Altre foto P 38 Regia Aeronautica
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QUADRIMOTORE USA CATTURATO DALLA GNR AD AIRASCA
Il campo di aviazione di Airasca (TO), realizzato e utilizzato sin dal 1937 dalla Regia Aeronautica, nell’estate 1943 venne ceduto alla Luftwaffe che successivamente all’armistizio ne migliorò ed ampliò le infrastrutture, basandovi vari reparti da bombardamento e da caccia fino al settembre 1944. Definitivamente abbandonato dai tedeschi in quella data, venne smilitarizzato e restituito all’uso agricolo rendendone impraticabile la pista scavandovi grossi crateri con gli esplosivi. Ciononostante il 5 febbraio 1945 un bombardiere quadrimotore americano di tipo non specificato appartenente alla 15^ Air Force (poteva essere un B-17 o un B-24) di ritorno da una missione di bombardamento in Germania atterrò in emergenza sulla pista coperta di neve, posandosi praticamente intatto. L’equipaggio, composto da otto uomini, venne posto in salvo da un partigiano del luogo che li guidò sulle montagne circostanti. L’atterraggio del grosso velivolo non era passato inosservato alla popolazione locale e poco dopo un drappello della G.N.R. di Pinerolo giunse sul campo e tentò di mimetizzare la preziosa preda bellica coprendola con grandi teli bianchi e lenzuoli requisiti nelle case circostanti, per confonderne la sagoma sul terreno innevato. Ma prima che potesse giungere sul luogo un pilota dell’A.N.R. in grado di far decollare l’aereo verso un aeroporto sicuro, alle 11.30 del giorno successivo quattro cacciabombardieri americani P-47 sorvolarono a lungo il campo sparando raffiche di mitragliatrice e incendiando il quadrimotore, i resti del quale furono rottamati e trasportati da contadini del luogo alla Feldkommandantur di Pinerolo, che elargì loro la somma di 1.200 Lire per il recupero del prezioso alluminio.
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L'aereo del Negus
Tra tutti i velivoli di p.b. venuti in possesso della Regia Aeronautica per cause belliche durante i due conflitti mondiali, la storia più singolare è senza dubbio quella del biplano bimotore di costruzione britannica De Havilland D.H.89 Dragon Rapide, utilizzato dal Negus come aereo personale. Catturato pressoché intatto ad Addis Abeba nel 1936 al termine della guerra di Etiopia e rimesso in condizioni di volo dai nostri avieri, fu portato in Italia come trofeo di guerra e da allora ripetutamente esposto al pubblico a fini propagandistici dal regime fascista. L’ultima occasione fu la Mostra d’Oltremare di Napoli, tenutasi nel 1940. Dopo l’entrata in guerra il 10 giugno di quell’anno, come tutti gli altri reperti etnografici esposti venne trasferito e immagazzinato in luogo sicuro a cura del Ministero dell’Africa Italiana. I grandi padiglioni vuoti ancora sorvegliati da un centinaio di Ascari P.A.I. giunti in Italia con le loro famiglie, furono subito riconvertiti in depositi militari per automezzi e materiali destinati all’imbarco verso il fronte dell’Africa Settentrionale dal porto della città partenopea, venendo negli anni ripetutamente bombardati. Non trovandosi più all’interno di strutture militari, il Dragon Rapide del Negus scampò fortunatamente sia alle bombe angloamericane che alle vicende armistiziali (che portarono alla rottamazione da parte dei tedeschi di molti velivoli di grande valore storico raccolti a Guidonia dalla R.A. già ai tempi di Italo Balbo per un costituendo museo aeronautico italiano). Dopo gli sconvolgimenti politico-militari, una drammatica guerra civile e il mutamento istituzionale da monarchia a repubblica, nel secondo dopoguerra i vertici della rinata Aeronautica Militare non potevano rifarsi al patrimonio ideale della Grande Guerra come l’Esercito e la Marina, l’Aeronautica essendo stata costituita come arma indipendente solo nel 1923. Gran parte degli alti ufficiali avevano partecipato alla guerra di Abissinia e consideravano ancora la campagna del 1935/36 un motivo di orgoglio, in quanto prima vittoria delle ali italiane. Alla fine degli anni ’40 la classe politica italiana iniziò a normalizzare i rapporti diplomatici con l’Imperatore Hailé Sellasié, rimesso sul trono già nel 1941 e trovatosi dunque inaspettatamente tra le potenze alleate vincitrici della 2^ g.m. in forza della sua alleanza con gli inglesi. Uno dei primi passi per accattivarsi le simpatie del sovrano africano, tutelare i concittadini rimasti nella nostra ex colonia, ridurre l’entità dei danni di guerra imposti dal trattato di pace del 1947, ma soprattutto bloccare le richieste di estradizione come criminali di guerra di molti generali italiani – Pietro Badoglio in primis – fu la solenne restituzione di molte prede belliche, tra cui le corone dell’Impero d’Abissinia (rinvenute dai partigiani a Dongo fra i bagagli dei gerarchi insieme a numerosi altri valori) e la statua bronzea del Leone di Giuda, simbolo tradizionale dello stato africano (dal 1936 posta davanti al monumento ai caduti di Dogali in Piazza dei Cinquecento a Roma). Tornata inaspettatamente in possesso del D.H. 89 abissino dopo lo scioglimento del Ministero Africa Italiana, l’A.M. temeva a ragione che rivelandone l’esistenza nel contesto politicamente incerto del secondo dopoguerra, i nuovi governanti antifascisti avrebbero fatto pressioni per la sua restituzione con le altre prede. L’aereo fu dunque dichiarato disperso per cause belliche, accuratamente smontato, racchiuso in casse con la dicitura “pezzi di ricambio” ed occultato in qualche anonimo magazzino di provincia in attesa di tempi migliori, più o meno come l’Arca dell’Alleanza alla fine del primo Indiana Jones. Da allora ufficialmente se ne persero le tracce e non riemerse neanche quando alla fine degli anni settanta si concretizzò il Museo di Vigna di Valle. D’altra parte in Italia si era nel pieno degli “anni di piombo” e in Etiopia il generale golpista Menghistu Hailé Mariam, sostenuto militarmente dall’Unione Sovietica brezneviana, guidava un governo marxista non certo benevolo verso l’Italia. In tempi relativamente recenti si ricorda la restituzione all’Etiopia (con spese di trasporto a nostro carico e relative violente polemiche) di una stele funeraria proveniente da Axum ma rimasta per decenni davanti alla sede romana della F.A.O. e oltretutto abbondantemente ripagata al Negus già negli anni ’60 con la costruzione di un modernissimo ospedale. Essa fu dovuta principalmente a un improvvido annuncio dell’allora presidente italiano O. L. Scalfaro, ansioso di sfoggiare il proprio ripudio del passato coloniale fascista in occasione di una visita ufficiale nel Corno d’Africa. Ammesso che il Dragon Rapide esista ancora e la “magnifica preda” non sia ormai solo un mito sussurrato a mezza bocca negli ambienti aeronautici, forse è meglio che resti al sicuro dov’è.
 



 
			
			 
			 
					
					
					
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