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CAMBIO DI PERCEZIONE E RESTITUZIONE DEI RESTI
Secondo Frances Larson, antropologa e autrice del libro Teste mozze, ci vollero alcuni decenni perché gli americani tornassero a percepire i giapponesi come esseri pienamente umani. Dunque alla morte dei veterani della 2^ guerra mondiale un numero crescente di familiari ed eredi dei combattenti – sentendosi a disagio con oggetti del genere – iniziò a disfarsi dei teschi consegnandoli alle autorità o semplicemente gettandoli via. Secondo statistiche governative, dagli anni settanta ad oggi la media di teschi-trofeo giapponesi consegnati spontaneamente ai coroner ed a vari enti federali affinché vengano restituiti al governo nipponico e sepolti varia tra in media tra i due e i cinque all’anno. Ma contando anche quelli requisiti ai privati cittadini o rinvenuti dalle forze dell’ordine durante operazioni di polizia, il totale dovrebbe essere almeno quadruplicato. Per riportare in patria tali resti si è costituito un apposito organismo misto formato da storici militari della JSDF (Japanese Self Defence Force), funzionari del Social Welfare and War Victims’ Relief Bureau (assimilabile al nostro Onorcaduti) e personale dei consolati giapponesi negli Stati Uniti. Esso viaggia attraverso il paese più volte all’anno per prendere in consegna dalle autorità locali competenti i teschi rinvenuti, provvedere alla loro cremazione secondo il rituale scintoista e traslarne le ceneri a Tokyo, affinché vengano custodite nel mausoleo nazionale di Yasukuni. A titolo esemplificativo vale la pena di ricordare le vicende di due fra i molti teschi-trofeo restituiti di recente al Giappone.
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Teschio restituito a funzionari giapponesi della Prefettura di Okinawa nel giugno 2003.
Il 9 febbraio del 2000 un anziano abitante della città di Springfield (Illinois) durante la sua quotidiana passeggiata lungo la riva del lago Springfield notò sul bagnasciuga un oggetto bianco di forma circolare, rivelatosi a un esame più attento un teschio umano. L’uomo, ritenendolo la prova di un qualche delitto, contattò subito le forze dell’ordine. La scoperta del teschio destò il vivo interesse dei media locali, finché un adolescente del luogo si presentò alla polizia, affermando che non c’era stato nessun crimine. Il teschio – spiegò il giovane agli agenti che lo interrogarono – apparteneva a un soldato giapponese ed era stato preso come trofeo di guerra dal suo defunto nonno, un marinaio che durante la seconda guerra mondiale aveva combattuto nel Pacifico, partecipando alle battaglie di Guadalcanal e Okinawa. Quando nel dopoguerra il nonno trovò lavoro come insegnante di scienze in un liceo, riutilizzò il teschio per insegnare biologia agli studenti. Alla sua morte tutti i suoi effetti personali vennero chiusi in un baule e dimenticati per decenni in soffitta, finché il nipote li trovò. Il ragazzo si impossessò del teschio, lo spruzzò con uno spray dorato, gli mise in testa una bandana e poi lo usò per arredare la sua camera, poi gli venne a noia e stupidamente lo gettò nel lago. Naturalmente il teschio fu sequestrato e sottoposto a esami dai patologi legali dell’Illinois per determinarne l’origine. La scansione computerizzata evidenziò che era quello di un uomo tra i 30 e i 40 anni, deceduto per una ferita mortale alla tempia sinistra e c’erano tra il 65 ed il 70 % di probabilità che fosse di etnia giapponese. Così le autorità inviarono il teschio all’U.S. Naval Hospital di Okinawa, affinché fosse restituito, ma le sue peregrinazioni non erano affatto terminate. In origine il Dipartimento di Stato era intenzionato a consegnare il teschio alle autorità nipponiche con una cerimonia ufficiale alla presenza del presidente Clinton, in occasione del G8 che nel 2000 si sarebbe tenuto a Okinawa. Ma qualcuno alla Casa Bianca obiettò che rivangare la brutta vicenda dei teschi-trofeo o peggio ancora associarla in qualche modo alla figura di un presidente moralmente discutibile come Bill Clinton, sarebbe stato un grave danno di immagine per gli Stati Uniti. Così col pretesto che non ci sarebbero state abbastanza prove per determinare la nazionalità del teschio, il reperto fu esaminato nuovamente da un patologo legale dell’U.S. Navy, ma intanto il G8 era terminato e ogni interesse al riguardo era svanito. Il teschio rimase tre anni in magazzino, dato che senza la prova definitiva della sua origine giapponese i funzionari della Prefettura di Okinawa non lo avrebbero preso in consegna. D’altronde il regolamento dell’ospedale permetteva di trattenerlo al massimo per tre anni, poi sarebbe stato smaltito come rifiuto ospedaliero. La situazione si sbloccò grazie ad Alex Kishaba, presidente della Ryukyu Historical Society, il quale una volta venuto casualmente a conoscenza della vicenda fece pressione sulla Prefettura, ottenendo una soluzione di compromesso. I giapponesi avrebbero preso in consegna il teschio sottoponendolo poi ad ulteriori analisi per scoprirne l’origine; se proveniente da Okinawa sarebbe stato sepolto nel Parco della Pace di Itoman; se proveniente da Guadalcanal sarebbe stato inviato al mausoleo nazionale di Yasukuni. Il teschio venne alfine restituito con una breve cerimonia secondo il rituale scintoista presso l’U.S. Naval Hospital di Okinawa, alla presenza di ufficiali della marina statunitense e funzionari giapponesi ai primi di agosto del 2003. Dopo una lunga assenza e un travagliato viaggio di ritorno, un ignoto caduto del Sol Levante era finalmente tornato a casa.
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Teschio restituito al Social Welfare and War Victims’ Relief Bureau ad agosto 2010.
Ralph McLeod, un veterano della guerra del Vietnam proprietario del negozio di armi e militaria Buyers Guns ad Holden (Maine), nel 2005 comprò per 50 $ ad una asta pubblica uno scatolone di oggetti della 2^ g.m. rinvenendo tra essi un teschio-trofeo, recante la scritta 1945 Jap Skull Okinawa. Appena venuto in possesso del teschio, l’uomo contattò l’ambasciata del Giappone a Washington, dicendosi intenzionato a restituirlo affinchè gli fosse data degna sepoltura. Lo indirizzarono al più vicino consolato giapponese, quello di Boston. Frattanto il teschio fu preso in carico dalla patologa legale Marcella Sorg per una approfondita indagine sulle sue origini. Gli esami accertarono che era appartenuto ad una giovane donna tra i 18 e i 25 anni, originaria delle isole del Giappone meridionale e deceduta per morte naturale molti decenni prima della seconda guerra mondiale. Quando i Marines sbarcarono ad Okinawa, si imbatterono in molte cripte sepolcrali e dopo averle ispezionate, le riutilizzarono come bunker e depositi munizioni. Si può ipotizzare che il teschio provenisse da una di quelle cripte e che sia stato sepolto attorno al 1890, almeno 40 o 50 anni prima che un ignoto militare americano lo trafugasse, portandoselo a casa per ricordo. Cinque anni dopo, una volta conclusa l’indagine dell’ufficio medico legale dello stato del Maine e preparati tutti i documenti necessari, ad agosto 2010 il teschio fu consegnato nelle mani di Shigeto Hirabayashi e Tsuyuki Fujii, rispettivamente direttore e capo divisione del Social Welfare and War Victims’ Relief Bureau. Prima di ripartire per Tokyo i due funzionari fecero cremare il teschio secondo le leggi del loro paese. “Come veterano di guerra e sostenitore dei gruppi di ricerca delle salme dei POW/MIA (prigionieri di guerra e dispersi in guerra) americani in Vietnam, sapevo che l’unica cosa da fare con quel teschio era restituirlo” dichiarò in quell’occasione Ralph McLeod. “Il teschio – o meglio le sue ceneri – è finalmente tornato a casa. Ciò è una cosa buona, ed è tutto ciò che conta.”
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REPLICHE IN RESINA
La dittatura del politicamente corretto imperante negli Stati Uniti e il crescente disagio riguardo all’esposizione pubblica di autentici resti umani giapponesi ha avuto come conseguenza la nascita un singolare business, quello delle repliche sintetiche di teschi-trofeo. Perfette riproduzioni in materiale plastico di un cranio asiatico in scala 1:1 decorati con le insegne ufficiali e i motti delle varie GG.UU. che operarono nel Pacifico (elegante supporto in legno incluso nel prezzo) sono liberamente in vendita per la gioia di veterani, personale militare in servizio e collezionisti in genere desiderosi di possedere un tale discutibile feticcio.



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