Ester Arditi, terzogenita di Mosè e Sofia Levi-Arditi nacque nel 1937 in una famiglia ebraica livornese. Durante la 2^ guerra mondiale sua madre fu deportata e uccisa dai nazisti. Dopo la guerra crebbe nel kibbutz di Cevoli, unica struttura di questo genere mai realizzata sul territorio italiano, dove i giovani sionisti si preparavano in vista dell’ emigrazione in Israele. Nel 1952 a soli 15 anni e senza conoscere la lingua ebraica si trasferì nel kibbutz di Amir – un centro agricolo della Galilea – lasciando in Italia il padre e i due fratelli. Nel 1953 si arruolò volontaria in aviazione come infermiera conduttrice di ambulanza e fu destinata a un aeroporto nel deserto del Negev. Durante la guerra del 1956, trovandosi in un campo avanzato sul fronte del Sinai, salvò due piloti gravemente feriti estraendoli dal loro velivolo incendiatosi durante un atterraggio notturno di fortuna, incurante delle pallottole vaganti che esplodevano a causa delle fiamme. Per quest’ atto di eroismo fu insignita con decisione unanime del parlamento della Zion Lescvah, la più alta onorificenza militare israeliana mai conferita in precedenza ad una donna. Tornata alla vita civile fu adottata dalla famiglia di Jacob Salomon, uno dei due piloti che aveva salvato. Si sposò, ebbe due figli e continuò a lavorare come infermiera all’ ospedale ebraico di Gerusalemme come responsabile di una ambulanza con turni continuativi di sette ore. Nel 1966 volendo dedicare più tempo alla famiglia si impiegò come guida turistica, accompagnando le comitive italiane in visita ai luoghi storici. Scoppiata la guerra del 1967, di sua iniziativa passò la linea di frontiera in borghese aggregandosi ai paracadutisti come infermiera. Recuperò una giubba e un elmetto e rimase per sei giorni sulla linea del fuoco, curando i feriti israeliani, i soldati giordani della Legione Araba e i molti civili musulmani coinvolti loro malgrado negli scontri, unica donna ad addentrarsi nei vicoli della città vecchia. Poi come era apparsa silenziosamente scomparve, tornando alla sua vita di tutti i giorni. Nei mesi successivi i soldati israeliani da lei salvati inondarono di appelli i media nel vano tentativo di rintracciarla. Nessuno conosceva il suo nome, nessuno sapeva a che unità appartenesse – dato che nessun comando militare l’ aveva mai richiamata – ed Ester, ritenendo di non aver fatto nulla di particolare e non desiderando pubblicità si guardò bene dal farsi identificare. Nacque allora il mito dell’ “Angelo di Gerusalemme” che venne amplificato in maniera incredibile dalla stampa israeliana anche a fini propagandistici, una vicenda assimilabile forse solo a quanto accadde in Gran Bretagna nella 1^ guerra mondiale col mito degli “Angeli di Mons”. Solo quando i rabbini ortodossi cominciarono a predicare nelle sinagoghe che l’ angelo era in realtà il profeta Elia, sceso dal cielo in uniforme da parà per dar manforte al popolo ebraico in armi, le amiche con le quali si era confidata pregandole di mantenere il silenzio indicarono finalmente Ester alle autorità. Così la schiva eroina di due guerre dovette rassegnarsi a ricevere una seconda Zion Lescvah, attribuitale sul campo, direttamente dalle mani di Moshè Dayan. Ester Arditi morì nel 2003 mentre si trovava in Italia in visita ai parenti.
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