Guy Sajer, padre francese e madre tedesca della Sassonia, vive in Alsazia e quando questa regione viene annessa al Grande Reich viene assegnato al servizio di lavoro, l`Abeitsdienst. Nel giro di poco tempo, la macchina tedesca funziona bene, si ritrova assegnato alla Wehrmacht, Corpo di scorta ai trasporti. Una serie di circostanze poi nel maggio del 1943, a soli 17 anni, lo portano in Russia incorporato nella Divisione scelta Gross-Deutschland dove vivrà* sino alla fine l`orrore della guerra.
Sajer, nel 1952, durante una malattia ha iniziato scrivere la sua storia. Ha così riempito diciassette quaderni dove ha riportato tutto, anche con disegni illustrati. Questi quaderni lo hanno sempre seguito, a volte aveva la tentazione di distruggerli ma sono finite nelle mani di alcuni amici che hanno fatto in modo di pubblicarli su una rivista belga.
Alla fine ne è nato " Il soldato dimenticato", libro che racconta la campagna di Russia del giovanissimo Guy: morte, orrore, freddo, odio ma anche amicizia, amore e speranza.
Il libro, spesso, commuove, spaventa e ci fa pensare a cosa sia stata, per tutti, la campagna di Russia nella seconda guerra mondiale.
Dalle memorie di Sajer ecco il ritorno a casa, in Francia.
"Al risveglio ripresi dunque la mia strada e tenni dietro alla scia del mio destino. Dovevo aver dormito molte ore e il sole ormai spariva dietro una collina. Sarei arrivato al crepuscolo, e d`altronde, era preferibile. Se avevo quasi paura di presentarmi bruscamente ai miei, maggiormente temevo di incontrare volti noti che forse non mi avevano dimenticato. Arrivai dunque nella penombra che desideravo e presi la via di casa, come se l`avessi lasciata il giorno prima. Cercavo di rendere lievi i miei passi, ma ognuno di essi rintronava come il passo di parata a Chemnitz. Incontrai due giovani che tirarono via senza guardarmi . Svoltato l`angolo, là* a sinistra, mi sarebbe apparsa la casa. Il mio cuore era soltanto uno strumento di tortura nel petto.
All`angolo comparve qualcuno. Una piccola donna anziana, le spalle coperte da uno scialletto a colori sbiaditi. Riconobbi proprio quello scialletto. Mia madre portava anche un piccolo recipiente per il latte. Si dirigeva anche verso di me e mi sentii svenire. Passò in mezzo alla strada che imbruniva, a due metri dal sentiero erboso sul quale impegnavo tutte le mie forze contro un infinito sgomento.
Con gli occhi offuscati da una emozione incontenibile, riconobbi il suo volto.
Lo spasimo che mi morse il cuore per poco non mi strappò un grido.
Mia madre si allontanava; mi addossai a un muro per non cadere. Mi sentii riempire la bocca di un sapore acre come se tutto il mio sangue ne traboccasse. Sapevo che fra pochi minuti ella sarebbe passata di nuovo ed ebbi l`impulso di fuggire. Nello sesso tempo ero paralizzato , e i minuti trascorsero senza che potessi fare nulla. Ella ritornò, come avevo dolorosamente atteso, più grigia nel buio che si addensava.
Si avvicinò, un passo dopo l` altro... io no osavo muovermi temendo di i farle paura. Dinanzi all`insopportabile trovai il coraggio di chiamare:
"Mamma".
Mia madre volse lievemente il capo e continuò a camminare.
"Mamma".
Ella si fermò, e io mossi pochi passi incontro a lei. Mi guardò avvicinare e, probabilmente, nonostante il buio, le apparvero i miei lineamenti. Vidi la sua bocca socchiudersi e rimanere muta.
Non osavo avvicinarmi ancora, ma la vide vacillare. Il recipiente del latte le sfuggì di mano e io l`accolsi nelle braccia tremanti. Un lungo interminabile gemito le uscì dalle labbra ed ebbi paura che accorresse gente.
Quasi portando mia madre in deliquio, mi precipitai verso il vano della porta sulla quale era apparso un giovane. Quel giovane era mio fratello e con un improvviso spavento gridò:
"Papà*, la mamma! Un signore la riporta. Si sente male."

Sajer, al rientro, dovette prestare nell`esercito francese per circa dieci mesi e prese parte anche alla grande parata del 1946, dove, ricorda alla fine delle memorie, con il suo cuore sfilò in compagnia anche di tutti coloro con i quali era morto e rinato cento mille volte.