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Discussione: Marcello Mastroianni disegnatore per la TODT

  1. #1
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    Marcello Mastroianni disegnatore per la TODT

    In un vecchio libro-intervista, pubblicato anni or sono dalla Rai, un Marcello Mastroianni ormai anziano ricordava gli episodi salienti della sua vita privata e professionale. Ecco nelle parole del divo (che non nascose mai le sue idee di sinistra), la vicenda della sua assunzione nella Todt come disegnatore, per evitare l’ arruolamento nell’ esercito della Rsi. E le circostanze che lo portarono da Roma a Venezia.
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    (…)
    A me il fascismo, coi suoi riti e le sue consuetudini piaceva. Si sognava, in fondo. Poi crollò tutto. Prima non è che uno avesse la fede fascista: quello che vivevamo ci sembrava normale. Dopo uscirono i manifesti: dicevano che chi non si presentava veniva fucilato sul posto. Apparve un avviso di concorso per disegnatori, Organizzazione Todt. Parlai con un mio amico, Valentino Orlandi, che abitava all’ ultimo piano: “A’ Valentì, vogliamo provare?”. Se ti accettavano eri esonerato, niente soldato. Andammo per l’ esame. Io, siccome avevo studiato nella Sezione periti edili, avevo la mano facile, non la tremarella come adesso. E quindi fui ammesso, e anche Valentino, con una trentina di altri ragazzi romani, e venimmo spediti a Firenze, perché l’ Istituto geografico militare si trovava lì. Intanto a Roma c’ era una fame spaventosa. Un pochino peggio di quella che avevamo prima dello scoppio della guerra. Con alcuni camion ci portarono a Firenze e il piccolo convoglio fu attaccato da aerei americani. Mia madre, la notte, aveva sognato che ero sotto un bombardamento. Arrivammo a Firenze dove si mangiava: c’ erano le bistecche. Rimediai una bottiglia d’ olio e chiesi a un autista tedesco di portarla ai miei. E quello la portò. All’ Istituto comandava la Wehrmacht, ma molti nostri ufficiali avevano aderito per non smantellare questo capitale prezioso. Ho imparato che l’ archivio rappresenta un lavoro di secoli e viene aggiornato continuamente. Hai un orticello con delle pere. Cambi e pianti mele? Viene segnalato e modificato su quelle mappe topografiche. C’ eravamo fatti un programma: appena gli Alleati arrivavano a Roma, noi ce la saremmo squagliata e saremmo tornati a casa a piedi. Invece ci portarono a Dobbiaco, ai confini con l’ Austria, in una caserma degli Alpini, che erano tutti scappati. Eravamo seicento, c’ erano anche dei nuovi, figli di negozianti ricchi di Cortina che erano riusciti a intrufolarsi tra noi sempre per evitare di fare il militare. Cominciò a circolare la voce che ci avrebbero trasferiti in Germania e io escogitai qualcosa di straordinario per me. Ci facevano ancora disegnare quando Roma era sul punto di cadere; forse era per tenerci impegnati. Io avevo un Ausweis, un permesso, un documento di riconoscimento. Dissi a un mio amico: “Bisogna tagliare la corda. Come facciamo?”. Idea: carta lucida da architetto, che è dura, forte ma trasparente, messa sul timbro che era sul documento, penna, inchiostro da bollo, da stampigliatura, e tac: fatto. Riuscimmo a fregare due permessi, e io scrissi il mio nome e il suo, e poi “Gultigkeit” che voleva dire valevole, rinnovato, e la firma: maggiore Fuhler, con due puntini sulla u. Io ho ancora tutto, mia madre l’ ha conservato. Alla stazioncina di Dobbiaco i tedeschi controllarono, va bene, via, era come una licenza di convalescenza. Arrivammo a Calalzo, trovammo un camion carico di legna che andava verso sud e ci scaricò a Mestre. Avevamo da parte qualche soldino: ci davano un migliaio di lire al mese e lì non c’ era da spendere. Anzi: rubavamo le mele. Raggiungemmo a piedi Venezia, dove non ero mai stato. Prima del Ponte di Rialto c’ era una osteria. Ci fidammo del padrone. Cercavamo un alloggio. Ci mandò da un vecchino che sembrava Geppetto, in calle delle Rasse. Ci disse “Sì, ho un’ altana, una soffitta, ma non c’è niente. Sì, forse due pagliericci”. Ci siamo installati lì e non uscivamo quasi mai. Poi scoprimmo che nell’ ala napoleonica di piazza San Marco c’ era un ente profughi. Dimenticavo: il mio compagno era un pittore molto giovane, Remo Brindisi, un abruzzese. Era molto simpatico e dopo ha fatto una certa carriera. Andammo a vedere. Il presidente si chiamava Ascione ed era amico del padre di Brindisi. Una volta la settimana ci dava dei pacchi di fagioli e di pasta. Basta. Passò quasi un anno. Due volte fummo rastrellati in piazza San Marco dai battaglioni “M”. Una volta ci portarono in caserma. Non ce la siamo fatta sotto perché mangiavamo poco. L’ ufficiale esaminò la scritta tedesca, non capiva, dopo qualche minuto disse: “Va bene”. E una mattina uscimmo e sentimmo: ta-ta-ta. “Che festa è oggi, Remo?” chiesi. E invece all’ angolo, incappucciati, c’ erano i partigiani. Rientrammo subito e fummo così bravi da non mettere fuori il naso per una decina di giorni, perché ci dicemmo: “Ma qui c’ era anche una parte del governo della Repubblica Sociale” e noi avevamo, io specialmente, un inconfondibile accento romano. Intuimmo che bastava che uno dicesse: “Voi…” per finire magari fucilato. Perché ne hanno ammazzati tanti: o avversari politici o negli affari. Perché il furore popolare, unito alle carognate, fa stragi. E finalmente arrivarono gli alleati. Forse erano neozelandesi, quelli con il cappello con la tesa alzata da una parte, come gli esploratori. E rimanemmo anche scandalizzati perché si spogliavano nudi e si tuffavano dai ponti. Dicemmo: “Ma qui ci sono delle donne, dei bambini”. E restammo subito delusi perché uno si aspettava gente come Gary Cooper o come gli altri eroi del cinema americano.
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  2. #2
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    Bella storia , grazie della condivisione
    sven hassel
    duri a morire

  3. #3
    Utente registrato L'avatar di gotica68
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    Molto interessante davvero!

  4. #4
    Utente registrato L'avatar di device
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    Citazione Originariamente Scritto da sven hassel Visualizza Messaggio
    Bella storia , grazie della condivisione
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  5. #5
    Collaboratore L'avatar di Il Cav.
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    Grazie a voi

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