Il periodo di tempo che va dal lancio del primo satellite artificiale sovietico Sputnik sino allo sbarco degli americani sulla Luna con le missioni Apollo, può essere senza dubbio considerato il decennio d’ oro della missilistica. A quel tempo si pensava ingenuamente che nel 2000 saremmo stati tutti cittadini dello spazio, nutriti in pillole e ormai svincolati dalle bassezze del nostro pianeta grazie alle “magnifiche sorti e progressive” del progresso scientifico. Si sviluppò dunque – e non solo nei paesi capitalisti – una sorta di entusiastica e ingenua mania per i razzi e l’ esplorazione spaziale, veicolata dalla cultura popolare a basso livello ma anche dai serissimi studi scentifici portati avanti nelle singole nazioni. Bisogna dire che la gente comune, proiettandosi nell’ ideale di un futuro utopico probabilmente attuò una sorta di rimozione inconscia della dura realtà: ovvero che l’ esplorazione spaziale interessava le due maggiori superpotenze solo per le ricadute scientifiche applicabili in campo militare, per la costruzione dei missili balistici capaci di trasportare le bombe atomiche che pendevano (e pendono ancor oggi) sulla testa del genere umano. Comunque sia in quegli anni anche nel nostro paese questa tendenza “spaziale” influenzò libri, modellini, giocattoli, ma anche oggetti di consumo, il design di arredi e automobili, la moda femminile, l’ alta oreficeria. Persino il cinema di casa nostra prese la via dello spazio, con contaminazioni improbabili, anche al di fuori della fantascienza tradizionale. Ad esempio un film “ musicarello” con protagonista il giovanissimo Tony Renis, che nei panni di un appassionato di missilistica girava di notte nelle spiagge isolate non per concupire le disponibili turiste straniere ma – ohibò – per lanciare razzi artigianali di sua costruzione. Perchè la missilistica era diventata un hobby preso molto seriamente con manuali tecnici per il fai da te e riviste di settore. Nel 1963 una inchiesta del settimanale “Panorama” rivelò che nel tempo libero oltre tremila nostri concittadini di tutte le età si dilettavano a costruire e lanciare razzi, anche di una certa complessità tecnica. Costoro, riunitisi nella Associazione Italiana Razzi Spaziali, erano addirittura riconosciuti e sostenuti dalle autorità competenti. La bella foto a colori da me postata mostra quattro giovani dell’ A.I.R.S. in procinto di lanciare un razzo. Tutti indossano mod. 33 di colore azzurro col fregio frontale obliterato. Forse erano surplus bellici, forse addirittura ceduti nuovi dalla nostra Aeronautica Militare. Uno di essi porta la sigla dell’ associazione in rosso. Forse il Dottor “M” potrà dire la sua riguardo a questo uso inconsueto del mitico elmetto 33.

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