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DECAPITAZIONE E MUTILAZIONE DEI CADAVERI NEMICI
Durante la 2^ guerra mondiale membri delle forze armate degli Stati Uniti nel teatro di operazioni del Pacifico mutilarono soldati giapponesi morti. Le mutilazioni venivano perpetrate per prendere alcune parti del corpo come trofei di guerra. I teschi erano i trofei più comuni, nonostante a volte venissero collezionate anche altre parti del corpo (denti, nasi, orecchie, dita, genitali). Il fenomeno della raccolta di trofei di guerra fu così esteso tra le truppe da essere discusso liberamente su riviste e giornali e coinvolse lo stesso Presidente degli Stati Uniti. Nel 1944 Franklin Delano Roosevelt ricevette in dono da un membro del Congresso un tagliacarte ricavato dall’osso di un braccio. Le prime mutilazioni sui cadaveri iniziarono di fatto con la battaglia di Guadalcanal nell’agosto del 1942, la prima vera vittoria che permise ai militari americani di mettere le mani su soldati giapponesi vivi o morti. Già dal settembre dello stesso anno tali comportamenti vennero ufficialmente proibiti dalle autorità militari, che li condannarono in modo specifico, minacciando a più riprese azioni disciplinari. I risultati però furono quasi nulli e gli americani continuarono a mutilare i cadaveri dei nemici sino alla fine della guerra. Nonostante la contrarietà degli alti comandi di Washington, la maggior parte dei comandanti sul campo incoraggiavano le mutilazioni come dimostrazione di combattività della truppa, o almeno non le sanzionava. L’effettiva estensione del fenomeno è un tema molto dibattuto tra gli storici. Per Weingartner non è possibile determinare con precisione il numero di militari statunitensi che commisero tali atrocità ma è chiaro che la pratica era molto diffusa. Secondo Harrison solo una minoranza tra le truppe statunitensi prese resti umani come trofei, ma tale abitudine era dovuta a un atteggiamento ampiamente condiviso. Secondo Dower la maggior parte dei soldati non fu coinvolta nella ricerca di tali trofei. Nonostante ciò molti sapevano che questi casi accadevano ed erano portati ad accettarli come inevitabili a causa delle circostanze. I veterani intervistati dai ricercatori hanno confermato che estrarre denti d’oro dalla bocca dei giapponesi vivi o morti era universalmente accettato dalla truppa e dagli ufficiali (ma ciò rientra piuttosto nella più ampia categoria del saccheggio, dato che in genere i soldati di prima linea si impossessavano regolarmente di orologi, monili, denaro e qualsiasi altro oggetto di valore trovato indosso al nemico). Riguardo alle teste ed altre parti del corpo le opinioni però tornano a divergere. Secondo Weinstein, che durante la guerra prestò servizio nel Pacifico, prendere teschi e ossa era pratica molto diffusa. John W. Dower afferma che se le orecchie erano il trofeo più comune in quanto facili da prendere, mentre teschi ed ossa venivano collezionati più raramente. I teschi, in particolare non erano molto popolari poiché erano difficili da trasportare e i metodi usati per rimuovere la carne richiedevano tempo ed erano disgustosi. Anche Simon Harrison è della stessa opinione. Niall Ferguson ritiene invece che la pratica di bollire le teste dei soldati giapponesi fosse assai diffusa, specie tra le truppe di seconda linea, che avevano generalmente tempo e mezzi per rimuovere la carne e ripulire i teschi e le ossa, trasformandoli talvolta in oggetti artistici come tagliacarte, anelli, posacenere. Ma anche orecchie, ossa e denti erano assai richiesti.



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