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Discussione: Luigi Robecchi Bricchetti, esploratore d' Africa

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    Luigi Robecchi Bricchetti, esploratore d' Africa

    Luigi Robecchi Bricchetti nacque a Pavia il 21 maggio 1855 a Pavia in una vecchia casa del corso di Porta Borgoratto, l’ attuale corso Cavour, figlio illegittimo di una giovane sarta, Teresa Bricchetti, e del nobiluomo pavese Ercole Robecchi, membro di un’ agiata famiglia di proprietari terrieri residenti a Zerbolò, che fu costretto a riconoscere il figlio solo nel 1874, dopo una lunga azione legale. Il sostegno finanziario paterno gli permise di studiare ma il giovane dovette soffrire assai i contrasti dei due genitori e la sua condizione di figlio naturale, se in quel periodo fuggì di casa sperando di passare in Svizzera. Le sue origini ne influenzarono sin dalla giovinezza la personalità, naturalmente portata all’ avventura e all’ anticonformismo. Fu appassionato sportivo, pioniere del ciclismo, fotografo dilettante, amante dei viaggi. Terminati gli studi primari presso il Regio istituto tecnico di Pavia, si iscrisse prima all’ Università di Pavia e poi al Politecnico di Zurigo, recandosi infine in Germania per perfezionarsi a Monaco, Dresda e Karlsruhe, dedicandosi al contempo allo studio delle principali lingue europee ed orientali. Laureatosi come ingegnere meccanico-costruttore, iniziò a lavorare come rappresentante di importanti ditte francesi e tedesche. Specializzatosi nell’ installazione di impianti elettrici, attività che lo portò a lavorare per qualche tempo nel continente americano, all’ inizio del 1884 si trasferì a Le Havre per verificare la possibilità di realizzare in quella città un impianto di illuminazione elettrica e nello stesso anno prese parte all’ Esposizione internazionale di Torino, aprendovi uno “studio elettrico”. La sua avventura africana ebbe inizio nel 1885 quando, come ingegnere incaricato di progettare e realizzare l’ illuminazione elettrica dei presidi militari inglesi in Egitto, cominciò a viaggiare lungo la valle del Nilo per consegnare e mettere in opera i suoi materiali. Nell’aprile del 1886 insieme a un operaio elettricista suo dipendente, fu coinvolto nel ripiegamento delle truppe britanniche attaccate dai dervisci del Mahdi a sud di Assuan. Riuscì a salvarsi a stento fuggendo attraverso il deserto fino ad Alessandria d’ Egitto, dove giunse incolume ma senza un soldo alla fine del maggio 1886. A quel punto coltivò l’idea di un viaggio attraverso il deserto libico dal Cairo a Tripoli, al quale dovette però rinunciare. Si spinse invece nell’estate del 1886, accompagnato da una piccola carovana di quattro cammelli vestito da beduino e con scarse provvigioni fino all’oasi di Siwa, visitando le rovine del tempio di Giove Ammone e la montagna di Carat el Mutsabarin, sede di numerose tombe rupestri di uno stile misto dorico-egiziano risalenti all’ epoca di Alessandro Magno. Tornò in Africa due anni dopo, imbarcandosi per Massaua nella primavera del 1888 per giungere l’8 luglio ad Harar, nella parte orientale dell’altopiano etiopico, dove rimase fino al 25 marzo 1889 cercando di organizzare la ricognizione del territorio e di collaborare con ras Malone per conto del quale costruì una chiesa copta sui resti di una antica moschea. In quel periodo frequentò il poeta francese Arthur Rimbaud, di cui elogiò le qualità di commerciante e con il quale trascorse il Natale del 1888, visitò Cialanco e compì diverse escursioni al lago Aramaja, al fiume Erer, alle valli dell’Argobba, al mercato di Bubassa e alle rovine di Bio-Kamona. Fallita l’impresa di penetrare in Somalia attraverso l’Harar, dopo essere salpato da Brindisi il 9 marzo 1890, ritentò da sud, primo europeo a compiere il tragitto da Obbia ad Alula con una traversata di duemila chilometri. Lasciata Obbia il 28 maggio, dopo brevi soste a Lugacabarà, tra i Rer Nehmala, e a Ilig, il 20 giugno esplorò per la prima volta la foce del Nogal, risalendone il primo tratto oltre Eil, ricco d’acqua. Ritornata sulla costa la spedizione, dopo avere toccato capo Hafun e capo Guardafui, giunse ad Alula il 29 agosto, avendo acquisito interessanti notizie sulle popolazioni locali e in particolar modo sull’ etnia Giagi. Rientrato in Italia nell’ottobre del 1890, si imbarcò nuovamente per la Somalia nel gennaio 1891 per guidare una missione che si proponeva di attraversare tutta la penisola somala, appoggiata dal governo italiano e dalla Società geografica italiana. Dopo una sosta a Mogadiscio il 22 aprile, raggiunse l’Uebi Scebeli a Hiram, passando per Uarandi. A causa delle incursioni abissine, non poté spingersi fino ad Harar, ripiegando su Berbera, nel Golfo di Aden, dove giunse il 30 agosto, per poi rimpatriare passando per Carram e Aden. Fra i risultati più significativi di questa spedizione si devono collocare le accurate raccolte delle tradizioni orali delle popolazioni incontrate, assai importanti fra i somali per l’identificazione di parentela fra le varie ‘cabile’ o ‘rer’ oltre a rilievi topografici e ricognizioni del territorio, fondamentali per la realizzazione di carte geografiche militari. Cinque anni dopo fu incaricato segretamente dal ministro degli Esteri Alberto Blanc di prendere contatto con capi libici qualificati e influenti e tentare l’attraversamento della Tripolitania in vista di una futura penetrazione economica e militare dell’ Italia nella regione. L’ impovvisato agente segreto giunse a Tripoli il 22 gennaio 1895 con un falso passaporto elvetico intestato al commerciante svizzero Otto Neustätter, ma per le imprudenze da lui commesse, si tradì goffamente destando i sospetti delle autorità turche e venne richiamato precipitosamente in Italia. Nel 1903 intraprese il suo ultimo viaggio, su incarico della Società antischiavista d’ Italia, della quale era membro, per verificare se nel Benadir, regione costiera allora controllata dagli italiani, si stesse effettivamente combattendo la schiavitù alimentata da trafficanti europei, arabi e africani. In questa circostanza il Robecchi Bricchetti cercò di osteggiare con grande passione e forza morale un fenomeno tradizionalmente accettato dalle stesse popolazioni africane come fonte di manodopera e ostentazione di ricchezza, affrancando con fondi dell’ associazione e con denaro proprio, un certo numero di schiavi. Rientrato definitivamente in Italia nel 1904, oltre a una gran quantità di cimeli e documenti, portò a Pavia una giovane e bellissima somala, una ex-schiava alla quale si era sentimentalmente legato, e il piccolo figlio di lei. Se il fenomeno del “madamismo” era comunemente accettato e apertamente praticato fra i bianchi in colonia, il moralismo europeo e le ristrette vedute della borghesia italiana di provincia consigliarono di non esplicitare la vera natura del rapporto tra l’ esploratore bianco e la donna di colore, ufficialmente declassata al ruolo di “cameriera”. Ma significativamente, dopo la morte i due saranno sepolti uno accanto all’ altra. Quanto al bambino, questi suscitò una viva curiosità nella Pavia di inizio secolo anche per l’ amore e l’ evidente orgoglio paterno che Luigi Robecchi Bricchetti esibiva nei suoi confronti e non si curava affatto di nascondere. Fu concordemente indicato come “il negretto Mabruc” evidente traduzione fonetica italiana di un nome che in origine doveva suonare probabilmente come Ma’brouk o Mu’barak. Sorge il dubbio che lui e la madre avessero mantenuto la religione islamica dato che entrambi si astenevano da alcolici e carne di maiale. E’ interessante anche notare come le idee anticonformiste e laiche dell’ Ing. Robecchi Bricchetti abbiano in qualche modo influito sull’ identità del piccolo africano. Infatti, diversamente da quanto richiedevano l’ uso comune e la morale dell’ epoca (che legavano inscindibilmente cristianizzazione e civilizzazione), a Mabruc non fu mai imposta una conversione più o meno forzata e dunque presumibilmente non fu mai battezzato con un nome cristiano. Crescendo il bambino si legò sempre più all’ ormai anziano esploratore che, forse colto dai rimorsi e certo memore delle sofferenze della propria infanzia da “illegittimo” alla fine lo adottò legalmente, garantendogli così la possibilità di studiare e integrarsi nella società italiana. Lo sfortunato Mabruc ebbe però vita breve, morendo di tubercolosi all’ età di quindici anni. Era a comune a quell’ epoca il fatto che la mortalità fra i pochi africani trapiantati in Europa fosse drammaticamente elevata. Lo choc culturale, il clima, l’ alimentazione, tutto concorreva a deprimere il fisico che, in assenza di vaccinazioni e mancando degli anticorpi sviluppati nei secoli dalla popolaziona europea, cadeva facilmente preda di malattie anche lievi, con conseguenze nefaste. La morte del giovinetto fu un colpo fatale per il Robecchi Bricchetti, che cadde preda di una grave depressione, uscendo sempre meno di casa e cercando rifugio dal dolore nel silenzio e nella solitudine. Il pioniere italiano dell’ esplorazione del corno d’ Africa morì a Pavia il 31 maggio 1926. Documenti, raccolte e cimeli furono spartiti tra i Musei civici di Pavia e i Musei etnografici e antropologici di Firenze e Roma. Autore di ben 41 pubblicazioni di carattere geografico, scientifico e coloniale, Luigi Robecchi Bricchetti fu riconosciuto come importante geografo ed esploratore a livello nazionale ed il Comune di Pavia gli intitolò negli anni ’30 una strada nella parte ovest della città. La sua salma è tumulata nel cimitero di Pavia, accanto alla madre di Mabruc. Stranamente però, non è noto il luogo di sepoltura del ragazzo, tanto che taluni ipotizzano che Mabruc Robecchi Bricchetti riposi nella stessa tomba della madre.
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