Le leggende metropolitane, come gli ormai mitici coccodrilli albini nelle fogne di New York, sono notoriamente coriacee e dure a morire, anche in presenza di prove documentate che le smentiscono. Una delle più singolari è quella sulla presenza di Hitler in provincia di Catania durante la grande guerra. Un breve accenno a questa singolare diceria è riportato dalla scrittrice Maria Attanasio nel suo libro Il falsario di Caltagirone: notizie e ragguagli sul curioso caso di Paolo Ciulla (Sellerio, 2007). Il volumetto in questione è dedicato alla singolare figura del pittore, incisore e fotografo Paolo Ciulla (1867-1931) che fu capopopolo nei Fasci Siciliani, consigliere comunale di Caltagirone nel 1889, militante socialista, emigrante a Parigi, San Paolo del Brasile e Buenos Aires, nonchè falsificatore internazionale di banconote. Condannato a cinque anni di reclusione nel 1923 dopo un clamoroso processo, che peraltro ne riaffermò il valore artistico, morì cieco nell’ Albergo dei Poveri Invalidi di Caltagirone. Ecco come in una breve nota la stessa Attanasio smentisce la leggenda.
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…ho attinto dal giornalista catanese Pietro Nicolosi, autore anche di un voluminoso 50 anni di storia siciliana (1900-1950) (Flaccovio, 1975), pieno di curiose notizie di cronaca locale, catanese soprattutto. Tra esse, una – storica – creativamente mi suggestionò: cercai con accanimento riscontri in libri di storia, monografie, su Internet. Niente: non risulta in alcun modo che nel 1916 << il caporale Adolfo Hitler >> sia stato << un prigioniero di guerra >> in Sicilia, << internato ad Augusta e assegnato alla costruzione di un grande hangar per il ricovero dei dirigibili >>.
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E’ notorio che il giovane pittore Adolf Hitler si trovava da tempo a Berlino allo scoppio della 1^ g.m. (c’ è persino una foto di lui che esulta tra la folla all’ annuncio della dichiarazione di guerra) e che arruolatosi nell’ esercito tedesco combattè ininterrottamente sul fronte occidentale, meritandosi la E. K. II e il distintivo da ferito (colpito dai gas nel 1918, rimase convalescente in un ospedale militare fino all’ armistizio). Viene però da chiedersi come questa diceria sia nata e si sia profondamente radicata tra i catanesi, tanto da venire raccolta come testimonianza orale oltre trent’ anni dopo dal Nicolosi. E’ evidente che se il futuro capo del III Reich nel 1916 era in trincea con l’ uniforme tedesca, non poteva certamente trovarsi nello stesso tempo in Sicilia come prigioniero austriaco. Di certo c’è che durante la grande guerra Augusta era sede di una componente dell’ aviazione navale della Regia Marina e dato che i prigionieri austroungarici erano estesamente utilizzati come manodopera per fortificazioni e infrastrutture militari, è possibile che vi abbiano realizzato un hangar per dirigibili. Quanto al resto, è probabile che qualcuno del luogo, forse un tecnico o capomastro civile che lavorava a stretto contatto coi prigionieri di guerra abbia davvero conosciuto un caporale austroungarico che di nome faceva Adolf e di cognome Hitler o qualcosa di simile (Heller? Hessler? Haider? Adler?). Poi, quando alla fine degli anni ’20 la stampa italiana prese a occuparsi (inizialmente in maniera non troppo benevola) di questo sino ad allora sconosciuto agitatore politico tedesco, capo di un piccolo partito operaio neanche troppo simpatico ai vertici fascisti, chiamandolo “il caporale austriaco” lo sconosciuto catanese identificò erroneamente il vero Hitler col suo omonimo – o quasi omonimo – incontrato ad Augusta. Dopo il patto d’ acciaio, l’ entrata in guerra dell’ Italia e l’ arrivo dei soldati tedeschi in Sicilia, la leggenda prese a circolare con sempre maggior vigore, arrivando alle orecchie dell’ O.V.R.A. e delle autorità di P.S., che certo tentarono di stroncarla con metodi spicci (potendo configurarsi il reato di vilipendio ad un capo di stato straniero) ma con tutta evidenza resistette anche dopo la fine del conflitto e sino agli anni ’70. Incidentalmente, bisogna dire che sino dall’ inizio della sua vita pubblica l’ uomo politico Adolf Hitler fu sempre reticente e omissivo riguardo alle sue origini e alla sua famiglia, sia per la sua nascita illegittima (fu registrato negli archivi parrocchiali col cognome della madre, Schikelgruber) sia perché l’ immagine da superuomo nibelungico poco si accordava con la famiglia piccolo borghese del rigido patrigno, piccolo funzionario delle dogane austroungariche. Ciò portò ripetutamente i suoi avversari politici, dentro e fuori il partito nazista, a diffondere la voce che il padre biologico di Hitler fosse in realtà un ricco ebreo di Linz, presso il quale la giovane contadina Maria Schikelgruber lavorava come donna delle pulizie. In ogni caso, qualunque fosse la verità, è significativo che Hitler fece falsificare a più riprese i documenti anagrafici che lo riguardavano e dopo l’ annessione dell’ Austria al Reich nel 1938, fece demolire la sua casa natale, trasformando il villaggio e le campagne circostanti in un poligono per l’ artiglieria della Wehrmacht, off-limits per chiunque. In quella occasione tutti gli abitanti furono trasferiti forzatamente altrove e gli incartamenti della parrocchia vennero fatti scomparire. Da allora sino al 1945, parlare delle origini del Fuerer fu considerato delitto contro lo Stato, punibile con la morte. Si potrebbe forse verificare se qualche parente o collaterale del dittatore abbia prestato servizio sul fronte italiano nell’ esercito austroungarico, ma in definitiva, la “leggenda catanese” cresciuta negli anni arricchendosi di inverosimili particolari, può considerarsi un frutto della fantasia popolare, una elaborazione auto-consolatoria simile ai racconti dei cantastorie o all’ opera dei pupi, volta a “nobilitare” un territorio e una popolazione vissuta come priva di potere e marginale rispetto all’ Italia del periodo, accampando una qualche contiguità inventata con una figura di primo piano della storia mondiale, non importa se rispettato, temuto o odiato. Insomma, Adolf Hitler come Orlando e Angelica, antidoto alla dura e immutabile realtà di stenti e fatica nella Sicilia contadina tra gli anni ’30 e gli anni ’50.