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Discussione: Film: NACHT FIEL UBER GOTENHAFEN (1959)

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    Film: NACHT FIEL UBER GOTENHAFEN (1959)

    NACHT FIEL UBER GOTENHAFEN

    Genere:
    Drammatico
    Anno:1959
    Regia:
    Frank Wisbar
    Attori:
    Brigitte Horney, Gunnar Moller, Sonja Ziemann
    Paese:Germania
    Durata:94 min
    Distribuzione:ATLANTIS
    Sceneggiatura:
    Franz Wysbar, Victor Schuller
    Fotografia:
    Willy Winterstein, Elio Carniel
    Musiche:
    Hans-Martin Majewski
    Produzione:DEUTSCHE FILM HANSA
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    Film in b/n prodotto e distribuito nel 1958 dalla Deutsche Film Hansa con la regia di Frank Wisbar. Il titolo originale del film era Nacht fiel uber Gotenhafen, tradotto all’epoca per il mercato anglosassone come Night fell over Gotenhafen e per quello italiano come La notte di Gotenhafen. La pellicola uscì nei nostri cinema nel 1959. Attualmente cercando bene è ancora facilmente reperibile una versione in DVD di buona qualità e con doppiaggio italiano, ma con vari titoli maldestramente tradotti imposti dall’importatore come Le strade di Gotenhafen, La strage del Gotenhafen, La tragedia del Gotehafen.
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    CON OLTRE DIECIMILA VITTIME L’AFFONDAMENTO DELLA WILHELM GUSTLOFF FU LA MAGGIORE TRAGEDIA DELLA MARINERIA MONDIALE DI TUTTI I TEMPI MA PER MOTIVI POLITICI VENNE PASSATA SOTTO SILENZIO PER TROPPI ANNI

    Lunga 208,5 metri, con una stazza di circa 26.000 tonnellate e capace di ospitare 1.465 passeggeri in 489 cabine, la Wilhelm Gustloff venne varata ad Amburgo il 5 maggio1937 nel cantiere navale Blohm & Voss, al quale era stata commissionata nel gennaio dell’anno precedente da Robert Ley, capo del sindacato nazista Deutsche Arbeitsfront al costo di 25 milioni di Reichsmark. Nelle intenzioni del gerarca la nave avrebbe dovuto essere la prima di una futura flotta gestita direttamente dalla KdF, l’organizzazione dopolavoristica Kraft durch Freude che organizzava il tempo libero dei lavoratori tedeschi, così da offrire alle classi popolari crociere di cinque giorni al modico prezzo di 40 Reichsmark, coerentemente con le direttive sociali del regime. Il nome le venne imposto in ricordo di Wilhelm Gustloff, Landesgruppenleiter del N.S.D.A.P. in Svizzera, assassinato da un attentatore ebreo a Davos il 4 febbraio 1936. Il 10 febbraio 1938 la nave fu inviata alle foci del Tamigi e adibita a seggio elettorale galleggiante per permettere ai cittadini tedeschi e austriaci residenti nel Regno Unito di votare nel referendum-farsa per l’annessione dell’Austria al Terzo Reich. Il 20 aprile dello stesso anno vi fu la prima crociera regolare verso le Azzorre con destinazione Madeira. Nel 1938 e poi nel 1939 secondo il preciso programma deciso dalla KdF, in estate la Gustloff navigava nel Baltico, portando i suoi passeggeri ad ammirare i fiordi norvegesi, mentre in inverno si trasferiva in Mediterraneo, sulla rotta Genova-Napoli-Palermo-Tripoli-Venezia. Il 31 marzo 1939 due navi da crociera della KdF, la Wilhelm Gustloff e la Robert Ley, vennero precettate per rimpatriare dalla Spagna i volontari tedeschi della Legione Condor, che avevano combattuto a fianco dei franchisti durante la guerra civile appena terminata. La Gustloff in particolare imbarcò gli artiglieri contraerei del Flak Regiment 88, riportandoli ad Amburgo il 24 maggio. Poi ripresero le normali crociere nei fiordi norvegesi, ma allo scoppio della 2^ g.m. il 1 settembre 1939 la Gustloff fu requisita e rapidamente trasformata in nave ospedale con cinquecento posti letto ed una moderna sala operatoria, ricevendo anche le prescritte insegne di riconoscimento internazionali (croci rosse sui due lati dell’unico fumaiolo e banda verde lungo tutto lo scafo) mentre parte dell’equipaggio civile fu sostituito da personale medico. Nel suo nuovo ruolo sanitario la Gustloff operò per poco meno di un anno, imbarcando numerosi feriti tedeschi prima a Danzica, dopo la battaglia del Westerplatte, poi in Norvegia, mentre le truppe da montagna germaniche erano duramente impegnate nell’invasione di quel paese. Nel 1940 la Gustloff fu dismessa come nave ospedale, passando nel ruolo ausiliario in qualità di nave caserma per gli allievi della 2^ Divisione Scuola Sommergibilisti (2.ULD) della Kriegsmarine. Ridipinta in grigio, armata con 8 mitragliere a/a da 20 e 3 cannoni a/a da 105, si trasferì nel porto di Gothenhafen-Oxhoeft (l’odierno porto polacco di Gdynia, non lontano da Danzica), dove rimase ancorata alla banchina della stazione marittima fino al 30 gennaio 1945. A quella data l’offensiva finale dell’Armata Rossa era già in atto da tempo. Già alla fine del 1944 le truppe sovietiche avevano fatto per la prima volta irruzione in territorio tedesco occupando temporaneamente la cittadina prussiana di Nemmersdorf. Accecate dalla volontà di vendetta e istigate dalla virulenta propaganda antitedesca dell’intellettuale ebreo Ilja Ehrenburg, avevano scatenato un’ondata di stupri, atrocità e massacri indiscriminati ai danni della popolazione locale massacrando oltre un centinaio di civili tedeschi di ogni età e ceto oltre a una ventina di prigionieri di guerra francesi e belgi. La notizia scatenò subito il panico in ogni città e villaggio della Prussia Orientale, spingendo oltre tre milioni di persone (in gran parte donne, vecchi e bambini) a tentare una fuga disperata con ogni mezzo, abbandonando case e beni pur di salvare almeno la vita. Nel tentativo di mettere in salvo dalla carneficina il maggior numero possibile di connazionali, a causa della grave mancanza di carbone (che oltretutto impediva alla Deutsches Reichsbahn di organizzare treni speciali per spostare i profughi ad ovest) la Kriegsmarine organizzò rapidamente l’Operazione Hannibal, mettendo in mare tutto il naviglio militare e civile alimentato a nafta, allo scopo di evacuare nei porti sulla costa tedesca e danese le moltitudini che si accalcavano nei pochi lembi di territorio prussiano ancora in mano tedesca. Anche la Gustloff fu coinvolta in questa estrema missione di salvataggio, ma dopo cinque anni di completa inattività le condizioni della nave non erano certo ottimali. L’equipaggio civile era ridotto all’osso perché molti tedeschi in età militare erano già stati precedentemente arruolati e inviati al fronte, venendo solo in parte sostituiti da un pugno di volenterosi marittimi di nazionalità croata. In compenso c’erano ben due comandanti, litigiosi e in perenne disaccordo tra loro. Quello civile era il 68enne Friedirich Petersen, quello militare il Capitano di Corvetta Wilhelm Zahn. Tra il 25 ed il 29 gennaio 1945 ebbe luogo l’imbarco ordinato dei profughi dietro presentazione di biglietto e registrazione dei nominativi per un totale di 7.956 individui. Ad essi si aggiunsero mille sommergibilisti della 2.ULD, circa quattrocento giovanissime ausiliarie della Kriegsmarine e un numero ristretto di soldati gravemente feriti appartenenti alla Wehrmacht ed alla Waffen-SS, portando così il totale ufficiale degli imbarcati a 9.356 individui. Poi la folla dei civili terrorizzata e in preda al panico a causa di ripetuti allarmi aerei, nel timore di essere lasciata a terra in balia delle brutali truppe sovietiche ruppe i cordoni e preso il sopravvento sui membri dell’equipaggio, nelle ultime venti ore prima della partenza continuò a salire disordinatamente a bordo senza più alcun controllo. Alle 13.00 del 30 gennaio 1945 scortata solo dalla piccola torpediniera Loewe, la Gustloff salpò diretta al porto di Kiel nel Meclemburgo, sotto una tempesta di neve e grandine, con una temperatura di 18 gradi sotto zero. Non senza però aver imbarcato altre centinaia di profughi semiassiderati, trasbordati all’ultimo momento dalla piccola nave costiera Revel. A quel punto il numero delle persone stipate all’inverosimile a bordo era presumibilmente di oltre 12.000 individui. Bisogna inoltre tener conto che la nave era ormai completamente disarmata, dato che cannoni e mitragliere a/a erano state sbarcate da tempo per rafforzare le fortificazioni terrestri del porto di Gothenhafen. Doppiata la penisola di Hela, durante la navigazione a fari spenti lungo una rotta prestabilita in direzione ovest, alle ore 18.00 per un falso allarme dopo non poche incertezze e divergenze tra i due comandanti, furono accese per pochi minuti le luci di posizione della nave. Nel buio la sagoma della Gustloff fu così ben visibile al sommergibile sovietico S-13 che si mise all’inseguimento del grosso piroscafo finché, giunto nei pressi dello Stolpe-Bank, alle 21.15 colpì la Gustloff con ben tre siluri. A bordo della nave in quel momento gli altoparlanti diffondevano a tutto volume una trasmissione speciale della Grossdeutsches Rundfunk. Quel 30 gennaio 1945 era infatti una festività importante, l’anniversario dell’arrivo al potere del N.S.D.A.P. in Germania dodici anni prima, il 30 gennaio 1933 mediante libere elezioni. E come ogni anno Adolf Hitler si rivolgeva al popolo attraverso l’emittente radiofonica statale del Terzo Reich, ancora ignaro che quello sarebbe stato il suo ultimo discorso pubblico. Il primo siluro esplose a prua, sotto gli alloggi dell’equipaggio civile e tutti i marinai non in servizio morirono per l’esplosione o annegati (cosa che da lì a poco avrebbe reso ancor più drammatica e quasi impossibile la fase di abbandono nave da parte dei profughi civili). Il secondo siluro esplose sotto la piscina coperta del ponte E. Proprio dentro la grande piscina vuota si erano accampate le ausiliarie di marina. Quasi tutte le ragazze vennero letteralmente macellate dal turbinio di migliaia di schegge di ceramica affilate come rasoi, staccatesi dalle piastrelle colorate che rivestivano la vasca. Il terzo siluro esplose all’altezza della sala macchine squarciando la murata fino al parapetto. Rapidamente la prua della Gustloff si inabissò inclinandosi di parecchi metri. I comandanti Petersen e Zahn si precipitarono subito sul ponte per poi trasbordare in relativa sicurezza sulla torpediniera T36, ancora con le uniformi perfettamente asciutte e senza che nessuno osasse rammentare i loro doveri verso i passeggeri. Frattanto migliaia di profughi terrorizzati tentando di raggiungere i ponti superiori intasavano letteralmente le poche vie di fuga restando schiacciati negli stretti cunicoli e impedendo l’uscita a chi premeva dietro di loro. Gran parte dei membri dell’equipaggio erano morti e non c’era nessuno che potesse guidare quella massa umana nei meandri della nave verso la salvezza. Il ponte inferiore di passeggiata affollato di profughi era protetto da spesse lastre di vetro antiproiettile che resistettero ad ogni tentativo di infrangerle, anche ai numerosi colpi di arma da fuoco sparati dai soldati convalescenti. Il ponte inferiore di passeggiata divenne così una trappola per topi, la vetrata saltò solo durante l’affondamento della nave a causa della pressione dell’acqua e pochi di coloro che vi si trovavano riuscirono a salvarsi a nuoto. Più fortunate furono le donne incinte e le puerpere ricoverate nell’infermeria sul ponte superiore, con l’aiuto di soldati e infermiere si salvarono quasi tutte. Con loro sopravvisse anche il più giovane passeggero in assoluto a bordo della nave, un neonato di nome Egbert Woerner, partorito sulla Gustloff appena un’ora prima del siluramento. Oltre alle scialuppe di salvataggio regolamentari le cui carrucole erano ricoperte da centimetri di ghiaccio, la nave trasportava giubbotti di salvataggio e zattere di sughero per cinquemila persone, la metà circa di quanti erano a bordo. Ma le zattere ammassate all’aperto sul ponte sole erano ormai inutilizzabili, saldate in un unico blocco di ghiaccio spesso a causa della rigida temperatura esterna. A quel punto ognuno dovette pensare per se, vi furono scene di eroismo, viltà e disperazione, come in un Titanic moltiplicato per dieci, molti marinai croati cedettero il loro posto sulle scialuppe a donne e bambini scegliendo consapevolmente di morire con la nave. La temperatura esterna era di 20 gradi sotto zero, quella dell’acqua di soli 2 gradi sopra lo zero, chi con gli indumenti bagnati si arrampicava sugli zatteroni moriva congelato all’istante, mentre chi restava in acqua aveva più probabilità di sopravvivere. Dopo circa cinquanta minuti di agonia la Gustloff si inabissò con ancora 10.000 persone a bordo, tutte le luci accese e la sirena che fischiava ininterrottamente, finché anche il grosso fumaiolo della nave fu inghiottito dalle onde. L’allarme radio fece accorrere rapidamente tutte le imbarcazioni tedesche in zona, oltre alla già citata torpediniera Loewe giunsero le torpediniere T36 e TF19, i dragamine M387, M375 ed M341, la motovedetta V1703, il piroscafo Gottingen e il cargo Gotland (questi ultimi con a bordo ciascuno tremila profughi da evacuare) prodigandosi nel salvare i naufraghi del Gustloff ancora vivi dalle acque gelide. Parimenti impegnato nell’Operazione Hannibal e stracarico di migliaia di profughi era l’incrociatore Admiral Hipper, che però appena giunto sul luogo della tragedia ripartì a tutta forza nel fondato timore di essere silurato a sua volta, facendo involontariamente a pezzi con le proprie eliche centinaia di corpi vivi, morti o moribondi, che ancora restavano a galla. I mezzi di soccorso riuscirono a trarre in salvo un totale di 1.252 naufraghi, alcuni dei quali perirono però entro poche ore per assideramento o gravi ferite. Tutti i sopravvissuti vennero sbarcati separatamente nei vari porti di attracco delle navi che li avevano raccolti, tra cui Kiel, Amburgo, Lubecca e Copenhagen. Informato dell’affondamento, Hitler ne rimase profondamente scosso e ordinò di mantenere segreta la notizia, ma questa trapelò comunque perché nei giorni successivi molte centinaia di cadaveri trasportati dalle maree finirono per arenarsi e vennero raccolti sulle spiagge tedesche e svedesi. Poiché gli elenchi dettagliati andarono perduti negli ultimi caotici mesi del conflitto, non è possibile conoscere ufficialmente l’esatto numero ed i nominativi delle persone salvate. Oltretutto alcune morirono per cause belliche prima della resa definitiva della Germania, avvenuta l’8 maggio 1945. Frattanto l’S-13, sfuggito alla breve e infruttuosa caccia delle torpediniere tedesche Loewe e T36 (che avevano preferito sospendere l’inseguimento del sommergibile nemico per soccorrere quanti più possibile naufraghi in mare), era ancora appostato in zona e tre giorni dopo aver affondato la Gustloff, colò a picco a poca distanza una seconda nave tedesca carica di oltre quattromila tra soldati feriti e profughi civili, la General Von Steuben. Il comandante dell’S-13 era un Comandante di 3^ classe della Flotta del Baltico. Si chiamava Aleksandr Marinesco e in pochi giorni aveva affondato due grosse navi causando la morte di circa 15.000 tedeschi. Mal gliene incolse. Rientrato indenne e soddisfatto alla sua base nel porto finlandese di Turku si aspettava grandi festeggiamenti e magari la medaglia di Eroe dell’Unione Sovietica, ma si trovò dinanzi alla muta ostilità dei superiori per aver attaccato di sua iniziativa invece di limitarsi a pattugliare il tratto di mare tra Memel e Pillau come gli era stato ordinato. Per quanto fosse un leale militante comunista e dimostrasse un inestinguibile odio contro tutti i tedeschi, Marinesco era già da tempo guardato con sospetto dalla N.K.V.D. la brutale e paranoica polizia segreta sovietica, per svariati motivi. Anzitutto per le sue origini. Nato a Odessa nel 1913 da un marinaio rumeno e una prostituta ucraina (il suo cognome originario era probabilmente Marinescu, ma fu prima modificato in Marinesco e poi ulteriormente slavizzato in Marinesko), dopo la fuga del padre crebbe abbandonato a se stesso nel porto della città ucraina, divenendo presto il capo di una violenta banda giovanile composta da ragazzini di varie etnie che parlavano una lingua franca mista di parole russe, ucraine e yiddish. Anche quando all’inizio degli anni trenta per raddrizzarlo fu arruolato nella marina sovietica e si iscrisse al Komsomol, l’organizzazione giovanile del partito comunista, non imparò mai a parlare un russo corretto e fluente, cosa che lo faceva considerare da molti più uno straniero del quale diffidare che un autentico sovietico. Per quanto coraggioso e ligio al dovere in servizio, sia in pace che in guerra si era fatto notare negativamente durante le franchigie, come ubriacone, frequentatore abituale di bordelli e fomentatore di risse, cosa che gli costò numerosi richiami e punizioni da parte dei superiori. Peggio ancora, quando il suo ed altri sommergibili sovietici vennero trasferiti a Turku nell’ottobre 1944, Marinesco non esitò a trovarsi un’amichetta finlandese con la quale imbastì un rapporto stabile e iniziò a frequentare un tale Algot Niska, noto contrabbandiere locale da tempo legato all’Ufficio T, il servizio informazioni svedese. Gli occhiuti inquirenti del N.K.V.D. sospettavano Marinesco di immoralità, contatti illeciti con cittadini stranieri, spionaggio a favore di potenze capitaliste e tentata diserzione. In epoca staliniana era abbastanza per meritarsi il colpo alla nuca o almeno una lunga vacanza in Siberia. Il sommergibilista salvò temporaneamente il collo solo perché la marina aveva troppo bisogno di ogni comandante disponibile. Insignito di una decorazione di poco conto, prestò servizio attivo fino alla fine del conflitto ma venne poi progressivamente ostracizzato e messo ai margini, finché nei primi anni del dopoguerra ottenne il congedo. Da civile fu nominato direttore di una piccola fabbrica di mattoni, ma rimase sempre sotto attenta sorveglianza. Arrestato con l’accusa di furto di proprietà statali per aver donato a poveri contadini ucraini alcuni mattoni usciti fallati dalla fornace, venne condannato a dieci anni di lavori forzati in un Gulag siberiano. Scarcerato durante la destalinizzazione ma ormai spezzato nel corpo e nell’animo, fu riabilitato ufficialmente all’inizio degli anni sessanta e morì a soli cinquant’anni, il 25 novembre 1963. In realtà la sua condanna più che ad una piccola irregolarità amministrativa fu dovuta a due eventi imprevedibili. Durante la guerra fredda e con metà Europa chiusa dietro la cortina di ferro, gli ex- alleati angloamericani avevano iniziato a sfruttare i crimini di guerra sovietici ai danni della popolazione tedesca a fini di propaganda anticomunista (nonostante durante il conflitto essi stessi si fossero macchiati di crimini simili se non peggiori di quelli perpetrati dall’Armata Rossa), dunque l’uccisione di un gran numero di civili da parte di Marinesco se prima era un atto eroico e meritevole, ora era diventata improvvisamente scomoda dal punto di vista mediatico per l’Unione Sovietica, in quanto contribuiva ad influenzare negativamente l’opinione dei paesi occidentali, specie nella Germania Ovest, dove il democristiano Adenauer appena giunto al potere, a differenza dei pavidi e imbelli democristiani italiani aveva immediatamente costituito un apposito Ministero per la tutela e il risarcimento dei Profughi e la restituzione delle Terre Invase. E poi Marinesco silurando la Gustloff avrebbe inconsapevolmente spedito in fondo al Baltico anche la Camera d’Ambra, una celebre opera d’arte dei maestri artigiani tedeschi, donata secoli prima dal re di Prussia allo zar di Russia e rimasta nella residenza estiva di Zarskoje Selo, proprietà prima della dinastia zarista, poi dello stato sovietico. Ciò fino all’ottobre 1941, quando fu catturata dalla Wehrmacht, smontata accuratamente e riportata in Prussia per essere esposta al pubblico nel Museo di belle arti di Konigsberg. Nel 1943 per preservarla dai bombardamenti aerei alleati fu nuovamente smontata in casse e messa al sicuro nei sotterranei del castello di Konigsberg. La certezza che nel gennaio 1945 la Camera d’Ambra fosse stata portata in camion a Gothenhafen e caricata dalle SS nella stiva B della Gustloff per sottrarla alle truppe sovietiche, avrebbe fatto infuriare Stalin e da qui le ritorsioni sull’ignaro Marinesco. Tale ipotesi è comprovata dal fatto che tra il 1946 e il 1981 per ordine di Mosca si tentarono ripetutamente spedizioni di recupero perdendo decine di palombari ed effettuando estese e devastanti demolizioni sul relitto nel tentativo infruttuoso di raggiungere la stiva B e la Camera d’Ambra. Inizialmente la marina sovietica operò da sola, poi dal 1958 anche con l’aiuto della controparte polacca, peraltro più interessata a saccheggiare e smantellare la Gustloff recuperando prezioso acciaio tedesco di prima qualità per le fonderie statali della Polonia. Le ricerche furono effettuate all’insegna della più profonda diffidenza reciproca, sovietici e polacchi si sorvegliavano a vicenda. Il fatto non passò inosservato alla NATO e il governo della R.F.T. chiese ripetutamente il rispetto di quella che era ormai una fossa comune, rivendicando ufficialmente la proprietà del relitto. Di conseguenza da quel momento i sovietici cessarono ogni manomissione della Gustloff, non senza aver prima accuratamente sigillato ogni via d’accesso, allo scopo di impedire che sub di potenze capitaliste potessero inoltrarsi all’interno del relitto e fotografare gli oltre diecimila scheletri che esso ancora custodiva. Sulla tragedia della Gustloff come su molti altri crimini dei vincitori sarebbe col passare del tempo inevitabilmente calato l’oblio se non fosse stato per l’incrollabile determinazione di un solo uomo. Heinz Schon (1926-2013) il 30 gennaio 1945 era un giovane vicecommissario di bordo sulla Gustloff e sopravvisse al naufragio. Subito imbarcato su un’altra nave, la General San Martin, continuò coraggiosamente ad evacuare profughi dalla Prussia Orientale fino alla resa definitiva del Terzo Reich. Nel dopoguerra divenne in Germania Ovest la memoria storica della tragedia scrivendo numerosi articoli e libri come giornalista pubblicista, oltre a partecipare come consulente nel 1958 alla sceneggiatura del film di Wisbar. Fondatore e presidente dell’Associazione superstiti, soccorritori e familiari delle vittime della Gustloff, rivolse ripetuti appelli alle autorità federali per la tutela del relitto, fino ad ottenere dopo la riunificazione tedesca un trattato con la Polonia che equiparasse i resti della Gustloff ad un cimitero di guerra. Redasse pazientemente un elenco parziale dei sopravvissuti all’affondamento con 996 nominativi allora residenti nel territorio della R.F.T. (dato che fino al 1991 nella R.D.T. comunista l’argomento era tabù come d’altra parte ogni atrocità e crimine di guerra commesso dai sovietici ai danni della popolazione civile tedesca nel 1945). In punto di morte chiese e ottenne che le sue ceneri fossero riportate a bordo del relitto. L’urna cineraria e la targa commemorativa, portate in loco da due sub tedeschi e due polacchi, riposano nel ventre della Gustloff ormai dal 23 maggio 2013.

    VICECOMMISSARIO DI BORDO HEINZ SCHON! PRESENTE!
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  2. #2
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  3. #3
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    Attraverso le vicende personali e sentimentali dei vari personaggi a bordo della Wilhelm Gustloff, il film ricostruisce efficacemente la tragedia dell'affondamento del grande transatlantico tedesco avvenuto sulla costa del Baltico il 30 gennaio 1945, e costato la vita ad oltre 10.000 passeggeri, in gran parte profughi civili dalla Prussia Orientale invasa dalle truppe sovietiche.
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  4. #4
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    Vi sono molte discrepanze tra la storia vera dell'affondamento della Gustloff e quella romanzata narrata nel film di Wisbar, oltre a numerose curiosità di ordine storico-politico che affronterò prossimamente.
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  5. #5
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    Innanzi tutto bisogna dire che il film di Wisbar non è propriamente un film bellico, bensì un mediocre drammone sentimentale incidentalmente ambientato nel periodo bellico. La pellicola risente di una evidente povertà di mezzi ma non è esente da lati positivi pur risentendo molto del momento storico nel quale fu girata. Già è notevole il fatto che vi si faccia largo uso di rari inserti filmati d’epoca, tratti dagli archivi del Deutsche Wochenschau, (un cinegiornale di propaganda nazista proiettato in tutte le sale del Reich e dei territori occupati analogamente al nostro Istituto Luce) e rende il film degno di essere visto anche solo per questo. Gli spezzoni dell’epoca mostrano il varo della Gustloff nei cantieri Blohm & Voss di Amburgo, allegri crocieristi sul ponte della nave durante i viaggi nei fiordi norvegesi alla fine degli anni trenta, scene di combattimento al fronte orientale, un bombardamento della R.A.F. su una città tedesca, la drammatica odissea delle carovane di profughi tedesco-orientali in fuga dall’avanzata sovietica nella neve a temperature polari, ma soprattutto rarissime immagini dell’imbarco dei profughi sulle grandi navi da crociera tedesche riunite nel porto di Gotenhafen nell’ambito dell’Operazione Hannibal. La trama è semplice se non semplicistica.
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    Maria, una giovane berlinese che lavora come speaker della Grossdeutscher Rundfunk (la radio statale del Terzo Reich) si ritrova suo malgrado al centro di un complicato triangolo amoroso, contesa tra il marito Kurt Reiser, combattente al fronte orientale, e l’amante, l’ufficiale della Kriegsmarine Heinz Schott, conosciuto prima della guerra durante una crociera a bordo della motonave Gustloff. In seguito all’adulterio, consumato in circostanze drammatiche in un rifugio antiaereo dopo un bombardamento notturno, Maria rimane incinta, viene scacciata da casa dei suoceri e Kurt chiede il divorzio. Lasciata Berlino la donna si rifugia a Lastwethen, un piccolo villaggio agricolo nell’entroterra della Prussia Orientale, ospite nella fattoria della sua amica Edith Marqardt, una ex disegnatrice di moda figlia di agiati proprietari terrieri. Lontana dalla guerra e in relativa tranquillità, Maria solidarizza con le donne che coltivano i campi quasi da sole (gli uomini sono al fronte) e a suo tempo partorisce il “figlio della colpa”. Ma le bestiali truppe di Stalin irrompono improvvisamente oltre il confine compiendo indiscriminate atrocità contro tutti i civili tedeschi. Il vecchio e inerme capostazione Pinkoweit viene trucidato a sangue freddo lungo i binari solo perché indossa la divisa della Deutsche Reichsbahn, le ferrovie tedesche. E il bonario Gaston, un prigioniero di guerra francese, viene ferito a morte. La stessa Edith Marqardt reagisce a un tentativo di stupro, venendo a sua volta assassinata dai soldati sovietici. Come le altre donne della regione, Maria è costretta a cercare scampo aggregandosi col figlioletto neonato ad una delle molte carovane di profughi in fuga verso occidente. A improvvisare di propria iniziativa una carovana con l’aiuto di anziani fittavoli e qualche prigioniero di guerra é la Generalessa Von Reuss (una energica nobildonna prussiana e antinazista vedova di un ufficiale caduto in guerra e proprietaria di una vasta tenuta agricola confinante con la proprietà dei Marqardt) che guida coraggiosamente i carri stracarichi di donne e bambini verso la salvezza, affrontando una terribile marcia sulla laguna ghiacciata per sfuggire all’avanzata nemca e poi raggiungendo – non senza molti morti per freddo e fame – prima Danzica e infine Gothenhafen. In quel porto Maria ritrova Heinz Schott, nel frattempo tornato a prestare servizio insieme al collega orbo Dankel, a bordo della Gustloff da tempo divenuta nave-caserma per gli allievi sommergibilisti. Grazie ai due può far ricoverare nell’infermeria della nave anche il marito Kurt, gravemente ferito in combattimento. Il drammatico intreccio sentimentale viene tragicamente sciolto solo durante l’affondamento del piroscafo da parte del sommergibile sovietico S-13, la notte del 30 gennaio 1945. Tutti e tre i protagonisti dell’involontario triangolo periscono nei flutti, riscattando così i loro peccati, mentre il neonato, innocente simbolo di rinascita è affidato all’ultimo momento alla coraggiosa Generalessa e viene da lei caricato insieme ad altri bambini orfani a bordo di una scialuppa. Anche l’ufficiale sommergibilista Dankel viene fortunosamente recuperato dai soccorritori, dopo essersi gettato – benché mutilato – nelle acque gelide del Baltico pur di trarre in salvo l’ausiliaria della quale è innamorato. Il film termina con la Generalessa che a bordo della torpediniera tedesca T36 stracarica di naufraghi sconvolti e piangenti, pronuncia una tragica e disperata requisitoria contro la disumanità della guerra, ma soprattutto contro le donne tedesche, che hanno la responsabilità di non saputo impedire ai loro uomini di andare soldati.

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    Il film risale al 1959 ed è stato per molti decenni l’unica opera a trattare l’affondamento della Wilhelm Gustloff (solo nel 2008 fu realizzato in Germania un serial televisivo a puntate intitolato Die Gustloff, che riprendeva la vicenda storica romanzandola in modo talmente maldestro, superficiale e fantasioso che la sua messa in onda provocò violente proteste da parte dell’Associazione superstiti, soccorritori e famiglie delle vittime). Però anche nel film rispetto agli eventi storici saltano agli occhi parecchie incongruenze, reticenze e vere e proprie omissioni, solo in parte dovute ad esigenze narrative, ma anche influenzate dalla situazione politica e militare della R.F.T. costretta in quegli anni ad un duro confronto ideologico e militare con la sua bellicosa omologa comunista R.D.T. nata pochi anni prima per volontà dei sovietici nei territori tedeschi da loro occupati manu militari. Possiamo in breve sintetizzare così l’argomento.
    - Il film risente della rigida normativa antinazista imposta fino dall’inizio dagli americani nel territorio della Germania Occidentale da loro occupato e recepita poi nella legislazione di quel paese sotto la dicitura di leggi per la protezione delle istituzioni democratiche, che in pratica vietava l’esposizione e la riproduzione di immagini, scritti, simboli, legati anche in modo generico al passato nazista della Germania e dei suoi leader. Perciò nonostante la pellicola racconti eventi che si snodano tra il settembre 1939 e il gennaio 1945, quasi non vi si trova alcun riferimento esplicito ad Hitler e al nazismo. Nonostante la Wilhelm Gustloff fosse stata costruita appositamente su ordine dell’organizzazione dopolavoristica nazista KdF per offrire viaggi di piacere a lavoratori iscritti al partito nazista N.S.D.A.P. e al sindacato nazista Daf la cosa viene totalmente sottaciuta, come per altro in tutte le scene girante in interni (i saloni della nave, gli uffici della radio tedesca di Berlino, le caserme della Kriegsmarine, le case private, ecc.) non si vede un solo ritratto di Hitler appeso al muro, mentre sappiamo che i tedeschi del periodo ne tappezzavano praticamente ogni luogo pubblico e privato rasentando l’idolatria – sia per intima adesione al regime, sia perché dallo scoppio della guerra era diventato un obbligo patriottico ineludibile – e quanto alle bandiere naziste, le uniformi brune indossate da dirigenti politici e funzionari pubblici, nonché i vari distintivi del partito, esse compaiono sporadicamente e per pochi istanti. Praticamente nessuno tra attori principali indossa la cimice con la svastica all’occhiello, cosa davvero improbabile in quanto secondo la sceneggiatura, sia Maria che il marito Kurt lavorano per la radio nazista Grossdeutscher Rundfunk, emanazione diretta del Ministero della Propaganda del gerarca Goebbels. Nessuno si saluta col noto Heil Hitler! E nessun membro della Wehrmacht o della Kriegsmarine presente nel film fa il saluto nazista (peraltro imposto col nome di saluto tedesco a tutti i membri delle FF.AA. dopo l’attentato ad Hitler del 20 luglio 1944, come presa di distanza dalle tradizioni dell’ aristocrazia militare prussiana, da allora in poi ritenuta infida dai nazisti). Ci si stringe molto la mano tra marinai tedeschi, questo si ostentatamente, e si fa il saluto militare portando la mano al berretto, neanche appartenessero alla marina militare di una qualche illuminata democrazia scandinava di orientamento socialdemocratico. Sempre a causa delle stringenti normative vigenti all’epoca nella Repubblica Federale, in tutto il film appaiono solo due autentici nazisti, uno ridicolo, l’altro stereotipato. Il primo è il capo del sindacato nazista Robert Ley, interpretato da un attore con toni farseschi durante la cerimonia di varo della Gustloff, la cui presenza si limita però a una breve sequenza interpolata tra quelle autentiche del cinegiornale d’epoca, che ritraggono prima la nave durante il varo e poi la folla plaudente (evidentemente per legge non si poteva mostrare il volto dell’autentico Robert Ley, un noto ubriacone catturato nel 1945 dagli americani in Baviera e suicidatosi per sfuggire al processo di Norimberga, altrimenti i non pochi nostalgici ne avrebbero tratto vantaggio). Il secondo è un lombrosiano ufficiale SS che irrompe in una casa chiusa di Gothenhafen frequentata da sommergibilisti per arrestarne la tenutaria, la quale nasconde in cantina l’anziano padre ebreo nel tentativo di salvarlo dalla deportazione. In generale tutti gli altri personaggi sono dipinti se non come apertamente antinazisti, almeno come non nazisti o apolitici, specie se di età avanzata, come Herr Marqardt, l’anziano combattente della guerra 1914/1918, richiamato forzatamente nel Volkssturm. Ma tutti sono dotati di un profondo patriottismo tedesco, la Patria prima di tutto indipendentemente da chi, magari in modo abietto e spregevole, la guida al momento. In sostanza l’autorappresentazione del Terzo Reich in questo film segue pedissequamente lo schema vittimistico-assolutorio evidenziato da Annah Arendt durante il suo viaggio nella Germania postbellica e poi divenuto grazie alla guerra fredda e alla ragion di stato un mantra ripetuto ad oltranza anche dagli organi ufficiali, dai tempi del cancellierato del democristiano Adenauer fino alla riunificazione. Il popolo tedesco non è complice ma vittima del nazismo, i tedeschi ignoravano la Shoah e gli altri delitti commessi in suo nome, la colpa di tutto ricade solo su Hitler e una ristretta cerchia di gerarchi pazzi e criminali, solo le Waffen-SS perpetravano crimini di guerra al fronte, la Wehrmacht era leale e cavalleresca, e via di questo passo. Tutte affermazioni purtroppo smentite dai fatti.




    - Visti i fattori che hanno influenzato la descrizione del popolo tedesco, bisogna analizzare come la caratterizzazione di altri popoli appare nella pellicola. I sovietici, tutti i sovietici, i soldati assassini e stupratori, i sommergibilisti che affondano la Gustloff, persino l’interprete collaborazionista Fjedor che combatte al fianco dei tedeschi, sono mostrati brevemente e se non considerati apertamente subumani come nella propaganda nazista del periodo bellico, di certo vengono mostrati come esseri brutali, spietati, sgraziati e sporchi, totalmente asserviti al comunismo staliniano e proni alla propaganda d’odio degli intellettuali marxisti, come l’ebreo Ilia Ehrenburg. Verso i francesi di De Gaulle il disprezzo è palpabile, il marito della Generalessa, alto ufficiale delle truppe di occupazione a Parigi, è stato vilmente assassinato dai partigiani. Ma Gaston, il fedele prigioniero di guerra francese che le fa da cocchiere e uomo di fatica fin dal 1940 è trattato umanamente e benvoluto da tutti in paese. Perciò è apertamente solidale col popolo tedesco, da anticomunista convinto non ci pensa proprio a consegnarsi ai sovietici dopo la rottura del fronte, aiuta le donne a sfuggire all’Armata Rossa, fa il saluto militare al grido di Vive Petain! Vive la Collaboration! Quando durante la marcia nella neve spira fra le braccia della Generalessa, i profughi tedeschi che lo hanno assistito amorevolmente lo seppelliscono, mentre un anziano pastore protestante prega per la sua anima. Gli inglesi vengono solamente citati (e maledetti da uno dei personaggi per i loro devastanti bombardamenti terroristici notturni su Berlino), appare uno spezzone di cinegiornale con bombardieri Lancaster in volo su città tedesche invano contrastati dalla Flak. Gli americani invece nel film proprio non esistono, non vengono mai nemmeno nominati, come se il Terzo Reich non avesse mai dichiarato guerra agli Stati Uniti, ma la cosa è ben spiegabile. I tedeschi dell’ovest dovevano agli occupanti americani (che peraltro li avevano abbondantemente bombardati e massacrati quanto e più degli inglesi) prima la loro mera sopravvivenza fisica e poi il loro crescente benessere dovuto al boom della ricostruzione durante la guerra fredda. La stessa Repubblica Federale Tedesca nata accorpando i settori di occupazione militare americano, francese e britannico era una creazione politica fittizia voluta da Washington in funzione anticomunista dopo la nascita della R.F.T. per poter imporre la coscrizione obbligatoria e inserire le truppe tedesche nel sistema di difesa della N.A.T.O. in vista di un probabile attacco da est. Il governo di Bonn era totalmente soggetto al grande fratello a stelle e strisce, dunque da bravo vassallo non teneva certo a rinvangare i torti del vincitore a fianco del quale era ormai stabilmente schierato. Gli sceneggiatori del film visto il momento politico, non potendo dir bene degli americani, preferirono saggiamente non parlarne affatto.



    - Serve spendere due parole anche sulla moralità della donna tedesca e sul fenomeno dell’adulterio di guerra. Con milioni di uomini tedeschi al fronte, la resistenza del fronte interno passò rapidamente nelle mani delle donne rimaste sole a sobbarcarsi un numero crescente di lavori maschili negli uffici militari, nelle fabbriche belliche, nell’agricoltura di guerra, oltre a prendersi cura di vecchi e bambini. Nei primi anni del conflitto Hitler, che riteneva la donna tedesca una mera fattrice di bambini ariani destinati a loro volta a diventare futuri soldati, tentò di dissuadere questa tendenza, ma nel 1944 con la proclamazione della cosiddetta Guerra Totale anche la burocrazia nazista dovette rassegnarsi al fatto compiuto. E verso la fine della guerra donne sgombravano macerie e combattevano gli incendi nelle file della protezione civile Luftschutz, manovravano i cannoni della contraerea col grado di Flakhelferinnen, in Berlino accerchiata vi furono persino donne e ragazze che combatterono come volontarie nella Volkssturm. Nonostante l’enorme mole di responsabilità caricata dal regime sulle loro spalle, il fatto che un numero crescente di donne ariane cercasse un momento di temporaneo oblio fra le braccia di sconosciuti, era intollerabile per la morale nazista. L’adulterio ai danni di un coniuge impegnato al fronte diventò un grave reato, ancor più se commesso con uno dei milioni di lavoratori stranieri che lavoravano più o meno forzatamente nei campi e nelle fabbriche belliche del Reich. Le pene erano relativamente pesanti, le donne colte in flagranza furono indicate al pubblico ludibrio, essendo l’infedeltà coniugale appena meno grave del reato di Rassenschande (cioè qualsiasi atto di natura sessuale intercorso tra ariani ed ebrei) che fin dagli anni trenta comprendeva l’immediato internamento nei campi di concentramento per il partner ariano e addirittura la condanna a morte per quello israelita. La fine della guerra cambiò rapidamente le cose, sovvertendo tutti i valori morali. Ad est gli occupanti sovietici violentarono ripetutamente e sistematicamente tutte le donne, le vecchie e persino le bambine che ebbero la disgrazia di cadere vive nelle loro mani, nel tentativo di operare una sorta di brutale sostituzione etnica (tanto che ancora negli anni ’80 il leader sovietico Andropov dichiarava con malcelato orgoglio che il 90% dei bambini tedesco-orientali nati tra il 1945 e il 1947 erano di sangue russo, in quanto figli degli stupri dell’Armata Rossa). Ad ovest la massiccia presenza delle guarnigioni di soldati francesi, inglesi e americani diede vita ad un enorme fenomeno di prostituzione di massa fra donne tedesche di ogni ceto ed età, pur di non morire di fame. Ad est come ad ovest nacquero un gran numero di figli bastardi e meticci, fenomeno che destabilizzò non poco gli ignari capifamiglia tedeschi che rimpatriavano lentamente dopo anni di guerra e di prigionia (gli ultimi prigionieri di guerra in mano alleata rientrarono dall’America all’inizio degli anni ’50 e quelli deportati nei Gulag sovietici addirittura alla fine del decennio). Tant’è vero che nella seconda metà degli anni ’40 di tutta la legislazione nazista (epurata pressoché in blocco), le amministrazioni civili tedesche sia ad est che ad ovest mantennero in vigore solo una legge, quella che depenalizzava dell’aborto per le donne tedesche incinte di soldati stranieri nemici. Nell’ambito di questa morale postbellica notevolmente più rilassata rispetto a quella del regime hitleriano, nel film, l’adulterio commesso da Maria Reiser ed Hans Schott è visto dagli altri personaggi con bonaria riprovazione, talvolta con comprensione, a volte quasi giustificato dalle circostanze belliche eccezionali (avviene dopo un bombardamento quando i due si ritrovano esausti dopo aver lottato tutta la notte per salvare la casa dalle fiamme provocate da una bomba incendiaria). Ciò è senza dubbio dovuto al fatto che non solo nelle due Germanie postbelliche ideologicamente contrapposte, ma anche nel Terzo Reich, il divorzio era una istituzione garantita da tempo alla cittadinanza che lo riconosceva come un proprio diritto inalienabile in dai tempi del cancelliere Bismarck. Infatti nel film il marito cornuto Kurt, venuto a conoscenza dei fatti approfitta di una breve licenza per ottenere il nuovo indirizzo della moglie, non certo per farle una scenata di gelosia, ma solo affinché il suo avvocato possa notificarle le carte del divorzio. E le esperienze di forzata autonomia e indipendenza dal mondo maschile vissute per forza di cose nel periodo bellico avevano instillato in gran parte delle donne tedesche una robusta forma di indipendenza ed autoconsapevolezza, di stampo quasi proto-femminista. Ben diversi sarebbero stati i toni usati in un eventuale film italiano dello stesso argomento, a causa del ferreo predominio religioso e politico sulle coscienze degli italiani degli anni cinquanta del moralismo cattolico a sfondo democristiano. Nella pellicola anche il “figlio della colpa” dato alla luce da Maria (nome biblico scelto forse non a caso dagli sceneggiatori tedeschi) non suscita particolare vergogna o riprovazione, in quanto ignaro e innocente, semmai è visto come un simbolo di speranza nel futuro e di sopravvivenza per una Germania che aveva avuto milioni di morti. D’altra parte nel film anche il prigioniero francese Gaston, cocchiere/factotum ferito a morte dai sovietici, confessa in punto di morte alla Generalessa di avere una relazione segreta con la sua giovane cameriera (come già detto era un reato assai grave per un prigioniero di guerra del Terzo Reich). Ma la nobildonna risponde semplicemente va tutto bene, lo so, l’ho sempre saputo.


    - Quanto alla Gustloff in porto o in navigazione e poi durante l’affondamento notturno, si è fatto largo uso di modellini in scala ridotta e ingrandimenti fotografici, a parte che molte scene sono in interni per motivi economici, le uniche sequenze effettivamente in esterni sono brevi scorci di un porto che dovrebbe essere Gotenhafen con sommergibilisti che marciano cantando sul molo, brevi scene di combattimento nella neve al fronte russo, la fattoria prussiana e i campi di patate dei Marqardt, la piccola stazioncina di Lastwethen, tutte in realtà girate ad Amburgo o nei dintorni di quella città portuale. Anche gli scadenti effetti speciali (neve finta, esplosioni di barili di carburante) mostrano la povertà della produzione. Quanto ai veicoli visibili in varie scene del film, oltre ai molti carri, carretti e slitte a trazione animale utilizzati dai profughi di guerra, compaiono solo una Kubelwagen, un camion Ford V3000S (prodotto anche nel dopoguerra dalla filiale Ford di Colonia, accuratamente risparmiata dai bombardamenti americani) ed un altro camion tedesco non meglio identificato, che ricorrono in varie scene con targhe diverse e mimetizzazione invernale o meno.


    - Alcuni personaggi ed eventi rievocati nel film non corrispondono esattamente alla realtà per vari motivi. Il sommergibilista seduttore Heinz Schott, che nel film ci viene mostrato come già in servizio sulla Gustloff nel settembre 1939, richiama molto, forse intenzionalmente, nome e cognome dell’autentico ufficiale Heinz Schon, vicecommissario di bordo sopravvissuto all’affondamento del Gustloff, che fece da consulente per la sceneggiatura del film di Wisbar e in seguito fondò una associazione per tutelare e preservare la memoria della tragedia. Però il vero Schon, non ha nulla a che fare col personaggio moralmente discutibile del film, in quanto essendo della classe 1926, aveva solo 21 anni nel 1945 ed era al suo primo imbarco, dunque nel 1939 era abbondantemente minorenne e non poteva già essere a bordo della Gustloff come ufficiale e tantomeno sedurne le belle passeggere. Diverso il caso della Generalessa Von Reuss, personaggio ispirato ad una figura realmente esistita, una baronessa di origine baltica vedova di un alto ufficiale della Wehrmacht e proprietaria di vasti appezzamenti di terreno in Prussia Orientale, che dopo la fuga precipitosa dei gerarchi nazisti locali, teoricamente responsabili di evacuare i civili, di sua iniziativa organizzò una piccola carovana, inizialmente per mettere in salvo solo le famiglie dei suoi contadini, ma strada facendo si aggregarono molti altri abitanti dei paesi vicini e sbandati di ogni provenienza. Trovatasi improvvisamente responsabile della vita di oltre diecimila persone, in gran parte donne e bambini, riuscì a salvarle riunendo oltre cento carri a cavalli e guidandoli con piglio autoritario in una drammatica marcia sulla laguna ghiacciata, sfuggendo ai sovietici fino a raggiungere Danzica e Gotenhafen. Imbarcatasi con molti di loro sulla Gustloff, sopravvisse all’affondamento e in seguito raggiunse la Germania Occidentale, non cessando mai di reclamare la restituzione dei suoi beni e terreni espropriati dai comunisti, ma ormai ben oltre la cinquantina e stremata dalle drammatiche circostanze dell’esodo dall’est, ne ebbe la salute gravemente minata e morì nei primi anni del dopoguerra. Divenne letteralmente un mito per i milioni di profughi espulsi dai territori orientali e reinsediati forzatamente nella Repubblica Federale Tedesca, che ancora ne perpetuano la memoria. Se nel film il personaggio della Generalessa è apertamente antinazista e contrario alla guerra, non è possibile dire altrettanto della figura storica che l’ha ispirata. Altre figure assai controverse sono quelle dei due comandanti della Gustloff, Zahn e Petersen, che nella pellicola si comportano coraggiosamente fino a dare l’ordine di abbandono nave solo quando ormai il piroscafo sta affondando e le onde spazzano il pone principale. In realtà i due ufficiali appena pochi istanti dopo il siluramento abbandonarono la plancia, trasbordando a bordo della torpediniera Loewe con gli abiti ancora perfettamente asciutti e lasciando la sorte dei passeggeri civili alla buona volontà dell’equipaggio. Similmente il mancato soccorso dei naufraghi da parte dell’incrociatore Admiral Hipper, che pur di allontanarsi a tutta velocità dalla zona del siluramento non esitò a ignorare le richieste di aiuto e spingendo i motori a tutta forza fece a pezzi con le sue eliche centinaia di tedeschi vivi, morti e moribondi, che ancora galleggiavano a pelo d’acqua è passata sotto silenzio. Nel film un marinaio telegrafista legge un anodino messaggio che annuncia l’allontanamento dell’Hipper, motivato dal timore di essere silurato a sua volta dal sommergibile sovietico S-13. Ciò è spiegabile dal fatto che nell’ambito del rapido riarmo della R.F.T. da poco era stata ricostituita con l’aiuto degli americani la Bundesmarine, ovvero la nuova marina da guerra tedesco-occidentale, che si era fatta carico in toto del patrimonio morale e delle tradizioni belliche della Kriegsmarine e nella quale erano tornati in servizio moltissimi ufficiali inferiori di grande esperienza che pur avendo prestato servizio durante il Terzo Reich, risultavano relativamente meno compromessi di altri con il regime nazista. Oltretutto nel 1959 sia Zahn che Petersen erano ancora vivi. Dunque mostrare sullo schermo comportamenti lesivi dell’onore militare della marina germanica passata o presente, rischiava di attirare sulla produzione della pellicola una denuncia per oltraggio alle FF.AA. da parte della marina o quantomeno per diffamazione da parte dei due ex-ufficiali.



    - Quanto alla versione italiana del film, come già detto è reperibile in DVD sotto vari titoli, col doppiaggio originale dell’epoca. Ascoltandolo riconoscerete alcune delle voci italiane più attive nel doppiaggio negli anni sessanta. Una fra tutte, la voce fuori campo nella tragica sequenza iniziale dei naufraghi assiderati che galleggiano fra le onde nell’oscurità della notte, elenca data, nome della nave e luogo dell’affondamento è quella dell’attore Carlo Romano, un vero mito fra i nostri doppiatori. Altro discorso è quello della censura operata in Italia all’epoca dell’uscita nei cinema. Dalla versione in lingua italiana scompare misteriosamente almeno una intera sequenza, dove inermi sommergibilisti tedeschi schierati sul ponte di un U-Boote vengono mitragliati proditoriamente da un aereo alleato e l’ufficiale Dankel perde un occhio. Nella scena successiva il Dankel, dimesso guarito dall’ospedale militare è a colloquio con un superiore e porta già la benda a coprire l’orbita vuota dell’occhio offeso. Non sappiamo il motivo del taglio, e tantomeno di tagli minori operati alla sequenza di Maria che si reca ripetutamente a visitare il marito Kurt nell’infermeria della Gustloff. Possiamo ipotizzare che il mitragliamento sia stato considerato troppo cruento o politicamente inopportuno dai nostri organi censori di stampo democristiano. E la scena tra i due coniugi in infermeria contenesse accenni ad adulterio e divorzio, due argomenti allora considerati se non veri e propri tabù, almeno assai scabrosi dalla morale corrente.
    CHISSA' A QUALE DI QUESTI ALBERI CI IMPICCHERANNO?

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