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Discussione: Il Generale Andrea Graziani

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    Il Generale Andrea Graziani

    Biografia

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    Andrea Graziani nacque a Bardolino il 15 luglio 1864. Il padre era notaio ed ebbe otto figli (tre maschi e cinque femmine) di cui lui era il quarto. In seguito la numerosa famiglia si trasferì a Valgatara in Valpolicella. Il 20 marzo 1881 entrò come allievo alla Scuola Militare, divenendo sottotenente nel 1882, e successivamente, nel 1885, fu mandato in Eritrea all’atto della costituzione del Regio corpo truppe coloniali. Partecipò alla guerra d'Eritrea nel 1887, assegnato in servizio al III Battaglione d’Africa allora comandato dal tenente colonnello Tommaso De Cristoforis. Ritornato in Italia, nel 1895, con il grado di capitano, fu assegnato al 6º Reggimento alpini, poi trasferito 2º Reggimento alpini e da lì al Corpo di Stato maggiore della Divisione di Ancona (1895-1897). Dopo un breve periodo presso il Ministero della guerra a Roma fu assegnato a prestare servizio presso il comando della Divisione militare di Verona (1899-1906). Tra il 1906 e il 1908 fu insegnante presso la Scuola di guerra del Regio Esercito a Torino, e si distinse a Treviso il 6 giugno 1906 per aver tentato di fermare un cavallo attaccato ad una vettura, che si era dato a precipitosa fuga mettendo in pericolo la vita dei passanti. Con il grado di maggiore si trovava a Messina, dove era in servizio come Capo di stato maggiore presso la locale Divisione Militare, il 28 dicembre 1908 quando vi fu terremoto che distrusse gran parte della città. Scampato al sisma, si distinse nel richiedere ed immediatamente organizzare i soccorsi alla popolazione, prestando un’opera instancabile con abnegazione e fermezza. Organizzò la costruzione dei baraccamenti, e lo sgombero delle macerie, tanto che il Consiglio comunale di Messina, nella sua prima riunione, dopo l’emergenza, gli conferì la cittadinanza onoraria. Il 1 luglio 1909 fu promosso tenente colonnello per meriti eccezionali, ricevette un Encomio solenne e fu decorato con la Medaglia di benemerenza in oro. Con lo stesso incarico fu poi in servizio presso la Divisione militare di Brescia. Il 5 aprile 1914 fu nominato comandante del 11º Reggimento bersaglieri di stanza a Napoli, dove lo colse la notizia dello scoppio della prima guerra mondiale. Verso la fine del mese di ottobre il reggimento si trasferì ad Ancona da dove, dopo il terremoto di Avezzano del 10 gennaio 1915, mosse verso i luoghi colpiti e dispose e organizzò, nel rigido inverno, i soccorsi per i 12 paesi colpiti, che nel breve volgere di 45 giorni furono dotati di baracche e videro ricostruiti forni per il pane e spacci di generi alimentari. Il 1 marzo il reggimento rientrò ad Ancona, ma 20 giorni dopo arrivò l’ordine di partenza per raggiungere la frontiera tra Regno d’Italia e Impero austro-ungarico, attestandosi a Nimis ed Attimis in vista dell’entrata in guerra. Promosso colonnello lasciò il comando del suo Reggimento poco prima dell’inizio delle operazioni, assumendo brevemente quello del 15º Reggimento bersaglieri. Divenuto Capo di stato maggiore del V Corpo d’armata si distinse subito per la forte determinazione, partecipando all’attacco contro le posizioni nemiche sul Basson il 25 luglio. Venne promosso maggior generale il 9 settembre. Il 7 ottobre 1915, già trasferito alla 1ª Armata del tenente generale Roberto Brusati in qualità di Capo di stato maggiore chiese ed ottenne di prendere parte ad un attacco, portando una Divisione contro le fortificazioni nemiche sugli Altipiani davanti a Folgaria e Serrada fra l’Astico ed il lago Terragnolo. Trovandosi presso una batteria da montagna per impartire l’ordine di avanzata ad una brigata di riserva a Monte Coston, un frammento di shrapnel lo colpì all’articolazione della gamba destra immobilizzandolo. Non desistette dal dirigere il proseguimento dell’azione, e fattosi trasportare su una sedia nel luogo dove era schierata la brigata di riserva, ordinò al comandante di avanzare coi suoi reggimenti a Bocca Vall’Orsara e completare l’attacco vittorioso. Il 23 ottobre 1915 il generale Calderari fu sollevato dal comando della 9ª Divisione, venendo sostituito dal generale Maurizio Ferrante Gonzaga. Il giorno successivo avvenne un episodio emblematico: ad un battaglione di riserva del 2º Reggimento bersaglieri arrivarono a dorso di mulo razioni speciali e bevande alcoliche, come accadeva abitualmente prima di un assalto. La voce si sparse fra i soldati e ci furono proteste contro gli ufficiali, presto si passò dalle parole ai fatti e il mulo che trasportava il liquore fu gettato a calci nel burrone. Venutone a conoscenza, il Graziani, forte del codice penale militare di guerra, diede ordine al comando dell’artiglieria di sparare sul reparto, causando diversi morti. L’episodio fu ovviamente riportato a fini propagandistici dalla stampa fonti austro-ungarica, ma anche – seppure edulcorato – da quella italiana per frenare eventuali casi di ribellione e codardia. Decorato con una prima M.A.V.M. il 1 aprile 1916 Graziani fu nominato comandante della Brigata Ionio, mantenendone il comando fino al 15 giugno dello stesso anno. Nel corso della Strafexpedition della primavera 1916, Graziani ricevette ordine di ripiegare su Torcegno in quanto il nemico aveva sfondato nel settore sud della Valsugana e sull’altopiano dei Sette Comuni (Ortigara). Di sua iniziativa lanciò un contrattacco appoggiato dai gruppi d’artiglieria da montagna. Un nuovo ordine gli intimò di ritirarsi sulla linea del torrente Maso alla conca di Castel Tesino ma egli, compiuta una breve ritirata si lanciò nuovamente al contrattacco le sue truppe sulla linea delle alture di Spera-Samone e Prima Lunetta, causando gravi perdite al nemico e riuscendo a tenere la posizione. Sopraggiunti di rinforzo i battaglioni alpini del tenente colonnello Ottavio Ragni, si lancio nuovamente all’attacco arrestando definitivamente il nemico tra Spera e Strigno il 10 maggio. Per il suo comportamento venne insignito della Croce di Ufficiale dell’Ordine militare di Savoia. Sin da allora si fece tra i suoi sottoposti la fama di non curarsi dei propri soldati né delle perdite che subivano durante gli attacchi, oltre ad applicare metodi draconiani nella repressione di disubbidienza. Il 21 maggio fece fucilare senza alcun processo quattro zappatori del 221º Reggimento fanteria, unità appartenente alla Brigata Ionio del colonnello Giovanni Longo, nel piccolo paese di Samon di Valsugana. Trasferito al comando della 44ª Divisione, una unità che disponeva di effettivi quasi pari a quelli di un Corpo d’armata, schierata nel settore Pasubio-Vallarsa vi rimase al comando fino al marzo 1917, guadagnandosi il soprannome di Eroe del Pasubio. Nella primavera di quell’anno assunse il comando della 33ª Divisione e fu decorato con una terza M.A.V.M. sul Carso. Si distinse anche qui per la severissima disciplina imposta alle truppe sotto il suo comando. Fece fucilare il soldato novarese Pietro Scribante, appartenente al 113º Reggimento fanteria dopo un sommario processo, e dopo che già gli era stata preparata la bara, e compose il plotone d’esecuzione scegliendo personalmente tra amici e compaesani del condannato. Il colonnello Angelo Gatti scrisse sul suo libro di memorie che il maggior generale Graziani lasciò ogni azione di comando della 33ª Divisione tra il 23 e il 26 maggio 1917, per dare la caccia personalmente e moschetto alla mano, ai soldati che indietreggiavano dagli assalti, una volta il generale Giuseppe Ciancio lo cercò inutilmente per ben quattro ore. Queste notizie arrivarono alle orecchie degli alti comandi e nel mese di giugno Luigi Cadorna lo sollevò dal comando per mancanza di elevate qualità di comando e frequente perdita del completo dominio delle sue facoltà mentali. Nonostante ciò venne comunque promosso a tenente generale e il 2 novembre 1917, in seguito alla disfatta di Caporetto, lo stesso Cadorna lo nominò “Ispettore generale del movimento di sgombero”. Durante le fasi della ritirata verso il Piave, Graziani divenne un vero incubo per le truppe e i civili che ingombravano le strade con armi e carriaggi, personificazione stessa della repressione di disertori o presunti tali. In particolare, si rese protagonista dell’esecuzione senza processo, avvenuta il 3 novembre 1917 a Noventa Padovana, dell’artigliere alpino Alessandro Ruffini (1893-1917), colpevole di averlo salutato militarmente senza prima essersi levato di bocca il sigaro che stava fumando. Nonostante le proteste di civili e militari inorriditi, il Ruffini fu prima brutalmente bastonato e successivamente fucilato sul posto “per dare un esempio terribile, atto a persuadere tutti i duecentomila sbandati che da quel momento vi era una forza superiore alla loro anarchia”, come il generale affermò nel dopoguerra in risposta a proteste e interrogazioni parlamentari seguite alla pubblicazione della notizia della sul quotidiano Avanti! del 28 luglio 1919. Nel solo mese di novembre del 1917 Graziani ordinò almeno trentasei esecuzioni sommarie ai danni di soldati sbandati, ma forse nella realtà furono molte di più. Il 10 novembre ordinò la fucilazione nella schiena di diciotto soldati e tre civili a San Pelagio di Treviso; il 13 e il 16 a Padova altri trentadue militari e tre civili vennero messi al muro dietro suo ordine, per un totale di cinquantasette fucilazioni sommarie in dodici giorni, delle quali trentasei eseguite in provincia di Padova. In quello stesso mese fu nominato a capo del 1º Raggruppamento alpino operante sull’Altopiano di Asiago. L’11 aprile 1918 il Ministero della guerra lo incaricò di costituire un corpo di irredenti cecoslovacchi (ex prigionieri austro-ungarici) destinati a combattere sul fronte italiano. Con la 6ª Divisione cecoslovacca occupò il settore del Monte Altissimo di Nago iniziando la costruzione della strada sul Monte Baldo, che i volontari cecoslovacchi chiamarono la strada per Praga. Anche al comando di questa unità si distinse per la sua brutalità, dapprima tollerando alcune forme di protesta per non irritare i cecoslovacchi, che protestavano in particolare per la qualità del cibo. Poi passò all’estremo rigore, facendo fucilare per diserzione otto militari in data 12 giugno 1918. In seguito a questa fucilazione collettiva, il generale Milan Rastislav Štefánik, rappresentante del Comitato Nazionale Cecoslovacco, inviò una protesta formale al Comando supremo italiano, minacciando l’avvio di una propria inchiesta. Fu collocato definitivamente a riposo il 30 gennaio 1919. Aderì al fascismo solo nel 1923 e divenne Luogotenente Generale della M.V.S.N. per le province di Trento, Vicenza, Verona e Belluno. Appassionato di opere pubbliche, fece completare la costruzione della strada sul Monte Baldo da lui iniziata nel corso della Grande Guerra e sostenne la necessità di costruire la Galleria Adige-Garda tra Mori e Torbole (che sarà terminata solo nel 1959), ed il Canale Biffis in Val d’Adige, iniziato nel 1928 e finito nel 1943. Si schierò con gli agrari nelle grandi opere di bonifica, presiedendo il consorzio Utenti Acque Medio Adige ed adoperandosi per il rimboschimento di colline e montagne veronesi. Ricoprì la carica di sindaco di San Massimo fino al 1927, quando il comune venne accorpato con quello di Verona. Nello stesso anno venne promosso generale di Corpo d’armata nella riserva. Dal 1919 si recò varie volte in Cecoslovacchia, l’ultima volta fu ad aprile del 1928, quando come capo della Missione militare italiana partecipò alle celebrazione del X Anniversario della firma dell’accordo tra Italia ed Comitato Nazionale Cecoslovacco. In quella occasione durante un pranzo di gala, il presidente cecoslovacco Tomáš Masaryk lo ringraziò pubblicamente per il suo contributo all’indipendenza del paese. Venerdì 27 febbraio 1931 il personale viaggiante del treno 3651 partito da Prato in direzione di Firenze alle 6.25, scorse poco prima della 7 del mattino, sulla scarpata della linea ferroviaria un’ombra scura. Il treno rallentò e il personale si rese subito conto che quella sagoma apparteneva al cadavere di un uomo. Il 3651 proseguì fino alla stazione di Calenzano, tra Prato e Firenze. Poco tempo dopo sopraggiunse sul posto in senso inverso di marcia, il diretto n. 38 da Firenze e anche da quel treno fu notato il cadavere. Alleratati dal personale ferroviario giunsero sul posto carabinieri e militi ferroviari, che rinvennero al chilometro 16+631 il corpo senza vita steso su un fianco, di un uomo anziano vestito di nero, con capelli e barba bianchi intrisi di sangue. Esso giaceva sulla scarpata sinistra della massicciata, presso il binario che da Prato andava a Firenze (direzione sud), con i piedi accostati al binario stesso. Fu subito avvertito il magistrato, e dai documenti rinvenuti fu accertato che il cadavere apparteneva al Luogotenente Generale della M.V.S.N. Andrea Graziani. Dai documenti di viaggio risultava che il generale era in possesso di regolare biglietto ferroviario emesso in data 26 febbraio, e valido per la tratta Roma-Bologna-Verona (direzione nord). Venne accertato che il generale era salito a bordo del diretto Roma-Bologna n. 36, con coincidenza Verona-Brennero, partito nella notte e transitato da Prato alle 21.15. Pertanto era caduto dal treno pochi minuti prima di quell’ora della notte del 26 febbraio e il suo cadavere, rinvenuto poco prima delle 7:00 della mattina del 27 era rimasto sui binari per circa dieci ore prima del ritrovamento. Fu subito esclusa la matrice dolosa, in quanto sul suo corpo venne rinvenuta la somma di 4.000 lire in contanti, più altri 1.500 lire in una busta chiusa e si ipotizzò che il generale avesse sbagliato porta, e invece di imboccare quella della toilette avesse preso quella di uscita precipitando all’esterno del treno. La cosa apparve, però, sospetta in quanto Graziani era un viaggiatore abituale, inoltre il cadavere era stato scoperto sul lato della scarpata opposto a quello del senso di marcia. Le indagini vennero subito chiuse per ordine delle superiori autorità e il caso archiviato ufficialmente come caduta accidentale. Il 28 febbraio si tennero a Prato i funerali solenni alla presenza dei vertici fascisti e delle autorità civili e militari. Nel tardo pomeriggio la città di Verona tributò, alla presenza dell’ambasciatore della Repubblica Cecoslovacca Voytech Mastny “imponenti manifestazioni di compianto alla salma” come ampiamente riportato dalla stampa dell’epoca. Fu sepolto il giorno dopo nel cimitero di Valgatara, una frazione del comune di Marano di Valpolicella, luogo di residenza del defunto. Il generale Andrea Graziani venne ufficialmente commemorato dal Regio Esercito il 19 dicembre 1931 presso il Circolo Ufficiali di Roma, dove si tenne una conferenza del tenente colonnello Gotti Porcinari. In sua memoria furono anche erette una statua a Bardolino e un busto bronzeo sul monumento ai caduti di Valgatara.

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    Testo della conferenza commemorativa tenuta dal Ten. Col. Giulio Cesare Gotti Porcinari presso il Circolo Ufficiali di Roma in data 19/12/1931 – Anno X° E.F.
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    Non vi è maggiore onore, maggiore gioia per un soldato che quella di parlare di un suo Capo, che valoroso in guerra, dimostrò anche nei periodi di pace la sua multiforme sagace filantropica attività. Eccomi perché all’invito rivoltomi di rievocare la figura del prode Generale Graziani, io vi ho aderito col più grande entusiasmo. Dirò del Generale Graziani quello che appresi da Lui, quello che ho visto e parlerò da soldato abituato alla sua scuola senza nulla nascondere e diminuire. Il Generale Andrea Graziani nacque a Bardolino da antica e nobile famiglia veronese il 15 luglio 1864. Dal 20 marzo 1881, epoca in cui venne ammesso, quale allievo alla Scuola Militare, la sua carriera si svolse rapida, in una ascesa luminosa di attività e di segnalati servizi. Fu in Eritrea nel 1883 col III° Battaglione d’Africa (Ten. Colonnello De Cristofori). Fu insegnante di logistica alla Scuola di Guerra. Fu promosso Tenente Colonnello di Stato Maggiore, a scelta eccezionale, il 1 luglio 1909. Il 5 aprile 1914 era nominato Comandante del valoroso II° Reggimento Bersaglieri. Di poi sempre cariche più importanti assolse nello Stato Maggiore finché il 9 settembre 1915, era promosso al grado di Maggiore Generale. Il 30 gennaio 1919 era collocato a riposo. Il 1 gennaio 1927 era nominato Generale di Corpo d’Armata. S.E. Mussolini, in riconoscimento dei suoi alti meriti verso la Patria e il Fascismo, lo nominò luogotenente Generale nella M.V.S. N. affidandogli il Comando della IV^ Zona (Verona-Alto Adige). Il Generale Graziani rifulse sempre per la sua fervida intelligenza e per la sua attività rispondente ad uno spirito eminentemente pratico. Tempra eccellente di soldato e di italiano, fu tra i volontari allorché si costituì il Corpo di occupazione della Colonia Eritrea. Il 6 giugno 1906 in Treviso esponeva la vita nel tentare di fermare un cavallo che, attaccato ad una vettura, si era dato in precipitosa fuga con pericolo per i passanti. Il mattino del 28 dicembre 1908 in Messina, funzionando da Capo di Stato Maggiore di quella Divisione Militare, scampato miracolosamente alla rovina del terremoto che aveva distrutto la bella città, si distinse nel richiedere ed organizzare i soccorsi prestando opera instancabile con abnegazione e fermezza. Il Maggiore Graziani nella zona terremotata si dimostrò impareggiabile per intelligente attività. La costruzione dei baraccamenti e lo sgombero delle macerie ebbero sviluppo e vivace impulso ed il Graziani, apprezzato per la sua filantropica opera dal Governo e dalla popolazione, ebbe conferita dal Consiglio Comunale di Messina, nella sua prima riunione, dopo l’immane catastrofe, la cittadinanza onoraria. Fu promosso Tenente Colonnello di S.M. a scelta, per meriti eccezionali e gli fu concessa la medaglia d’oro di benemerenza (ne furono distribuite soltanto quattro). Nell’agosto del 1914 la dichiarazione della Grande Guerra Europea trova il Colonnello Graziani al Comando del II° Reggimento Bersaglieri in Napoli. In quel giorno, ricordo, Egli tenne un gran rapporto al Reggimento nel quale espresse la sua precisa e profonda convinzione che l’Italia sarebbe stata presto chiamata a partecipare al conflitto e da quel giorno volle, a scopo di addestramento, che la spiaggia della Campania, Napoli compresa, fosse considerata esposta a colpi di mano di flotte nemiche. Da quel momento infatti,con volontà ferrea, il Colonnello trasfuse nei suoi Bersaglieri lo stato d’animo di guerra ed iniziò intensa la preparazione tecnica, morale e fisica del Reggimento con criteri positivi e pratici che ebbero poi completa conferma negli eventi di primavera e nei tre successivi anni di lotta. Il glorioso II° Bersaglieri, appena reduce dalla Libia, rispose in modo meraviglioso per abnegazione, capacità e resistenza. Tutti idolatravano il Colonnello e ne apprezzavano le elette qualità di ingegno, d’iniziativa e di cuore. Trasferitosi il Reggimento ad Ancona – fine ottobre 1914 – e sopraggiunto il 10 gennaio 1915 il terremoto della Marsica, il Colonnello Graziani, cui fu affidato col suo Reggimento il settore orientale di Avezzano (12 paesi), riconfermò la sua capacità di organizzatore nell’opera di salvataggio e ricostruzione. Con un miracolo di attività, che a molti parve incredibile, ma non a S.M. il Re che frequentemente nel rigore delle nevi e delle tormente percorreva la Marsica, in 45 giorni soltanto poté presentare i 12 paesi della zona completamente baraccati con forni e botteghe ricostruite, così che il 1 marzo la popolazione usciva con gli aratri a preparare il terreno di semina ed i Bersaglieri del II° rientravano in Ancona per riprendere 20 giorni dopo la loro missione. Quella di raggiungere il Friuli, ad oriente di Nimis ed Attimis, la frontiera, di dove poi compirono il balzo su Tolmino. Lasciato il Reggimento alla fine di aprile 1915, rientrò nel Corpo di Stato Maggiore. Il 7 ottobre 1915 una Divisione attacca delle fortificazioni sugli Altipiani davanti a Folgaria e Serrada fra L’Astico ed il lago Terragnolo. Il Graziani era già stato promosso Generale di Brigata e nominato Capo di S.M. della 1^ Armata, ma aveva ottenuto di poter continuare per pochi giorni per coadiuvare il suo Generale Comandante di Corpo d’Armata e partecipare così di persona a quelle importantissime operazioni. Mentre presso una batteria di montagna si apprestava ad inviare l’ordine per l’avanzata di una brigata di riserva a Monte Coston, una pallottola di shrapnel lo colpisce all’articolazione della gamba destra e lo immobilizza. Non per questo Egli desiste dal dirigere il proseguimento dell’azione, inquantoché, fattosi trasportare là dove è la brigata di riserva,ordina al comandante di avanzare coi suoi Reggimenti a Bocca Vall’Orsara e completare la vittoria. Una medaglia d’argento al valor militare veniva a premiare il suo intelligente eroismo con la seguente motivazione: “Incaricato in varie riprese, d’ispezionare il fronte del Corpo d’Armata, presso il cui Comando era Capo di S.M., esplicò il suo compito con attività ed ardimento, esponendosi sempre con disprezzo del pericolo al fuoco nemico e dove più ferveva la lotta. In una speciale circostanza, guidò all’assalto, con energia ed entusiasmo due battaglioni, che in attesa degli ordini, non si sarebbero giovati degli effetti conseguiti dalla nostra artiglieria, e fu l’anima del combattimento. Ferito alla gamba destra, si fasciò alla meglio, e dopo aver mandato avviso al Colonnello,che doveva dirigere l’azione in quel punto,si ritirò presso il Comandante del Corpo d’Armata, per riferirgli tutto quello che aveva personalmente constatato”. In gennaio pur pernottando all’ospedale, e non completamente guarito, compie ricognizioni in automobile nei punti più accessibili alla fronte; così in automobile un giorno raggiunse Marco in Val d’Adige e portato dai soldati su una seggiola studia il terreno per l’attacco di Castel Dante, attacco che le truppe eseguono vittoriosamente nei giorni successivi. Nel febbraio e nella prima quindicina di marzo compie altre ricognizioni specialmente in Valsugana dove era in corso una nostra offensiva per l’occupazione di posizione avanzate verso Monte Panarotta. Il 20 marzo in Fonzaso assume il comando della brigata Jonio allora giunta dai centri di mobilitazione della Calabria e della Sicilia. Nell’aprile la brigata entra in linea a Nord di Borgo Valsugana, con lavori rafforza le posizioni in Val Maggio di Torcegno e Campestrin, occupa la posizione avanzata di Monte Collo (quota 1600) di fronte al Monte Panarotta. Il Generale intende così arrestare il nemico e batterlo sulle posizioni avanzate cioè da Monte Collo a S. Anna ( sono 4 o 5 ore di marcia davanti alla linea principale di Val Maggio-Borgo Torcegno). Dal 16 al 20 maggio reiterati attacchi nemici contro Monte Collo sono tutti respinti con gravi perdite; ed i prigionieri superano i quattrocento. All’ordine di ripiegare su Torcegno, perché il nemico ha sfondato nel settore Sud della Valsugana e sull’Altipiano di Sette Comuni, (Ortigara) il Generale risponde, ordinando di sua iniziativa un contrattacco appoggiato da gruppi di artiglieria di montagna e compie la ritirata prima fino a Torcegno e poi sul torrente Maso senza perdere né gregari né materiali. Contrattacca anzi il nemico che avanza per Val di Maggio e sul versante degli altipiani dei Sette Comuni. In seguito ai reiterati perentori ordini di ritirata dalla linea del torrente Maso alla conca di Castel Tesino, il Generale li esegue solo per un determinato tratto, poscia, di sua iniziativa, avanza nuovamente contrattaccando sulla linea delle alture di Spera-Samone e Prima Lunetta; infligge gravi perdite al nemico e resta padrone della situazione. Nei primi giorni del giugno 1916 sono messi a sua disposizione i battaglioni alpini del Gruppo Comandato allora dal Ten. Col. Ragni, dislocati a M. Salubio, a cima d’Asta e prima Lunetta. Un attacco contro Prima Lunetta e Cima d’Asta è ributtato. Anche la brigata Jonio contrattacca fra le località di Spera e Cristo. I reparti ungheresi sono respinti e lasciano molti prigionieri. Il Generale Graziani guadagna ancora terreno. Il 10 maggio il generale Graziani fa eseguire un altro attacco dalla Brigata Jonio fra Spera e Strigno e sconfigge il nemico che da quel giorno rinunciava per sempre all’offensiva nel settore della Valsugana. La motivazione dell’Ordine Militare di Savoia concessa al generale Graziani per questi brillanti combattimenti dice infatti. “Valsugana 18 aprile, 26 maggio 1916; M. Collo-Bieno-M. Cima,- Comandante di una avanzata linea di difesa,resisteva a ripetuti violenti attacchi con coraggio e perizia; nonché cedere terreno,contrattaccava ripetutamente infliggendo all’avversario notevoli perdite e prendendogli più di 400 prigionieri.” (M. Collo, 15-20 maggio 1916) Con tutta la brigata proteggeva poi il ripiegamento delle altre truppe della divisione (22 maggio 1916). Occupata in seguito e sistemata speditamente a difesa altra postazione avanzata sul fronte della Divisione stessa, manteneva contegno aggressivo che garantiva sempre meglio la sua occupazione (25 maggio 1916). Con sollecite e opportune disposizioni regolava il contrattacco di un gruppo di battaglioni alpini e, proteggendone il fianco con le proprie truppe, cooperava all’ottimo esito dell’operazione (26 maggio 1916). Dalla Valsugana l’eroico Generale è chiamato ad assumere il Comando della 44^ Divisione del settore Pasubio-Vallarsa. Per la sua coraggiosa intelligente attività e iniziativa,la Valsugana dal Civaron al torrente Maso, rimase in nostro sicuro possesso. Leggendarie sono anche le gesta della 44^ Divisione che tenne saldamente il Pasubio resistendo indomita ai violenti e reiterati attacchi nemici. L’aggressività della 44^ Divisione, sotto il Comando dell’intrepido Graziani, era singolarmente temuta dagli austriaci e la motivazione della Medaglia d’Argento concessagli conferma l’eroismo di questo grande Comandante. “Per dirigere efficacemente le operazioni affidate alla Divisione da Lui comandata, si portava sovente in prima linea, rimanendo calmo e sprezzante del pericolo, sotto il tiro nemico: fulgido esempio ai suoi dipendenti di virtù e valore militare”. Dalla 44^ Divisione passato al comando della 33^, manteneva l’occupazione di uno dei più tormentati settori carsici, il prode Generale, nella motivazione di un’altra medaglia d’argento al valore militare che si aggiungeva alle altre, rifulse per lo spirito entusiasta di patriota e di soldato. La motivazione infatti dice: “Durante una vittoriosa offensiva sul Carso, dava in quattro giorni di accanita battaglia fulgido esempio di valore personale alle sue truppe, dividendo con esse, fino alle linee più avanzate, le fatiche ed i pericoli della lotta”. Altro evento memorabile di guerra ricorda l’opera attiva, intelligente ed energica del Generale Graziani, e subito è bene sfatare ancora una volta la odiosa ed ingiuriosa leggenda che malvagiamente i disfattisti e i traditori di ogni Patria vollero creare attorno alla bella figura del valoroso Generale. Il 2 novembre 1917 al Generale Graziani venne affidato l’incarico di curare la disciplina del movimento ferroviario e per la via ordinaria dei Reparti della 2^ Armata che, eventi di guerra, ripiegava sotto la pressione del nemico. Il Generale Graziani doveva inoltre provvedere a quanto di urgente occorresse disporre per le popolazioni. Era in giuoco la salvezza dell’Italia, perché le truppe che ancora combattevano per arginare il nemico dal mare alla Brenta dovevano non solo non essere intralciate nei loro movimenti, ma anche ricevere i rifornimenti necessari. La designazione del generale Graziani non poteva essere migliore per meritata fama d’illuminata attività ed energia che davano certezza di poter condurre brillantemente una missione tanto ardua. Ed il Generale Graziani la compì infatti senza alcun bisogno di reparti di truppe, di mezzi speciali od altro. Agì coadiuvato soltanto da pochi ufficiali e da reparti di cavalleria e carabinieri. Era il suo nome che figurava nelle migliaia di manifesti fatti affiggere in ogni luogo, era l’apparire della sua persona che rincuorava le truppe le quali marzialmente sfilavano a Lui dinnanzi. Le popolazioni che da Lui ricevevano ordini, suggerimenti ed aiuti, tutti sempre con illuminata e paterna bontà, gli obbedivano fiduciose. Le truppe ben sapevano che dove era il Generale Graziani era la disciplina e l’ordine assoluto; il combattimento, la vittoria. False, assolutamente false furono le favole che i giornali sovversivi nel dopo guerra si sbizzarrirono a pubblicare su di Lui. Gli attacchi del nemico martellavano la contesa Val Brenta ed in quel punto, particolarmente sensibile della nostra fronte, venne posto a sbarrarvi il passo il I° raggruppamento Alpino al comando del prode Generale Graziani. Nei primi di marzo del 1918 era chiamato al Comando Supremo e poscia a Roma per reclutare, organizzare e poi comandare quello che fu il Corpo Cecoslovacco in Italia. Non mi dilungherò col racconto delle trattative preliminari per la costituzione di un corpo d’esercito Cecoslovacco da formarsi in Italia con i prigionieri di nazionalità Boema, Morava, Slesiana, Slovacca. Molto dovrei raccontare. Dirò soltanto che per reclutare, costituire e comandare questa grande unità, occorreva un uomo che oltre a speciali requisiti accoppiasse abilità organizzatrici e di comandante di ordine superiore; fosse capace, col suo ascendente, di superare le più remote ed ascose diffidenze di uomini lontani da anni dalla loro Patria e dai loro affetti, completamente all’oscuro delle vicende del loro paese di cui non conoscevano che quel poco che affiorava di tanto in tanto sugli articoli dei giornali, che era loro possibile leggere; ed avesse infine goduto della completa fiducia dei membri del Consiglio Nazionale fra i Paesi Cecoslovacchi. Le Autorità militari furono pertanto concordi nel designare il Generale Graziani ed Egli,verso la fine del mese di marzo, ottenuto di avvalersi di due suoi fidati e provati Ufficiali, cominciò subito ad agevolare e completare quanto l’allora Col. M. R. Stefanik aveva iniziato in Italia con S.E. Orlando, fiancheggiato dal Comitato Italo-Ceco, già costituito sotto la Presidenza di S.E. il Principe di Scalea e da uomini attivi come Enrico Scodnik, Franco Spada, Ugo Dadone, Giovanni Pedace oltre a numerosissimi parlamentari. Cominciò nell’aprile il giro nei campi di concentramento dei prigionieri accompagnato da inviati del Consiglio Nazionale. Il Generale Graziani ed i suoi Ufficiali avevano ben compreso lo spirito della loro missione ed i postulati della causa Ceca. Non era sufficiente compiere gli arruolamenti, ma si rendeva necessario avvicinare fra loro i legionari, infiammandone i cuori ed il sacrificio estremo per raggiungere l’indipendenza della Patria e guidarli ad eroiche e grandi azioni per immortalarli nella Storia. Egli, conscio della necessità della ricostituzione della Patria Ceca, ne fece la sua causa, con tutto il cuore ardente, con tutto il suo puro e grande amore, con la sua anima devota soltanto agli ideali elevati. La Patria Cecoslovacca non poteva avere un Apostolo più efficace e più fervido del Generale Graziani. Il reclutamento dei suoi legionari parve far rivivere l’epopea garibaldina per l’entusiasmo, l’attaccamento alla sua persona e la fiducia che seppe sempre ispirare. I soldati della rinnovata Patria, ancora gemente ed oppressa nel servaggio, affluivano compatti ad iscriversi nelle liste di reclutamento. Pochi ordini, ed il Generale Graziani li faceva subito uscire dai campi di concentramento prigionieri. In testa ad essi si recava a presentarsi alle Autorità cittadine e ad esse, ed al popolo, con infuocati discorsi perorava l’aspirazione dei suoi soldati che da quel giorno non erano più degli ignoti o dei numeri nei ruoli dell’esercito austriaco, ma soldati volontari di un nuovo esercito, di una Patria di cui l’Italia riconosceva solennemente l’esistenza e ne curava le forti Legioni, stabilendo così un nuovo principio nel diritto delle genti, quello di affermarsi e di operare lontano dalla Patria ancora partecipante alla vita di un altro Stato. Fu l’Italia che, con il Corpo di esercito dei Legionari Cecoslovacchi costituito in pochi giorni con il Generale Graziani, troncò gli indugi nei Gabinetti Politici di Parigi e Londra ancora indecisi a risolvere la causa della Patria Ceca. La costituzione del Corpo Cecoslovacco in Italia - una divisione di fanteria su 5 reggimenti, un deposito speciale in Foligno e vari campi di concentramento alla sue dipendenze - si realizzò in poche settimane. Questo strumento mirabile fu opera del Generale Graziani che ne curò anche i minimi particolari. L’occupazione del settore dell’Altissimo, il combattimento di Doss’Alto e vari altri cruenti episodi di guerra su altre fronti additarono all’ammirazione i forti reggimenti Cecoslovacchi. Il Generale Graziani era fiero della mazza di ferro che aveva forgiato per l’oppressa Patria Ceca ed il suo braccio robusto la maneggiava egregiamente. I Legionari vedevano in Lui uno dei Grandi Artefici della Patria. Instancabilmente il Generale Graziani era sempre in mezzo a loro e dove non era Lui erano i suoi Ufficiali. Allorché l’artiglieria nemica batteva più intensamente qualche tratto del settore occupato dai Reparti Legionari, Graziani ed i suoi ufficiali accorrevano per rendersi conto di persona di quel che avveniva, cosicché quei suoi soldati, reduci dalle battaglie su fronti dei Carpazi, delle pianure Russe e delle Alpi, ammiravano in Graziani il condottiero, il novello Ziska della Patria Ceca. Venne però un giorno in cui disposizioni superiori tolsero al generale Graziani il Comando dei suoi Legionari. Fu un giorno di commozione intensa per tutti. I suoi fedeli Legionari si guardavano smarriti. Però l’abito disciplinare da Lui imposto ed il Suo saluto tagliarono netta ogni diffidenza. Ecco come il Generale Graziani si congedò dalle sue truppe. “Ufficiali, graduati di truppa, soldati! Nello staccarmi da voi che amo come figli, vi dico una sola parola: Siate uniti, saldamente uniti! Così sarete forti! Pensate solo alla Patria, date tutto alla Patria! Seguite il nuovo Comandante, Generale Piccione, che è un valoroso, seguitelo con la stessa fede, con lo stesso animo con lo stesso affetto con cui avete seguito me. Siate fedeli all’esercito Cecoslovacco ed allo Stato Cecoslovacco, libero, unito, indipendente, forte”. F.to Il Generale A. Graziani. Giunse Vittorio Veneto che concedeva finalmente ai Legionari una Patria libera ed i loro cuori si accesero di entusiasmo e di speranze. Fu subito provveduto rapidamente alla costituzione del Corpo d’Armata Cecoslovacco d’Italia provvedendolo di armamento, equipaggiamento e servizi d’ogni genere per compiere in Patria l’occupazione della Slovacchia. Questo eroico soldato così tragicamente scomparso, abituato al comando ed all’azione, aveva un gran cuore. Di fronte al dovere non conosceva transazioni, né debolezze, né pietà. Ma non deviò mai di un palmo dalla via della giustizia, né commise arbitrii e crudeltà. Se in guerra dové punire il reo o il vile lo fece piegando il suo animo buono e dolce ad una ferrea concezione del dovere, e con lo stesso animo con cui Egli ben divideva fraternamente il rancio con i suoi soldati regalava loro la maggior parte del suo stipendio perché non mancassero mai di sigari e di vino, o perché aiutassero le loro famiglie. Godeva della più alta estimazione e di grande popolarità. Anche coloro che avevano conosciuta la sua inflessibile tenacia ne esaltavano il valore e le elette e pure doti del cuore. Era modesto e delle sua gesta non parlava mai, neppure in privato. Faceva del bene a molti ma nessuno doveva saperlo. Ci fu un periodo – uno dei tanti brutti periodi del dopo guerra – in cui Andrea Graziani non poteva andare per le strade della sua Valpolicella senza esser fatto segno a grida ostili dei contadini incoscienti, aizzati dai “rossi” o dai “ bianchi”. Ma Andrea Graziani non si turbò o sorridente intraprese quella che Egli chiamava “la bonifica morale” dei suoi compaesani. Venne l’ondata demagogica della campagna contro la guerra e contro Graziani, che veniva additato al popolo come un carnefice, ma il Generale non volle difendersi. Aveva compiuto gloriosamente il suo dovere durante gli anni della Guerra, ne compiva un altro durissimo chiudendosi nell’intimo della sua pura coscienza e con serena semplicità continuò a dedicarsi con passione all’agricoltura. Il Fascismo lo ebbe fra i primi e più fervidi assertori, ciò era logico. Il Fascismo rinnovava e continuava l’ideale della Patria e di giovinezza italica che egli aveva sempre tenacemente servito prima e durante la guerra col vivo entusiasmo, con la più grande fede, con inesauribile ardimento. Le camicie nere, che ben lo conoscevano come capo esperto e provato, lo vollero fra loro e Benito Mussolini, Capo del Governo, gli affidò il comando della IV Zona della M.V.S.N. dal Po al Brennero. Felice, col cappello Alpino e la camicia nera Egli riprese la sua vita di soldato e di padre. Dal Po al Brennero tutti lo conoscevano e lo amavano; perfino i nuovi cittadini, che la subdola propaganda voleva nutrire di odio verso l’Italia combattente e fascista. Sulla strada del Monte Baldo, ch’Egli aveva in parte fatta costruire durante la Guerra e poi in questi ultimi anni fatta riparare e rimessa in efficienza a cura di un consorzio da Lui stesso costituito e presieduto, venne inaugurato un rifugio intitolato al Suo nome. Lungo la strada presso un grande faggio, ai piedi del quale si apre una piazzola, è appesa una targa su cui si legge. “ Faggio del Re”. Sotto quel faggio, Sua Maestà il Re trattenne il Generale Graziani ad una frugale colazione quando si recò sull’Altissimo per visitare la 6^ divisione Cecoslovacca. Dal 1919 in poi il Generale Graziani in varie occasioni si recò in Cecoslovacchia. Ebbe sempre le più vibranti entusiastiche accoglienze. La su persona era un simbolo ed infatti la stampa Ceca affermava che il Generale Graziani simboleggiava l’alleanza Cecoslovacca-Italiana sorta dai reali comuni interessi delle due nazioni e dal sangue versato insieme contro il comune e secolare nemico. Allorché, nell’aprile del 1928, il Generale Graziani, a capo della Missione militare italiana partecipò alle celebrazione del X anniversario della firma dell’accordo concluso tra il Governo Italiano ed il Comitato Nazionale Cecoslovacco, l’entusiasmo dei cechi non aveva limiti. Il Presidente Masarik, durante il pranzo offerto al Generale Graziani ed ai suoi ufficiali, ebbe a dirgli sorridendo che in Cecoslovacchia era più popolare e conosciuto il Generale Graziani che non Lui Presidente della Repubblica. Come primeggiò in guerra, anche nelle opere civili il Generale Graziani ebbe a rifulgere. Si era dedicato al problema di bonifica per la rinascita agraria del territorio veronese donandogli l’acqua tanto necessaria. Ed alle opera di irrigazione, nella zona di sinistra Adige, Andrea Graziani dedicò lunghi studi. Quando il suo progetto fu concretato, ne fu strenuo difensore, fino a far trionfare il Consorzio di irrigazione San Massimo-Bussolengo-Castelnuovo che redime tutta una plaga, e che ha giovato non poco a lenire la disoccupazione per l’abbondante impiego di mano d’opera. Del Consorzio Egli era il Presidente, e questa opera è il più importante titolo per la gratitudine che Verona gli deve. Il Generale Graziani si occupò inoltre della utilizzazione delle acque del medio Adige; e lottò contro il progetto della loro deviazione nel Garda. Diede pure il suo contributo prezioso al progetto della grande strada che deve valorizzare la zona del Baldo; e fu uno degli apostoli della silvicoltura. In questo campo fu anzi uno dei pionieri; e si occupò della festa degli alberi, del rimboschimento della montagna, quando molti erano scettici in materia ed indifferenti. Nelle Amministrazioni civiche, nell’Ufficio di Sindaco a San Massimo all’Adige, in Commissioni e Consigli di Enti pubblici e di Società, sempre ed ovunque S.E. Andrea Graziani diede una collaborazione attiva ed intelligente. L’adempimento di quello che Egli riteneva fosse suo dovere verso la Patria non venne mai meno. “Papà Graziani” lo chiamarono e lo chiamano ancora decine di migliaia di uomini, i rudi ed i forti Legionari Cecoslovacchi d’Italia che con gli Ufficiali Italiani, da lui particolarmente prescelti sfidarono il capestro austriaco per organizzare ed essere con loro compagni di guerra e di vittoria. Il Ministro della Repubblica Cecoslovacca, S.E. Mastny, accorso a Verona con altre alte Autorità Cecoslovacche ad onorare la salma del Generale, così ebbe a dire: “Nella Nazione cecoslovacca non vi è oggi cuore senza dolore, non vi è occhio senza lacrima”. E non era metafora perché ciò risponde sinceramente all’animo dei suoi Legionari. Il Generale Graziani per la Cecoslovacchia è degno di essere accumunato ai suoi condottieri Ziska e Podrebad. Sempre sui campi di battaglia, aveva sfidato la morte in mezzo ai suoi soldati, spesso marciando con loro all’assalto, armato come loro di moschetto. Ma la morte lo rispettò. Insidiosamente l’attese invece nel silenzio di una notte quando per un fortuito incidente Egli cadde dal treno in corsa. Non la fiorita Valsugana, né l’aspra rupe del Pasubio, né il dilaniato e rosso Carso, sotto il lacerante tormento dei proiettili, fu il letto di morte del prode Generale, ma invece una molle terra in una tacita e serena notte. La sparizione improvvisa ha avuta una singolare e strana crudeltà e nulla come il “caso” sembrava così contradditorio con la forma mirabile di quell’anima, di quella vita: la fortissima volontà. Vorrei che la magnifica figura di condottiero di Andrea Graziani fosse sempre presente nel ricordo di tutti gli Italiani e dei Cecoslovacchi , poiché tutti gli siamo debitori di ammirazione e di riconoscenza per quanto Egli fece al servizio della Patria e della Cecoslovacchia. Andrea Graziani è tra gli uomini che meritano il riconoscimento della Storia per il grande esempio da loro offerto. Egli in mezzo ai fatti nuovissimi e complicati, ebbe virtù semplici ed antiche; anzi è il contrasto che ci offre la possibilità di considerare la misura della grandezza del Generale Andrea Graziani. Infatti fu il capo ed il maestro che, pur avendo la dottrina, vuol comandare soprattutto con la forza dell’esempio e guai ad esitare. Egli non esitava mai sia nella effusione del suo grande cure, come nella durezza virile del soldato che non conosce deviazioni. Il prode Generale morì solo e privo di ogni soccorso, immerso nel suo sangue sulla scarpata del binario della ferrovia in prossimità di Prato. Se ultimi istanti di coscienza Egli ebbe, tutto il cielo stellato d’Italia, nel suo infinito, gli rammentò il suo sublime attaccamento alla Patria e le migliaia di morti accanto a Lui per la più grande Italia ed i suoi Legionari Cecoslovacchi, che finirono gloriosamente sprezzanti del capestro austriaco, gli saranno indubbiamente accanto in devoto raccoglimento mentre… il rumore del treno che si allontanava veloce nella notte sarà sembrato al suo orecchio stanco ed affievolito non uno stridere di ruote e di rotaie, ma il canto della trincea e della rivoluzione, il canto epico del suo cuore di soldato, quello della giovinezza Italica e della rinnovata Patria Cecoslovacca. Allorché di lontano i suoi prodi e vecchi soldati d’Italia e Legionari Cecoslovacchi si recheranno ad inchinarsi sulla tomba che lo raccoglie nella semplicità del piccolo camposanto situato sul pendio del colle, di fronte alla sua casa solitaria, di Valgatara, nel silenzio della valle ricorderanno di Lui, come del più lontano avvenire, le sue epiche gesta e le parole di un proclama in cui Egli salutava e ringraziava le sue truppe vittoriose dopo l’aspra difesa del Pasubio… “ Miei soldati,vorrei potervi baciare uno ad uno…”.Quei soldati, tutti i soldati d’Italia e i loro fratelli Legionari Cecoslovacchi conviene che si inchinino un istante sulla modesta e fredda pietra che ricopre il loro Eroico Generale; pietra su cui si dovrebbero scolpire, come per il Legionario Romano, la spada e la vanga, le due armi antiche di questa sempre più grande Italia che ringiovanisce attraverso i millenni della sua civiltà.

    Roma, 19 dicembre 1931 – X E.F.
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    Onorificenze
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    Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia — Regio Decreto 15 novembre 1916.
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    M.A.V.M.
    «Incaricato in varie riprese, d’ispezionare il fronte del Corpo d’Armata, presso il cui Comando era Capo di S.M., esplicò il suo compito con attività ed ardimento, esponendosi sempre con disprezzo del pericolo al fuoco nemico e dove più ferveva la lotta. In una speciale circostanza, guidò all’assalto, con energia ed entusiasmo due battaglioni, che in attesa degli ordini, non si sarebbero giovati degli effetti conseguiti dalla nostra artiglieria, e fu l’anima del combattimento. Ferito alla gamba destra, si fasciò alla meglio, e dopo aver mandato avviso al Colonnello, che doveva dirigere l’azione in quel punto, si ritirò presso il Comandante del Corpo d’Armata, per riferirgli tutto quello che aveva personalmente constatato.»

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    M.A.V.M.
    «Per dirigere efficacemente le operazioni affidate alla Divisione da Lui comandata, si portava sovente in prima linea, rimanendo calmo e sprezzante del pericolo, sotto il tiro nemico: fulgido esempio ai suoi dipendenti di virtù e valore militari. Monte Pasubio-Vallarsa, ottobre 1916.»

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    M.A.V.M.
    «Durante una vittoriosa offensiva sul Carso, dava in quattro giorni di accanita battaglia fulgido esempio di valore personale alle sue truppe, dividendo con esse, fino alle linee più avanzate, le fatiche e i pericoli della lotta. Altopiano Carsico, 23-27 maggio 1917.»

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    Medaglia commemorativa della guerra italo-austriaca 1915 – 18
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    Medaglia commemorativa dell’Unità d’Italia
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    Medaglia commemorativa italiana della vittoria
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    Medaglia di benemerenza in oro per il terremoto calabro-siculo del 1908
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    Medaglia di benemerenza per il terremoto di Avezzano del 1915

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    Per decenni a silenzioso ricordo dell’incolpevole Artigliere Alpino Alessandro Ruffini sono rimasti solo alcuni fori di proiettile sul luogo della fucilazione. Nel 2017 il Comune di Noventa Padovana ha apposto sul muro dell’edificio, che oggi ospita una banca, una targa con la descrizione della tragica vicenda e la seguente epigrafe:
    _______
    AD ALESSANDRO RUFFINI
    ARTIGLIERE MARCHIGIANO
    LA COMUNITA’ DI NOVENTA PADOVANA
    NEL CENTENARIO DELLA SUA MORTE
    AL PARI DI ALTRI FECE IL SUO DOVERE
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    La figura del generale Andrea Graziani divenne già nel primo e, se possibile, ancor di più nel secondo dopoguerra, la plastica personificazione della spietatezza e brutalità del militarismo sabaudo, a seguito di una violenta campagna di stampa avviata da una precisa parte politica nel 1919, quando venendo a cadere la censura di guerra, i metodi repressivi da lui attuati a più riprese contro la truppa divennero finalmente di pubblico dominio. Pur non volendo sminuire le sue colpe, bisogna inquadrare la sua vicenda nei luoghi e i tempi nei quali ebbe luogo. Il Regio Esercito si distinse sin dall’entrata in guerra dell’Italia per una generalizzata brutalità esercitata dalla maggior parte degli ufficiali verso i loro sottoposti. Fucilazioni, decimazioni, punizioni corporali particolarmente efferate (e potenzialmente mortali) comminate alla truppa anche per le più lievi mancanze, erano la norma. Si andava dalla fustigazione fino all’esposizione al fuoco nemico (e bisogna dire che spesso e volentieri le truppe austroungariche impietosite, evitavano di sparare ai soldati italiani legati davanti alle trincee di prima linea, considerando tale punizione un atto disumano). Il Comando Supremo italiano fu giudicato già all’epoca il più ottuso e noncurante della vita dei propri soldati, probabilmente superato fra gli altri belligeranti solo dai vertici militari della Russia zarista. L’intestardirsi da parte del “condottiero” Cadorna nella stolida strategia dell’attacco frontale a ondate successive contro le trincee nemiche, oltretutto in assenza di mitragliatrici e con poco e inefficace supporto d’artiglieria, condusse a vere ecatombi fra una truppa composta da contadini analfabeti, considerati come carne da cannone sacrificabile senza rimorsi. I nostri soldati erano per la maggior parte ignari dei motivi del conflitto e totalmente estranei alla retorica interventista che motivava gli ufficiali, in genere provenienti da quella borghesia nazionalista ed espansionista che vagheggiava di legittimarsi grazie a un rapido e vittorioso conflitto come nuova classe dirigente di un regno sabaudo ingranditosi a spese dell’Austria-Ungheria. Ciò portò inevitabilmente a sempre più numerosi casi di diserzione, sedizione o aperta ribellione tra i militari, che vennero duramente repressi facendo largo uso della pena di morte, spesso a fine di intimidazione preventiva e per dissuaderli dal darsi prigionieri. Come conseguenza, se vi fu da una parte una crescente ostilità della truppa verso gli ufficiali, dall’altra si rese evidente come gli alti comandi vedessero in ogni soldato italiano un potenziale traditore, o peggio un disertore influenzato dal disfattismo di stampo socialista o cattolico. La rotta di Caporetto poi, portò a indiscriminate fucilazioni di ufficiali e truppa nel tentativo di riportare l’ordine tra soldati e civili che cercavano scampo affollando disordinatamente le strade verso il Piave. Molti testimoni oculari anglosassoni che assistettero impotenti a tali eventi confusi nel caos della ritirata furono inorriditi dalla spietatezza dei fucilatori. Anche ad anni di distanza dai fatti, il profondo disprezzo verso il Comando Supremo italiano trapela apertamente dagli scritti di autori come Ernest Hemingway, John Dos Passos, Hugh Dalton, e molti altri. Dunque il generale Graziani lungi dall’essere un mostro, una belva, o la “tigre” della pubblicistica socialista, una volta nominato da Cadorna “Ispettore generale del movimento di sgombero” per riportare l’ordine a qualsiasi costo, non fece altro che portare alle estreme conseguenze una tendenza purtroppo già ben presente tra i suoi colleghi e superiori fin dal 1915, estendendo a suo arbitrio, e in maniera fin troppo disinvolta, il numero di reati passibili della pena di morte. Tanto più che prima e durante e dopo il conflitto Graziani si dimostrò disciplinato, inflessibile e particolarmente efficiente, nel soccorso a popolazioni vittime di calamità naturali e nella realizzazione di opere stradali e infrastrutture ad uso militare e civile. Due lati distinti e contrapposti della sua personalità sembravano coesistere in lui. Forse la soluzione all’enigma si nasconde proprio nel giudizio negativo dato da Luigi Cadorna in occasione della rimozione di Graziani dal comando della 33a Divisione nel giugno 1917 per “mancanza di elevate qualità di comando e frequente perdita del completo dominio delle sue facoltà mentali”. In parole povere, seppur dimostratosi in circostanze normali disciplinato, intraprendente ed ottimo organizzatore, alla prova del fuoco durante il conflitto Andrea Graziani si dimostrò purtroppo gravemente carente di quella che dovrebbe essere la prima qualità umana di un comandante: cioè la capacità di guidare e spronare i propri sottoposti con la convinzione e l’esempio più che con la costrizione e la minaccia. Se aggiungiamo a ciò la mediocrità e il classismo allora imperanti nell’esercito sabaudo e il fatto che inevitabilmente la guerra fa emergere sempre i peggiori istinti nascosti nell’animo umano, non escluso un certo istinto sadico, ecco che la vicenda del generale fucilatore trova una sua desolante normalità. Se Cadorna lo avesse subito esautorato invece di promuoverlo secondo il collaudato uso italico, tanti innocenti non avrebbero trovato una fine tanto tragica. Ma una eventuale spiegazione non può essere certo una giustificazione degli atti di Andrea Graziani, specialmente nel caso della fucilazione di Alessandro Ruffini, colpevole solo di avergli fatto il saluto militare senza essersi tolto il sigaro di bocca. Essa risulta tanto più arbitraria e in malafede in quanto il generale – che si sarebbe forse solo limitato a bastonare l’alpino se alcuni civili presenti non si fossero lamentati per l’ingiusto trattamento – ne ordinò l’immediata fucilazione dicendo: “Dei soldati io faccio quello che mi piace”. Oltretutto prima di allontanarsi in automobile a cose fatte, ordinò al tenente colonnello Folezzani del 28° Artiglieria, di far seppellire il cadavere come quello di un uomo morto di asfissia. L’ufficiale però, rifiutandosi di perpetrare un falso in atto pubblico apponendo nel suo rapporto una falsa causa di morte, permise al caso di tornare poi all’attenzione dell’opinione pubblica nel 1919. E’evidente che Graziani tentò di nascondere le circostanze della morte del Ruffini in quanto pienamente consapevole di aver commesso un reato. Detto ciò, a distanza di tanti anni risultano oziose le varie ricostruzioni sulla morte dell’ex-generale nel 1931. Graziani nonostante il grado rivestito nella Milizia e gli attestati formali di stima da parte delle autorità fasciste restava comunque una figura imbarazzante e quantomeno discussa tra gli ex-combattenti della Grande Guerra che formavano una frazione non trascurabile nella base del PNF, dunque è comprensibile che il regime ritenne opportuno liquidare il fatto come un semplice incidente ferroviario, silenziando le voci popolari che già parlavano di una tardiva vendetta dei parenti dei fucilati, o addirittura di un suicidio intenzionale dovuto al rimorso.

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