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Discussione: La marina italiana nella prima guerra mondiale

  1. #1
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    Mar 2015
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    La marina italiana nella prima guerra mondiale

    Il ruolo delle FFAA italiane fu sicuramente decisivo nel determinare la vittoria dell’Intesa e la sconfitta degli imperi centrali, come si può provare con sicurezza sulla base della dinamica degli eventi bellici, delle perdite inflitte, dell’importanza centrale dell’Italia nella distruzione dello stato asburgico. Naturalmente, la parte più importante fu svolta dalla guerra terrestre, ma anche quella marina ebbe la sua importanza.



    I) Le dimensioni delle flotte nel 1914
    Durante la prima guerra mondiale, per dimensioni le maggiori flotte militari del mondo erano, nell’ordine di grandezza, inglese, tedesca, americana, francese, giapponese, italiana, austro-ungarica. La marina militare di gran lunga più potente era quella del Regno Unito, seguita, ad una certa distanza, da quelle della Germania e degli USA. Decisamente più piccole erano le rimanenti flotte di Francia, Giappone, Italia, Austria-Ungheria, dalle dimensioni abbastanza comparabili fra loro. La Regia Marina italiana era quindi, nel 1914, la sesta del mondo.
    Fra le suddette, le uniche marine ad aver partecipato effettivamente al conflitto, se si esclude il limitatissimo impiego di quelle americana e giapponese nella caccia ad alcuni corsari e sommergibili del Kaiser, furono quelle europee.
    Si riportano qui soltanto i dati numerici delle maggiori marine europee della “Grande Guerra”, riferiti alle cosiddette “navi da battaglia” (secondo la terminologia corrente), ossia le unità principali, di maggiore tonnellaggio, corazzatura e potenza di fuoco, da cui dipendeva l’esito appunto delle battaglie. Nel 1914-1918, navi da battaglie erano le corazzate di tipo Dreadnoughts (tipo moderno), incrociatori corazzati, corazzate di tipo antiquato (pre- Dreadnoughts), incrociatori da battaglia, le quali tutte costituivano nel periodo della prima guerra mondiale, anteriormente al sorgere delle portaerei, il nucleo della forza navale. Il seguente elenco riguarda tutte le unità effettivamente adoperate nel corso dal conflitto dai belligeranti, senza distinguere né fra quelle varate dopo l’inizio della guerra, né quelle perdute.

    Regno Unito
    Corazzate di tipo Dreadnoughts/ Incrociatori corazzati: 35
    Corazzate di tipo pre- Dreadnoughts: 40
    Incrociatori da battaglia: 10
    Totale: 85


    Germania
    Corazzate di tipo Dreadnoughts/Incrociatori corazzati: 20
    Corazzate di tipo pre- Dreadnoughts: 30
    Incrociatori da battaglia: 7
    Totale: 57


    Francia
    Corazzate di tipo Dreadnoughts: 7
    Incrociatori corazzati: 6
    Corazzate di tipo pre- Dreadnoughts: 15
    Incrociatori da battaglia: 0
    Totale: 28


    Italia
    Corazzate di tipo Dreadnoughts: 5
    Incrociatori corazzati: 8
    Corazzate di tipo pre- Dreadnoughts: 8
    Incrociatori da battaglia: 2
    Totale: 23



    Austria-Ungheria
    Corazzate di tipo Dreadnoughts: 6
    Incrociatori corazzati: 3
    Corazzate di tipo pre- Dreadnoughts: 6
    Incrociatori da battaglia: 0
    Totale: 15




    II) Confronto fra le flotte italiana ed austro-ungarica nel 1915
    Nel 1915, il rapporto di forze fra la marina militare italiana e quella austro-ungarica era il seguente:

    Italia/Austria-Ungheria
    Navi da battaglia: 13/15
    Incrociatori (pesanti e leggeri): 25/10
    Cacciatorpediniere: Italia 25/25
    Torpediniere: 59/69
    Sommergibili: 21/7
    Non si può quindi parlare di una superiorità austriaca per numero e potenza di unità all’inizio del conflitto. Essa esisteva per le navi da battaglia, ma era esigua. Era invece schiacciante quella italiana per gli incrociatori in senso stretto (esclusi quindi i corazzati e quelli “da battaglia”). Erano un poco superiori di numero le piccole torpediniere austro-ungariche, d’altronde adatte pressoché esclusivamente all’incarico di guardiacoste, e costruire in gran numero dagli austriaci al fine di sorvegliare la costa dalmata, adatta all’impiego di simili imbarcazioni. Per quanto invece concerne i ben più temibili sommergibili, l’Italia ne disponeva in numero triplo. Di fatto, sul piano puramente quantitativo, si aveva un equilibrio.
    Nel 1915 la flotta nemica era invece migliore per preparazione degli equipaggi e della imbarcazioni, poiché si trovava in guerra ormai da un anno ed aveva avuto tempo e modo d’esercitare i primi e di “rodare” le seconde. Invece, la marina italiana si trovava a combattere contro un nemico ormai più esperto, con un ritardo nell’arrivo delle nuove, grandi unità, che richiedevano (come tutte le altre all’epoca) anni di costruzione ed il cui varo era previsto per lo più a mesi dal momento dell’ingresso in guerra, ma che, anche dopo il varo, avrebbero richiesto altri mesi di sperimentazione per divenire realmente operative.
    Questa situazione di sostanziale equilibrio per numero e potenza dei mezzi, e di superiorità austriaca nella preparazione degli equipaggi e delle unità, andò gradualmente mutando nel corso del tempo. Anzitutto, diverse “navi da battaglia”, la cui costruzione era incominciata nel 1914, od anche prima, vennero progressivamente varate, ribaltando l’iniziale rapporto di forza: nel corso del conflitto, l’Austria ebbe sul mare un totale di 15 navi da battaglia, l’Italia ben 23. Al momento dell’armistizio, ne esistevano 12 austriache contro 19 italiane.
    Inoltre, il ritardo derivante dalla neutralità italiane del 1914 nella “messa a posto” delle imbarcazioni e l’addestramento degli equipaggi fu non solo colmato, ma anche in questo caso rovesciato. La Regia Marina italiana divenne, a partire dal 1917, superiore a quella Imperiale non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente, con la sperimentazione di nuovi mezzi, come i celebri MAS, la costituzione di una vera aviazione di marina, la creazione dei primi aereosiluranti ecc.
    In breve, la marina italiana iniziò la guerra pari per quantità, inferiore per qualità, ma la terminò superiore sotto entrambi gli aspetti.



    III) Le vicende della guerra navale
    È uscita da pochi anni una monografia dedicata in modo specifico alla guerra navale italiana nel 1915-1918, opera di dell’ammiraglio Franco Favre (ex comandante dell’incrociatore “Vittorio Veneto”, che ha per motto Victoria nobis vita), “La marina militare italiana nella Grande Guerra”, Udine, Gaspari editore, 2008. L’opera del Favre si segnala anzitutto per il contenuto molto “tecnico” ed obiettivo, fortunatamente privo di caratterizzazioni ideologiche di qualsiasi natura, che non dovrebbero mai comparire in uno studio storico, essendo del tutto estranee a questa disciplina, ed anzi tali da pervertirla.
    Si può qui riassumerne alcuni dei contenuti di maggior risalto, integrandoli con considerazioni ed osservazioni provenienti da altre fonti.
    L’ammiraglio Favre descrive una flotta italiana inizialmente in difficoltà (nel 1915), che poi nel 1916 riesce a conquistare il controllo della maggior parte dell’Adriatico, costringendo quella nemica a rimanere nei propri porti o nelle vicinanza della costa della Dalmazia, affidandosi a brevi sortite e specialmente ai sommergibili. In seguito, nel 1917 il perfezionamento degli strumenti di “guerriglia navale” italiani consente una serie di rapide e temibili incursioni nel cuore stesso delle posizioni nemiche, mentre nel 1918 si ottengono i maggiori successi. Lo scenario che il Favre delinea è quindi quello d’una progressiva crescita delle capacità operative italiane, e di un parallelo diminuire di quelle austriache. Leggendo fra le righe del Favre, si possono riconoscere approssimativamente tre grandi fasi della guerra navale italiana.

    1) La prima fase (maggio-novembre 1915) vede la parte italiana in svantaggio, sia per alcuni successi militari della flotta austriaca, sia, anche e soprattutto, per l’incapacità italiana di controllare realmente il mare Adriatico, proteggere le proprie coste ed i propri porti, nonché i propri convogli mercantili. Le ragioni di questa situazione sono fondamentalmente tre.
    a) Anche il Favre ricorda il noto dato di fatto della diversità fra costa italiana adriatica e dalmata, completamente aperta la prima, protetta da un fitto arcipelago, (luogo estremamente propizio per postazioni d’artiglieria, d’osservazione, piccole unità come le torpediniere poste in agguato) la seconda. Gli spostamenti e le basi della flotta austriaca potevano avvenire in tutta sicurezza dietro al dedalo delle isole dalmate, mentre quelli italiani erano lasciati scoperti dalla configurazione naturale della costa
    b) Inoltre, la Regia Marina aveva preparato nell’anteguerra le sue basi per un conflitto contro la Francia (basi di Genova, La Spezia, Livorno, Napoli, e soprattutto Messina), ed era impreparata per mezzi ed attrezzature nei porti rivolti verso l’Austria. La preparazione dei porti e delle difese costiere richiedevano anni di lavoro e somme ingenti, e non si era potuto rimediare nel solo 1914. Al contrario, l’Austria aveva dovuto preoccuparsi di guarnire l’unico tratto di costa che avesse. Il risultato fu che, malgrado lavori accelerati nei porti di Venezia e Brindisi, lo spostamento di batterie costiere dal Tirreno all’Adriatico, e la creazione di treni armati, le coste ed i porti adriatici nel 1915 erano ancora inadeguati.
    c) Ancora, la flotta nemica era in guerra ormai da un anno, ed aveva avuto il tempo di porsi in condizioni di piena efficienza operativa, sia come equipaggi, sia come navi, mentre quella italiana scontava il ritardo dell’ingresso in guerra. Una nave da guerra, specialmente una “nave da battaglia”, abbisognava sempre d’un certo periodo di tempo (solitamente, alcuni mesi), per poter entrare in condizioni di piena operatività bellica. Similmente, gli equipaggi italiani non avevano l’esperienza acquisita da quelli austriaci in un anno di guerra contro i Francesi.

    La risoluzione di tutte le problematiche suddette (difese costiere, porti, messa a punto delle navi, adeguamento delle capacità degli equipaggi contro un nemico reso più esperto da un anno di guerra) richiesero tempo per essere condotte a termine, e nel frattempo la flotta nemica scorrazzava per l’Adriatico, infliggeva perdite pesanti alle unità italiane, bombardava più volte Venezia, Porto Corsini, Ancona, Bari, Brindisi, minacciava od impediva l’importante traffico mercantile, recideva talora le linee di comunicazione fra Italia e Balcani.

    2) La seconda fase (dicembre 1915- Caporetto), vede il vento cambiare, con il varo di nuove e potenti unità da parte italiana, che forniscono un “potere di deterrenza” accresciuto nei confronti delle sortite del grosso della flotta nemica, nonché lo sviluppo di un folto naviglio silurante di piccole dimensioni, tale da rappresentare, con unità piccole, veloci ed economiche, una grave minaccia per costosissimi colossi come le “navi da battaglia”, difficilmente manovrabili nel mar Adriatico. Al tempo stesso, i porti e le difese costiere della zona adriatica sono ormai stati approntati, mentre gli equipaggi e le unità italiane sono ormai “rodate”. La Regia Marina è quindi ormai pari a quella nemica per preparazione degli uomini e dei mezzi, ma supera quella austriaca per numero e potenza.
    Il nemico in questo periodo è ormai costretto a rinserrarsi nei propri porti, affidandosi per il resto ai sommergibili od a sporadiche incursioni. La guerra marina è ormai una continua e logorante successione di pattugliamenti ed agguati. Le navi di maggiore mole e potenza, a causa delle insidie costituite da sommergibili, piccoli siluranti, nonché mine e torpedine. Per così dire, la guerra navale diviene una sorta d’assedio, in cui la flotta austriaca, più debole, ma rinserrata in posizioni difensive assai forti, risponde alla morsa nemica con sortite ed incursioni.
    Sono due gli obiettivi strategici delle flotte nemiche. Il primo consiste rispettivamente mantenere (per la Regia Marina) e forzare (per la marina austriaca) il blocco navale, che impedisce l’afflusso di mercantili verso la Duplice Monarchia e protegge i convogli diretti all’Italia. Il secondo, analogo al primo, è dato dall’appoggio logistico alle proprie truppe in area balcanica.
    In proposito, spicca il salvataggio dell'esercito serbo a fine 1915 - inizio 1916, imbarcato dalle navi italiane a Durazzo e soprattutto a Valona, insieme ad alcune truppe italiane dislocate a sostegno ed a ben 20.000 prigionieri austriaci in mano agli stessi serbi in rotta. Oltre 200.000 militari serbi e italiani furono tratti in salvo dalla marina in quell'occasione, malgrado le condizioni molto sfavorevoli (l’inverno, la necessità d’operare sulla costa balcanica, la vicinanza delle basi nemiche a Cattaro), e senza neppure una sola unità perduta. La flotta austriaca non fu in grado d’impedire il salvataggio d’un intero esercito, malgrado gli sforzi compiuti, lasciando conseguire alla marina italiana un risultato di straordinaria importanza militare (oltre 200000 uomini, più 20000 prigionieri) ed anche politica, poiché la Serbia, pur invasa, poté conservare un suo esercito combattente sino alla fine della guerra.
    Per quanto riguarda il blocco navale, esso, ancora debole nel 1915, si fece sempre più stretto, assicurando sempre di più la sicurezza dei rifornimenti commerciali diretti all’Italia contro sommergibili, navi corsare, unità leggere ecc. che partivano dalle basi dalmate, ed assieme strangolando progressivamente l’economia austro-ungarica, privata dei commerci marittimi.
    3) la terza ed ultima fase (Caporetto-fine della guerra) vide un ulteriore accrescimento della supremazia navale italiana. Dopo Caporetto, la flotta ed i fanti di marina impedirono la conquista di Venezia da parte della marina austriaca, cosa che avrebbe avuto un’importanza notevole sia sul piano psicologico, sia strategico. Il blocco navale era ormai ferreo, più che nel 1917, e la navi mercantili nel Mediterraneo erano più al sicuro che in passato. I tentativi dell’ammiraglio Horthy di forzare lo sbarramento italiano servendosi delle grandi navi da battaglia si risolsero regolarmente in fallimenti. Inoltre, in questo periodo la Regia Marina affondò tre corazzate nemiche, senza subire alcuna perdita.


    IV) Il risultato strategico e tattico della guerra navale italiana
    È possibile ora valutare i risultati della guerra navale italiana nel 1915-1918. Una tradizionale a fondamentale distinzione è quella fra l’esito tattico e quello strategico, fra cui il secondo è molto più importante del primo. Questo è particolarmente vero per la guerra navale ancora più che per quella terrestre.

    1) Si può incominciare con una breve considerazione sugli esiti tattici, più semplici da valutarsi.
    Limitandosi alle unità più importanti, e tralasciando quelle piccolissime (torpediniere, navi guardiacosta, ecc.), le perdite italiane ed austriache furono le seguenti:
    Italia:
    corazzata Dreadnought Leonardo da Vinci
    l'incrociatore corazzato Amalfi
    L'incrociatore corazzato Garibaldi
    corazzata pre-Dreadnought Benedetto Brin
    corazzata pre-Dreadnought Regina Margherita
    2 cacciatorpedinieri (Nembo ed Impetuoso)
    1 sommergibile (Nereide)


    Austria-Ungheria
    corazzata Dreadnought Santo Stefano
    corazzata Dreadnought Viribus Unitis
    corazzata pre-Dreadnought Wien
    4 cacciatorpediniere
    7 sottomarini

    Nel caso della guerra di terra la valutazione delle perdite subite ed inflitte è solitamente più lineare, poiché tiene conto anzitutto degli uomini (morti, feriti, prigionieri, dispersi). Nel caso della guerra navale, un esame deve essere più articolato, causa le grandi differenze esistenti fra le diverse unità. Occorre quindi tenere conto di almeno 3 fattori principali: il tonnellaggio affondato, il numero di navi, la modernità.
    Se si guarda al numero di unità affondate, il totale è a favore dell’Italia per 8 a 14. Invece, se si tiene conto del tonnellaggio (calcolato sulla base delle unità suddette), esso è a favore dell’Austria per 70.467 contro 51.102. Invece, per quanto concerne la modernità, le unità leggere distrutte erano tutte, da ambo le parti, abbastanza moderne. Il panorama muta per le “navi da battaglia”. Fra le cinque navi da battaglia italiane affondate, una era una corazzata Dreadnought, più potente e moderna, mentre le rimanenti erano due incrociatori corazzati (un modello di transizione fra le corazzate pre-Dreadnought e le Dreadnought) e tre corazzate antiquate. Al contrario, delle tre navi da battaglia austriache, due erano in assoluto le più potenti dell’intera flotta, corazzate Dreadnought della “classe Tegethoff”, mentre la terza era obsoleta.
    Non è facile stabilire in termini assoluti la maggiore importanza del numero di unità distrutte, o di tonnellaggio, occorrendo valutarne l’importanza per ogni circostanza bellica, pure il parametro probabilmente più importante nella considerazione dei successi tattici nella guerra navale è quello del tonnellaggio, che vede il prevalere della K.u.K. Kriegsmarine. Esso però è contraddetto dagli altri due indici considerati, numero di unità e modernità.
    Ritengo pertanto che una valutazione dell’efficacia delle due flotte sul piano strettamente tattico debba concludere per un sostanziale equilibrio. Maggiore il numero di tonnellate affondate dall’Austria, superiore quello delle unità da guerra per l’Italia, fra cui la metà del fulcro della forza operativa nemica, 2 su 4 corazzate della modernissima e potente classe Tegethoff.
    Per quanto invece concerne non i risultati tattici in quanto tali, bensì una valutazione dell’efficacia della marina, desidero ricordate quanto segue. Anzitutto, si deve considerare che ben due corazzate, fra cui l’unica dreadnought perduta dall’Italia, non furono distrutte dalla Marina nemica, bensì dal Servizio Segreto austriaco tramite sabotaggio, per cui è discutibile confrontare i risultati ottenuti dalle due flotte includendo nel computo anche la Benedetto Brin e la Leonardo da Vinci. Escludendo queste due corazzate, le perdite inflitte dalla Regia Marina alla K.u.K.K. sarebbero ben maggiori di quelle subite: 51.000 austriache contro 34.000 italiane. Concludo quindi sostenendo che, sul piano strettamente tattico, la guerra navale italo-austriaca si concluse in sostanziale equilibrio per quanto concerne gli esiti.
    Inoltre, la Regia Marina riuscì ad ottenere tale risultato ad onta degli attentati compiuti da agenti prezzolati del Servizio Segreto nemico (che gli costò due corazzate e 36.000 tonnellate) e dello svantaggio delle diversità fra costa italiana e dalmata (bassa e lineare la prima, con alte scogliere e ricchissima di isole la seconda, il che la rendeva fortissima strategicamente), il che testimonia come il livello di efficienza della marina italiana considerata in quanto tale fosse almeno pari, se non superiore, rispetto a quella austriaca.

    2) Per quanto riguarda invece le conseguenze strategiche del conflitto navale, allora si deve parlare inequivocabilmente d’una grande vittoria italiana.
    Un primo grande risultato strategico fu ottenuto nel 1915 dalla Regia Marina, ad onta di un contesto operativo nella circostanza non favorevole. Nel dicembre del 1915 l’esercito serbo fu disfatto e la Serbia invasa. I superstiti delle armate serve si ritirarono in Albania, da cui vengono evacuati dalle flotte italiana e francese, prima di essere riorganizzati e trasferiti a Salonicco. Un totale di 270.000 uomini, che tornarono a combattere, furono salvati dalla prigionia principalmente grazie all’operato della marina italiana, e solo secondariamente di quella francese.
    Tale operazione di salvataggio, di grande portata militare e politica fu condotta a termine senza neppure la perdita di una unità. Inoltre, essa non fu avvantaggiata dalla geografia, poiché l’importante base austriaca delle “bocche di Cattaro” si trovava in Montenegro, vicinissima all’Albania. Il trasporto dovette quindi avvenire in prossimità di una base della flotta nemica, con porti piuttosto piccoli per il carico (Valona all’epoca aveva dimensioni decisamente ridotte), in pieno inverno, con l’esigenza di essere rapidi sotto l’incalzare delle forze nemiche.
    Oltre all’importanza militare intrinseca del salvataggio di 270.000 militari, si deve tener conto della sua valenza politica, poiché permise allo stato serbo, pur invaso, di conservare una sua forza combattente fino al termine del conflitto, il che fu d'un certo rilievo per i popoli slavi parte dell'impero.
    Questo è un importantissimo risultato strategico della flotta italiana, condotto a compimento in maniera impeccabile, e di per sé ben più importante di tutti i successi tattici ottenuti dalla marina austriaca. Per dare un’idea dell’importanza di questo risultato, basti ricordare che per l’esercito italiano non aveva ancora raggiunto un totale di 250.000 morti dopo due anni di guerra, 1915-1916. Certo, bisognava anche tener conto dei feriti e dei prigionieri, ma resta il fatto che, fra le 11 battaglie dell’Isonzo, nessuna costò all’Italia 250.000 perdite. Riuscire a salvare un intero esercito, senza subire perdite, fu per la Regia Marina l’equivalente di una grande vittoria terrestre.
    Un secondo grande risultato strategico fu per la flotta italiana aver costretto quella nemica ad una condizione di sempre maggiore passività, sino a divenire pressoché inutile. La prima guerra mondiale, sui mari, consisté principalmente in un blocco navale esercitato dalle flotte dell'Intesa contro quelle delle Potenze Centrali. L'Italia, in questo, fece la sua parte esattamente come Francia ed Inghilterra, ed il comportamento della flotta austriaca fu pressoché identico a quello della Kriegsmarine.
    Però, fu proprio questo blocco a sfiancare economicamente e moralmente le Potenze Centrali. Inoltre, l'aver sollevato la flotta francese dall'esigenza di chiudere nei suoi porti quella austriaca (basti dire nel 1914 bastò un solo incrociatore di battaglia tedesco nel Mediterraneo, il Goeben, per vincolare su di sé il grosso della marina francese, preoccupata per la protezione delle rotte dal nord Africa alla Francia) la rese disponibile per la sorveglianze delle rotte atlantiche e della Manica, assicurando una maggiore protezione ai convogli.
    In breve: la flotta italiana cooperò, esattamente come le altre dell'Intesa, al blocco navale contro le Potenze Centrali, ed assieme assicurò una migliore sicurezza ai propri convogli marittimi. Il suo contributo a quest'attività fondamentale per le marine alleate fu proporzionale alle proprie dimensioni.
    Si può quindi concludere con piena certezza che l’operato della Regia Marina sia stato comparabile, mutatis mutandis, a quello dell’esercito nel distruggere l’Austria-Ungheria e come esso abbia visto un certo successo strategico. Ciò che hanno fatto gli eserciti e le flotte riunite di diversi stati (Francia, UK, Belgio, USA) contro la Germania, è riuscito all’Italia da sola contro l’Austria-Ungheria.

  2. #2
    Moderatore L'avatar di squalone1976
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    Disamina eccellente, puntuale e assolutamente apprezzabile ed interessante.

    Grazie mille per la condivisione.

    ChM
    Virgo fidelis Usi ubbidir tacendo e tacendo morir

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