ODE AL FANTE

Fante!
Fosti tu come me un seme vivente
gettato dal vento
a germogliare gloria in un solco di canto
fra i papaveri rossi ed il frumento.
Fosti tu come me anima e vita
un ignoto sopravvissuto
dell’immensa fiorita
che la morte ha mietuto.
Hai tu pianto con me
nell’angolo più nero del rifugio
dinanzi al ritratto di tua madre
mentre fuori, lontano
al cucù della sentinella austriaca
rispondeva il piccone italiano
che scavava la casa per tutti
la fossa per tutti
misurato e costante
come il polso d’un gigante
in agguato.

Pensaci, io ero Fante,
alto come tutti i Fanti,
bello come tutti i Fanti,
col mio berretto, il mio numero,
il mio carico di vive armonie
che lasciavo lungo le interminabili vie
veneziane.

Pensaci, vestito in grigioverde
avevo sul cuore il portafogli
gonfio di lettere della mamma e della fidanzata
e l’ago e il filo
e la canzone dell’amante tradita
e una giovinezza immensa.

Forse mi hai incontrato sul Piave,
forse sull’Isonzo,
forse sul Grappa
nelle notti feconde d’eroismo!

Forse mi hai visto trasfigurato
in una delle cento vampe accese
a bivacco per noi, poveri Fanti.

Forse nelle orride piane albanesi,
ma no, anche se tu mi hai visto passare,
non ti puoi ricordare
di me, dei miei occhi,
della mia voce.
I fanti erano tutti eguali,
in grigioverde e pidocchi.
Se fosti Fante
siamo fratelli buoni
siedi, dividiamoci il pane,
e cantiamo tutte le nostre canzoni.

Piccolo Fante,
eterno moribondo
le strade del mondo
non hanno confine.
Ove vai?
Sorridi e non sai.
Ti han detto, l’amore d’Italia,
il nemico non deve passare, si muore.
Perché si muore?
Non lo sai e cammini.
E la colonna nera va nella notte faticosamente.
Risuonano gli zoccoli dei muli
e il grido del conducente
che sparge il cammino
di roche bestemmie,
che il vento trasporta lontano
giù per i sentieri del Calvario quotidiano.

Si propaga dalle lontane bocche schiuse
a bestemmiare una dolce litania.
Vo’ tornare al focolare
per trovar l’amante mia
per baciarla sulla bocca
quando torna la mattina
con la brocca
dalla fonte chiacchierina.

Piano piano come un funerale
la colonna seguita la via,
mentre il Fante sotto lo zaino, solo
piange in silenzio la sua nostalgia.

Fante, Fante, perché piangi? Tira via.

Se non sei morto con le fucilate,
non morrai certo di malinconia!
Morir, morire a vent’anni, morire
morire se ancora ogni giorno
tua madre attende il ritorno,
e a sera,
pel tuo ritorno, accanto il camino,
si dice la santa preghiera,
accorata e tremante di pianto.
Morire? Chissà! Per la Patria si muore.
E’ venuto l’ordine d’attacco. Tutti
parlano piano piano,
qualcuno piange in silenzio.
Le quattro, ancor buio,
quattro righe alla mamma,
quattro all’amata:
ancor una delle mie tante bugie.
Sto bene mamma,
sono a riposo nelle retrovie. –
E l’orizzonte si fa tutto fiamma.

Il campo di battaglia è un gran giardino,
nato d’incanto.
La mitraglia ha il sibilo del vento mattutino
e il cannone urla, schianta, rovina,
e l’urlo tace … e riprende.
Si va? Che s’aspetta?
Ecco dalla trincea esce l’urlo di mille bocche,
più possente dell’urlo del cannone.

Nell’anima si spezza …
di novello ardore
l’anima e il core si gonfiano.
Il sole è alto al suo meriggio.
Sembra una lampada
accesa da Dio,
al nostro grande martirio.
E l’urlo di guerra tace,
si rialza e cade,
cade e si rialza ancora …
Son mille i Fanti, più di mille,
tutto un fiume impetuoso che straripa,
tutta una volontà di ferro che risfavilla …
or tocca la vetta, e si disferra,
con un grido immane di vendetta.
Nel silenzio del vespero muto
di richiami e di schianti,
il campo sembra un giardino mietuto,
sparso di fiori morti:
i Fanti!
I nostri compagni ventenni
Gli umili fiori, della madre Italia!

Gabriele D’Annunzio