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					 ELMETTO SHINYO per i kamikaze del mare ELMETTO SHINYO per i kamikaze del mare
					
						
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 Questo   articolo è la conseguenza  della scoperta di uno di questi elmetti che  ho  cercato per tanti anni e  che è soventemente attribuito agli uomini  dei  carri anfibi della  Marina Imperiale Giapponese, ma che è stato   ugualmente sulle unità  anfibie Shinyo.
 Ecco  la storia: soprattutto su   internet e particolarmente sul sito americano  ebay che mette in vendita   all’asta, tutti i giorni milioni di oggetti  di tutti i generi, mi  sono  imbattuto in questo elmetto che porta sulla  parte anteriore  quella che  noi chiamiamo oggi un’immagine “war art” che  significa un  fregio  artigianale di guerra.
 Già  nel passato soprattutto su ebay   avevo incontrato dei elmi rari, uno  splendido elmetto giapponese M.   18 Arsenale della Marina con il  crisantemo sulla calotta che   sfortunatamente non ho potuto acquistare a  causa del prezzo.
 Il materiale giapponese, che non è molto abbondante,    e l’occhio esercitato ha colto l’oggetto che mi ha fatto sussultare, a    mio parere un “vet bring back item” (oggetto portato a casa da un  veterano).
 È il caso di questo  M. 1944 attribuito ai piloti Shinyo, che significa barchini suicidi esplosivi.
 In  verità fino a quel momento non   c’era la prova che questo casco, raro e  praticamente introvabile, (se   ne conoscono solo quattro esemplari al  mondo in collezioni private)   fosse destinato ai piloti dei barchini  esplosivi ma dopo questa   scoperta ciò è sicuro al 100%.
 
 
 In    effetti l'elmetto, sulla parte frontale, porta con la “war art” (che    raffigura un piccolo vascello che affonda tra i flutti) una bandiera    giapponese e un teschio con le tibie incrociate e l’iscrizione: A Jap. Navy Helmet captured during a bloody battle of Manila Feb. 1945. L’ancora gialla giapponese a decalcomania appare in mezzo alla “war art” .
 L’iscrizione,  la data e tutto il   resto confermano l’originale attribuzione di questo  elmo speciale,   molto pesante destinato ai Shinyo, che sta a significare  i kamikaze del   mare, che dal gennaio 1945 alla fine di aprile dello  stesso anno   cercarono inutilmente di fermare l’enorme flotta americana,  prima nelle   Filippine e quindi al largo di Okinawa.
 
 Sono   riuscito a ricevere anche il  giubbotto di salvataggio trovato con il   casco. Questo presenta  numerose tracce di combustibile e bruciature.   Tipico della marina fu  consegnato probabilmente assieme al casco sebbene   può sembrare,  esaminando le foto disponibili, che gli equipaggi dei   barchini  esplosivi furono dotati di tenute di volo dell’aviazione di   marina,  incluso il tipico giubbotto di salvataggio a salsiccia, il   copricapo,  gli occhiali e i guanti. Erano dei kamikaze anche se   pilotavano dei  Shinyo sul mare.
 
 L'elmetto  è sicuramente un bel  pezzo, interessante. Basato in parte sulla  classificazione, il casco è  un M. 1944 da pilota di Shinyo e dei carri  anfibi di marina. È  realizzato in acciaio speciale al  nickel-cromo-molibdeno con uno  spessore frontale di 4 mm e utilizza una  placca frontale fissata con 11  rivetti interni, con uno spessore  posteriore di 2 mm, un peso di 3,3  kg. inclusa la guarnizione e il  sogolo di canapa. Di tinta grigio-bleu  con un’insegna frontale a  decalcomania rappresentante un’ancora gialla  di 48 mm di altezza e 30 mm  di larghezza. Il mio casco è marchiato  sulla sua parte posteriore: B433  e porta sulla sommità della calotta un  carattere kanji che non sono  riuscito a tradurre. La  data del 22 febbraio 1945 mi ha  procurato qualche notte d’insonnia nel  corso delle quali ho contattato  numerosi collezionisti giapponesi e  americani, come numerosi noti musei  americani. Con l’aiuto di Rudy  D’Angelo ho ottenuto le informazioni  che desideravo.
 
 
 
 Nella  mia mente avevo associato  queste unità ai barchini esplosivi MTM della  Decima MAS che si erano  brillantemente comportati nella Baia di Suda e a  Malta durante l’ultimo  conflitto. La comparazione fotografica dei  Shinyo e dei Barchini  mostra della rassomiglianze innegabili e non è  escluso che i giapponesi  si siano ispirati ai barchini d’assalto  italiani come fecero  daltrocanto i tedeschi con il loro Linse che, dopo  l’eiezione del  pilota, poteva essere telecomandato. La differenza  essenziale sta che i  barchini italiani furono costruiti in un piccolo  numero e che era  previsto il salvataggio del pilota che si eiettava  prima dell’impatto,  mentre i Shinyo, costruiti in grande numero  prevedevano che il pilota  esplodesse con tutto il mezzo sull’obbiettivo.  Il Giappone stava  giocando le sue ultime carte e stava per affrontare  la flotta americana  alle porte del paese, ogni pilota doveva affondare o  danneggiare  seriamente un’unità nemica. Con un semplice calcolo delle  probabilità  2000 barchini esplosivi suicidi, pilotati da uomini decisi  sugli  obbiettivi designati, potevano rallentare un nemico che non poteva   essere fermato con i mezzi tradizionali.
 
 
 Secondo  uno studio di Shin Nimura,  esistevano nelle Filippine prima del ritiro  giapponese, 300 barchini  suicidi ripartiti in sei gruppi di Shinyo  mentre ad Okinawa furono  allineati due gruppi di 100 barchini esplosivi,  che sembrano avere soli  otto obbiettivi navali. Contrariamente  all’opinione comune, i  giapponesi avranno pochi risultati, ma eccellenti  visto il loro impiego  parsimonioso.
 Il  10 gennaio 1945 nel golfo di  Lingayen a Luzon, nelle Filippine, due  Shinyo affondano due LCI: il  G-365 e l’M-974 e il 31 gennaio sempre a  Luzon, la PC-1129 fu affondata  da un altro Shinyo al largo di Nasugbu.  Il 16 febbraio 1945 tre  barchini suicidi affonderanno LCS (L): la 7, la  26 e la 49 al largo di  Mariveles nel canale di Corregidor, vicino a  Luzon. Il 4 aprile furono  affondate la LCI-G82 e la LSM-12 al momento  dello sbarco su Okinawa,  infine il 27 aprile 1945 la USS Hutchins  (DD-476) fu colpita da un  Shinyo nella baia Buckner a Okinawa.
 
 Dopo l'occupazione del Giappone un elmetto Shinyo fu testato dagli americani.
 A 200 metri una pallottola 30.06 del fucile Garand lo trapassava.
 Quindi era perfettamente inutile.
 
 I servizi d’informazione americani avevano appreso che per le operazioni Olimpic e Coronet, previste    per l’invasione del Giappone, i giapponesi avevano l’intenzione di    usare un migliaio di Shinyo. Bisogna ricordare anche l’esistenza delle    bombe pilotate Ohka, gli uomini-rana suicidi Fukuruyu, le torpedini    umane Kaiten e certamente i Kamikaze.
 Gli  alleati, a partire dal 19   giugno 1944 fino all’agosto 1945, persero  parecchi uomini e materiali a   causa degli attacchi suicidi e coloro che  hanno servito in marina   ricordano questo come il peggiore periodo di  tutta la guerra del   pacifico. Le guardie doppie e triple, la tensione e  l’attenzione   sostenute, gli equipaggi di fucilieri obbligati a  proteggere tutte le   imbarcazioni giorno e notte, perché quando un radar  segnalava qualche   cosa era già troppo tardi
 
 Per  puro caso gli attacchi massicci e  congiunti dell’aviazione e dei  barchini suicidi che gli americani  temevano non furono mai effettuati, a  parte aerei kamikaze che tra  marzo e giugno 1945 effettueranno al largo  di Okinawa fino a 350  attacchi al giorno.
 Le  due bombe di Hiroshima e  Nagasaki servirono a fermare il massacro o il  Giappone aveva già  chiesto un cessate il fuoco, esse non servirono che  ad aumentare il  numero delle vittime di questa immensa strage?
 
 A   settanta anni da questi  avvenimenti tragici, penso all’uomo che ha   indossato questo elmetto e  questo giubbotto in mio possesso, per non   morire prima di aver  raggiunto l’obbiettivo, lanciato a 30 nodi, il   motore imballato, il  suo volto arrossato dagli spruzzi, poi un enorme   esplosione infine il  silenzio e il fumo con qualche detrito che   galleggia sulle onde tra il  combustibile incendiato.
 
 
 Si ringraziano: Kazunori Yoshikawa, Shim Nimura, Battleship Cove Museum, La Gazette des Uniformes
 
 Bibliografia:
 
 - A. J. Barker: Suicide Weapon. Ballantines N.Y.
 - E. Reichsauer: Japan, Past & Present. Knopf N.Y.
 - Inoguchi-Nakajima-Pineau: Divine Wind. Ballantines N.Y.
 - A. Cox: The Final Agony. Purnell's London
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