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Discussione: Film: NACHT FIEL UBER GOTENHAFEN (1959)

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    Film: NACHT FIEL UBER GOTENHAFEN (1959)

    NACHT FIEL UBER GOTENHAFEN

    Genere:
    Drammatico
    Anno:1959
    Regia:
    Frank Wisbar
    Attori:
    Brigitte Horney, Gunnar Moller, Sonja Ziemann
    Paese:Germania
    Durata:94 min
    Distribuzione:ATLANTIS
    Sceneggiatura:
    Franz Wysbar, Victor Schuller
    Fotografia:
    Willy Winterstein, Elio Carniel
    Musiche:
    Hans-Martin Majewski
    Produzione:DEUTSCHE FILM HANSA
    ___________________


    Film in b/n prodotto e distribuito nel 1958 dalla Deutsche Film Hansa con la regia di Frank Wisbar. Il titolo originale del film era Nacht fiel uber Gotenhafen, tradotto all’epoca per il mercato anglosassone come Night fell over Gotenhafen e per quello italiano come La notte di Gotenhafen. La pellicola uscì nei nostri cinema nel 1959. Attualmente cercando bene è ancora facilmente reperibile una versione in DVD di buona qualità e con doppiaggio italiano, ma con vari titoli maldestramente tradotti imposti dall’importatore come Le strade di Gotenhafen, La strage del Gotenhafen, La tragedia del Gotehafen.
    _________________

    CON OLTRE DIECIMILA VITTIME L’AFFONDAMENTO DELLA WILHELM GUSTLOFF FU LA MAGGIORE TRAGEDIA DELLA MARINERIA MONDIALE DI TUTTI I TEMPI MA PER MOTIVI POLITICI VENNE PASSATA SOTTO SILENZIO PER TROPPI ANNI

    Lunga 208,5 metri, con una stazza di circa 26.000 tonnellate e capace di ospitare 1.465 passeggeri in 489 cabine, la Wilhelm Gustloff venne varata ad Amburgo il 5 maggio1937 nel cantiere navale Blohm & Voss, al quale era stata commissionata nel gennaio dell’anno precedente da Robert Ley, capo del sindacato nazista Deutsche Arbeitsfront al costo di 25 milioni di Reichsmark. Nelle intenzioni del gerarca la nave avrebbe dovuto essere la prima di una futura flotta gestita direttamente dalla KdF, l’organizzazione dopolavoristica Kraft durch Freude che organizzava il tempo libero dei lavoratori tedeschi, così da offrire alle classi popolari crociere di cinque giorni al modico prezzo di 40 Reichsmark, coerentemente con le direttive sociali del regime. Il nome le venne imposto in ricordo di Wilhelm Gustloff, Landesgruppenleiter del N.S.D.A.P. in Svizzera, assassinato da un attentatore ebreo a Davos il 4 febbraio 1936. Il 10 febbraio 1938 la nave fu inviata alle foci del Tamigi e adibita a seggio elettorale galleggiante per permettere ai cittadini tedeschi e austriaci residenti nel Regno Unito di votare nel referendum-farsa per l’annessione dell’Austria al Terzo Reich. Il 20 aprile dello stesso anno vi fu la prima crociera regolare verso le Azzorre con destinazione Madeira. Nel 1938 e poi nel 1939 secondo il preciso programma deciso dalla KdF, in estate la Gustloff navigava nel Baltico, portando i suoi passeggeri ad ammirare i fiordi norvegesi, mentre in inverno si trasferiva in Mediterraneo, sulla rotta Genova-Napoli-Palermo-Tripoli-Venezia. Il 31 marzo 1939 due navi da crociera della KdF, la Wilhelm Gustloff e la Robert Ley, vennero precettate per rimpatriare dalla Spagna i volontari tedeschi della Legione Condor, che avevano combattuto a fianco dei franchisti durante la guerra civile appena terminata. La Gustloff in particolare imbarcò gli artiglieri contraerei del Flak Regiment 88, riportandoli ad Amburgo il 24 maggio. Poi ripresero le normali crociere nei fiordi norvegesi, ma allo scoppio della 2^ g.m. il 1 settembre 1939 la Gustloff fu requisita e rapidamente trasformata in nave ospedale con cinquecento posti letto ed una moderna sala operatoria, ricevendo anche le prescritte insegne di riconoscimento internazionali (croci rosse sui due lati dell’unico fumaiolo e banda verde lungo tutto lo scafo) mentre parte dell’equipaggio civile fu sostituito da personale medico. Nel suo nuovo ruolo sanitario la Gustloff operò per poco meno di un anno, imbarcando numerosi feriti tedeschi prima a Danzica, dopo la battaglia del Westerplatte, poi in Norvegia, mentre le truppe da montagna germaniche erano duramente impegnate nell’invasione di quel paese. Nel 1940 la Gustloff fu dismessa come nave ospedale, passando nel ruolo ausiliario in qualità di nave caserma per gli allievi della 2^ Divisione Scuola Sommergibilisti (2.ULD) della Kriegsmarine. Ridipinta in grigio, armata con 8 mitragliere a/a da 20 e 3 cannoni a/a da 105, si trasferì nel porto di Gothenhafen-Oxhoeft (l’odierno porto polacco di Gdynia, non lontano da Danzica), dove rimase ancorata alla banchina della stazione marittima fino al 30 gennaio 1945. A quella data l’offensiva finale dell’Armata Rossa era già in atto da tempo. Già alla fine del 1944 le truppe sovietiche avevano fatto per la prima volta irruzione in territorio tedesco occupando temporaneamente la cittadina prussiana di Nemmersdorf. Accecate dalla volontà di vendetta e istigate dalla virulenta propaganda antitedesca dell’intellettuale ebreo Ilja Ehrenburg, avevano scatenato un’ondata di stupri, atrocità e massacri indiscriminati ai danni della popolazione locale massacrando oltre un centinaio di civili tedeschi di ogni età e ceto oltre a una ventina di prigionieri di guerra francesi e belgi. La notizia scatenò subito il panico in ogni città e villaggio della Prussia Orientale, spingendo oltre tre milioni di persone (in gran parte donne, vecchi e bambini) a tentare una fuga disperata con ogni mezzo, abbandonando case e beni pur di salvare almeno la vita. Nel tentativo di mettere in salvo dalla carneficina il maggior numero possibile di connazionali, a causa della grave mancanza di carbone (che oltretutto impediva alla Deutsches Reichsbahn di organizzare treni speciali per spostare i profughi ad ovest) la Kriegsmarine organizzò rapidamente l’Operazione Hannibal, mettendo in mare tutto il naviglio militare e civile alimentato a nafta, allo scopo di evacuare nei porti sulla costa tedesca e danese le moltitudini che si accalcavano nei pochi lembi di territorio prussiano ancora in mano tedesca. Anche la Gustloff fu coinvolta in questa estrema missione di salvataggio, ma dopo cinque anni di completa inattività le condizioni della nave non erano certo ottimali. L’equipaggio civile era ridotto all’osso perché molti tedeschi in età militare erano già stati precedentemente arruolati e inviati al fronte, venendo solo in parte sostituiti da un pugno di volenterosi marittimi di nazionalità croata. In compenso c’erano ben due comandanti, litigiosi e in perenne disaccordo tra loro. Quello civile era il 68enne Friedirich Petersen, quello militare il Capitano di Corvetta Wilhelm Zahn. Tra il 25 ed il 29 gennaio 1945 ebbe luogo l’imbarco ordinato dei profughi dietro presentazione di biglietto e registrazione dei nominativi per un totale di 7.956 individui. Ad essi si aggiunsero mille sommergibilisti della 2.ULD, circa quattrocento giovanissime ausiliarie della Kriegsmarine e un numero ristretto di soldati gravemente feriti appartenenti alla Wehrmacht ed alla Waffen-SS, portando così il totale ufficiale degli imbarcati a 9.356 individui. Poi la folla dei civili terrorizzata e in preda al panico a causa di ripetuti allarmi aerei, nel timore di essere lasciata a terra in balia delle brutali truppe sovietiche ruppe i cordoni e preso il sopravvento sui membri dell’equipaggio, nelle ultime venti ore prima della partenza continuò a salire disordinatamente a bordo senza più alcun controllo. Alle 13.00 del 30 gennaio 1945 scortata solo dalla piccola torpediniera Loewe, la Gustloff salpò diretta al porto di Kiel nel Meclemburgo, sotto una tempesta di neve e grandine, con una temperatura di 18 gradi sotto zero. Non senza però aver imbarcato altre centinaia di profughi semiassiderati, trasbordati all’ultimo momento dalla piccola nave costiera Revel. A quel punto il numero delle persone stipate all’inverosimile a bordo era presumibilmente di oltre 12.000 individui. Bisogna inoltre tener conto che la nave era ormai completamente disarmata, dato che cannoni e mitragliere a/a erano state sbarcate da tempo per rafforzare le fortificazioni terrestri del porto di Gothenhafen. Doppiata la penisola di Hela, durante la navigazione a fari spenti lungo una rotta prestabilita in direzione ovest, alle ore 18.00 per un falso allarme dopo non poche incertezze e divergenze tra i due comandanti, furono accese per pochi minuti le luci di posizione della nave. Nel buio la sagoma della Gustloff fu così ben visibile al sommergibile sovietico S-13 che si mise all’inseguimento del grosso piroscafo finché, giunto nei pressi dello Stolpe-Bank, alle 21.15 colpì la Gustloff con ben tre siluri. A bordo della nave in quel momento gli altoparlanti diffondevano a tutto volume una trasmissione speciale della Grossdeutsches Rundfunk. Quel 30 gennaio 1945 era infatti una festività importante, l’anniversario dell’arrivo al potere del N.S.D.A.P. in Germania dodici anni prima, il 30 gennaio 1933 mediante libere elezioni. E come ogni anno Adolf Hitler si rivolgeva al popolo attraverso l’emittente radiofonica statale del Terzo Reich, ancora ignaro che quello sarebbe stato il suo ultimo discorso pubblico. Il primo siluro esplose a prua, sotto gli alloggi dell’equipaggio civile e tutti i marinai non in servizio morirono per l’esplosione o annegati (cosa che da lì a poco avrebbe reso ancor più drammatica e quasi impossibile la fase di abbandono nave da parte dei profughi civili). Il secondo siluro esplose sotto la piscina coperta del ponte E. Proprio dentro la grande piscina vuota si erano accampate le ausiliarie di marina. Quasi tutte le ragazze vennero letteralmente macellate dal turbinio di migliaia di schegge di ceramica affilate come rasoi, staccatesi dalle piastrelle colorate che rivestivano la vasca. Il terzo siluro esplose all’altezza della sala macchine squarciando la murata fino al parapetto. Rapidamente la prua della Gustloff si inabissò inclinandosi di parecchi metri. I comandanti Petersen e Zahn si precipitarono subito sul ponte per poi trasbordare in relativa sicurezza sulla torpediniera T36, ancora con le uniformi perfettamente asciutte e senza che nessuno osasse rammentare i loro doveri verso i passeggeri. Frattanto migliaia di profughi terrorizzati tentando di raggiungere i ponti superiori intasavano letteralmente le poche vie di fuga restando schiacciati negli stretti cunicoli e impedendo l’uscita a chi premeva dietro di loro. Gran parte dei membri dell’equipaggio erano morti e non c’era nessuno che potesse guidare quella massa umana nei meandri della nave verso la salvezza. Il ponte inferiore di passeggiata affollato di profughi era protetto da spesse lastre di vetro antiproiettile che resistettero ad ogni tentativo di infrangerle, anche ai numerosi colpi di arma da fuoco sparati dai soldati convalescenti. Il ponte inferiore di passeggiata divenne così una trappola per topi, la vetrata saltò solo durante l’affondamento della nave a causa della pressione dell’acqua e pochi di coloro che vi si trovavano riuscirono a salvarsi a nuoto. Più fortunate furono le donne incinte e le puerpere ricoverate nell’infermeria sul ponte superiore, con l’aiuto di soldati e infermiere si salvarono quasi tutte. Con loro sopravvisse anche il più giovane passeggero in assoluto a bordo della nave, un neonato di nome Egbert Woerner, partorito sulla Gustloff appena un’ora prima del siluramento. Oltre alle scialuppe di salvataggio regolamentari le cui carrucole erano ricoperte da centimetri di ghiaccio, la nave trasportava giubbotti di salvataggio e zattere di sughero per cinquemila persone, la metà circa di quanti erano a bordo. Ma le zattere ammassate all’aperto sul ponte sole erano ormai inutilizzabili, saldate in un unico blocco di ghiaccio spesso a causa della rigida temperatura esterna. A quel punto ognuno dovette pensare per se, vi furono scene di eroismo, viltà e disperazione, come in un Titanic moltiplicato per dieci, molti marinai croati cedettero il loro posto sulle scialuppe a donne e bambini scegliendo consapevolmente di morire con la nave. La temperatura esterna era di 20 gradi sotto zero, quella dell’acqua di soli 2 gradi sopra lo zero, chi con gli indumenti bagnati si arrampicava sugli zatteroni moriva congelato all’istante, mentre chi restava in acqua aveva più probabilità di sopravvivere. Dopo circa cinquanta minuti di agonia la Gustloff si inabissò con ancora 10.000 persone a bordo, tutte le luci accese e la sirena che fischiava ininterrottamente, finché anche il grosso fumaiolo della nave fu inghiottito dalle onde. L’allarme radio fece accorrere rapidamente tutte le imbarcazioni tedesche in zona, oltre alla già citata torpediniera Loewe giunsero le torpediniere T36 e TF19, i dragamine M387, M375 ed M341, la motovedetta V1703, il piroscafo Gottingen e il cargo Gotland (questi ultimi con a bordo ciascuno tremila profughi da evacuare) prodigandosi nel salvare i naufraghi del Gustloff ancora vivi dalle acque gelide. Parimenti impegnato nell’Operazione Hannibal e stracarico di migliaia di profughi era l’incrociatore Admiral Hipper, che però appena giunto sul luogo della tragedia ripartì a tutta forza nel fondato timore di essere silurato a sua volta, facendo involontariamente a pezzi con le proprie eliche centinaia di corpi vivi, morti o moribondi, che ancora restavano a galla. I mezzi di soccorso riuscirono a trarre in salvo un totale di 1.252 naufraghi, alcuni dei quali perirono però entro poche ore per assideramento o gravi ferite. Tutti i sopravvissuti vennero sbarcati separatamente nei vari porti di attracco delle navi che li avevano raccolti, tra cui Kiel, Amburgo, Lubecca e Copenhagen. Informato dell’affondamento, Hitler ne rimase profondamente scosso e ordinò di mantenere segreta la notizia, ma questa trapelò comunque perché nei giorni successivi molte centinaia di cadaveri trasportati dalle maree finirono per arenarsi e vennero raccolti sulle spiagge tedesche e svedesi. Poiché gli elenchi dettagliati andarono perduti negli ultimi caotici mesi del conflitto, non è possibile conoscere ufficialmente l’esatto numero ed i nominativi delle persone salvate. Oltretutto alcune morirono per cause belliche prima della resa definitiva della Germania, avvenuta l’8 maggio 1945. Frattanto l’S-13, sfuggito alla breve e infruttuosa caccia delle torpediniere tedesche Loewe e T36 (che avevano preferito sospendere l’inseguimento del sommergibile nemico per soccorrere quanti più possibile naufraghi in mare), era ancora appostato in zona e tre giorni dopo aver affondato la Gustloff, colò a picco a poca distanza una seconda nave tedesca carica di oltre quattromila tra soldati feriti e profughi civili, la General Von Steuben. Il comandante dell’S-13 era un Comandante di 3^ classe della Flotta del Baltico. Si chiamava Aleksandr Marinesco e in pochi giorni aveva affondato due grosse navi causando la morte di circa 15.000 tedeschi. Mal gliene incolse. Rientrato indenne e soddisfatto alla sua base nel porto finlandese di Turku si aspettava grandi festeggiamenti e magari la medaglia di Eroe dell’Unione Sovietica, ma si trovò dinanzi alla muta ostilità dei superiori per aver attaccato di sua iniziativa invece di limitarsi a pattugliare il tratto di mare tra Memel e Pillau come gli era stato ordinato. Per quanto fosse un leale militante comunista e dimostrasse un inestinguibile odio contro tutti i tedeschi, Marinesco era già da tempo guardato con sospetto dalla N.K.V.D. la brutale e paranoica polizia segreta sovietica, per svariati motivi. Anzitutto per le sue origini. Nato a Odessa nel 1913 da un marinaio rumeno e una prostituta ucraina (il suo cognome originario era probabilmente Marinescu, ma fu prima modificato in Marinesco e poi ulteriormente slavizzato in Marinesko), dopo la fuga del padre crebbe abbandonato a se stesso nel porto della città ucraina, divenendo presto il capo di una violenta banda giovanile composta da ragazzini di varie etnie che parlavano una lingua franca mista di parole russe, ucraine e yiddish. Anche quando all’inizio degli anni trenta per raddrizzarlo fu arruolato nella marina sovietica e si iscrisse al Komsomol, l’organizzazione giovanile del partito comunista, non imparò mai a parlare un russo corretto e fluente, cosa che lo faceva considerare da molti più uno straniero del quale diffidare che un autentico sovietico. Per quanto coraggioso e ligio al dovere in servizio, sia in pace che in guerra si era fatto notare negativamente durante le franchigie, come ubriacone, frequentatore abituale di bordelli e fomentatore di risse, cosa che gli costò numerosi richiami e punizioni da parte dei superiori. Peggio ancora, quando il suo ed altri sommergibili sovietici vennero trasferiti a Turku nell’ottobre 1944, Marinesco non esitò a trovarsi un’amichetta finlandese con la quale imbastì un rapporto stabile e iniziò a frequentare un tale Algot Niska, noto contrabbandiere locale da tempo legato all’Ufficio T, il servizio informazioni svedese. Gli occhiuti inquirenti del N.K.V.D. sospettavano Marinesco di immoralità, contatti illeciti con cittadini stranieri, spionaggio a favore di potenze capitaliste e tentata diserzione. In epoca staliniana era abbastanza per meritarsi il colpo alla nuca o almeno una lunga vacanza in Siberia. Il sommergibilista salvò temporaneamente il collo solo perché la marina aveva troppo bisogno di ogni comandante disponibile. Insignito di una decorazione di poco conto, prestò servizio attivo fino alla fine del conflitto ma venne poi progressivamente ostracizzato e messo ai margini, finché nei primi anni del dopoguerra ottenne il congedo. Da civile fu nominato direttore di una piccola fabbrica di mattoni, ma rimase sempre sotto attenta sorveglianza. Arrestato con l’accusa di furto di proprietà statali per aver donato a poveri contadini ucraini alcuni mattoni usciti fallati dalla fornace, venne condannato a dieci anni di lavori forzati in un Gulag siberiano. Scarcerato durante la destalinizzazione ma ormai spezzato nel corpo e nell’animo, fu riabilitato ufficialmente all’inizio degli anni sessanta e morì a soli cinquant’anni, il 25 novembre 1963. In realtà la sua condanna più che ad una piccola irregolarità amministrativa fu dovuta a due eventi imprevedibili. Durante la guerra fredda e con metà Europa chiusa dietro la cortina di ferro, gli ex- alleati angloamericani avevano iniziato a sfruttare i crimini di guerra sovietici ai danni della popolazione tedesca a fini di propaganda anticomunista (nonostante durante il conflitto essi stessi si fossero macchiati di crimini simili se non peggiori di quelli perpetrati dall’Armata Rossa), dunque l’uccisione di un gran numero di civili da parte di Marinesco se prima era un atto eroico e meritevole, ora era diventata improvvisamente scomoda dal punto di vista mediatico per l’Unione Sovietica, in quanto contribuiva ad influenzare negativamente l’opinione dei paesi occidentali, specie nella Germania Ovest, dove il democristiano Adenauer appena giunto al potere, a differenza dei pavidi e imbelli democristiani italiani aveva immediatamente costituito un apposito Ministero per la tutela e il risarcimento dei Profughi e la restituzione delle Terre Invase. E poi Marinesco silurando la Gustloff avrebbe inconsapevolmente spedito in fondo al Baltico anche la Camera d’Ambra, una celebre opera d’arte dei maestri artigiani tedeschi, donata secoli prima dal re di Prussia allo zar di Russia e rimasta nella residenza estiva di Zarskoje Selo, proprietà prima della dinastia zarista, poi dello stato sovietico. Ciò fino all’ottobre 1941, quando fu catturata dalla Wehrmacht, smontata accuratamente e riportata in Prussia per essere esposta al pubblico nel Museo di belle arti di Konigsberg. Nel 1943 per preservarla dai bombardamenti aerei alleati fu nuovamente smontata in casse e messa al sicuro nei sotterranei del castello di Konigsberg. La certezza che nel gennaio 1945 la Camera d’Ambra fosse stata portata in camion a Gothenhafen e caricata dalle SS nella stiva B della Gustloff per sottrarla alle truppe sovietiche, avrebbe fatto infuriare Stalin e da qui le ritorsioni sull’ignaro Marinesco. Tale ipotesi è comprovata dal fatto che tra il 1946 e il 1981 per ordine di Mosca si tentarono ripetutamente spedizioni di recupero perdendo decine di palombari ed effettuando estese e devastanti demolizioni sul relitto nel tentativo infruttuoso di raggiungere la stiva B e la Camera d’Ambra. Inizialmente la marina sovietica operò da sola, poi dal 1958 anche con l’aiuto della controparte polacca, peraltro più interessata a saccheggiare e smantellare la Gustloff recuperando prezioso acciaio tedesco di prima qualità per le fonderie statali della Polonia. Le ricerche furono effettuate all’insegna della più profonda diffidenza reciproca, sovietici e polacchi si sorvegliavano a vicenda. Il fatto non passò inosservato alla NATO e il governo della R.F.T. chiese ripetutamente il rispetto di quella che era ormai una fossa comune, rivendicando ufficialmente la proprietà del relitto. Di conseguenza da quel momento i sovietici cessarono ogni manomissione della Gustloff, non senza aver prima accuratamente sigillato ogni via d’accesso, allo scopo di impedire che sub di potenze capitaliste potessero inoltrarsi all’interno del relitto e fotografare gli oltre diecimila scheletri che esso ancora custodiva. Sulla tragedia della Gustloff come su molti altri crimini dei vincitori sarebbe col passare del tempo inevitabilmente calato l’oblio se non fosse stato per l’incrollabile determinazione di un solo uomo. Heinz Schon (1926-2013) il 30 gennaio 1945 era un giovane vicecommissario di bordo sulla Gustloff e sopravvisse al naufragio. Subito imbarcato su un’altra nave, la General San Martin, continuò coraggiosamente ad evacuare profughi dalla Prussia Orientale fino alla resa definitiva del Terzo Reich. Nel dopoguerra divenne in Germania Ovest la memoria storica della tragedia scrivendo numerosi articoli e libri come giornalista pubblicista, oltre a partecipare come consulente nel 1958 alla sceneggiatura del film di Wisbar. Fondatore e presidente dell’Associazione superstiti, soccorritori e familiari delle vittime della Gustloff, rivolse ripetuti appelli alle autorità federali per la tutela del relitto, fino ad ottenere dopo la riunificazione tedesca un trattato con la Polonia che equiparasse i resti della Gustloff ad un cimitero di guerra. Redasse pazientemente un elenco parziale dei sopravvissuti all’affondamento con 996 nominativi allora residenti nel territorio della R.F.T. (dato che fino al 1991 nella R.D.T. comunista l’argomento era tabù come d’altra parte ogni atrocità e crimine di guerra commesso dai sovietici ai danni della popolazione civile tedesca nel 1945). In punto di morte chiese e ottenne che le sue ceneri fossero riportate a bordo del relitto. L’urna cineraria e la targa commemorativa, portate in loco da due sub tedeschi e due polacchi, riposano nel ventre della Gustloff ormai dal 23 maggio 2013.

    VICECOMMISSARIO DI BORDO HEINZ SCHON! PRESENTE!
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