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Discussione: Il mio più bel combattimento

  1. #1
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    Il mio più bel combattimento

    Sicuramente qualcuno di voi conoscerà* qta storia, ma penso che valga la pena riportarla. Il brano riportato racconta di fatti accaduti durante la difesa della Sicilia, quando Ruzzin operava con i Me 109G, in seno alla 154° Squadriglia del 3° Gruppo Autonomo "Diavoli Rossi" della Regia Aeronautica.
    - Giuseppe Ruzzin, con 433 missioni di combattimento nei cieli della Spagna, del Belgio, e del Mediterraneo, oltre 3.500 ore di volo, decorato con 4 medaglie al Valor Militare e con una Croce di Ferro tedesca. Ruzzin ha volato con i principali caccia in dotazione alla Regia Aeronautica: Fiat CR32, CR42, G50, Macchi C.200, C.202, C.205, Messerchmitt 109G...

    " In quei giorni ci pervenne la notizia che il nostro gruppo sarebbe stato armato con altri caccia e precisamente con dei nuovi Messerschmitt Bf 109G, i cosiddetti Gustav. Per la presa in carico degli aerei e per effettuare la transizione, dovevamo trasferirci per un certo periodo a Bari. Tirammo un sospiro di sollievo perché avevamo proprio bisogno di allentare la continua tensione che le circostanze avevano provocato in tutti noi, dopo tanti mesi di
    continua attività*. Passati ad altri piloti i nostri ormai scassatissimi aerei, fummo invece trasferiti
    al campo di Santo Pietro presso Caltagirone.[aeroporto di Biascari] Una bella fregatura per chi sognava di andare in
    continente. Laggiù, ben mascherati sotto gli ulivi, erano allineati 40 Messerschmitt in attesa di ripianare le perdite in macchine subite dai reparti tedeschi, ma anche molti piloti erano scomparsi, e di conseguenza i caccia rimanevano inutilizzati.
    Il nostro comandante Alessandrini ritenne inadatto tale campo per effettuare il «passaggio»,ossia l'abilitazione al pilotaggio di questo tipo di aereo. Passammo così a Comiso e prendemmo alloggio nella cittadina di Vittoria.... Noi «Diavoli Rossi», a Comiso, eravamo ormai in avanzato addestramento con i 109G, ma in seguito ai continui bombardamenti la disponibilità* degli aerei si riduceva di giorno in giorno. Si deve all'operosità* e all'ingegno dei nostri specialisti, veri taumaturghi, se si riusciva a disporre di macchine efficienti per operare soltanto su allarme. Questi, si susseguivano in modo incessante; i nervi erano tesi, ma era ancora lontana l'idea che la strapotenza alleata ci potesse polverizzare a distanza di qualche giornata.
    Il gruppo tedesco "PikAs", che nei primi giorni di giugno era schierato a Comiso, per maggiore sicurezza si era trasferito sul campo di Fontanarossa [aeroporto di Catania] e la Flak li aveva seguiti; rimanemmo soli, senza difesa contraerea, quasi a un tiro di schioppo dalla munitissima isola di Malta. Il giorno 29, si verificò quello che vorrei definire "il mio più bel combattimento"... Erano le 14.30, sotto un sole cocente, dentro l'abitacolo, pronti all'immediato decollo, sguardo fisso alla collina, col solo il tettuccio aperto. I motoristi, costantemente accovacciati sull'ala del mio Me 109 Gustav vicino alla manovella, pronti all'avviamento del motore. Partito il razzo rosso dalla collina, decollammo in tre, tra la fila di aerei bruciati, senza allinearci sulla pista in terra battuta, di traverso al campo, a ventaglio. Via radio ci comunicarono la presenza di numerosi caccia su Gela. Dissi fra me: «Finalmente ci siamo!». Salimmo in direzione della costa e ci mescolammo ai Messerschmitt del reparto tedesco
    di Fontanarossa. Subito dopo quaranta caccia di tre bandiere diverse, germanica, italiana e inglese, evoluivano in una disordinata giostra, simile a una sciamata di vespe arrabbiate.
    Ogni pilota era impegnato in "singolar tenzone"; in quella bolgia ebbi modo di inquadrare uno Spitfire impennatosi per sottrarsi ai colpi di un tedesco. Sparai in picchiata, ma il notevole
    rinculo del cannoncino da 20 mm, la brevità* della raffica e la necessità* di virare per non
    finirgli addosso, mi impedirono di constatarne gli effetti, infatti detti uno strattone di quelli che provocano i "baffi di rarefazione" alle estremità* delle ali. Sempre evoluendo, non ebbi tempo di tirare una boccata di ossigeno che un crepitio a lato mi fece trasalire. Ero sotto tiro di uno Spitfire in coda. Situazione tragica, difficile toglierselo di dietro. Ricorsi allora a quella disperata manovra che in altri cieli fortuitamente mi salvò: lo stallo d'alta velocità* con autorotazione. I "G" si sprecarono, vidi nero, perdetti un po' di quota, ma costrinsi l'avversario, sorpreso, a sorpassarmi. Recuperai l'aereo e, ancora barcollante, tentai col muso in su di
    colpire il mio avversario sprecando munizioni; in quella fase critica era impossibile ottenere un risultato. Ben presto, più alto e in velocità*, mi riprese alle spalle. Il gioco aveva ormai una
    regola e il duello ci doveva impegnare fino al suo epilogo. Nessuno dei due desistette dalle incessanti acrobazie per togliersi l'altro dalla coda. Non saprò mai dire quanto durò questo carosello di morte. Intanto lo spazio sotto di noi si faceva sempre più sottile. Poi, solo la dura terra. Ma qualcosa avvenne nell'ultima fase: stringendo pazzamente la cloche, riuscii a guadagnare un'angolazione dalla quale tentare l'ultima occasione, era inquadrato nel collimatore. Mirai, premetti il pulsante delle armi... niente. Non partì un solo
    colpo, avevo finito le munizioni. Allora vidi lo Spitfire proseguire avanti diritto, guadagnando quota senza più manovrare. D'istinto, pensai che anche lui fosse nelle mie stesse condizioni. Ora
    non eravamo più avversari, ma soltanto due aviatori. Mi avvicinai cautamente sino a portare l'estremità* della mia ala sinistra quasi a contatto con la sua. Non si scompose. Tutto ciò, come si
    trattasse di una normale esercitazione di pattuglia acrobatica del tempo di pace. Ci guardammo e reciprocamente sentimmo il desiderio di vederci a viso scoperto: ambedue ci togliemmo la mascherina dell'ossigeno e tirammo indietro gli occhiali da volo. Ora ci vedemmo perfettamente: io avevo i baffetti scuri, lui quei baffi morbidi, con le punte in giù, biondi, tipici dello sportman inglese. Entrambi, nel modo più naturale, con un gesto della mano ci salutammo.
    Poi "rompemmo" la singolare coppia; lui con una virata in cabrata a sinistra si diresse verso Malta, io, in scivolata d'ala a destra, puntai il campo di Comiso già* in vista. Nei pochi minuti
    che precedettero l'atterraggio provai un senso d'indicibile gioia, tirai un profondo respiro e m'invase un'intensa soddisfazione, quella stessa che l'uomo onesto prova dopo aver fatto una buona azione. Tre ore dopo, ridecollai su allarme ingaggiando un altro accanito combattimento ancora con gli Spitfire. Altre evoluzioni, altre raffiche per dare morte o per subirla. Nella mischia colpii uno di loro, lo seguii per qualche istante in una
    caduta senza dubbio non controllata, quasi a picco, ma non vidi l'urto contro il suolo, poi concentrai tutta la mia attenzione per guardarmi le spalle. Non era necessario perché non vidi più nessuno. Era il tramonto. Tornando all'atterraggio mi chiesi se quello appena
    colpito poteva essere proprio lui.
    Il giorno seguente ci fu una incredibile calma, nessun aereo sorvolò il nostro campo, nell'aria c'era qualcosa di strano, troppo diverso dagli altri giorni. Il 1° luglio, invece, arrivarono sul campo almeno dieci aerei avversari per un'azione di mitragliamento,
    senza lascia re neppure il tempo di decollare. Si avvicinarono al campo a bassa quota, quasi a volo radente, senza essere allentati col solito razzo rosso. Ci restavano soltanto
    quattro Me 109. Il nostro gruppo era stato praticamente messo a terra. Eravamo ancora all'oscuro di ogni altro evento esterno, o meglio di ciò che bolliva in pentola,
    ignoravamo tutto, per cui tiravamo avanti filosoficamente come sempre. Il giorno 2 luglio, il comando ordinò una ricognizione su Malta. Alessandrini, conscio delle pericolosità* della missione, radunò tutti i piloti chiedendo due volontari. Un po' per
    incoscienza, un po' per il desiderio di vedere quell'infernale isola, mai da me sorvolata in precedenza, mi offersi e scelsi, tra i sottufficiali consenzienti, il mio gregario, il sergente
    maggiore Cavagliano. Ci avvicinammo all'isola maledetta a oltre 8.000 m, quota che a nostro parere avrebbe dovuto offrire una certa sicurezza. Malta mi si presentò per oltre la
    metà* ricoperta da nuvolaglia bassa. Osservando meglio, notai fumi scuri molto estesi soprattutto lungo la costa meridionale alla posizione stimata del porto di La Valletta e in
    una vasta zona a mare. Ritenni che non fosse un fenomeno di nebbia naturale ma piuttosto di una coltre di nebbiogeni provocati per nascondere il gran numero di mezzi navali.
    Visto che non era possibile rilevare presenza di naviglio, mi preparai al rientro seguito dal gregario costantemente attaccato alla mia destra. Appena impostata la virata di circa 180°,
    sulla destra, ad una quota superiore alla nostra, scorsi nitide le sagome di cinque Spitfire che, rotta la formazione, con magistrali rovesciate calavano rapidamente su di noi per attaccarci: due
    contro cinque ed in casa loro, divisi dalla nostra base da un bel tratto di mare. C'era da fare una cosa sola: giù in picchiata, quasi a perpendicolo alla massima velocità*, senza alcun riguardo alle leggi di aerotecnica studiate all'Accademia. Sfuggimmo così ai loro artigli. In quello stato d'animo di grande tensione era ben difficile leggere e memorizzare i valori crescenti dell'indicatore di velocità* e quelli decrescenti dell'altimetro. Vedevo soltanto le
    lancette dell'uno e dell'altro strumento ruotare vorticosamente. Credo di aver quasi raggiunto i 1.000 km/h.
    Seminati così gli Spitfire, a circa 3.500 m d'altezza credetti giunto il momento di richiamare il caccia e rimettermi in assetto orizzontale. Con mia sorpresa, per quanto sforzassi la cloche, la
    mia traiettoria rimaneva quella iniziale, i comandi sembravano inchiodati. Capii allora che potevo essere entrato in regime di compressibilità* per il quale ogni tentativo sarebbe risultano vano, e
    intanto l'altimetro scendeva paurosamente così come la superficie del mare inesorabilmente saliva verso di noi. Pensai alla Madori ria di Loreto, a mia madre, a mia moglie; gridai al mio gregario «Tira! Tira forte... insisti... che andiamo a sbattere in mare». Cor uno sforzo sovrumano riuscii infine a variare l'assetto di qualche grado e l'inclinazione diminuì. I gradi erano sempre pochi, e continuai a pensare che ci saremmo infilati in mare. Con gli occhi quasi chiusi, ero in attesa del gran colpo d'impatto... e mi trova in linea di volo proprio a pelo dell'acqua. Era stato un vero mira colo, come se altri avessero guidato il caccia al posto mio.
    Atterrati, allentammo i nervi molto tesi senza poter parlare per un bel po', e piansi. Sentii per ore dolori al collo, alle braccia e improvvise vampate di calore nelle guance. Nonostante la
    pressurizzazione della cabina il rapido salto di pressione mi aveva provocato qualche conseguenza.
    Il 5 luglio, l'efficienza del gruppo era scesa a tre Me 109, fi ancora il mio turno di allarme con
    altri due gregari. Di primo mattino avevo ritirato l'ultimo esemplare lasciato al campo di Santo Pietro. Ero ancora legato nell'abitacolo come al solito non era stato segnalato l'allarme, ma cominciai a sentire un suono sordo in continuo crescendo. Non
    rendendomi conto della provenienza del rumore, che adesso era un rombo, detti l'ordine ai motoristi di «caricare» il dispositivo per la messa il moto, e lo stesso fecero i due gregari.
    Prima di muovere in rullaggio, ruotai il collo più volte, impedito dalle bretelle che assicurano ilpilota all'apparecchio vidi una grossa formazione di quadrimotori; la prima pattuglia di tre
    aveva in quel momento sganciato il suo micidiale carico di bombe. Le vidi molto bene, la loro traiettoria presumevi fossero cadute proprio sulle nostre teste. Non fu un decollo fu uno strappo di tre aerei dal terreno lanciati verso l'alto, in seguiti dalle esplosioni che si verificavano alle loro spalle.
    L'intera formazione era una lunga teoria di pattuglie a tre disposte a cuneo. Noi, forse non visti dai bombardieri, ra ggiungemmo la quota favorevole all'attacco e ormai non mi
    restava che inseguire l'ultima sezione costituita da tre bimotori del tipo Douglas Boston.
    L'attacco si rese più complicato per un'incertezza tattica che manifestò il mio gregario di destra.
    Infatti, era un giovane pilota, siciliano, ma non molto coraggioso come aveva dimostrato in qualche altra occasione. Gli gridai: "Forza, coraggio G., attacchiamo, ognuno il suo". Ci
    gettammo come avvoltoi sulla preda e riuscimmo con le nostre raffiche a colpirli tutti e tre. Prima uno e poi gli altri due, lasciavano dietro di sé lunghe scie di fumo, ora nero ora biancastro; nel mio di centro, potei osservare le fiamme che lambivano il motore sinistro dovute sicuramente all'infierire del mio cannoncino da 20. Inoltre, mi accorsi che ognuno dei tre procedeva con evidenti sbandamenti. Avrei voluto seguirli fino a constatarne la loro fine, ma inoltrarsi in mare aperto troppo lontano dalla costa siciliana poteva essere pericoloso, anche perché in vicinanza di Malta vi erano di certo loro aerei da caccia ad accoglierli. Dopo la precedente avventura a lieto fine, non desideravo andare a bagno come novello Icaro.
    Ritenni allora ragionevole accontentarci, semmai, dei gravi danni loro inferti e tornare a casa. Resto ancora convinto che i tre non abbiano raggiunto la loro isola, ma non fu attribuita alcuna vittoria a nessuno di noi. Però ebbi la grande soddisfazione di aver
    portato il mio gregario G. al combattimento dimostrando il suo valore. All'atterraggio mi venne incontro abbracciandomi.
    Trascorsi due giornate senza poter volare, subimmo di nuovo un'incursione da parte di alcuni caccia; era la prima volta che apparivano gli aerei americani, i P-51 Mustang.
    Non provocarono molti danni perché si accanirono su aeroplani ormai fuori uso. Il Mustang a giudizio di numerosi assi è considerato il miglior caccia della Seconda guerra mondiale. Il primo modello fu il North American P-51 A. Aveva un motore Allison V da 1.200 hp, volava a 630 km/h, era armato con 4 mitragliatrici e poteva, come
    cacciabombardiere, portare 450 kg di bombe. Nel 1944 comparirà* la versione D con un motore da 1.600 hp capace di arrivare a 710 km/h, e aveva un armamento potenziato a 6 mitragliatrici e 900 kg di bombe. Con questa macchina volai nel dopoguerra, dopo il
    Fiat G.59, perché era indispensabile prendere confidenza con le velocità* più elevate prima della transiz ione sui velivoli a reazione. Il giorno 7, nel mio libretto di volo è segnata una parte su allarme di cui non ricordo l'esito; il giorno dopo, ne effettuai due.
    Nella prima decollammo in coppia e andò a vuoto poiché non incontrai nessun aereo avversario. Nella seconda partimmo ancora in due, ma subito dopo aver staccate ruote il gregario ebbe noie al motore e rientrò. Dunque, solo con un Me 109, l'ultimo rimasto di
    40 aeroplani assegnati dai tedeschi. Ebbi una comunicazione radio che mi diceva di dirigermi su Capo Passero dove si segnalava la prese di decine di caccia nemici.
    Facendo quota su Ragusa, puntai la prua verso l'estremità* orientale della Sicilia. Eseguii l'ordine come un automa; i fatti degli ultimi giorni avevano provocato il blocco del cervello, si trattava più di coraggio, audacia, fanatismo o temerarietà* andava e basta. Quando si è lontani dal contatto col nemic o si spera sempre di averne ragione, guai a pensare che di lì a poco si potrebbe morire. Forse al mio arrivo su Capo Passero non avrei trovato il nemico ad
    attendermi, ma se l'avessi incontrato?. Per fortuna, si verificò un atto di vero buon senso, raro in guerra. Mi fu comunicato: «Rientra, non possiamo mandarti da contro quaranta». «Grazie capitano Mancà*nà*, rientro» rà*sposi. Questo fu l'ultimo mio volo nella Seconda guerra mondiale."
    [ciao2]
    ... Oh si, credo che l'inferno di Satana sia nulla di fronte alla lotta sostenuta nella piana di Gela!
    T.Col. Dante Ugo Leonardi 34° rgt ftr Livorno[left:3plznhey][/left:3plznhey]

  2. #2
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    molto bello Totino..grazie
    l'ho divorato..

    ciao
    digjo
    Ciao
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  3. #3
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    ...Ci guardammo e reciprocamente sentimmo il desiderio di vederci a viso scoperto: ambedue ci togliemmo la mascherina dell'ossigeno e tirammo indietro gli occhiali da volo. Ora ci vedemmo perfettamente: io avevo i baffetti scuri, lui quei baffi morbidi, con le punte in giù, biondi, tipici dello sportman inglese. Entrambi, nel modo più naturale, con un gesto della mano ci salutammo...
    Letteralmente: da brivido...
    LA MIA PAGINA "FORTIFICATA" SU FACEBOOK©: http://www.facebook.com/pages/Italien/323925510817

    Nel mezzo del cammin di questa vita, mostrassi alfin la truce metà oscura...
    ché la pazienza mia era finita, e lo baston calassi su ogne testa dura.


    Fatti non fummo, a viver come inermi... bensì pello inimico, far divorar dai vermi.


  4. #4
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    Bello e interessante, grazie Totino. [ciao2]

  5. #5
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    Un bellissimo racconto Totino! Non la conoscevo affatto...
    DANIELE
    "Ad unum pro civibus vigilantes"

  6. #6
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    Citazione Originariamente Scritto da Italien

    ...Ci guardammo e reciprocamente sentimmo il desiderio di vederci a viso scoperto: ambedue ci togliemmo la mascherina dell'ossigeno e tirammo indietro gli occhiali da volo. Ora ci vedemmo perfettamente: io avevo i baffetti scuri, lui quei baffi morbidi, con le punte in giù, biondi, tipici dello sportman inglese. Entrambi, nel modo più naturale, con un gesto della mano ci salutammo...
    Letteralmente: da brivido...
    Anche a me questo passaggio ha colpito molto.

    Grazie Totino per il bel racconto che non conoscevo che in piccola parte e non con questi particolari []
    [ciao2]
    luciano

  7. #7
    Utente registrato L'avatar di Andrea58
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    Gran bel racconto di vita vissuta che non conoscevo nemmeno in parte.
    Ciao
    Andrea
    Homo homini lupus. Draco dormiens nunquam titillandus
    lo spirito di Cesare, vagante in cerca di vendetta, con al suo fianco Ate uscita infocata dall'inferno, entro questi confini con voce di monarca griderà "Sterminio", e scioglierà i mastini della guerra, così che questa infame impresa ammorberà la terra col puzzo delle carogne umane gementi per la sepoltura.

  8. #8
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    Mi fa piacere che sia stato di vostro gradimento.Ritengo che qta stanza sulle schegge di storia sia un ottima idea per far conoscere certe storie e leggere meglio la storia.
    Ciao
    ... Oh si, credo che l'inferno di Satana sia nulla di fronte alla lotta sostenuta nella piana di Gela!
    T.Col. Dante Ugo Leonardi 34° rgt ftr Livorno[left:3plznhey][/left:3plznhey]

  9. #9
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    Porca miseria che roba.....mi ha tenuto letteralemente incollato al monitor questo racconto,eccezioanle!!!Grazie Totino!

  10. #10
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    Certo Totino è stato molto gradito [^][^]
    Ciao
    luciano

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