Risultati da 1 a 10 di 32

Discussione: La slavizzazione forzata di clero e liturgia in Venezia Giulia e Dalmazia (1866-1914)

Visualizzazione Ibrida

Messaggio precedente Messaggio precedente   Nuovo messaggio Nuovo messaggio
  1. #1
    Utente registrato L'avatar di tonle
    Data Registrazione
    Dec 2010
    Località
    Milano
    Messaggi
    1,179
    mi permetto di ribattere che se le fonti "ufficiali" sono il diario di un internato di Katzenau scritto e pubblicato in pieno ventennio, il testo di una dichiarazione di guerra (in cui è difficile che il Regno d'Italia potesse ammettere i veri motivi che l'avevano spinto a dichiarare guerra all'ex alleato) e gli articoli di Barzini (dopo Caporetto, un fante italiano - non austriaco - di nuovo in prima linea sintetizzò così il suo giudizio sulle corrispondenze dal fronte del grande inviato: «Se vedo Barzini gli sparo»), tutto è possibile ... anche dire che sia stata la Polonia a scatenare la reazione tedesca nel 1939 o che l'aggressione dell'Italia in Abissinia fosse unicamente giustificata da motivi umanitari come l'abolizione della schiavitù ... per il resto continuerei a utilizzare con le pinze termini come "pulizia etnica" e "lager" ... ricordando che una mortalità del 20% (alta, altissima e dolorosa certo in un periodo dove anche la popolazione civile soffriva la fame, le privazioni e le malattie) riscontrata a Katzenau è ben lontana dalla lugubre matematica di altri e ben più tragici lager ... concludo ricordando che ho ancora viva la memoria di molti amici di mio nonno internati a Katzenau e che mia nonna fu rifugiata a Braunau per tutta la guerra (e lì si fidanzò con mio nonno che era stato ferito in Galizia) ... sono ricordi, impressioni ... non fonti storiche ufficiali. Un saluto a tutti. Paolo
    "se dan da bere al soldato, è per fregarlo o perchè è già spacciato ..." (Arturo Pérez Reverte, Il ponte degli assassini)

  2. #2
    Utente registrato
    Data Registrazione
    Mar 2015
    Messaggi
    14
    Citazione Originariamente Scritto da tonle Visualizza Messaggio
    mi permetto di ribattere che se le fonti "ufficiali" sono il diario di un internato di Katzenau scritto e pubblicato in pieno ventennio, il testo di una dichiarazione di guerra (in cui è difficile che il Regno d'Italia potesse ammettere i veri motivi che l'avevano spinto a dichiarare guerra all'ex alleato) e gli articoli di Barzini (dopo Caporetto, un fante italiano - non austriaco - di nuovo in prima linea sintetizzò così il suo giudizio sulle corrispondenze dal fronte del grande inviato: «Se vedo Barzini gli sparo»), tutto è possibile ... anche dire che sia stata la Polonia a scatenare la reazione tedesca nel 1939 o che l'aggressione dell'Italia in Abissinia fosse unicamente giustificata da motivi umanitari come l'abolizione della schiavitù ... per il resto continuerei a utilizzare con le pinze termini come "pulizia etnica" e "lager" ... ricordando che una mortalità del 20% (alta, altissima e dolorosa certo in un periodo dove anche la popolazione civile soffriva la fame, le privazioni e le malattie) riscontrata a Katzenau è ben lontana dalla lugubre matematica di altri e ben più tragici lager ... concludo ricordando che ho ancora viva la memoria di molti amici di mio nonno internati a Katzenau e che mia nonna fu rifugiata a Braunau per tutta la guerra (e lì si fidanzò con mio nonno che era stato ferito in Galizia) ... sono ricordi, impressioni ... non fonti storiche ufficiali. Un saluto a tutti. Paolo
    Mi dispiace dirlo, ma, con tutto rispetto, le argomentazioni che ho presentato non si riducono a questo.

    In primo luogo, ho detto apertamente che non avrei parlato in questo filone di discussione delle deportazioni di italiani nei campi di concentramento durante la prima guerra mondiale, che sono realmente avvenute e che hanno avuto anche alti tassi di mortalità. Si può poi discutere su quanti siano stati deportati, sulle cause di questo, sul numero di morti ecc., ma il fatto è inoppugnabile ed esiste un'amplissima bibliografia sul tema. Ma su questo argomento specifico preferirei parlare altrove, come ha invitato a fare Squalone.

    In secondo luogo, la dichiarazione di guerra dell'Italia indica le cause ufficiali ed esplicite del conflitto. Questo non esclude che ve ne siano state altre, ufficiose ed implicite, ma resta il fatto che esisteva consapevolezza all'epoca di come la Duplice Monarchia stesse perseguendo la cancellazione degli italiani come gruppo etnico mediante la snazionalizzazione forzata e che questo era così sentito dall'opinione pubblica da far sì che la classe dirigente potesse indicarlo fra le motivazioni dell'entrata in guerra.
    In altri termini, si era indicata una causa che si sapeva essere comprensibile ed accetta all'opinione pubblica dell'epoca.

    In terzo luogo, Barzini, Gayda, Tamaro ed i molti altri giornalisti che denunciarono la snazionalizzazione forzata contribuirono in tal modo a sensibilizzare l'opinione pubblica ed in tale maniera ad influire sui suoi atteggiamenti nei confronti di Vienna. Si può discutere se ciò che scrivevano fosse vero o falso (era sostanzialmente vero ed esiste un mare di prove in proposito), ma li ho citati per rispondere ad una precisa domanda, ossia quali dati esistevano a sostegno dell'ipotesi dell'ingresso in guerra dell'Italia quale risposta alla snazionalizzazione compiuta dall'impero asburgico. E' indubbio che l'opinione pubblica italiana, in seguito a questa serie di articoli, conosceva le condizioni degli italiani sotto l'impero e che anche per questo, nei suoi ambienti favorevoli al conflitto, spinse per la guerra.

    In quarto luogo, Luciano Monzali è uno storico universitario, il maggior esperto della storia degli italiani di Dalmazia negli ultimi due secoli, ed afferma recisamente che la politica estera italiana verso la Duplice Monarchia fu molto condizionata dalle politiche di snazionalizzazione forzata compiute all'interno dell'impero. Questo storico esamina ed ammette nel suo libro la realtà della snazionalizzazione perseguita dall'impero e la pone fra le cause dell'ingresso in guerra dell'Italia. Egli dedica un intero capitolo del suo saggio "Italiani di Dalmazia: dal Risorgimento alla Grande Guerra" (Firenze 2011, pp. 185-297) ai rapporti diplomatici fra Italia ed impero nell'ottica della polizia interna imperiale nei confronti degli italiani, sostenendo che la questione nazionale in Austria divenne al centro della diplomazia del regno d'Italia e della sua politica estera.

    Per il resto, la nota introduttiva di questo filone di discussione era solo la prima parte del suo tema specifico, ossia la slavizzazione forzata compiuta (anche) tramite il clero slavo. Inserirò a breve una seconda parte, ancora più dettagliata e, naturalmente, con la bibliografia. Il materiale sulla snazionalizzazione forzata compiuta dall'impero ai danni degli italiani è enorme.

    Un caro saluto

  3. #3
    Utente registrato
    Data Registrazione
    Mar 2015
    Messaggi
    14

    Post

    Riprendendo l'argomento del filone di discussione, inserisco una seconda parte, dopo la prima introduttiva.



    2]La slavizzazione del clero
    Il governo viennese si preoccupò di far nominare in Venezia Giulia, regione a maggioranza italiana, unicamente vescovi slavi e di spostarvi dai Balcani sacerdoti slavi, in modo che superassero numericamente quelli italiani autoctoni. Malgrado gli italiani fossero la maggioranza della popolazione in Venezia Giulia, a detta degli stessi censimenti austriaci, e la quasi totalità in alcune aree, i vescovi, per espressa volontà governativa, furono abitualmente prescelti fra slavi. Grazie al concordato fra Roma e Vienna del 1855, i vescovi erano proposti dallo stesso imperatore ed una volta consacrati prestavano al kaiser un giuramento di fedeltà ed obbedienza.
    Il risultato fu che, a causa della politica filoslava dell’impero in funzione antitaliana, numerosi ed importanti vescovi nominati nella Venezia Giulia furono dei nazionalisti sloveni o croati.
    Il 23 ottobre 1848 fu fondato a Trieste lo “Slavjanski zbor v Trstu” (Il consesso slavo di Trieste), che circa quattro mesi dopo ricevette il nuovo nome di “Slavjansko društvo” (Associazione slava). Questa associazione di nazionalisti sloveni aveva una larga componente di ecclesiastici al suo interno, fra cui lo stesso vescovo di Trieste Jernej Legat. [M. Verginella, Sloveni a Trieste tra Sette e Ottocento. Da comunità etnica a minoranza nazionale, in R. Finzi-G. Panjek (a cura di), Storia economica e sociale di Trieste, vol. I, Trieste 2001, pp.456-457. Sulla figura del vescovo Legat, R. Finzi-C. Magris-G. Miccoli (a cura di), Il Friuli –Venezia Giulia, Torino 2002].
    J. Dobrila, vescovo di Parenzo e di Pola, poi di Trieste (tutte città a stragrande maggioranza italiana) era seguace delle teorie nazionalistiche di Strossmayer e del suo austro slavismo. Egli fu uno dei consiglieri di Francesco Giuseppe che lo spinsero verso una politica italofoba ed accumulò denaro per finanziare un seminario chiamato a slavizzare la regione. La stessa ideologia nazionalistica era condivisa da almeno due vescovi che si erano succeduti a Veglia (isola anch’essa a stragrande maggioranza italiana), Vitovic ed Anton Mahnic.
    Un altro vescovo di Trieste vicino al nazionalismo slavo fu Glavina, il quale fece arrivare al seminario di Gorizia un gruppo di seminaristi slavi provenienti sin dalla Boemia, fornendo loro anche borse di studio. L’accaduto suscitò proteste. Il giornale triestino “L’Indipendente” scelse d’inviare nel 1894 al pontefice Leone XIII un memoriale di protesta per la politica di slavizzazione seguita dal vescovo Glavina, che aveva fra l’altro deciso di creare una missione slovena nella chiesa di sant’Antonio destando gravissime preoccupazioni. Nel 1883 sempre questo vescovo faceva aprire un convitto ecclesiastico riservato a slavi ed austriaci e precluso agli italiani, ciò che aveva rappresentato un progetto del suo predecessore Dobrila. Le ripetute proteste della cittadinanza e le posizioni assunte anche da alcuni membri del clero spinsero infine il vescovo alle dimissioni nel 1895.
    Anche l'episcopato di Sterk divenuto vescovo di Trieste fu segnato da forti tensioni nazionali, in seguito alla nomina d’un considerevole numero di ecclesiastici sloveni e croati nelle cariche più alte della diocesi. Sia il comune di Trieste, sia buona parte del clero italiano accusarono il vescovo di cercare di slavizzare la diocesi o comunque di favorire gli sloveni, tanto che nel 1898 fu inviato un memoriale di protesta al nunzio apostolico.
    [Alceo Riosa, “Adriatico irredento. Italiani e slavi sotto la lente francese (1793-1918 ), Napoli 2009; L. Ferrari, “Le chiese e l'emporio”, Torino 2002; Sergio Cella, “I rapporti fra gli irredenti giuliani ed il clero cattolico”, Rassegna storica del Risorgimento, anno 1956].
    La slavizzazione delle cariche episcopali fu poi seguita, a cascata, da quelle dei sacerdoti, promossa dai vescovi slavi. Scrive al riguardo Attilio Tamaro in “Le condizioni degli italiani soggetti all'Austria nella Venezia Giulia e nella Dalmazia”, Roma, G. Bertero, 1915: “Cooperavano a questo sistema di snaturamento dei lineamenti storici ed etnici della Regione Giulia e della Dalmazia i preti. I vescovi delle provincie,fuorché quello di Parenzo, ligio però con cieca devozione al Governo austriaco,erano tutti slavi, per espressa volontà di Vienna. Come tali, per mezzo dei seminari vescovili e per mezzo delle loro relazioni con le provincie dell'interno, aumentarono con grande intensità la produzione di sacerdoti slavi e, approfittando dello scarso numero di preti italiani che le provincie potevano dare, empirono con quelli tutte le parrocchie, anche le italiane.”
    Ad esempio, un ecclesiastico nazionalista sloveno fu tale Matija Sila, canonico nella Cattedrale di San Giusto ed in più direttore diocesano delle scuole popolari e direttore della scuola normale imperial regia. Egli diede alle stampe per la casa editrice nazionalista slovena “Edinost” un libro intitolato “Trst in okolica” (“Trieste ed il circondario”), in cui auspicava maggiore attenzione alla storia degli slavi nella città triestina e faceva sue ipotesi pseudo-storiche tipiche del nazionalismo pan-slavista dell’epoca e del tutto destituite di fondamento, atte a rivendicare l’autoctonia degli slavi, che invece erano attivati in Venezia Giulia soltanto nell’Alto Medioevo. [Marta Verginella, “La comunità nazionale slovena e il mito della Trieste slovena”, in “Qualestoria”, 2007/35, fascicolo 1, pp. 103-118.]
    Il capitolo cattedrale di Trieste fu slavizzato anch’esso, poiché ogni volta che un seggio restava vacante veniva ad essere nominato uno slavo, abitualmente neppure triestino. Accadde così che nel 1891 su 14 canonici, che fra effettivi ed onorari costituivano il capitolo della cattedrale di S. Giusto, uno solo, un semplice canonico onorario, fosse italiano, mentre gli altri tredici erano tutti slavi, fra cui otto originari della Carniola: questo malgrado la città tergestina fosse a schiacciante maggioranza italiana, come dimostravano gli stessi censimenti austriaci. Alla stessa data, si trovavano nella diocesi di Trieste 92 preti originari dalla Carniola, 16 dalla Boemia, 14 dalla Carsia, 6 dalla Stiria, 5 dalla Dalmazia, 5 dalla Croazia, 2 dalla Moravia, 1 dalla Polonia. Nell’anno 1900 nella diocesi di Trieste-Capodistria vi erano 100 preti italiani contro 189 slavi, neanche la metà dei quali originari, ma fatti venire dalle regioni interne della Slovenia o della Croazia nell’intento di slavizzare anche religiosamente la regione. Nel 1892 all’interno della diocesi di Parenzo-Pola (a netta maggioranza italiana) operavano 81 sacerdoti, fra cui 56 slavi, tutti provenienti da altre regioni, anche molto lontane, come era il caso di ben 11 boemi.
    La situazione era tanto grave da suscitare persino le proteste dei comuni. Il Consiglio cittadino di Trieste il 29 dicembre 1886, dopo aver esposto nel dettaglio la situazione riguardante il clero locale, dichiarava: «Considerato che le cure e le prebende delle chiese italiane di questa diocesi vengono date, quasi costantemente e di preferenza, a sacerdoti slavi, Considerato che quasi tutti gli uffici religiosi, nei quali non si adopera la lingua latina, vengono celebrati nelle chiese italiane della nostra città in lingua slava; Considerato che gli scolari del nostro Ginnasio comunale non vengono ammessi, per ragione della loro educazione italiana, nel Convitto diocesano triestino, contrariamente al pensiero della maggior parte di coloro che in buona fede contribuirono alle spese di fondazione e contribuiscono e si fanno contribuire alle spese di mantenimento di quell' istituto ecclesiastico ; Considerato che gli scolari dell' i. r. Ginnasio di Trieste con lingua d'insegnamento tedesca, che unicamente vi sono ammessi, non vengono obbligati allo studio della lingua italiana nella scuola, né altrimenti è provveduto a quello studio nel Convitto e che per di più la lingua e le forme di convivenza adoperate nel Convitto sono esclusivamente slave ; Considerato che a colmare sollecitamente le temute lacune nei quadri del clero di questa diocesi la Curia vescovile collocò e mantiene nel Seminario provinciale di Gorizia, a spese sue e del fondo provinciale di religione, un buon numero di giovani slavi della Boemia, che non conoscono né il nostro paese, né la lingua della città, né il dialetto dell'altipiano e ci minacciano le funeste agitazioni slave del loro paese ; Il Consiglio della città ravvisa nel complesso di codesti atti una manifesta opera di propagazione dello slavismo, non compatibile coll'ufficio della Curia vescovile, dannosa alle nostre scuole, del pari che alla religione e al governo della pubblica cosa, ingiusta verso i giovani italiani che si vogliono dedicare alla professione sacerdotale, pericolosa alla pace e al benessere della città, offesa gravissima al carattere nazionale del paese, al sentimento nazionale de' suoi abitanti e alle forme del secolare suo incivilimento; Epperò il Consiglio della città altamente protesta contro il complesso di codesti atti e nel mentre si riserva di provvedere entro i limiti dei mezzi e delle sue attribuzioni, incarica l’illustrissimo signor Podestà di dar atto alla presente risoluzione tanto all' i. r. Governo che alla Curia vescovile.» [Verbali del Consiglio della città di Trieste, v. XXVI. a. 1886, pag. 305] Aderirono alla protesta anche i comuni di Portole, Capodistria, Muggia e Pirano, Isola, Buje, Cittanova.

    [continua]

Tag per questa discussione

Permessi di scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •