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Discussione: Paraguay 1922. Ali italiane nel cielo della rivoluzione.

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    Paraguay 1922. Ali italiane nel cielo della rivoluzione.

    Tra gli anni dieci e gli anni venti del XX° secolo si vide l’irrompere delle nuove tecnologie nella secolare instabilità politica degli stati latinoamericani, da sempre tribolati da ricorrenti rivoluzioni popolari e colpi di stato. In quei vasti territori ricchissimi di materie prime la vita politica era sintetizzabile in breve come una violenta lotta di potere tra ristrette elite postcoloniali ispaniche, bianche e di cultura europea per il predominio ai danni di poveri contadini indiani o meticci, solo superficialmente cristianizzati e civilizzati. Tra i molti avvenimenti di quel periodo storico cruciale il più noto al grande pubblico è la rivoluzione messicana del 1913, divenuta quasi uno stereotipo di genere grazie a Hollywood e Cinecittà che sfruttarono l’argomento per pellicole ad alto tasso di spettacolare, proprio per la spiazzante coesistenza tra antico e moderno evidente in capolavori del cinema come Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah e Giù la testa di Sergio Leone. Per non parlare dei numerosissimi “tortilla western” post-sessantottini di serie B, sguaiati e violentissimi, generalmente con protagonisti un gigionesco Tomas Milian guerrigliero con basco alla Guevara o un ghignante Franco Nero mercenario yankee al soldo dei capitalisti. Nella realtà le rivoluzioni sudamericane non avevano bisogno di assoldare anziani pistoleri in declino come nella elegiaca pellicola di Peckinpah, perché bastava poco a fare di un peone analfabeta un soldato o un guerrigliero mettendogli un fucile in mano. I più recenti ritrovati bellici inaugurati con tanta efficacia nelle trincee della 1^ guerra mondiale richiedevano invece tecnici esperti, con un certo grado di istruzione e ben pochi ideali, come il disilluso bombarolo irlandese Sean nel film di Leone. Gli autentici “mucchi selvaggi” di mercenari stranieri di varia nazionalità (o contractors come diremmo oggi) assoldati per manovrare treni, mitragliatrici, artiglierie moderne, autoblindate, aerei e svelarne i più reconditi segreti ai nativi, erano generalmente composti da giovani reduci dal carnaio europeo provati da anni di combattimenti. Essi rischiavano la vita per denaro, per ideologia, per voglia di avventura o semplicemente perché non riuscivano a reinserirsi nella vita civile. In quegli anni tali dinamiche erano identiche in tutto il continente, ma per spiegare ancor meglio il ruolo determinante avuto da aerei e piloti italiani nella rivoluzione del 1922 in Paraguay è necessario fare riferimento ad un altro film italiano realizzato però in pieno regime fascista, Luciano Serra pilota di Goffredo Alessandrini. Il protagonista omonimo interpretato da Amedeo Nazzari è un eroico pilota della Grande Guerra che al termine del conflitto in conseguenza dello scioglimento dell’aviazione militare si ritrova in gravi difficoltà economiche. Per mantenere moglie e figlio accetta di volare in un rischioso raid aereo tra Italia e Argentina, viene ingannato da un impresario truffaldino, rimane insabbiato per venti anni in Sudamerica senza dare notizie alla famiglia e ormai abbrutito accetta i mestieri più umili, come un emigrante qualsiasi. Anziano e dimenticato da tutti, si riabiliterà inaspettatamente partendo volontario per la guerra d’Abissinia da semplice fante in una Legione CC.NN. di italiani all’estero. In occasione di un assalto al treno da parte di guerriglieri ribelli riconosce in un pilota italiano gravemente ferito il proprio figlio Aldo, ormai cresciuto e arruolatosi nella rinata Regia Aeronautica. Messosi ai comandi del velivolo riesce a decollare portando in salvo il giovane, ma sacrificando eroicamente la propria vita. Fin qui la finzione cinematografica, basata però su eventi reali. Il tracollo militare e politico degli Imperi Centrali nel novembre 1918 giunse in un qualche modo inaspettato. Al momento dell’armistizio tutte le risorse morali e materiali dell’Intesa erano mobilitate nella produzione di massa di armamenti standardizzati per la grande offensiva generale, prevista per la primavera del 1919. Essa avrebbe coinvolto tutte le nazioni alleate, ma soprattutto gli Stati Uniti che disponevano di un colossale sistema industriale e materie prime inesauribili. Di fatto il ritorno improvviso alla pace trovò tutte le potenze europee alle prese con una difficile smobilitazione e con enormi quantità di armi moderne ormai inutili e da rottamare. La soluzione più facile fu venderne (o meglio svenderne) quanto più possibile ai neutrali. I migliori acquirenti furono comprensibilmente gli stati latinoamericani arricchitosi durante il lungo conflitto vendendo ai belligeranti materie prime strategiche ma anche grano, carne bovina, caffè, cioccolato. Anche il nostro paese nel suo piccolo cercò di sbolognare parte del surplus bellico, caricando il meglio dei suoi armamenti su un piroscafo e mandandolo in un giro promozionale in America Latina col poco eroico generale Pietro Badoglio come nome di spicco, destinato tanto per cambiare, ad una lucrosa poltrona da ambasciatore italiano in Brasile. Ma nella povera italietta della vittoria mutilata le cose non erano troppo tranquille. I miopi, gretti e imbelli politicanti liberali prebellici dopo aver gettato masse di contadini analfabeti in grigioverde in un delirio di sangue durato quattro anni e richiesto immani sacrifici alla popolazione civile, pensavano di potersi rimangiare impunemente le promesse di terra e lavoro fatte dopo Caporetto per convincere gli italiani a tener duro. Ma ormai un numero troppo elevato di giovani appartenenti alle classi subalterne aveva imparato ad uccidere e non era disposto a tornare ad una vita di stenti pur di finanziare gli inauditi lussi di una ristretta classe dirigente parassitaria. C’erano tutte le premesse affinché le indifferibili ma confuse esigenze di palingenesi politica e sociale presenti nella popolazione italiana venissero portate avanti con la violenza da gruppi ristretti ma fortemente ideologizzati, pronti a schierarsi seguendo una bandiera, non importa di che colore, purché capace di suscitare mutamenti radicali. In tale diffusa instabilità politica, sociale ed economica che vedrà il suo apice nel famigerato biennio rosso, le autorità militari deliberarono improvvidamente lo scioglimento dell’eroico Corpo Aeronautico Militare che era divenuto una potente forza aerea, disperdendo così un prezioso patrimonio di tecniche, risorse umane e materiali. Ciò provocò indirettamente la fine improvvisa delle commesse militari e anche il grave collasso delle industrie aeronautiche nazionali, che nel 1918 erano all’avanguardia in molti campi, specialmente nella produzione di bombardieri plurimotori, idrovolanti e dirigibili, tanto che tutti gli aviatori militari statunitensi venivano a brevettarsi in Italia. Ufficiali e sottufficiali piloti di origine operaia o piccolo borghese rimasero disoccupati da un giorno all’altro e molti di loro tentarono la fortuna oltreoceano, acquistando con gli ultimi risparmi un aereo nuovo di magazzino a prezzi da ferrovecchio, sperando di trovare un impiego all’estero in qualsiasi in ambito. La meta ultima di tanti valorosi piloti veterani – non solo italiani ma anche britannici – fu l’Argentina, grazie alla presenza delle rispettive comunità di connazionali stabilitisi nel paese sin dai primi anni dell’ottocento. Presto tutte le richieste in ambito militare, nel trasporto aereo civile e nella sorveglianza delle mandrie di bovini nella pampa argentina vennero ampiamente soddisfatte, ma fin troppi piloti rimasero inoperosi con il loro aereo come unica proprietà, pronti a qualunque cosa per un giaciglio di fortuna, un pezzo di pane e – se andava bene – una bottiglia di pessimo liquore per annegare la delusione. Intanto nel confinante Paraguay, fin dall’inizio del secolo le FF.AA. non erano rimaste sorde al generale entusiasmo per l’aviazione ma tra il 1916 ed il 1919 gli unici tre piloti in possesso di brevetto militare, i tenenti Silvio Pettirossi, Arturo Escario e Victorio Barbero persero la vita in tre diversi incidenti aeronautici. Di fatto quando il 27 maggio del 1922 per gravi dissensi politici in seno al partito al potere scoppiò la rivoluzione, in tutto il paese non esistevano più aerei e nemmeno piloti. Il gruppo di ufficiali ribelli guidati dai colonnelli Adolfo Chirife e Pedro Mendoza insorse contro il governo nazionale del presidente Eusebio Ayala e sull’esempio di quanto avvenuto in Europa entrambe le fazioni ritennero indispensabile utilizzare velivoli per la ricognizione e il bombardamento delle truppe nemiche, così inviarono subito emissari ad arruolare piloti disoccupati in Argentina. Il primo a presentarsi ad Asuncion fu Francisco Cusmanich, un pilota civile paraguayano di origine istriana residente a Buenos Aires, che il 1 giugno offrì al presidente Ayala i suoi servigi come reclutatore. Il Cusmanich conosceva un collega britannico, Sidney Stewart, proprietario di un biplano Armstrong Withworth FK.8 e lo convinse a raggiungerlo. L’aereo smontato fu imbarcato insieme al suo pilota su un battello postale a vapore che risalì il fiume Paraguay. Una volta giunto ad Asuncion i soldati lo caricarono su un vagone ferroviario e lo trasportarono a Campo Grande, una località pianeggiante nei pressi della capitale, prescelta per le sue caratteristiche come sede di una rudimentale pista di decollo con solo poche tende per il personale. Rimontato rapidamente e dotato di armamento improvvisato, l’FK.8 fu provato in volo da Cusmanich e Stewart. Frattanto il governo contattò anche l’italiano Nicola Bo, un sergente pilota rimasto in Argentina dopo la partenza della nostra missione militare, incaricandolo di arruolare altri suoi connazionali e trovare qualche aereo in condizioni di volo. Nel mese di giugno Bo e i suoi compagni portarono in Paraguay uno SPAD S.XX, due SAML A.3, due Ansaldo SVA 5 ed un Ansaldo SVA 10 smontati. Tutti i velivoli furono riassemblati a Campo Grande e insieme al FK.8 costituirono la linea di volo iniziale delle forze governative. La prima missione di guerra contro i ribelli ebbe luogo il 29 giugno, quando Stewart e Cusmanich decollati con l’FK.8 bombardarono concentramenti di truppe alla periferia della città di Paragui. Nei giorni successivi Bo e Cusmanich effettuarono ricognizioni volando su un SAML A.3 e uno SVA 10. La notte del 7 luglio Bo effettuò per scommessa il primo volo notturno del Paraguay, sorvolando a bassa quota Asuncion con uno SVA 5 e provocando involontariamente il panico tra gli ignari abitanti della città, bruscamente risvegliati dal rombo del motore. Il giorno successivo l’FK.8 di Stewart e Cusmanich e lo SVA 5 di Bo partirono per una missione di bombardamento contro le posizioni dei ribelli ma Bo dovette presto tornare a Campo Grande per noie meccaniche. Invece l’FK.8 proseguì il volo fino al villaggio di Pirayu, dove venne fatto oggetto del tiro di fucileria da terra e colpito nel serbatoio del carburante, prese rapidamente fuoco. Avvolto dalle fiamme Cusmanich si gettò dall’aereo senza paracadute, schiantandosi al suolo. Stewart tentò un atterraggio di emergenza ma le fiamme fecero deflagrare le bombe trasportate, uccidendolo sul colpo. I resti del pilota e del velivolo ricaddero sul piazzale della locale stazione ferroviaria. Nel frattempo i ribelli assoldarono a loro volta alcuni piloti italiani. Il primo tra loro fu il sergente pilota Angelo Pescarmano, che il 15 luglio decollò da Buenos Aires col suo SVA 5 diretto in Paraguay. Per problemi tecnici dovette fare scalo a Concordia e dopo una affrettata riparazione ripartì il mattino dopo. Giunto nei pressi di Santo Tomé, nella provincia argentina di Corrientes, subì un nuovo incidente nel quale il velivolo venne completamente distrutto. Uscitone fortunosamente indenne, il Pescarmano rinunciò ad unirsi agli insorti. Nel mese di agosto Bo e i suoi compagni si spostarono in volo a Villarrica, nuova sede di campagna del Quartier Generale delle forze governative. Da questa città effettuarono numerose missioni di ricognizione e bombardamento contro i ribelli con lo SPAD S.XX. In quello stesso mese i governativi reclutarono altri tre piloti, il britannico Patrick Hasset e gli italiani Carlo Paoli e Cosimo Damiano Rizzotto. Quest’ultimo era un asso dell’aviazione italiana che nella Grande Guerra aveva abbattuto sei aerei nemici. Rizzotto portò in volo in Paraguay un Bréguet XIV acquistato a Buenos Aires per 20.000 pesos argentini e lo pilotò in parecchie missioni di ricognizione contro le postazioni dei ribelli. Alle ore 10.50 del 25 agosto volando a una quota di 2.000 metri, l’elica del Breguet si spezzò ed il motore prese fuoco. Rizzotto fece un atterraggio di fortuna in aperta campagna distruggendo completamente l’aereo. Uscitone indenne decise di rientrare in Argentina. Intanto altri piloti italiani dei quali non è stata tramandata l’identità si erano schierati al fianco del colonnello Chirife, operando con due Ansaldo SVA 5 ed un Ansaldo SVA 10 da una pista improvvisata realizzata presso il villaggio di Cai-Puente. Da quel momento anche i ribelli iniziarono ad effettuare incursioni aeree contro le truppe governative. Il 5 settembre 1922 uno SVA 5 ribelle sorvolò l’accampamento militare governativo di Salitre-cué e si gettò in picchiata da una quota di 2000 metri con l’intenzione di bombardare l’obiettivo, ma venne intercettato dallo SVA 5 governativo del tenente Hasset che effettuò un paio di passaggi mitragliando l’avversario. L’aereo si diede alla fuga, dirigendosi vero la base ribelle di Cango. La mattina dopo un altro SVA 5 nemico si presentò su Salitre-cué, mitragliando e bombardando i soldati governativi. Hasset decollò su allarme e dopo un breve combattimento aereo costrinse il pilota ribelle ad effettuare un atterraggio di fortuna in una fitta boscaglia vicino a Cango, danneggiando irreparabilmente l’aereo. Il 25 settembre nella zona di Isla Alta ebbe luogo un altro combattimento aereo tra due SVA. Alcuni giorni dopo uno SVA 5 ribelle effettuò parecchi voli di ricognizione nel tentativo di individuare una batteria di cannoni da campagna Vickers, caricati su un treno blindato governativo. Informato del fatto, l’alto comando governativo decise di preparare una trappola, piazzando il treno in un luogo ben visibile. Quando lo SVA 5 ribelle si fece vivo, venne attaccato da una quota superiore dal sergente Bo, che a bordo di un velivolo dello stesso modello inseguì a lungo l’avversario mitragliandolo fino ad esaurire le munizioni. Nei mesi successivi vi furono altri contri tra aerei delle due fazioni, ma i piloti ribelli meno esperti e motivati generalmente rompevano rapidamente il contatto, lasciando campo libero ai governativi che potevano in tal modo compiere ricognizioni e bombardamenti pressoché indisturbati. Parallelamente al vittorioso progredire dell’avanzata governativa, nel mese di ottobre due piloti italiani al soldo dei ribelli disertarono in Argentina coi loro SVA 5, attraversando in volo il confine lungo il fiume Paranà presso la cittadina frontaliera di Ituzaingo. Gli ultimi due velivoli ribelli – uno SVA 5 ed uno SVA 10 – ormai bloccati al suolo dalla mancanza di piloti, carburante e pezzi di ricambio, furono catturati intatti dai soldati governativi nel mese di novembre. Negli ultimi mesi del 1922 gli aviatori governativi effettuarono numerose missioni, nonostante l’evidente obsolescenza di molti velivoli. Nel febbraio 1923 restavano solo uno SVA 5, uno SVA 10, due SAML A.3 e uno SPAD S.XX in condizioni di volo. Il giorno 23 di quel mese, Eusebio Ayala firmò il decreto presidenziale n° 15.787, che stabiliva la creazione sulla pista provvisoria di Campo Grande della nuova base aerea permanente di Nu-Guazu, destinata ad ospitare la Scuola di volo dell’Aviazione militare del Paraguay. Nicola Bo ne fu nominato primo direttore, coadiuvato dai meccanici Giuseppe Barbenza e Giuseppe Bo (quest’ultimo fratello di Nicola). Nei primi anni la linea di volo fu costituita dagli aerei sopravvissuti al conflitto, man mano cannibalizzati per mantenerne in volo gli altri. I combattimenti contro residui nuclei ribelli ancora alla macchia nella selva andarono scemando, finché il 18 maggio la morte per polmonite del colonnello Cherife pose definitivamente fine alla rivoluzione. Frattanto in Italia, il 28 marzo1923 il nuovo governo fascista di Benito Mussolini (che fu tra l’altro il primo Presidente del Consiglio italiano ad ottenere il brevetto di volo) aveva fondato la Regia Aeronautica, destinata ad assumere in breve un ruolo di assoluta preminenza a livello mondiale, grazie ad Italo Balbo. Ben pochi dei piloti italiani veterani della 1^ g.m. che avevano cercato fortuna in America Latina nell’immediato dopoguerra ebbero volontà, opportunità e mezzi economici per ritornare in Patria ed entrare a far parte della ricostituita Arma Azzurra. Ma crearono i presupposti per una profonda penetrazione ideologica, militare e commerciale dell’aviazione italiana in numerose nazioni sudamericane negli anni ’30 e ’40. Riguardo l’esperienza umana nella rivoluzione del 1922 è evidente che i piloti italiani assoldati in Argentina come mercenari dalle due fazioni paraguayane in conflitto accettarono solo per denaro e in gran parte si conoscevano bene tra loro. La cosa è evidenziata dal fatto che non esitavano ad effettuare ricognizioni e bombardamenti sulle truppe di terra, ma generalmente evitavano di abbattere connazionali. Gran parte dei combattimenti aerei fu effettuata dal pilota da caccia governativo Patrick Hasset, che non aveva tali remore morali essendo di nazionalità britannica.
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    CHISSA' A QUALE DI QUESTI ALBERI CI IMPICCHERANNO?

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