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Discussione: Argo 16

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    Argo 16

    Il 5 settembre 1973 agenti del Sid appartenenti all’ Ufficio D, diretto dal generale Gianadelio Maletti, grazie a informazioni del Mossad individuarono e intercettarono una cellula palestinese operante a Roma. Fecero irruzione in un appartamento di Ostia e in un albergo di Via Rasella arrestando cinque presunti terroristi che si preparavano ad abbattere un aereo della compagnia di bandiera israeliana El Al, utilizzando due missili terra-aria spalleggiabili Sa-7 di fabbricazione sovietica. Il vero bersaglio dell’ attentato sarebbe stato addirittura il primo ministro Golda Meir, presente in incognito sul volo di linea per ragioni di sicurezza. Questa circostanza fu nascosta alla stampa italiana dell’ epoca per non mettere in imbarazzo i vertici dei nostri servizi segreti. I cinque arabi vennero identificati come Ali al-Tayeb al- Fergani, Ahmed Ghassan al- Hadithi, Amin El Hindi, Gabriel Kohuri e Mohammed Nabil Mahmoud Azmi Kanj. Immediatamente l’ O.L.P. prese contatto tramite canali ufficiosi col nostro Ministero degli Esteri sollecitando il rilascio dei detenuti. Il 30 ottobre 1973, in base alle direttive segrete impartite al direttore del Sid generale Vito Miceli dal presidente del Consiglio Mariano Rumor e dal ministro degli Esteri Aldo Moro, due dei terroristi, Amin El Hindi (che risulterà poi essere Amin Busaysu, importante dirigente palestinese e numero due dei servizi di sicurezza di al-Fatah) e Ahmed Ghassan ottennero la libertà provvisoria su cauzione e furono ospitati a Roma in un appartamento dei servizi segreti. Il giorno successivo vennero imbarcati su un Douglas C-47 dell’Aeronautica Militare in uso al S.I.O.S. Aeronautica e alla struttura segreta stay-behind Gladio. Erano scortati da quattro ufficiali del Sid: il colonnello Giovan Battista Minerva, il capitano Antonio Labruna, il colonnello Stefano Giovannone e il tenente colonnello Enrico Dilani. Il velivolo MM 61832, contraddistinto dalla sigla SM 16 e noto col codice di chiamata radio Argo 16, decollò da Ciampino raggiungendo segretamente la Libia dove i due palestinesi furono subito messi in libertà e immediatamente rientrò in Italia, facendo uno scalo intermedio a Malta. Dopo meno di un mese, la mattina del 27 novembre 1973, poco dopo il decollo dall’ aeroporto Marco Polo di Tessera, l’ Argo 16 si schiantò nei sobborghi di Porto Marghera, con perdita totale dell’ equipaggio. Nonostante il silenzio delle autorità - intenzionate a nascondere l’ esistenza della struttura Gladio - il misterioso incidente fu subito attribuito a un sabotaggio del Mossad come rappresaglia per la politica filoaraba del governo italiano. Gli ultimi tre detenuti rimasero in carcere in attesa dell’ apertura del processo, previsto per il 17 dicembre 1973 e vennero rilasciati senza troppo clamore nel marzo del 1974, dopo che il Sid ebbe pagato complessivamente una cauzione di oltre 60 milioni di lire provenienti dai propri fondi riservati. Ciò non deve stupire, dato che dopo la sanguinosa strage all’ aeroporto di Fiumicino, perpetrata per ritorsione da un commando palestinese proprio il 17 dicembre 1973, il ministero degli Esteri ritenne necessario redigere un documento ufficiale - benchè segreto - per normalizzare una volta per tutte i rapporti tra O.L.P. e lo stato italiano. Si trattava di un vero e proprio trattato bilaterale tra stati sovrani, in seguito indicato ufficiosamente come “Lodo Moro”. In esso si sanciva la possibilità per le cellule combattenti e i dirigenti politici palestinesi di entrare illegalmente in Italia, soggiornarvi in luoghi sicuri, stabilire depositi di armi ed esplosivi con la collaborazione dei nostri servizi segreti, che li avrebbero protetti dalle FF.OO. e dalla magistratura. In cambio si ottenne l’ impegno ad astenersi da ulteriori attentati terroristici nella penisola o contro obiettivi economici e militari italiani all’ estero. Le forze di sicurezza dell’ O.L.P. ci avrebbero inoltre informati di eventuali attentati in preparazione da parte di altre organizzazioni terroristiche italiane e straniere. Tale accordo venne sostanzialmente rispettato e spiegherebbe eventi altrimenti enigmatici, come il fatto che il contingente italiano in Libano fu l’ unico ad essere risparmiato dagli attacchi con auto-bomba che nel 1983 falcidiarono americani e francesi, il fatto che la fuga di Abu Abbas da Sigonella fu protetta dai nostri avieri e carabinieri sino a rischiare lo scontro armato con la “Delta Force” statunitense o il fatto che in occasione della visita in Vaticano di Yasser Arafat, il leader palestinese fu nascosto nell’ unico luogo di Roma veramente irraggiungibile dal Mossad… la torretta della bandiera nel Palazzo del Quirinale!
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    Occorre precisare che sulla vicenda dell’ Argo 16 fu da subito posto il segreto di stato, che permane ancora oggi. Dunque quanto sopra è da considerarsi solo una ipotesi, per quanto verosimile. Dalla fitta nebbia di menzogne, omissioni, depistaggi e mezze verità che avvolge la perdita “per cause imprecisate” dell’ aeromobile MM 61832 emerge però una sola certezza. Il bilancio delle vittime avrebbe potuto essere assai peggiore perchè il bimotore cadde in un parcheggio all’ interno dello stabilimento Montedison, mancando di poche centinaia di metri un serbatoio di gas fosgene per uso industriale (ma usato come arma chimica durante la 1^ guerra mondiale), la cui esplosione avrebbe certamente investito le numerose abitazioni circostanti. L’ avere evitato consapevolmente una strage negli ultimi drammatici istanti di vita è un merito del pilota, un veterano di guerra competente ed esperto, con moltissime ore di volo sui C-47.
    In questa sede è quindi opportuno ricordare i nomi di quattro uomini dell’ Aeronautica Militare che a causa della ragion di stato sono da considerarsi allo stesso tempo caduti nell’ adempimento del dovere e vittime senza giustizia.
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    Colonnello pilota Anano Borreo (58 anni)
    Tenente Colonnello pilota Mario Grande (54 anni)
    Maresciallo motorista Aldo Schiavone (38 anni)
    Maresciallo marconista Francesco Bernardini (52 anni)
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    A suggello del loro sacrificio non trovo nulla di meglio che un verso tratto dalla Preghiera dell’ Aviatore.
    “…perché nessuna ombra sfiori la nostra terra”.

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