell’ agosto 1914 vi furono numerose donne francesi richiamate alle armi per errore, a causa dell’ errata interpretazione di nomi usati indifferentemente al maschile o al femminile. In tutti i casi però, questi errori della burocrazia militare furono rapidamente corretti su richiesta delle stesse interessate. Il caso di Nicole Mangin non rientra in quest’ ambito. Le probabilità che il doppio cognome Girard-Mangin, mantenuto dalla donna anche dopo il divorzio, sia stato confuso da un ignoto scritturale con un nome e cognome maschile (per esempio Gerard Mangin) è molto bassa. Infatti il nome Nicole, inequivocabilmente femminile è presente nei documenti dello stato civile. Il fatto venne spiegato dalla dottoressa in un articolo apparso sul quotidiano “L’ Excelsior” il 1 novembre 1917. L’ autorità militare aveva richiesto una lista di giovani medici dipendenti dalla sanità pubblica, eventualmente mobilitabili come ausiliari. E la lista riportava solo i cognomi, così – per quel che ne sappiamo – il 36 enne Dr. Nicole Mangin è arruolato per errore il 2 agosto 1914. Ci sarebbe stato tutto il tempo di segnalare lo sbaglio e restare tranquilla a prestare servizio ospedaliero a Parigi. Ma Nicole si affretta a raggiungere la propria unità di destinazione, l’ ospedale termale di Bourbonne-les-Bains, in Alta Marna, trasformato in ospedale militare temporaneo. Non conosciamo quali potessero essere le motivazioni di Nicole, lei stessa non ha lasciato scritto nulla al riguardo, possiamo solo fare delle ipotesi. Fervore patriottico? Volontà di difendere la Francia? Aspirazioni femministe? Sfida al maschilismo imperante? Evasione da una vita monotona? Ricerca di avventura? Chissà! Certo è che si ritrova medico ausiliario al 20° RI. e deve raggiungere la sua destinazione a Bourbonne-les-Bains. In quegli stessi giorni anche i suoi fratelli vengono mobilitati: Maurice al 16° Dragoni ed Emile al 164° RI.
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    A Bourbonne-les-Bains, dopo il primo colloquio l’ ufficiale medico in comando è sempre più imbarazzato dalla presenza anomala di una donna nel suo ospedale, dunque scrive a più riprese ai suoi superiori gerarchici segnalando il caso, che provvedano loro a rispedire a casa quell’ esaltata. La risposta giunge rapida ma inaspettata, la dottoressa può continuare a prestare servizio se lo desidera, con una funzione di grado corrispondente a quello di sottotenente medico. L’ autorità sanitaria provvederà all’ alloggio, all’ uniforme, nonché alla regolamentare razione militare di tabacco (in realtà la cancerologa Nicole Mangin non fumò mai una sigaretta in vita sua). Questa decisione fu probabilmente motivata dalla estrema carenza di medici. Nell’ agosto del 1914 erano richiamati alle armi solo 10.490 praticanti e per tutto il conflitto la sanità militare francese risultò qualitativamente e quantitativamente molto inferiore a quelle inglese e tedesca, operanti sullo stesso fronte. Secondo dati statistici almeno 1/3 dei caduti francesi della 1^ guerra mondiale è deceduto per ferite e malattie non adeguatamente curate, o non curate affatto. Bourbonne-les-Baines è una antica stazione termale rinomata per la cura dei reumatismi sin dai tempi di Napoleone III°, ma alla mobilitazione viene requisita divenendo sede di ospedale militare temporaneo. La struttura però è sprovvista di letti, mobilio e quant’ altro necessario a ricoverarvi i feriti. Mancano anche attrezzature chirurgiche e scorte medicinali di qualsiasi genere. Si progetta di ospitarvi eventuali feriti in attesa di evacuazione verso i meglio organizzati ospedali territoriali, adagiandoli alla rinfusa sui pavimenti coperti di paglia dei saloni termali. Ma Nicole Mangin non è donna da adeguarsi alla generale inerzia di colleghi e superiori. Installatasi in una modesta cameretta, risolve il problema dell’ uniforme adottando quella kaki in uso alle dottoresse dell’ esercito britannico (che vestirà per tutto il conflitto non avendo l’ Intendenza francese disponibilità di uniformi femminili). Subito dopo di sua iniziativa comincia a darsi da fare. Fa costruire da falegnami e carpentieri letti a castello per le sale di degenza, allestisce una sala operatoria, sguinzaglia infermieri a “procurarsi” medicinali e attrezzature indispensabili nei depositi (anche senza buoni di prelevamento), requisisce il forno di un panettiere dei dintorni per sterilizzarvi i ferri chirurgici. All’ improvviso, la sera del 9 agosto 1914 il capitano medico le ordina di recarsi alla stazione, dove è atteso un treno passeggeri – dice lui – con poche decine di rifugiati civili bisognosi di assistenza. Si tratta in realtà di un treno sanitario militare composto da vagoni merci, carico di 1073 feriti gravissimi, per la maggior parte mutilati intrasportabili. Pur colta di sorpresa, Nicole riesce a farli giungere tutti all’ ospedale al più presto requisendo vetture e carriaggi di passaggio, costringendo civili e militari a improvvisarsi barellieri. Il 15 agosto 1914 l’ ospedale di Bourbonne-les-Bains ospità già parecchie migliaia di feriti provenienti dal fronte dei Vosgi e dalla Lorena, affidati alle cure di un capitano medico e di quattro medici ausiliari richiamati. Ormai tutti guardano con occhi diversi la loro determinata e competente collega. Finalmente messi da parte i pregiudizi e si comincia a lavorare sul serio. Il servizio si rivela da subito pesantissimo, i sei medici oltre ad assicurare i turni di servizio in sala operatoria e assistere i tantissimi militari ricoverati, debbono farsi carico dell’ assistenza sanitaria alla popolazione locale. Infatti gli abitanti della città di Bourbonne e i contadini dei villaggi vicini – quindici centri rurali dipendenti dai dipartimenti della Marna e degli Alti Vosgi – sono privi di medici civili. In quel periodo Nicole Mangin lavora incessantemente, senza avere il tempo di occuparsi della situazione militare. In realtà le truppe francesi, incalzate dall’ avanzata nemica si stanno rapidamente ritirando verso la Marna. Avendo a Reims il padre Charles e la famiglia del fratello Maurice, quando si sparge la voce che la città rischia di esser bombardata dai tedeschi, Nicole ottiene di recarvisi, sostituendo un collega incaricato di scortare un treno sanitario. Giunta in stazione, si reca al comando piazza per passare le consegne al medico-capo. Costui vedendola non si trattiene dal gridare: <<Cielo, una donna! E le hanno affidato un treno sanitario… Chissà quante bestialità avrete commesso, signora…>> In realtà non dovette essersi comportata poi troppo male, dato che dopo numerosi tentativi falliti per regolarizzare la sua situazione, gli alti gradi della sanità militare le affidarono un nuovo incarico in una diversa destinazione. Finalmente Nicole viene ufficialmente riconosciuta a pieno titolo come medico chirurgo, mobilitata come medico ausiliario del Servizio di sanità militare e le è permesso di portare sulla giubba kaki i gradi argentati corrispondenti a quelli da infermiera titolare mobilitata. All’ inizio dell’ inverno 1914-1915 i suoi superiori decidono di trasferirla in un settore del fronte ritenuto più calmo, impiegandola lontano dai pericoli della prima linea in compiti consoni alla sua natura femminile. Così dopo pochi giorni Nicole Mangin giunge in una tranquilla e ridente cittadina di provincia: Verdun.
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    La piazzaforte di Verdun appartiene al sistema difensivo dell’ Alta Mosa insieme a quella di Toul. Tra queste si stendono da est a ovest i forti di Génicourt, Troyon, Camp des Romains, Paroches, Liouville, Gironville e Jouy-sous-le Cotes. La cintura fortificata di Verdun rafforzata progressivamente, ingloba alla vigilia del conflitto ben 105 centri abitati. Nel 1914 vi risiedono stabilmente 14.000 militari e 13.000 civili. La città è circondata da 43 forti e opere fortificate, 34 alloggiamenti sotterranei per fanteria, postazioni in cemento armato per 135 batterie d’ artiglieria, 4 rifugi scavati nella roccia, 8 magazzini interrati di settore, 26 depositi di munizioni intermedi. Verdun può esser considerata la migliore e meglio munita piazzaforte di Francia. La guarnigione cresce sino a raggiungere i 66.000 uomini. Ma all’ inizio della guerra quello di Verdun è un settore relativamente tranquillo, dunque le artiglierie e la maggior parte della truppa vengono spostate in altre zone di combattimento. Il 21 febbraio 1916 ha inizio su un fronte di quattordici chilometri l’ offensiva della 5^ Armata tedesca che si spintasi a 4 km. dalla linea di partenza, conquista senza combattere il forte di Douaumont, spogliato delle artiglierie e privo di una guarnigione permanente. Lo stesso giorno la difesa della regione fortificata di Verdun è affidata alla 2^ Armata francese del giovane generale Petain. La battaglia dura per ben dieci mesi sino al 18 dicembre 1916, divorando uomini e materiali a un ritmo mai visto. I francesi quasi accerchiati dal nemico resistono solo grazie al flusso incessante di truppe fresche e rifornimenti lungo la rotabile che collega Bar-le-Duc a Verdun (sarà poi definita Voie Sacrée). Sugli 80 km. di strada bianca migliaia di truppe coloniali inquadrate da genieri gettano continuamente pietrisco per mantenerla transitabile dal continuo flusso di camion (12.000 al mese, uno ogni 4 secondi). Ma all’ incrocio di Le Tourniquet inizia la zona battuta dall’ artiglieria pesante tedesca. Da lì tocca ai Cuistot (portatori militari) trasportare a spalla i rifornimenti per altri 20 km. sotto il fuoco incrociato. Costoro vengono giornalmente falcidiati dalle schegge di granata (durante la battaglia i tedeschi spararono 22 milioni di colpi d’ artiglieria, contro i 15 milioni dei francesi) e se giungono dai fanti in linea, costoro li tacciano di imboscati e a volte li linciano . Se sul resto del fronte vige un sistema di rotazione delle truppe che permette dopo alcune settimane di trincea lo spostamento nelle retrovie per riposo e ricostituzione, a Verdun i fanti dispersi su un campo di battaglia di 160 chilometri quadrati tengono le posizioni per lunghi periodi, appostati nel fango dentro i crateri delle bombe ignari di cosa accade dietro o accanto a loro, condividendo con morti e moribondi il poco spazio disponibile, senza regolari rifornimenti di cibo e munizioni, bevendo l’ acqua putrida impestata dai cadaveri, esposti all’ assalto di parassiti e ratti, ai rigori del clima e – naturalmente – ai continui cannoneggiamenti. Cresce enormemente l’ odio per i superiori. Ben prima dei grandi ammutinamenti di massa “per la pace” che sul modello dei soviet russi dalla fine del 1917 coinvolsero in atti di indisciplina collettiva ben 54 divisioni (ovvero la metà dell’ esercito francese) il combattente di Verdun sente che la sua vita non conta nulla per gli alti comandi e il suo sacrificio è comunque vano e la marcia verso la prima linea è vissuta come un disperato tragitto verso il Golgota. Gli episodi di sedizione o aperta ribellione nel carnaio di Verdun si fanno sempre più frequenti. All’ inizio della battaglia il presidente della repubblica Poincarè ed alcuni parlamentari vengono nelle retrovie di Verdun per consegnare decorazioni ma sono accolti dalle truppe schierate con grida ingiuriose e l’ accusa di essere degli imboscati. Nasce una violenta sassaiola e contro di loro vengono esplosi anche colpi d’ arma da fuoco. Il corteo di vetture che trasporta le loro Eccellenze è costretto ad allontanarsi in gran fretta. Sui cartelli indicatori e sui muri delle case si trovano sempre più spesso insulti e minacce agli ufficiali “assassini”. Ai primi di dicembre 1916 un reggimento d’ elite in trasferimento notturno verso la linea di combattimento incrocia un gruppetto di alti ufficiali in ricognizione sul terreno. Gli uomini, perfettamente inquadrati, marciano dinanzi a loro ostentatamente senza salutare ed emettendo lunghi belati. Ormai per i soldati di Francia la via per Verdun è quella per il mattatoio. Gli ufficiali di S.M. non osano più muoversi liberamente all’ interno della piazzaforte senza una robusta scorta di polizia militare. Ma presto anche la Gendarmeria è costretta a muoversi solo in robusti pattuglioni dotati di armi automatiche, quando tre militi della stradale che sorvegliano un incrocio nel villaggio di Dombasle-en-Argonne sono sopraffatti dai fanti inferociti e impiccati ai cartelli indicatori. Quanto agli ufficiali inferiori, quelli troppo zelanti nello spingere all’ assalto i propri uomini sono semplicemente sparati o baionettati alle spalle da questi ultimi, figurando come caduti in combattimento. Solo la prudenza e l’ umanità di “papà Petain”, popolarissimo fra la truppa, evita una rivolta aperta a Verdun. In condizioni tanto inumane i germi e i vettori di patologie contagiose si moltiplicano per la presenza di un gran numero di uomini in ambienti ristretti e per mancanza di igiene sul campo di battaglia e negli accantonamenti. Le condizioni di vita dei combattenti come la loro esposizione ai rigori climatici favoriscono l’ apparizione di patologie specifiche che si aggiungono a quelle abituali tra la popolazione in tempo di pace. Il medico ausiliario Nicole Mangin è aggregata a una unità sanitaria incaricata di debellare una epidemia di tifo che serpeggia nelle Argonne e nella regione di Verdun. Di fronte all’ emergere dell’ epidemia le autorità sanitarie intraprendono una campagna di vaccinazioni di massa e impongono rigide norme igieniche, la sanificazione dell’ acqua e l’ uso massiccio di disinfettanti. E nell’ arco di sei mesi i casi di tifo sulla linea del fronte hanno un drastico crollo: dai 9000 casi al mese del 1914, ai 55 al mese del 1918.
    L’ accoglienza riservata a Nicole Mangin nel forte della Chaume, posto comando della sanità militare a Verdun non differisce granchè dai precedenti: <<Cielo! Una donna!>>. Comunque viene aggregata a diverse formazioni sanitarie operanti nell’ area della regione fortificata di Verdun: Dugny, Vadelaincourt, Vacherauville. Proprio in quest’ ultima località un collega medico le regala una giovane femmina di pastore tedesco chiamata Dun - diminutivo di Verdun - che seguirà fedelmente la dottoressa per tre anni, proteggendola dai molteplici pericoli impliciti in un mondo di maschi abbrutiti dalla guerra. Bisogna tener conto che Nicole Mangin aveva l’ abitudine di alzarsi in piena notte per recarsi da sola nei baraccamenti a visitare i pazienti più gravi e di muoversi senza scorta tra i vari punti di medicazione a ridosso del fronte. Distaccata per qualche tempo presso l’ ospedale temporaneo n° 7 di Glorieaux, un sobborgo di Verdun, il suo medico-capo le proibisce, in quanto donna, l’ accesso alle camere dei degenti. Nicole avrebbe scritto in seguito: <<E’ stato divertente, ho passato delle settimane in mezzo a gente che mi trattava come una appestata>>. Ma grazie alla sua resistenza al lavoro e al suo carattere accomodante, ottiene prima il rispetto e l’ affetto dei malati, poi quello dei suoi colleghi e dei superiori. Il 3 novembre 1914 è destinata al reparto infettivi dell’ ospedale n° 13 di Glorieaux, dove presterà servizio per più di un anno. Il reparto consta di un sergente, dodici infermieri, 765 pazienti tifoidei ed enterici. Tranne una licenza di dieci giorni in ottobre, la donna non lascerà mai il servizio, non si darà mai malata o indisponibile ed è sul suo posto di lavoro che la sorprenderà la grande offensiva tedesca. Il reparto della dottoressa Mangin ha sede in vecchie e malsane baracche di legno, non certo la situazione ideale per dei malati debilitati, così le sue proteste valgono il trasferimento in altri baraccamenti più salubri, ma esposti al rischio di venir colpiti da occasionali cannonate vaganti. Lei resta comunque a fianco dei suoi pazienti.
    Quando il 21 febbraio 1916 inizia la grande offensiva tedesca, il generale medico Mignon, che ricopre la carica di Ispettore generale della sanità dispone l’ immediata evacuazione di tutti gli ospedali militari dalla città di Verdun. Secondo gli ordini il reparto infettivi di Glorieaux deve trasferirsi all’ HOE di Bar-le-Duc. Effettuato il trasporto dei malati in ambulanza, Nicole Mangin torna indietro a recuperare 175 intrasportabili, costretti a letto per le loro gravi condizioni. Si tratta di malati di tifo con peritoniti o emorragie intestinali, di dissenterici colpiti da complicazioni intestinali o epatiche e di affetti da meningite cerebrospinale. Questi ultimi - deliranti - necessitano di attenzioni specifiche. Insieme a pochi infermieri volontari si occupa dei pazienti sotto i crescenti bombardamenti tedeschi, poi blocca una colonna di autocarri della sussistenza in ripiegamento e convince gli autieri a portare al sicuro i suoi malati, grazie a una abbondante distribuzione di tabacco e sigarette della propria razione. Durante il tragitto raccoglie anche un centinaio di feriti e sbandati di fanteria, che cercano scampo a piedi dai cannoneggiamenti. Giunta stremata a Bar-le Duc si concede una notte di sonno sul pavimento nudo dell’ ufficio del generale Mignon, ma all’ indomani mattina è trasferita ad una nuova destinazione. Giusto il tempo di far benzina che Nicole Mangin, il maggiore medico Cathala e due infermiere destinate all’ ambulanza chirurgica partono in autocarro per Vadelaincourt.
    Preso servizio all’ ospedale militare di Vadelaincourt il 7 marzo, Nicole si trova nella situazione di sempre, accolta con un misto di sorpresa e sospetto dai colleghi maschi. Se fino ad allora si era contentata di appellarsi per iscritto ai superiori riuscendo a farsi riconoscere ufficiale medico a tutti gli effetti, nella nuova sede (in zona di guerra e nel pieno della battaglia) è vista come una presenza indesiderata e sospettata di incompetenza. Decisa a dimostrare le sue capacità, cambia il suo ruolo passando dalle malattie contagiose alla chirurgia d’ urgenza, avendo ricevuto una formazione chirurgica di base. La maggior parte degli interventi da lei eseguiti in sala operatoria non sono difficili, bensì drammaticamente facili trattandosi perlopiù di amputazioni degli arti. In una lettera ai familiari scriverà: <<si opera senza mai fermarsi, di giorno e di notte, per settimane intere, finchè si cade svuotati e senza più forze su una brandina per dormire un poco>>. Nicole riceve l’ ordine di trasferimento a Queue-de-Mala e ciò le salva letteralmente la vita. La notte del 25 agosto 1916, pochi giorni dopo la sua partenza, l’ ospedale di Vadelaincourt, protetto dalle convenzioni di Ginevra e debitamente segnalato da enormi croci rosse in campo bianco dipinte sui tetti, viene deliberatamente bombardato dall’ aviazione tedesca. 300 degenti trovano la morte nei loro letti, tutte le equipe chirurgiche sotto le macerie delle sale operatorie.
    Nicole Mangin è trasferita insieme ad altri chirurghi all’ ospedale militare numero 6, sulle alture di Queue-de Mala. La struttura è ospitata in baracche di legno e quasi totalmente riservata alla alta chirurgia, dunque non solo amputazioni, ma operazioni più complesse e rischiose su soldati feriti gravemente al cranio, all’ addome e al ventre. Nicole oltre a svolgere il suo lavoro in sala operatoria è incaricata del triage in zona di guerra, una attività che si rivela per lei penosa e frustrante. La regola è assistere prima i feriti recuperabili, poi i mutilati inabili a tornare al fronte (ma ancora utili allo sforzo bellico lavorando nei campi o nelle fabbriche), infine gli incurabili che - pesantemente sedati - vengono lasciati morire. D’ altro canto questi ultimi vengono a conoscenza del loro stato solo quando alti ufficiali vengono a decorarli, vigendo nella piazzaforte assediata l’ uso di concedere indiscriminatamente la Croix de Guerre a tutti i moribondi. Il 16 settembre 1916 i troppo esposti baraccamenti dell’ ospedale n° 6 vengono smontati e ricostruiti a Vadelaincourt, in prossimità dell’ ospedale n°12. Avendo ormai acquisito una solida pratica come chirurgo, Nicole Mangin continua ad operare in entrambe le strutture sanitarie con turni pesantissimi di 8 ore. Ciononostante ottiene l’ assegnazione di una vettura sanitaria e nei momenti di riposo (accompagnata da un infermiere, un barelliere e dalla fedele lupa Dun) si occupa dell’ evacuazione dei feriti dai posti di medicazione a ridosso del fronte, provocando ammirato stupore fra truppe che non vedono una donna “perbene” da lungo tempo. La dottoressa Mangin lascia definitivamente il territorio della piazzaforte ai primi di dicembre 1916 ed è trasferita nel nord del paese. Presta sevizio nella Somme, poi a Saint-Omer, nel Pas-de-Calais, all’ ospedale di Moulle dove dirige un tubercolosario militare. (*) Da ultimo è trasferita a Ypres, in Belgio con l’ incarico di assistere i reparti francesi dislocati nel settore britannico del fronte. Alla fine gli alti comandi, riconosciutene le qualità umane e le capacità professionali, la promuovono a capitano medico affidandole la direzione di un ospedale-scuola a Parigi, non senza scusarsi con lei per gli “spiacevoli inconvenienti” avvenuti in passato.
    ___________________________
    Alla fine di dicembre 1916 il medico di 2^ classe Nicole Mangin è promossa capitano medico e trasferita a Parigi con l’ incarico di direttrice e medico-capo dell’ ospedale-scuola Edith Cavell. La struttura (dedicata a una infermiera britannica fucilata dai tedeschi) si trova in rue Desnouettes, vicino alla Porta di Versailles ed è destinata alla formazione accelerata delle infermiere ausiliarie. A tenere corsi alle allieve sono i migliori specialisti di Francia. Citiamo fra gli altri i chirurghi Baudoin e Mulon, il cancerologo Hartmann, la radiologa premio Nobel Marie Curie, senza contare Nicole stessa. Nell’ assumere le sue nuove funzioni la dottoressa Mangin da prova del suo talento organizzativo, mantenendo al contempo una continuità ideale con il servizio prestato al fronte a favore di malati e feriti. Installatasi in una cameretta arredata spartanamente vive quasi da reclusa, dorme su una branda da campo, alla mensa mangia lo stesso rancio delle allieve, non lascia l’ ospedale che per dei corsi, per pratiche amministrative al ministero o per ispezionare reparti di infermiere al fronte. Centinaia di infermiere militari e civili, ausiliarie e assistenti sociali beneficiano non solo dei suoi insegnamenti teorici nelle aule dell’ istituto, ma anche della formazione concreta al capezzale dei malati e feriti in corsia, in sala operatoria, in radiologia, nel laboratorio analisi. Seguendo scrupolosamente il decorso di un migliaio di pazienti ricoverati all’ Edith Cavell (in maggioranza ufficiali), Nicole diventa presto confidente e figura di riferimento per infermiere, malati e famiglie, che le chiedono consiglio e soccorso sui più svariati argomenti. Molti reduci di Verdun vengono a trovarla per ringraziare di persona di quanto ha fatto per loro. La giornata di Nicole sembra non finire mai: pratica medicazioni e operazioni chirurgiche, riceve postulanti, si tiene in contatto telefonicamente o per via epistolare con i colleghi, visita le corsie, tiene corsi alle infermiere, collabora con la Croce Rossa americana, sostiene la propaganda antitubercolotica, alla sera passa di nuovo per le corsie, ha appena il tempo di cenare, poi aggiorna la contabilità, controlla la posta, corregge i compiti delle allieve, prepara gli esami e i corsi del giorno dopo, legge le ultime pubblicazioni mediche. Abitualmente va a dormire alle due del mattino e si sveglia alle sette, ciò tutti i giorni anche le domeniche e i festivi. Il suo stile di vita che gli altri definirebbero superlavoro, per lei è la normalità, un ritmo acquisito sin dai tempi di Bourbonne-les-Bains. A ciò bisogna aggiungere i frequenti bombardamenti aerei notturni (che costringono a trasferire i malati nei rifugi a forza di braccia) e le cannonate del pezzo tedesco a lunga gittata (Bertha) che spargono panico di giorno.
    Nel 1917 per volontà del sottosegretario alla Sanità Justin Godard, vengono creati i primi centri anticancro in Francia. Quello di Parigi ha sede nell’ ospedale dell’ Hotel-Dieu ed è diretto dal professor Hartmann. Questi conosce e apprezza Nicole Mangin sin dai tempi dell’ università, quando tra docente e allieva si era stabilita una solda amicizia, la chiama senz’ altro a collaborare in qualità di ricercatrice. In quello stesso anno prende piede in Francia l’ idea di creare una Lega nazionale contro il cancro. Pur oberata dagli obblighi militari Nicole partecipa attivamente alla creazione dell’ organismo e ne diviene la prima presidente, eletta per acclamazione generale. Il 14 marzo 1918 viene fondata anche la Lega anticancro anglo-franco-americana e la firma di Nicole appare sul documento fondativo dell’ ente fra quelle dei trenta membri fondatori, provenienti da varie nazioni. L’ instancabile dottoressa collabora con entusiasmo a questa nuova iniziativa. Frattanto la sanità pubblica organizza due nuovi centri anticancro: quello della Salpetrière, diretto dal prof. Gosset e quello dell’ ospedale Tenon, affidato al prof. Proust. Entrambi i luminari hanno fatto parte nel 1909 della commissione di laurea di Nicole, che non esita a contattarli per studiare nuove forme di collaborazione contro il tremendo male conosciuto fin dall’ antichità. Considerato una malattia incurabile, e addirittura infettiva, il cancro non era neanche nominato come tale, ricorrendo a perifrasi come “brutto male” tale era il timore che suscitava nella popolazione. Si pensi solo che in Francia dal medioevo alla rivoluzione, solo gli ordini religiosi che assistevano i moribondi si prendevano cura dei malati di cancro. Agli ospedali civili d’ oltralpe fu permesso di accogliere degenti cancerosi solo a partire dall’ anno 1864!
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    Nel 1918 scoppia la pandemia mondiale di influenza spagnola. La Francia è colpita a metà aprile e inizialmente si pensa a un attacco batteriologico tedesco, ma presto diventa evidente che anche gli imperi centrali si trovano nella stessa situazione. Ai primi di maggio i numeri del contagio sono impressionanti e crescono in maniera esponenziale, sia tra le truppe che fra la popolazione civile. Senza inoltrarsi troppo sulla natura della malattia, è certo che anni di guerra e un rigido razionamento alimentare hanno agevolato la diffusione del virus in organismi esausti, denutriti e debilitati. La mortalità è altissima, ma paradossalmente c’ è poco panico grazie al rigido silenzio stampa imposto dalla censura militare in tutte le nazioni belligeranti. La febbre spagnola colpisce anche la gran parte del personale e delle infermiere dell’ Edith Cavell. Nicole affronta energicamente anche questo nuovo flagello isolandogli infetti in un padiglione separato dell’ ospedale e tentando empiricamente di far scendere loro la temperatura con l’ applicazione di aciugamani umidi. Il personale sanitario lavora 24 ore su 24 ma a ranghi fortemente ridotti. Intanto i parigini terrorizzati dal diffondersi del morbo e conoscendo la buona reputazione dell’ Edith Cavell chiedono di poter esservi ricoverati, nonostante si tratti di una struttura militare. Di propria iniziativa la dottoressa Mangin accoglie sistematicamente tutti i civili ammalati che ne fanno richiesta, sino al limite della capienza. Quando al culmine dell’ epidemia l’ Ispettore generale della sanità militare giunge in visita, non nasconde la sua soddisfazione, precisando che fra tutti gli ospedali militari della zona di Parigi, quello di Nicole è quello col più basso indice di mortalità. In seguito a ciò vi vengono inviati tutti i casi più gravi, persino moribondi. A dispetto di tutte le ostilita subite dai superiori nel corso della carriera militare, Nicole Mangin pur restando a capo dell’ Edith Cavell si vede affidare anche l’ ospedale militare VG 84 a Parigi, dove sono riuniti i militari affetti da gravi complicanze. E’ un sovraccarico di lavoro che l’ organismo fatica a sostenere, ma ella non si lascia convincere dalle rimostranze dei suoi cari, ponendo come sempre il dovere innanzi tutto. Non passa molto che riceve un primo avvertimento dal suo fisico, dovendo subire per due volte in 24 ore il drenaggio delle ghiandole mastoidee in anestesia generale. Ma tra una anestesia e l’ altra, si occupa ancora dei degenti e pur bloccata a letto presiede gli esami finali di un gruppo di infermiere destinate urgentemente al fronte. A soli quattro giorni dal secondo intervento, questa donna instancabile riprende a informarsi telefonicamente mattina e sera delle condizioni dei malati e della situazione dell’ ospedale. Parallelamente alla formazione delle infermiere all’ ospedale Edith Cavell, Nicole Mangin tiene corsi d’ igiene generale e medicina del lavoro presso la scuola per le sovrintendenti di fabbrica. Costoro sono donne con un alto livello di istruzione: laureate in legge, in lettere o in scienze, che nelle fabbriche militarizzate per lo sforzo bellico tutelano la disciplina, la salute, il benessere e la moralità delle operaie venute massicciamente a sostituire la manodopera maschile sotto le armi, potremmo definirle una via di mezzo tra la sorvegliante e l’ assistente sociale. Vestite di una uniforme identica nel taglio a quella delle infermiere, ma in panno kaki, portano sul lato sinistro del petto un distintivo metallico riportante le lettere SU (surintendantes d’ usines) verificano la salubrità degli ambienti di lavoro e la loro conformità alle norme vigenti, viglilano gli spogliatoi delle operaie, gli asili nido per i loro figli, le mense aziendali, le docce e i servizi igienici. Garantiscono il rispetto dei turni di lavoro, fanno richiesta di supplementi in denaro o generi alimentari per chi si ammala o resta incinta, sono in poche parole la cinghia di trasmissione fra la manodopera e la direzione tecnica delle aziende.
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    Tornata la pace nel novembre 1918, la dottoressa Mangin rimane altri sei mesi alla direzione dell’ ospedale-scuola Edith Cavell. Non rimpiange nulla del duro periodo di guerra, pur esprimendo una certa nostalgia di quel ricco e fecondo periodo della sua esistenza, che le ha permesso di sviluppare pienamente la sua personalità, i suoi ideali umanitari e il suo altruismo. Una volta smobilitata, nel 1919 il suo nome è ormai celebre nell’ ambiente medico e nella buona società parigina, oltre che in Europa e Stati Uniti in seguito alla sua attività di presidente della Lega internazionale contro il cancro. Improvvisamente però viene colpita da una grave forma di depressione, che si manifesta in una persistente astenia. Forse il “male oscuro” che la attanaglia dipende dai ritmi massacranti di lavoro che si è imposta con ferrea volontà durante i lunghi anni di guerra, ed è assimilabile alle forme di disagio psicologico che oggi definiamo stress da trincea o stress post-traumatico. Il fatto è comune. Oltretutto una volta passato l’ entusiasmo della vittoria moltissimi medici che hanno prestato servizio nell’ esercito provano un ingiustificato sentimento di inutilità e di apprensione per il loro avvenire professionale, ritenendo di essere tagliati fuori dai rapidi progressi scientifici e svantaggiati dall’ età matura rispetto ai colleghi più giovani. Un altro trauma del ritorno alla vita civile è dato dal cambiamento del loro status sociale: una volta congedati i medici si ritrovano davanti a una clientela civile con precisi diritti ed esigenze, ben diversa dai pazienti di guerra, tenuti al rispetto e all’obbedienza in virtù del grado e della rigida gerarchia militare. Nicole Mangin avrebbe ancora qualcosa cui aggrapparsi, la sua passione divorante per la ricerca sulla tubercolosi e sul cancro, ma neanche questo le porta giovamento. Nonostante gli affettuosi sforzi di familiari ed amici, nonché dei colleghi maschi – che la considerano ormai pienamente una di loro – fatica a liberarsi dalla depressione. Comunque sia, accetta con piacere quando le viene richiesto dal ministero della difesa francese di tenere un giro di discorsi all’ estero sul ruolo delle infermiere militari nella Grande Guerra. Il programma iniziale prevede conferenze in Gran Bretagna, Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda, ma Nicole ottiene l’ autorizzazione a fare tappa anche in Giappone, Cina, India e Sudafrica, così da poter incontrare di persona i più eminenti medici di quei paesi, con molti dei quali è in corrispondenza epistolare da anni. Il progetto di questo giro del mondo la assorbe pienamente e sembra tirarla fuori, almeno parzialmente dalla depressione, chi le è vicino in quel periodo la descrive entusiasta e piena di progetti per il futuro. Prevedendo una assenza di almeno due anni, affida a suo fratello Maurice il figlio Etienne (ormai diciottenne) fino al ritorno in Francia. Poi effettua le numerose vaccinazioni obbligatorie, necessarie ad entrare nei vari paesi. Ai primi di giugno 1919, nel corso di un pranzo organizzato a Reims, con tutta la famiglia riunita per salutarla prima della partenza, Maurice Mangin nota con stupore che la sorella si lascia andare a un inusuale sentimento di tenerezza, ben diverso dall’ educazione rigida e austera nella quale erano stati educati sin dall’ infanzia: forse per la prima volta nella vita, gli chiede un abbraccio.
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    La mattina del 6 giugno 1919, le autorità di polizia chiamate dai vicini di casa, si recano al numero 76 di boulevard Saint-Germain. Il corpo senza vita della quarantunenne Nicole Mangin è rinvenuto nel letto del suo domicilo parigino. L’ assenza di segni di effrazione nell’ appartamento e la presenza di numerosi flaconi di medicine vuoti sul comodino non lasciano dubbi agli inquirenti sulla causa del decesso. Si tratta di suicidio anche se i giornali - come d’ uso all’ epoca - parlano pudicamente di overdose accidentale di farmaci. Quanto alle ragioni profonde che hanno spinto la donna a compiere il gesto estremo possiamo fare solo ipotesi. Alcuni incolpano la depressione, altri l’ esaurimento psicofisico dovuto ad anni di attività intensa e stressante, accompagnata da una incessante tensione nervosa. Forse più vicina alla verità è una terza ipotesi, suggerita anni dopo dal fratello Maurice, pur senza prove definitive. Nelle sue ultime fotografie Nicole Mangin mostra la tendenza a perdere rapidamente peso, senza che ciò la renda più bella e attraente, i suoi tratti sono emaciati e lo sguardo sofferente. Ella accusa, secondo i familiari dolori lancinanti e una inspiegabile stanchezza cronica, specie se si pensa che durante gli anni di guerra nessuna patologia le ha mai impedito di prestare servizio. Ricordando le due operazioni chirurgiche subite nel 1918 per una mastoidite si può ritenere che questa patologia sia degenerata in un tumore, situato dietro il padiglione dell’ orecchio. In realtà questa sintomatologia può riferirsi a un tumore tanto benigno che maligno. Ai nostri giorni l’ uso di uno scanner osseo semplificherebbe la diagnosi, ma all’ epoca l’ unico modo di definirne la natura è l’ esame istologico su un campione di tessuto. Secondo i documenti, Nicole Mangin è sottoposta a prelievo per ben due volte a distanza di pochi giorni, come se i chirurghi avessero cercato una ulteriore conferma ai risultati del primo esame istologico. Supponendo che il tumore fosse stato senza ombra di dubbio maligno e che – come abituale nell’ ambiente medico – il referto le fosse stato rivelato, evidentemente non si trattò di suicidio ma di eutanasia. Le statistiche concernenti il suicidio dei medici confermano che sovente scoprendosi affetto da una grave patologia, un medico rifiuta di vivere la propria morte. A maggior ragione nel caso della cancerologa Nicole Mangin che ben edotta sulle inevitabili sofferenze che la aspettavano, scelse l’ unica via d’ uscita dignitosa che le si prospettava davanti. In ogni caso si può considerare il suo gesto come l’ ultimo atto di coraggio di una donna dalla personalità eccezionale. Rispettando le sue convinzioni laiche e seguendo le direttive contenute in una lettera inviata ai familiari durante la guerra, non viene prevista alcuna cerimonia religiosa. Si organizza invece una semplice cerimonia civile e la salma viene cremata al cimitero di Père Lachaise. L’ urna funeraria contenente le ceneri è deposta nella tomba della famiglia Mangin, nel cimitero di Saint-Maur-des- Fossés, situato nei dintorni di Parigi.
    Nicole Mangin, una donna d’ azione determinata a realizzare idee in anticipo rispetto al suo tempo senza scendere alla provocazione, ma dando ostinatamente corpo agli ideali che le erano stati trasmessi in gioventù, era vista con sorda ostilità da numerosi esponenti di varie classi sociali nella Francia del dopoguerra. La grande borghesia non le perdonò il divorzio e di aver infranto le convenienze e gli ordini sociali dell’ epoca. Una parte della classe medica giudicò negativamente i suoi successi professionali in un ambiente ancora essenzialmente misogino. La gerarchia militare la considerò sempre con un certo fastidio, considerandola una civile che aveva rivestito l’ uniforme solo per errore. Infine la classe politica vide con allarme la sua opera sociale, sospettandola di sovversivismo. Ben presto ci si preoccupò dunque di annichilire il suo ricordo, che rischiava col suo esempio di <<contaminare i sacri ideali femminili del matrimonio e della maternità e accelerare l’ emancipazione delle giovani donne francesi>>. Non ci si può stupire se l’ oblio scese così rapidamente sulla sua vita e le sue opere. Poco dopo la scomparsa di Nicole muoiono anche due fratelli e il vecchio padre. Muore negli Stati Uniti l’ ex-marito Andrè, trasferitosi oltreoceano per affari e risposatosi con una americana. Muore a soli 27 anni l’ adorato figlio Etienne, per malattia contratta durante il servizio militare in Siria come sottotenente di cavalleria, in un reparto di Spahis impegnato in operazioni di polizia contro i ribelli musulmani. Nel 1948, a trent’ anni dalla morte della dottoressa Mangin, Maurice è ormai l’ unico fratello superstite. Anziano e malato, pubblica in proprio un opuscoletto per ricordarne la figura. Con gli anni i beni di famiglia passano di mano e all’ inizio degli anni 70 anche la casa avita di Véry, ridotta in macerie dall’ artiglieria tedesca e poi ricostruita tale e quale negli anni 20, viene definitivamente demolita per edificare un moderno edificio a più piani. Il recupero e la rivalutazione della memoria di Nicole Mangin inizia all’ inizio del 21° secolo, quando il Dr. Jean-Jacques Schneider le dedica una esaustiva biografia. Ricorrendo nel 2014 il primo centenario della Grande Guerra, numerosi ministeri, enti, associazioni e municipi d’ oltralpe l’ hanno commemorata a vario titolo.
    Nicole Mangin non ricevette mai in vita decorazioni, citazioni o testimonianze di riconoscenza dell’ autorità militare per i suoi lunghi anni di servizio a beneficio di feriti e malati. Ciò nonostante ricevette con emozione e conservò religiosamente una targa metallica, donatale in segno di riconoscenza dai malati di tifo da lei risanati all’ ospedale n° 13 di Glorieaux. La placca, ricavata da una grossa scheggia d’ artiglieria, riporta una citazione di Rudyard Kipling: <<E’ uno dei misteri della personalità umana che taluni abbiano uno spirito tanto elevato che esso si trasmette ai loro commilitoni incoraggiandoli o solo rendendoli più nobili, anche quando i loro stessi nervi sono giunti all’ estremo limite della tensione ed essi sono spossati dalla fatica e divorati dalla febbre. Non esiste un segno esteriore dal quale si possa riconoscere questo genere d’ uomini prima che essi abbiano dato prova di sé. Il loro segreto non si apprende>>.


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    (*) La tubercolosi nell’ esercito francese durante la Grande Guerra.
    Anche in Francia come in tutta Europa, la tubercolosi è uno dei grandi flagelli dell’ epoca. Nell’ anteguerra gli uomini colpiti da tubercolosi, anche se antica e stabilizzata vengono abitualmente riformati d’ ufficio dalle commissioni sanitarie dei distretti militari. Ma le immani perdite umane della Grande Guerra portano le autorità militari ad abbassare gli standard sanitari pur di arruolare nuovi soldati. Si osserva così che nel corso della guerra sopravvengono oltre a numerosissime infezioni primarie, le tubercolosi evolutive, risultanti dalla riattivazione di vecchi focolai della malattia. La tubercolosi evolutiva o latente è a sua volta definita aperta o ferma, a seconda che vi sia o no perdita di sangue. Se i soggetti colpiti provengono da tutte le classi sociali, si nota che la maggioranza di essi si trova fra la popolazione che vive in condizioni di vita malsane ed è gravemente denutrita. La guerra favorisce una recrudescenza della malattia. La mortalità per tubercolosi in Francia raddoppia dal 19,21 % dell’ anteguerra al 41,55 % del 1918. Nel 1916 il Servizio di sanità militare ha in cura 60.000 richiamati tubercolotici e tra il 2 agosto 1914 ed il 31 ottobre 1917, 81.500 soldati affetti da Tbc vengono riformati e congedati senza pensione e 6579 con pensione. In totale tra il 1914 e il 1918 in seno all’ esercito francese sono diagnosticati 150.000 casi accertati su 400.000 sospetti. I decessi superano le quarantamila unità. Oltretutto all’ inizio delle ostilità i richiamati infetti vengono senz’ altro rinviati a casa, aumentando così in modo esponenziale il contagio fra la popolazione civile, principalmente familiari e amici che si prendono cura di loro. In seguito la maggior parte dei tubercolotici accertati è presa in carico dagli ospedali militari distrettuali, dove però sono frammisti agli altri degenti, cosa che provoca nuovi casi. Ben presto diventa evidente la necessità di isolare i militari tubercolotici in strutture omologhe ai sanatori civili e l’ esercito apre centri specializzati come Dompierre nel distretto dell’ Allier e Jonchery nell’ Alta Marna. In seguito a una convenzione col ministero dell’ Interno sono aperti altri 45 ospedali per un totale di oltre 8000 posti letto. Venticinque di questi sono finanziati dalla Croce Rossa americana e dalla Fondazione Rockefeller.
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  2. #2
    Moderatore L'avatar di maxtsn
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    Bel resoconto. Bravo
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  3. #3
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    Molte grazie per questo ottimo post che mi ha fatto conoscere la storia di una donna eccezionale che merita di essere ricordata!

  4. #4
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    Citazione Originariamente Scritto da maxtsn Visualizza Messaggio
    Bel resoconto. Bravo
    Grazie. Devo tutto alla lettura del bel libro di Schneider, regalatomi da un amico medico.

  5. #5
    Collaboratore L'avatar di Il Cav.
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    Posto, per completezza, un' ultima foto sfuggitami inizialmente. Mi scuso per il ritardo.
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